ll Letterato Della Seconda Metà Dell' Ottocento... VERGA

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Giovanni Verga

 

Verga, Giovanni (Catania 1840-1922), scrittore italiano, autore di romanzi, racconti e opere teatrali, massimo esponente del verismo. La sua attività letteraria può essere divisa in tre fasi: la narrativa storico - patriottica degli esordi; i romanzi mondani; la produzione verista. In Sicilia ebbe una formazione letteraria provinciale, come testimoniano i suoi tre romanzi giovanili.

 

 

 

 

La vita

 

 

Verga è siciliano, nato a Catania nel 1840. Apparteneva ad una famiglia di ricchi proprietari terrieri, che, appunto, possedevano molti campi intorno al paese di Vizzini.Si noti che l'adolescenza di Verga fu, per ragioni di date, fortemente influenzata dagli ideali, dai sogni romantici e risorgimentali. Fu destinato agli studi di legge, ma la sua vera passione era la letteratura, anzi, la narrativa. Certo Verga avvertì quanto di chiuso e di ristretto fosse nell'ambiente culturale catanese e, mosso dal desiderio di tuffarsi nelle correnti più vive e moderne della letteratura e certamente spinto anche da un giovanile e comprensibile "sogno di gloria", cioè di successo e di mondanità, lasciò Catania per Firenze (allora capitale d'Italia) nel 1865. Firenze era ancora una delle culle della cultura italiana, ma non era più all'avanguardia. Milano appariva, ed era, più moderna, più aggiornata, più avanzata. Verga giunse a Milano nel 1872.A Firenze aveva conosciuto e frequentato letterati e artisti  in particolare, Capuana - siciliano come lui e poi suo fedele amico e aveva allargato e approfondito i suoi orizzonti culturali, sprovincializzandosi. A Milano visse molti anni, ne fece quasi una seconda patria. Lesse e rifletté su Balzac, su Zola e sul naturalismo francesi. Ormai respirava l'aria dell'Europa. Passano alcuni anni di meditazione. Compaiono ancora romanzi alla "vecchia" maniera, di ambiente borghese. Ma in questi anni matura la svolta, o "conversione", che lo porterà ad accettare la poetica del Verismo. Abbiamo così nel 1880 VITA DEI CAMPI, nel 1881 I MALAVOGLIA; nel 1883 NOVELLE RUSTICANE, nel 1889 MASTRO DON GESUALDO. Tuttavia queste opere, tutte d'ispirazione verista, e tutte ambientate in Sicilia, non esauriscono la sua produzione di quel decennio così fecondo. La sua narrativa nuova fu spesso avversata dai critici (tornava un gusto tradizionalista e classicheggiante alimentato dal carduccianesimo) e il pubblico di un tempo non lo seguì più. Nel 1893 Verga tornò a Catania (ove comunque era sempre tornato d'estate e d'autunno), e lì visse, amareggiato e deluso, circa trent' anni, fino alla morte, nel 1922.Dell'ultimo periodo della sua vita vanno segnalate due note: la passione, tutta "verista", per la fotografia, gran novità in quegli anni, e la simpatia con la quale egli guardò al fascismo nascente.  

 

 

La narrativa verghiana antecedente il verismo

 

 

I romanzi della giovinezza "siciliana" hanno scarsissimo, o nullo, valore artistico. Sono le prove di un giovane che ha la mente e la fantasia piene delle letture degli autori romantici più tendenti al patetico e all'avventuroso.Per esempio "I carbonari della montagna" hanno come sfondo la carboneria, le cospirazioni nel Sud. Quindi: patria, società segrete, amore sfortunato, nobili sentimenti, sacrificio virtuoso, morte. Nei romanzi del periodo fiorentino e milanese, invece, il tema ricorrente è l'amore, che si disegna nel destino dei protagonisti con una parabola la quale va dalla felicità, o dalla speranza della felicità, alla delusione e alla sconfitta. I protagonisti sono creature un po' d'eccezione, che vivono in ambienti  un po' d'eccezione, alto borghesi o aristocratici o artistici. Gli orizzonti mentali e affettivi di tali personaggi non vanno oltre la passione d'amore o l'ambizione artistica, o il desiderio di lusso e di piaceri, o di gloria letteraria e di successo mondano. Questi romanzi ottennero un buon successo e, soprattutto a Milano, il nome di Verga cominciò ad essere, per gli editori, un "buon affare". Le sue opere "tiravano", cioè si vendevano bene. Non è trascurabile che proprio in quegli anni in Italia andava costituendosi un'editoria volta alla pubblicazione di libri ormai su scala industriale e perciò molto attenta ai gusti del pubblico. Però il valore di quei romanzi verghiani era discontinuo e non si sentiva ancora, dentro l'opera, la presenza di una personalità ben definita, originale; allo stesso modo non originale era lo stile, talvolta trasandato, altre volte enfatico, letterario, convenzionale. Verga risente, insomma, di suggestioni diverse e non ancora ha trovato la "sua" strada. Può dirsi, perciò, che Verga, tra il 1866 e il 1872, cammina verso il traguardo di una rappresentazione veritiera e moralmente impegnata: cioè vuole denunciare i mali di una società corrotta e immorale. D'altronde in quella società egli viveva, da siciliano e da provinciale che, approdato al Nord e alla metropoli, ne subiva il fascino cosmopolita, ma dentro vi si sentiva anche a disagio e, in parte, li respingeva.

