Coltura del castagno a Cave e sui Monti Prenestini

La coltura del castagno ha origini antichissime in diverse zone d’Italia, comprese tra i 300 ed i 600 metri sul livello del mare, in quanto questo frutto ha costituito l’alimento base dello strato più povero di molte popolazioni, nei secoli passati, per il suo alto potere "riempitivo", la sua facilità di conservazione, il basso costo di acquisto, la possibilità di raccolta a costo zero.

L’area del comune di Cave e, più in generale, quella dei Monti Prenestini, rientra a pieno titolo tra quelle che da più secoli hanno dedicato tempo ed energie alla produzione di castagne e marroni e quest’impegno è testimoniato e codificato negli statuti pervenutici.

Il primo e più antico è lo Statuto degli Annibaldi del 1296, tradotto, come i successivi Statuti, da Umberto Mariani, che al capitolo 21° dispone:

".... Su ogni soma di qualsiasi biade, castagne e noci, che sarà estratta da Cave e portata o mandata a vendere, la Curia abbia tre denari…."

Il succitato capitolo 21° diventa capitolo 20° nello Statuto degli Annibaldi del 1307, che amplia l’argomento dedicandogli altri due capitoli, il 94° ed il 96°.

Il capitolo 94° prevede che:

"….chiunque sarà trovato a raccogliere castagne o noci nello in tergo della Curia, di giorno o di notte, paghi alla Curia per pena tre soldi…."

Mentre il capitolo 96° specifica che:

".... Se un porco o un gregge di porci sarà trovato nel grano o nell’orzo da quando gli uomini cominciano a mietere, o nella vigna piena, o nel castagneto dopo che le castagne cominciano a cadere, uno in tutto il gregge possa essere ucciso dalla guardia e non da altri….. dopo la raccolta fatta completamente delle castagne, il padrone dei porci non sia tenuto minimamente a pena."

Gli statuti degli Annibaldi salvaguardavano i frutti del castagno, mentre lo Statuto dei Colonna del XVI secolo — Libro V, pur rifacendosi a pieno a quelli che lo hanno preceduto, si preoccupa di dettare sanzioni anche per coloro che spaccano la legna di castagno:

[6]…., che a nessuno sia lecito tagliar legna di castagni verdi nell’intergo della Corte…. senza licenza d’essa Corte [c27r] alla pena di soldi quaranta….

[7]…., se taglierà dal tronco un albero di………..castagno…………Paghi chi taglia soldi venti; e se taglierà i rami, paghi per ogni ramo soldi tre, dei castagni…………E sono grandi e producono frutti………dei castagni ..….non grandi e che non producono frutti………….Paghi chi taglia soldi due…………

[8]…., eccetto che per le castagne, di cui ognuno ivi medesimo possa mangiare, e trasportare con sé due pugnetti; e a nessuno sia lecito andare a raccogliere le castagne di Garizano……..[c28r]………., senza licenza dei Contestabili alla pena di soldi cinque………

[9]…., che a nessuno sia lecito andare a ruspare e raccogliere castagne……..fin quando non siano state totalmente raccolte e gramolate (5) dai padroni………alla pena di soldi dieci.

[10]…., e in castagne noci e ghiande da quando cominciano a cadere,……….solo un porco in tutto il gregge possa essere ucciso o segnato dal custode o dal signore,…………cosicché metà del porco ucciso o segnato si dia al signore del porco, l’altra metà sia della Corte e di chi uccide e segna, per uguale porzione………..

I tre statuti considerati, regolano le sanzioni da applicare per tutelare i proprietari di castagne, mostrando così l’importanza ditale coltura nell’economia del luogo. Lo Statuto dei Colonna, più "giovane" di oltre due secoli rispetto a quelli degli Annibaldi, è molto particolareggiato e, non solo distingue e sancisce differentemente l’appropriazione dei frutti, ma specifica minuziosamente come punire chi si appropria il legno, distinguendo nuovamente fra l’albero, i rami giovani che non danno frutti e quelli adulti che ne danno.

Questa descrizione capillare di tutte le possibili situazioni, è tesa a tutelare il proprietario del fondo che di quei frutti vive, e fa vivere, perché la cura e la raccolta del prodotto produce reddito, non solo per chi ne è possessore, ma anche per la manodopera coinvolta e per coloro che, finita la raccolta, possono entrare nel castagneto a "ruspare e raccogliere castagne", senza incorrere in alcuna sanzione, oppure raccolgono la legna secca di castagno.

