Iridologia

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IRIDOLOGIA

LA SALUTE SI LEGGE NEGLI OCCHI

L'iridologia, oltre ad avere una lunga tradizione (si fa menzione della presenza di macchie nell'occhio, quale difetto organico, già nel vecchio testamento), sta assumendo sempre con maggiore chiarezza il ruolo di un metodo scientifico di indagine diagnostica.  Ciò grazie a studi attuati dalle maggiori scuole di iridologia, la francese, la tedesca e la nord-americana, fondati sul costante confronto con l'accertamento clinico attuato in parallelo alla diagnosi iridologica. Nel libro di A. Maubach "diagnostica oculare quale diagnostica costituzionale, precoce e differenziale" vengono messi  a confronto la fotografia dell'iride, la radiografia,o il referto operatorio,  avvalorando la fondatezza della diagnosi iridologica. La concordanza con l'accertamento clinico attuato in parallelo, garantisce quindi l'attendibilità di questa scienza in continua evoluzione.

L'analisi dell'iride, effettuata con l'iridoscopio,  permette di stabilire le predisposizioni di alcune parti dell'organismo ad ammalarsi. Alcuni segni caratteristici dell'iride, ma anche della pupilla e della sclera, indicano le debolezze congenite o acquisite che possono poi sfociare in disturbi o malattie. E' un esame indubbiamente utile in quanto consente d'intervenire a livello preventivo.

In particolare l'analisi iridologica permette di valutare il quoziente energetico, la capacità reattiva, l'entità del sovraccarico tossinico, la capacità di eliminazione dei residui metabolici, l'equilibrio psico-neuro-endocrino, lo stato di sofferenza di un organo.

L'iridologia  tuttavia deve essere considerata come metodo di valutazione del "terreno" e non come metodo diagnostico in senso convenzionale in quanto nella pratica clinica non sempre l'esame rivela il segno correlato alla patologia in atto.

Il trasferimento del messaggio dalle varie parti del corpo alla struttura iridea:

Questo fenomeno può essere spiegato sia con la teoria embriologica, sia con quella evoluzionistica.

Teoria embriologica

I tessuti dell'iride provengono, per la maggior parte, dagli strati ectodermico (collegamento nervoso diretto) e mesodermico (strutture vascolari e di sostegno). L'iride umana, quindi, deriva dal foglietto embrionale che ha formato anche le strutture nervose centrali del cervello medio, come il talamo ottico, con il quale conserva importanti collegamenti nervosi e che è il centro di coordinamento della sensibilità.  Dal punto di vista embriologico, dunque, questa relazione tra l'iride e il resto del corpo è possibile attraverso il talamo che è "la porta delle nostre sensazioni coscienti" in quanto le sensazioni che arrivano a questo centro cerebrale non sono ancora coscienti, ma a partire  da esso lo diventano. Peraltro, sviluppandosi gli occhi dei vertebrati dall'abbozzo embrionale del cervello, sono detti occhi cerebrali.

 Per quanto riguarda l'innervazione dell'iride, essa riceve i suoi fascicoli nervosi principalmente dai nervi trigemino, oculomotore e simpatico, che hanno origine nel cosiddetto plesso ciliare. Un altro tipo di innervazione è quello proveniente dal sistema nervoso vegetativo, il quale può essere di tipo simpatico e parasimpatico, anche se ogni polarità utilizza nervi e nuclei nervosi distinti. La via simpatica mette l'iride in contatto con la sostanza reticolare e con la corteccia cerebrale attraverso il nucleo di Edinger-Westphal; la via parasimpatica presenta degli interessanti collegamenti con il tronco cerebrale attraverso i nuclei di Karpus, il ganglio di Budge e ancora una volta il nucleo di Edinger-Westphal. I collegamenti del sistema nervoso vegetativo dell'iride dimostrano l'esistenza di una specie di archi riflessi i quali ne controllano il movimento e la mettono in contatto con i centri superiori del cervello, per poi tornare all'iride.