 

 

La svolta verista

 

 

La svolta letteraria si può datare al 1874, l'anno in cui fu pubblicata una novella intitolata Nedda, definita dall'autore un "bozzetto siciliano". L'ambiente non è più urbano ma rurale. Un altro personaggio entra nella fantasia del Verga; non è una contessa, né una ballerina ma una povera contadina, costretta a lavori spossanti per sfamarsi e curare la madre ammalata .L'ambiente è la Sicilia, non quella dei "galantuomini" né quella degli aristocratici, ma la terra dei diseredati, dei miserabili. Dobbiamo chiederci: cosa è successo? Perché questa svolta?I critici hanno variamente spiegato il processo di questa "conversione". Vera "conversione" non fu. Non è, poi, vera "conversione", perché non sono pochi gli elementi di continuità tra la "vecchia" e la "nuova" produzione, dall'interesse umano ed artistico per i "vinti", alla dichiarata volontà di rappresentazione del vero. Questo significa che, al di là delle dichiarazioni esplicite di naturalismo, l'attrazione provata dal Verga verso l'ambiente siciliano e provinciale ha radici anche più profonde, o comunque diverse dal semplice ossequio alla moda naturalista. "Conversione" quindi, può forse dirsi, ma non già linearmente e semplicisticamente al naturalismo, o al verismo. Nonostante, si ripeta, le apparenze. Il naturalismo sembrò al Verga la poetica più moderna e più rispondente alle esigenze verso cui egli muoveva. Ecco: l'incontro con la Sicilia dei diseredati, avvenuto quasi per caso, e in modi tali da far pensare che l'autore se ne voglia giustificare di fronte al suo abituale lettore, è ormai avvenuto. D'ora in poi Verga resterà ammaliato da quel mondo, sarà risucchiato verso la sua più vera ispirazione: nascerà di qui la serie dei suoi capolavori, e quando egli vorrà tornare, col ciclo dei "vinti", al mondo dei ricchi borghesi e degli aristocratici, la mano cadrà stanca sui fogli e la pagina. Queste, dunque, a grandi linee, le ragioni della "conversione".  

 

 

L' ideologia

 

 