Quanto detto finora dimostra che la castanicoltura sui Monti Prenestini è una realtà antica che, oggi, a distanza di secoli, e tra alti e bassi, ha ancora un ruolo importante nell’economia della zona e buone possibilità future di sviluppo, purché si dedicano la cura attenta e consapevole che questo patrimonio arboreo richiede.

Sembra che solo ora si stia superando quanto accaduto dal dopoguerra in poi quando, in altre parole, si è verificato un incontrollato abbattimento negli anni ‘50 e ‘60 di vetusti giganti per ricavarne legno che permetteva di realizzare anche ingenti capitali, che l’agricoltura, limitata nei guadagni, notoriamente non riusciva ad accumulare e quando si è, per di più, abbandonata la cura del castagneto, non eseguendo le potature, senza nuove piantagioni di rimpiazzo, omettendo la pulizia del sottobosco, la regimentazione delle acque e le pratiche di difesa antiparassitaria e di fertilizzazione per la bassa remunerazione della mano d’opera..

I risultati di questa deintensificazione, paradossalmente, presentano oggi un seguito corretto perché la castanicoltura prenestina è diventata, inconsapevolmente, una coltura ecocompatibile (si potrebbe perfino etichettare "organica", dove gli interventi "innaturali", o con prodotti di sintesi, sono sconosciuti). Ciò non di meno, i raccolti non hanno più soddisfatto le attese degli operatori, anche perché il ritorno ad uno stadio precedente l’agricoltura, quello in altre parole della sola raccolta dei frutti, ha comportato un graduale degrado delle piante, sia nella struttura della chioma, affetta da malattie fungine e da altri attacchi parassitari, sia nei confronti della produzione, infestata da vari insetti.

Tale degrado, sia qualitativo sia quantitativo, privo i produttori del giusto ritorno economico per il loro patrimonio ed impedisce, nel frattempo, di soddisfare una domanda di castagne sempre più interessante, che è disponibile a remunerare bene la produzione di qualità soprattutto sotto il profilo ecocompatibile, se resa accessibile al consumatore, sia come frutti, che come derivati, sotto adeguate garanzie di marchio e di certificazione.

Il degrado dei castagneti è un problema che è stato affrontato ed analizzato da coloro che, basandosi su programmi comunitari di sostegno alla produzione e sviluppo rurale, hanno redatto un Piano d’Azione Locale (PAL) gestito da un Gruppo d’Azione Locale (GAL), costituito dalle Amministrazioni Comunali delle 15 cittadine del comprensorio prenestino e da altri enti di diritto pubblico e privato.

Il settore agricolo del PAL, con iniziative a favore della vite - viticoltura locale (cesanese) e della castanicoltura da frutto (castagne e marroni) è stato adeguatamente considerato tra le molteplici iniziative previste per l’ulteriore sviluppo di quest’area. Sono, infatti, previste la realizzazione d’infrastrutture; il cofinanziamento di programmi promozionali per le produzioni tipiche ed i relativi studi di mercato; la formazione del personale; i piani turistici; il restauro di vecchi edifici, ecc.

Per la castanicoltura possono essere sostenute ed incentivate iniziative volte alla valorizzazione di almeno 40 ettari di castagneti a titolo dimostrativo, con interventi sulle piante, finanziati con fondi pubblici (regionali e comunitari) all’80% e per il 20% con fondi di provenienza comunale per quelle amministrazioni interessate a questo progetto.

Ad un consorzio intercomunale, che ha come "capofila" l’amministrazione cavese, compete l’onere di gestione dei fondi sopra citati. L’amministrazione capofila si fa carico di seguire le operazioni progettate, attraverso un comitato direttivo, un progettista ed un direttore dei lavori e con l’apporto indispensabile dei proprietari dei 40 ettari sotto intervento, ripartiti tra i comuni coinvolti.

La valorizzazione dei castagneti avviene attraverso interventi di potatura sanitaria e di produzione; con il monitoraggio delle malattie fungine, virali e delle infestazioni da insetti, con la prevenzione e repressione delle stesse; con l’individuazione di varietà e piante madri da cui rilevare semi e tessuti da donare per rifornire i vivai di materiale autoctono di provata qualità e con la realizzazione, o ripristino, delle strade d’accesso, di passaggi carrabili nelle fustaie a gradoni per ampliare le superfici a raccolta meccanizzata e, più generalmente, per il trasporto del prodotto al mercato.