Teoria evoluzionistica

Il nervo ottico contiene in massima parte, fibre nervose che partono dalla retina e conducono all'encefalo gli eccitamenti sensoriali della visione e, in numero infinitamente minore, fibre non differenziabili morfologicamente che recano all'occhio impulsi riflessi dai centri cefalici. Esso non è un nervo vero e proprio, omologabile agli altri nervi cranici, ma rappresenta, come dimostrano la sua struttura e la sua origine, un tratto di sostanza bianca encefalica, e deriva dal peduncolo che riunisce nell'embrione il calice ottico alle vescicole del telencefalo.

Le cellule fotorecettrici situate nella retina, trasferiscono i loro impulsi a una serie di cellule interconnesse che a loro volta passano le informazioni alle cellule del nervo ottico, che le trasporta al cervello.

Se un architetto intelligente disponesse dei materiali di cui sono fatti questi collegamenti, sceglierebbe ovviamente l'orientamento in grado di produrre i massimi livelli di qualità visiva. Nessuno, per esempio, si sognerebbe di sistemare le connessioni nervose davanti ai fotorecettori, impedendo in tal modo alla luce di raggiungerli, invece che dietro la retina. Incredibilmente la retina dell'occhio umano è conformata proprio in questo modo.

La qualità della visione risulta degradata perchè la luce si disperde attraversando numerosi strati di interconnessioni cellulari prima di colpire la retina. E' vero che questa dispersione è resa minima dalla quasi totale trasparenza delle cellule nervose, ma non potrà mai essere eliminata del tutto per colpa di un fondamentale errore strutturale. Inoltre, l'effetto dispersivo risulta moltiplicato dalla presenza di una rete di capillari necessari per irrorare di sangue i neuroni, posta anch'essa subito di fronte allo strato fotosensibile. Un difetto più grave deriva dalla necessità di fare attraverso la parete della retina dei collegamenti che devono trasportare all'encefalo gli impulsi nervosi generati dalle cellule fotorecettrici. Il risultato di questo "buco" è il cosiddetto punto cieco nella retina, la zona, cioè, in cui migliaia di cellule nervose si fanno spazio spingendo lateralmente le cellule sensoriali. In ogni retina umana si trova un punto cieco di circa un millimetro di diametro, che non esisterebbe se l'occhio fosse stato "disegnato" con tutti i collegamenti sistemati dietro i fotorecettori.

Molti organismi hanno occhi in cu i collegamenti nervosi sono disposti dietro allo strato fotorecettore. Seppia e polpo, per esempio, hanno un apparato retina-cristallino molto simile al nostro, ma i loro occhi sono cablati nel modo giusto, senza nessuna cellula nervosa messa lì a disperdere la luce destinata ai fotorecettori, e senza zone cieche.

L'evoluzione che agisce attraverso ripetute modifiche di strutture preesistenti, ha in serbo una spiegazione molto semplice della natura "invertita" dell'occhio umano.

La retina dei vertebrati si è evoluta per modificazione delle strato esterno del cervello. Col tempo l'evoluzione ha trasformato questa parte del cervello in funzione della sensibilità alla luce. Anche se questo strato di cellule fotosensibili ha finito per assumere un aspetto retinico, ha però conservato l'orientamento originale, compresa la serie di collegamenti nervosi disposti lungo la sua superficie. L'occhio dei molluschi, al contrario, risulta cablato in maniera ottimale perchè non si è evoluto a partire dai neuroni del cervello, con i loro collegamenti superficiali, ma dalle cellule della cute che conservano l'originale orientamento (i contatti si trovano sotto la superficie della cellula).

 

Dato certo, è che l'occhio si è evoluto per modificazione dello strato esterno del cervello, sia per la teoria embriologica e sia per la teoria evoluzionistica, permettendo così il trasferimento del messaggio dalle varie parti del corpo alla struttura iridea.

 
 

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