Nella prefazione al romanzo troviamo prima di tutto una dichiarazione di sapore naturalista e positivista, cioè l'intenzione di fare, col romanzo, "uno studio sincero e spassionato" di un sentimento umano: il desiderio di migliorare la propria condizione sociale, l'ansia di "salire" nella scala della società. Questo è un programma tipicamente naturalista. E’ questo il suo modo di porsi di fronte alla vita : a lui, come artista, interessano soprattutto "i deboli che restano per via, i vinti che levano le braccia disperate, i vincitori di oggi... che saranno sorpassati domani." Verga, quindi, ha a cuore soltanto la sorte dei "vinti", di coloro, cioè, che hanno tentato l'ascesa e sono stati ricacciati indietro. E infatti il progresso è grandioso, ma solo se "visto di lontano". Ma si badi: i vincitori di oggi sono i vinti di domani. Su tutta la scena delle vicende umane si stende, per Verga, l'ombra cupa di una sconfitta irrimediabile, e la vita dell'uomo, col suo carico di affetti, interessi, drammi, passioni sembra precipitare in un nulla senza significato. Si assiste quasi ad una sconfitta "metafisica". Altro che progresso! Altro che positivismo, nonostante le apparenze. Il ciclo di romanzi che Verga progettò è detto, dunque, dei vinti. Sono: I Malavoglia, Mastro don Gesualdo, La duchessa di Leyra, L'onorevole Scipioni, L'uomo di lusso. E ogni romanzo ritrae una "sconfitta", patita su un diverso e sempre più alto gradino della condizione sociale, dai miseri fino agli artisti raffinati e ambiziosi. Visione pessimista, dunque, che rovescia con crudele amarezza l'euforia positivista e rappresenta l'uomo come essere condannato ad un destino di immobilità e di sofferenza. In realtà nel mondo del Verga non c'è spazio per l'espansione dei sentimenti o degli ideali umani: appena essi si manifestano sono schiacciati, sopraffatti da leggi più dure e spietate, come quella dell'onore o, soprattutto, dell'interesse economico. Non c'è nessun Dio nel cielo di Verga, anzi, sulle creature di Verga non c'è proprio il cielo. E' anche vero che il pessimismo verghiano non è immobile: esso si dilata e si fa più scuro dai primi racconti fino all'ultimo romanzo, quando la ferrea, disumana logica dell'interesse economico sembra occupare tutto lo spazio morale dell'uomo. Mentre nel mondo di Manzoni la luce di Dio illumina il bene e mette in ombra il male, sì che noi possiamo distinguere i buoni dai cattivi, nel mondo di Verga, ove la necessità economica e l'interesse dominano, tutti hanno ragione a modo loro e non c'è una ragione superiore che spiega perché il mondo vada così. Ancora un altro elemento va tenuto in conto per giudicare correttamente l'opera verista del Verga: dai suoi racconti e romanzi emerge una rappresentazione cruda e polemica della società italiana in generale, e del Mezzogiorno in particolare: la povertà delle masse proletarie, l'egoismo dei ricchi, la cecità dei governanti, l'estraneità del popolo allo Stato. C'era di che mettere sotto accusa un'intera classe dirigente e tutto un processo storico, quello risorgimentale. Sicché, alla fine, si ritrasse in se stesso, deluso e sfiduciato e s'accorse che anche l'ispirazione, privata di possibili sviluppi, s'inaridiva. Così Verga tacque a lungo.  

 

 

PRINCIPALI OPERE

 

 

 Verga aveva pensato di scrivere cinque romanzi che rappresentano il -Ciclo dei vinti- ma soltanto i primi due furono finiti: I malavoglia in cui c'è la lotta per il pane quotidiano; Mastro Don Gesualdo in cui c'è il benessere e si vuole arrivare alla nobiltà; La Duchessa di Leira, in cui c'è la nobiltà, la vanità aristocratica, L'Onorevole Scipioni in cui c'è l'arrivismo (ambizione politica) ed infine L'uomo di lusso che riunisce tutti questi desideri che lo affaticano e lo fanno soffrire. Infatti il Verga stesso dice che in questo ciclo voleva studiare l'ansia del progresso che affatica l'uomo partendo dalle classi più umili per arrivare a quelle più elevate. Ma tutte queste persone sono dei vinti. Il Verga riuscì a finire solo i primi due romanzi perchè dopo Mastro Don Gesualdo il pubblico si era allontanato da lui anche per le critiche negative per cui Verga ne soffrì e si chiuse ancora di più ma soprattutto perché, Verga, sentiva di trovare la vera poesia solo parlando della povera gente. Il poeta vuole mettere in pratica le leggi del verismo che riguardano l'oggettività e l'impersonalità nel modo seguente: eliminando qualsiasi autobiografismo, cioè cercando di non mettere nei personaggi le proprie passioni personali (come invece successe nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis) non intervenendo con propri giudizi sui fatti e sui personaggi (come invece era successo al Manzoni con la sua ironia) parlando di fatti culturali che possono far vedere la personalità dello scrittore usando un linguaggio lontano dalla tradizione letteraria, una lingua semplice che userebbero gli stessi personaggi nei loro discorsi reali: una lingua, quindi, non dialettale, perché l'uso del dialetto (non si capirebbe) pieno di sentimento, di psicologia, di modi di pensare dialettali, cioè siciliani: ossia un italiano comprensibile a tutti, un italiano parlato su base toscana, ma rispettando lo spirito e la sintassi del siciliano, quindi un siciliano sollevato in un nuovo e più poetico linguaggio. 

 

 

Nedda

 

 

Si parla di una povera ragazza senza padre, raccoglitrice di olive che cura la madre ammalata e vive di umiliazione e rassegnazione. Quando la madre muore, Nedda, incontra un povero ragazzo giovane e da questo amore nasce una bambina gracile che morirà presto, quando il padre, già ammalato, si rompe la schiena cadendo da un albero. Nedda è già una vinta, come lo saranno i personaggi dei Malavoglia e di Mastro don Gesualdo: la caratteristica, appunto, del verismo del Verga è la partecipazione dell'autore al dolore dei - vinti -. Mentre il Manzoni crede nella provvidenza, il Verga si rassegna in modo eroico al destino.