Le operazioni sopra descritte richiedono la coltivazione dei castagneti nel significato più stretto del termine, e comportano un incremento del livello d’occupazione. L’introduzione di tecnologie avanzate anche per la potatura ed i trattamenti, da sempre considerate attività tradizionali, comportano una riqualificazione della manodopera, per l’aggiornamento sull’impiego dei presidi sanitari e degli strumenti meccanici, facendo particolare attenzione ai dettati della normativa antinfortunistica vigente (L.626/93 e successive modificazioni).

Un miglioramento, dovuto all’affinamento dei pregi della produzione, si realizza con l’individuazione e la diffusione del prodotto dei castagneti prenestini di maggior pregio (porta-innesto, nuove piante da mettere a dimora), che attualmente è non sempre riconoscibile ed individuabile, perché si presenta con pezzature non omogenee ed è mescolato a prodotto scadente.

Il materiale genetico selezionato ed affidato ai vivai, che garantiscono una più ampia diffusione, deve necessariamente

essere tutelato da marchi d’origine, comprovabile con adeguate indagini sui DNA (corredo genetico), per differenziano, sia da quello delle diverse località della nostra regione, che altrove.

Gli interventi che s’intendono eseguire sui castagneti attraverso un’azione pilota, anche se su una porzione notevole dell’intera superficie (40 ettari su 200 stimati), servono a mostrare i vantaggi che da tali interventi derivano e sono destinati alla diffusione successiva all’intera area castanicola prenestina.

La progettazione prevista nel programma Lea Coltura del castagno

Coltura del castagno a Cave e sui Monti Prenestini

La coltura del castagno ha origini antichissime in diverse zone d’Italia, comprese tra i 300 ed i 600 metri sul livello del mare, in quanto questo frutto ha costituito l’alimento base dello strato più povero di molte popolazioni, nei secoli passati, per il suo alto potere "riempitivo", la sua facilità di conservazione, il basso costo di acquisto, la possibilità di raccolta a costo zero.

L’area del comune di Cave e, più in generale, quella dei Monti Prenestini, rientra a pieno titolo tra quelle che da più secoli hanno dedicato tempo ed energie alla produzione di castagne e marroni e quest’impegno è testimoniato e codificato negli statuti pervenutici.

Il primo e più antico è lo Statuto degli Annibaldi del 1296, tradotto, come i successivi Statuti, da Umberto Mariani, che al capitolo 21° dispone:

".... Su ogni soma di qualsiasi biade, castagne e noci, che sarà estratta da Cave e portata o mandata a vendere, la Curia abbia tre denari…."

Il succitato capitolo 21° diventa capitolo 20° nello Statuto degli Annibaldi del 1307, che amplia l’argomento dedicandogli altri due capitoli, il 94° ed il 96°.

Il capitolo 94° prevede che:

"….chiunque sarà trovato a raccogliere castagne o noci nello in tergo della Curia, di giorno o di notte, paghi alla Curia per pena tre soldi…."

Mentre il capitolo 96° specifica che:

".... Se un porco o un gregge di porci sarà trovato nel grano o nell’orzo da quando gli uomini cominciano a mietere, o nella vigna piena, o nel castagneto dopo che le castagne cominciano a cadere, uno in tutto il gregge possa essere ucciso dalla guardia e non da altri….. dopo la raccolta fatta completamente delle castagne, il padrone dei porci non sia tenuto minimamente a pena."

Gli statuti degli Annibaldi salvaguardavano i frutti del castagno, mentre lo Statuto dei Colonna del XVI secolo — Libro V, pur rifacendosi a pieno a quelli che lo hanno preceduto, si preoccupa di dettare sanzioni anche per coloro che spaccano la legna di castagno:

[6]…., che a nessuno sia lecito tagliar legna di castagni verdi nell’intergo della Corte…. senza licenza d’essa Corte [c27r] alla pena di soldi quaranta….

