dal sito StudioRicerche Sociali

SOSTENIBILITÀ ECONOMICA

Per perseguire la sostenibilità economica:
  • i costi debbono essere internalizzati per dare un nuovo indirizzo qualitativo e quantitativo agli obiettivi ed all’andamento delle attività economiche, al conseguimento del profitto aziendale e all’innovazione
  • i governi, avvalendosi dell'evoluzione del pensiero economico, devono fornire orientamenti e quadri di riferimento basati su finalità ed obiettivi generali in grado di prevenire il degrado ambientale
  • tassazione e sussidi devono essere utilizzati per favorire l'assunzione di responsabilità e di impegno ambientale da parte dei cittadini, siano essi fornitori, produttori o consumatori.

Come è noto, i concetti economici convenzionali facevano riferimento a tre principali fattori di produzione: terra, lavoro, capitale.

Per capitale si intendeva ogni bene (fisico e finanziario) tale da rendere possibile la produzione di altri beni e capace di generare reddito; venivano esclusi dal novero materie prime e terra, da una parte, e lavoro, dall'altra. Questi due fattori non erano considerati "capitale", anche se indispensabili per la sua produzione.

Questi concetti, costitutivi del pensiero economico che accompagnò la Rivoluzione Industriale, hanno subìto cambiamenti di un certo rilievo nel corso degli ultimi due secoli. In particolare:

  • da una parte, il pensiero sociologico evidenziò il ruolo delle risorse umane come "ricchezza di capacità" espresse da persone e non come mera "forza - lavoro";
  • dall'altra, il pensiero ecologico fece emergere il ruolo degli ecosistemi e della natura come "ricchezza di capacità" vitali per il mantenimento e lo sviluppo di qualsiasi essere vivente, umano e non, e di qualsiasi attività.

Quindi, anche per l'influenza di altre discipline, il risultato è che tali fattori di produzione sono, oggi, considerati tutti come capitali: natura, esseri umani, e risorse prodotte dall'uomo.

L'approccio "rispettoso della Terra" (così definito da Basiago in un saggio scritto da Gilman) articola i suddetti fattori in cinque forme di capitale:

  • capitale ambientale, che include tutti i sistemi naturali, l'atmosfera, i sistemi biologici ed anche il sole;
  • capitale umano, che è riferito alla salute, alla conoscenza, alle abilità e alle motivazioni degli individui;
  • capitale socio-organizzativo, che rappresenta la dimensione metafisica della cultura come insieme di abitudini, norme, ruoli, tradizioni, regole, politiche, leggi, dinamiche sociali ed istituzionali, etc.
  • capitale prodotto dall'uomo, che include tutti i manufatti, gli utensili e le attrezzature, gli articoli durevoli e "tutto ciò che è stato prodotto ma non ancora restituito all'ambiente";
  • capitale di credito, che si riferisce a denaro ed indebitamento.

Questa ampia distinzione è, naturalmente, discutibile. Per esempio il capitale socio-organizzativo sembra corrispondere alla società (o formazione sociale) nella quale un ruolo primario è assegnato agli individui ed alle comunità (capitale umano), mentre il capitale prodotto dall'uomo e il capitale monetario sono ancora due facce di una stessa medaglia.

A seconda degli autori presi in considerazione si possono derivare altri concetti di capitale dal significato analogo o differente. Ad esempio:

  • capitale naturale (ampiamente equivalente a quelle che sono spesso chiamate risorse naturali), capitale fisico (impianti, attrezzature, costruzioni ed infrastrutture, etc.), capitale umano (il potenziale produttivo e la consistenza di abilità apprese che fanno parte di ogni individuo) e capitale intellettuale (la dotazione di capacità e di sapere che fanno parte della cultura di una società); inoltre se si definisce il capitale prodotto dall'uomo come la somma di capitale fisico, umano ed intellettuale, allora la dotazione di capitale consiste di due parti: capitale naturale e capitale prodotto dall'uomo (Perman et al., 1996);
  • capitale naturale (risorse ambientali), capitale fisico (cioè prodotto dall'uomo, macchine, etc.) e capitale umano (cioè capacità umane, conoscenza ed ingegnosità) (Turner et al., 1994);
  • capitale naturale (risorse naturali), capitale prodotto dall'uomo (costruzioni, macchine, etc.), expertise tecnologica, altri generi di conoscenza e cosi via (Jacobs, 1991).

Molti autori, inoltre, hanno trattato il concetto di sostenibilità in maniere diverse. Mettendo insieme alcune di tali concettualizzazioni, una condizione sostenibile può essere identificata, da un punto di vista economico, come uno stato in cui (Perman et al., 1996):

  • utilità, consumo e dotazione di capitale naturale non si riducono nel tempo;
  • sono garantite nel tempo condizioni minime di stabilità e di capacità di recupero dell'ecosistema (resilienza);
  • le risorse sono gestite in modo tale da garantire un rendimento sostenibile delle risorse di servizio e da mantenere le opportunità di produzione per il futuro.

Poiché in economia si assume che il mantenimento del potenziale produttivo dipenda dal mantenimento di uno stock composito di capitale, ne consegue che o i singoli elementi di questa dotazione sono reciprocamente sostituibili, o essi non dovrebbero ridursi e declinare nel tempo.

In proposito gli economisti sono divisi ed anche se molti di loro accettano il concetto di Daly, secondo il quale capitale naturale e capitale prodotto dall'uomo sono complementari e non sostituibili, è possibile distinguere due posizioni o prospettive ambientaliste.

La prima (tecnocentrica) prevede che continuerà ad esserci un alto grado di sostituibilità fra tutte le forme di capitale (capitale fisico, umano e naturale), mentre la seconda (ecocentrica) rifiuta perfino una politica di sviluppo basata sull'uso sostenibile delle risorse naturali (Turner et al. 1994).

Per riassumere, per un lungo periodo di tempo, lo sviluppo è stato pesantemente orientato verso la cosiddetta filosofia della crescita, basata sull'ipotesi che le risorse naturali fossero illimitate e che il capitale (credito, produzione industriale, etc.) costituisse la principale risorsa scarsa. Più tardi si è riconosciuto il mancato fondamento di tale ipotesi.

Si è fatto, inoltre, un ingiustificato affidamento sulla capacità del mercato di garantire un'utilizzazione e un'allocazione efficienti delle risorse, nonché sulla capacità di sostituire e di reintegrare quelle andate distrutte durante il processo di produzione e di consumo.

Successivamente si è fatto strada un altro orientamento, più cauto del primo, che riconosceva la necessità di contenere la crescita e l'aumento incontrollati dei consumi, per vivere entro le limitazioni dell'ambiente biofisico (Goodland, citato da Khan, 1995).

Questa è una delle ragioni del perché, nel cammino verso un'economia sostenibile, alcuni autori richiedono un quadro di riferimento razionale che possa essere adattato alle interazioni tra tutte le forme di capitale (naturale, umano e prodotto dall'uomo), le quali sono connesse tra loro in maniera complessa (Gilman, citato da Khan, 1995).

Naturalmente, il declino delle economie centralmente pianificate ha limitato l'attrazione e la portata di simili approcci, ma è stato anche riconosciuto che il libero mercato non è perfetto e che mercato e pianificazione possono coesistere. Secondo Jacobs (1991), malgrado la retorica di alcuni politici, nei paesi industrializzati non ci sono sistemi di "libero mercato" - e poche persone lo desidererebbero. I mercati sono già soggetti ad ogni sorta di regole e di tasse; e tutte queste norme restringono il campo di azione di produttori e acquirenti influenzando il loro comportamento.