 


I Malavoglia

 

 

Questo romanzo è la storia triste di una povera famiglia di Acitrezza (Catania) e il cui capo padron 'Ntoni, capo di una famiglia di pescatori che con ogni mezzo cerca di tenere in piedi la casa del Nespolo e la tranquillità che questa casa rappresenta. Egli ha un debito con lo zio Crocifisso per un carico di lupini, purtroppo perduto in mare nel naufragio della barca provvidenza assieme a suo figlio Bastianazzo. Appunto per questo i Malavoglia fanno enormi sacrifici, ma il nipote 'Ntoni si allontana da Acitrezza perché vuole conoscere le città ed il mondo; come un pesce affamato se lo inghiotte e con lui suoi molti parenti. I Malavoglia saranno costretti a vendere la casa del Nespolo, che alla fine il nipote più giovane, Alessi, riuscirà sì a ricomprare, ma il nonno, finito in ospedale, è già morto, solo, e purtroppo la famiglia è disperata e distrutta. Concludendo, il tema fondamentale dei Malavoglia è la religione della casa, l'ideale dell'ostrica, cioè l'attaccamento della povera gente alla casa, che come uno scoglio nel quale è tutta la sua fortuna. In questo romanzo abbiamo spesso i proverbi che sono molto importanti perché, per esempio, detti da padron 'Ntoni non esprimono veri dolori; così i proverbi sono usati al posto dei giudizi dell'autore, come se il fatto si commenti da se con le parole della gente, che questo fatto vive e soffre. Tutti i personaggi hanno la stessa importanza per cui in questo romanzo c'è un'armonia e un equilibrio che ricorda la coralità delle tragedie greche. Il linguaggio è conciso, facile a capirsi fatto tutto di cose concrete e di verità. Il valore morale dei Malavoglia si può vedere nell'ultima parte del romanzo in cui vediamo che il piccolo mondo di Acitrezza non è cambiato e l'episodio dei Malavoglia fa parte della triste storia di sempre, simbolo della condizione degli umili ma anche di tutto il genere umano. 'Ntoni, che dopo la triste esperienza del carcere cerca di farsi una nuova vita, ci fa capire che la sventura è utile se ci insegna qualcosa.

 

 

Mastro Don Gesualdo

 

 

Questo romanzo si basa sulla religione della "Roba" e parla di un capomastro, Don Gesualdo, che col suo sudato lavoro raggiunge la ricchezza, riesce ad entrare fra la nobiltà di Vizzini (Catania) e a sposare una nobile decaduta, Bianca Trao, per cui diventa il padrone del paese. Ma anche se ricco, nella vita proverà sempre delusioni e solitudine; crolla pure un ponte che aveva in appalto e altre disgrazie fanno diminuire le sue ricchezze mentre la famiglia si disperde. La moglie muore di tubercolosi, la figlia Isabella sposa, senza amarlo, il Duca di Leyra il quale non pensa ad altro che a spendere i soldi del suocero e Don Gesualdo, vecchio e ammalato, morirà di cancro in una stanza della figlia a Palermo, solo, mentre i servi lo prendono in giro. Gli è accanto solo l'umile Diodata, che stava sempre con lui, per dimostrare che l'affetto si può avere anche senza denaro. In questo romanzo è ovunque presente il più totale pessimismo, mentre nei Malavoglia vi era sempre un po' di speranza. Il motivo principale di questo romanzo è il culto della "roba" che in questo mondo può riuscire a trasformare un semplice muratore in una persona ricca e invidiata. Ma per contrasto il Verga ci parla pure di sentimenti semplici e disinteressati i quali ci fanno capire, invece, che la roba è spesso causa di male e di dolore e che il denaro non fa diventare nobili. Ma in questo romanzo il bene non è mai premiato, per cui non si può vedere una vera legge morale, per questo si può parlare di un amaro pessimismo. Nei romanzi del Verga anche se l'autore voleva essere impersonale, il paesaggio è sempre legato ai fatti, quindi Verga non fotografa ma, quando descrive i paesaggi, mette in questi il dramma umano. Il vero protagonista dei romanzi veristi del Verga è il popolo anche se le figure maggiori dei romanzi sono il vecchio e il giovane: 'Ntoni e Mastro Don Gesualdo. Padron 'Ntoni è un semplice pescatore ma ci appare rude, triste e solenne nella sua naturale saggezza, basata su alcune massime che ha ascoltato sin dalla nascita e per cui lotta come un eroe: mantenere la roba, tenere unita la famiglia, rispettare la parola data. Anche se il destino è contro di lui egli resiste sino alla fine. Il giovane 'Ntoni con la sua mania di allontanarsi dal paese rappresenta quasi l'antagonista del nonno.