[7]…., se taglierà dal tronco un albero di………..castagno…………Paghi chi taglia soldi venti; e se taglierà i rami, paghi per ogni ramo soldi tre, dei castagni…………E sono grandi e producono frutti………dei castagni ..….non grandi e che non producono frutti………….Paghi chi taglia soldi due…………

[8]…., eccetto che per le castagne, di cui ognuno ivi medesimo possa mangiare, e trasportare con sé due pugnetti; e a nessuno sia lecito andare a raccogliere le castagne di Garizano……..[c28r]………., senza licenza dei Contestabili alla pena di soldi cinque………

[9]…., che a nessuno sia lecito andare a ruspare e raccogliere castagne……..fin quando non siano state totalmente raccolte e gramolate (5) dai padroni………alla pena di soldi dieci.

[10]…., e in castagne noci e ghiande da quando cominciano a cadere,……….solo un porco in tutto il gregge possa essere ucciso o segnato dal custode o dal signore,…………cosicché metà del porco ucciso o segnato si dia al signore del porco, l’altra metà sia della Corte e di chi uccide e segna, per uguale porzione………..

I tre statuti considerati, regolano le sanzioni da applicare per tutelare i proprietari di castagne, mostrando così l’importanza ditale coltura nell’economia del luogo. Lo Statuto dei Colonna, più "giovane" di oltre due secoli rispetto a quelli degli Annibaldi, è molto particolareggiato e, non solo distingue e sancisce differentemente l’appropriazione dei frutti, ma specifica minuziosamente come punire chi si appropria il legno, distinguendo nuovamente fra l’albero, i rami giovani che non danno frutti e quelli adulti che ne danno.

Questa descrizione capillare di tutte le possibili situazioni, è tesa a tutelare il proprietario del fondo che di quei frutti vive, e fa vivere, perché la cura e la raccolta del prodotto produce reddito, non solo per chi ne è possessore, ma anche per la manodopera coinvolta e per coloro che, finita la raccolta, possono entrare nel castagneto a "ruspare e raccogliere castagne", senza incorrere in alcuna sanzione, oppure raccolgono la legna secca di castagno.

Quanto detto finora dimostra che la castanicoltura sui Monti Prenestini è una realtà antica che, oggi, a distanza di secoli, e tra alti e bassi, ha ancora un ruolo importante nell’economia della zona e buone possibilità future di sviluppo, purché si dedicano la cura attenta e consapevole che questo patrimonio arboreo richiede.

Sembra che solo ora si stia superando quanto accaduto dal dopoguerra in poi quando, in altre parole, si è verificato un incontrollato abbattimento negli anni ‘50 e ‘60 di vetusti giganti per ricavarne legno che permetteva di realizzare anche ingenti capitali, che l’agricoltura, limitata nei guadagni, notoriamente non riusciva ad accumulare e quando si è, per di più, abbandonata la cura del castagneto, non eseguendo le potature, senza nuove piantagioni di rimpiazzo, omettendo la pulizia del sottobosco, la regimentazione delle acque e le pratiche di difesa antiparassitaria e di fertilizzazione per la bassa remunerazione della mano d’opera..

I risultati di questa deintensificazione, paradossalmente, presentano oggi un seguito corretto perché la castanicoltura prenestina è diventata, inconsapevolmente, una coltura ecocompatibile (si potrebbe perfino etichettare "organica", dove gli interventi "innaturali", o con prodotti di sintesi, sono sconosciuti). Ciò non di meno, i raccolti non hanno più soddisfatto le attese degli operatori, anche perché il ritorno ad uno stadio precedente l’agricoltura, quello in altre parole della sola raccolta dei frutti, ha comportato un graduale degrado delle piante, sia nella struttura della chioma, affetta da malattie fungine e da altri attacchi parassitari, sia nei confronti della produzione, infestata da vari insetti.

Tale degrado, sia qualitativo sia quantitativo, privo i produttori del giusto ritorno economico per il loro patrimonio ed impedisce, nel frattempo, di soddisfare una domanda di castagne sempre più interessante, che è disponibile a remunerare bene la produzione di qualità soprattutto sotto il profilo ecocompatibile, se resa accessibile al consumatore, sia come frutti, che come derivati, sotto adeguate garanzie di marchio e di certificazione.

Il degrado dei castagneti è un problema che è stato affrontato ed analizzato da coloro che, basandosi su programmi comunitari di sostegno alla produzione e sviluppo rurale, hanno redatto un Piano d’Azione Locale (PAL) gestito da un Gruppo d’Azione Locale (GAL), costituito dalle Amministrazioni Comunali delle 15 cittadine del comprensorio prenestino e da altri enti di diritto pubblico e privato.

Il settore agricolo del PAL, con iniziative a favore della vite - viticoltura locale (cesanese) e della castanicoltura da frutto (castagne e marroni) è stato adeguatamente considerato tra le molteplici iniziative previste per l’ulteriore sviluppo di quest’area. Sono, infatti, previste la realizzazione d’infrastrutture; il cofinanziamento di programmi promozionali per le produzioni tipiche ed i relativi studi di mercato; la formazione del personale; i piani turistici; il restauro di vecchi edifici, ecc.

Per la castanicoltura possono essere sostenute ed incentivate iniziative volte alla valorizzazione di almeno 40 ettari di castagneti a titolo dimostrativo, con interventi sulle piante, finanziati con fondi pubblici (regionali e comunitari) all’80% e per il 20% con fondi di provenienza comunale per quelle amministrazioni interessate a questo progetto.

Ad un consorzio intercomunale, che ha come "capofila" l’amministrazione cavese, compete l’onere di gestione dei fondi sopra citati. L’amministrazione capofila si fa carico di seguire le operazioni progettate, attraverso un comitato direttivo, un progettista ed un direttore dei lavori e con l’apporto indispensabile dei proprietari dei 40 ettari sotto intervento, ripartiti tra i comuni coinvolti.

La valorizzazione dei castagneti avviene attraverso interventi di potatura sanitaria e di produzione; con il monitoraggio delle malattie fungine, virali e delle infestazioni da insetti, con la prevenzione e repressione delle stesse; con l’individuazione di varietà e piante madri da cui rilevare semi e tessuti da donare per rifornire i vivai di materiale autoctono di provata qualità e con la realizzazione, o ripristino, delle strade d’accesso, di passaggi carrabili nelle fustaie a gradoni per ampliare le superfici a raccolta meccanizzata e, più generalmente, per il trasporto del prodotto al mercato.

Le operazioni sopra descritte richiedono la coltivazione dei castagneti nel significato più stretto del termine, e comportano un incremento del livello d’occupazione. L’introduzione di tecnologie avanzate anche per la potatura ed i trattamenti, da sempre considerate attività tradizionali, comportano una riqualificazione della manodopera, per l’aggiornamento sull’impiego dei presidi sanitari e degli strumenti meccanici, facendo particolare attenzione ai dettati della normativa antinfortunistica vigente (L.626/93 e successive modificazioni).

Un miglioramento, dovuto all’affinamento dei pregi della produzione, si realizza con l’individuazione e la diffusione del prodotto dei castagneti prenestini di maggior pregio (porta-innesto, nuove piante da mettere a dimora), che attualmente è non sempre riconoscibile ed individuabile, perché si presenta con pezzature non omogenee ed è mescolato a prodotto scadente.

Il materiale genetico selezionato ed affidato ai vivai, che garantiscono una più ampia diffusione, deve necessariamente

essere tutelato da marchi d’origine, comprovabile con adeguate indagini sui DNA (corredo genetico), per differenziano, sia da quello delle diverse località della nostra regione, che altrove.

Gli interventi che s’intendono eseguire sui castagneti attraverso un’azione pilota, anche se su una porzione notevole dell’intera superficie (40 ettari su 200 stimati), servono a mostrare i vantaggi che da tali interventi derivano e sono destinati alla diffusione successiva all’intera area castanicola prenestina.

La progettazione prevista nel programma Leader per ciò che riguarda gli interventi sui castagneti è ormai completata, mentre alcune azioni a favore della produzione (marroni e castagne) sono in fase di definizione.

L’organizzazione della commercializzazione dei frutti e la promozione del loro consumo porta vantaggi diretti ed immediati ai commercianti ed ai produttori ed è per ciò che nel PAL si richiede loro di contribuire con il 60% alle iniziative da intraprendere, una quota non indifferente, ma sopportabile, se le iniziative di commercializzazione e promozione sono efficienti ed efficaci. Vi sono diverse forme organizzative che possono consentire questi sviluppi e, tra queste, la più tradizionale è quella cooperativa tra produttori, già in corso.