Forza ONU !

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Forza ONU !
di D. Cipriani

Intervista al prof. Antonio Papisca, direttore del Centro di Studi e di Formazione sui Diritti della Persona e dei Popoli dell’Università di Padova.

Partiamo dalla questione degli scontri tra i dimostranti e le Forze dell'Ordine a Genova: quanto è stata limitata la libertà di manifestazione?

Ci sono in gioco dei diritti fondamentali, quale quello della libertà di pensiero, di espressione del pensiero, della libertà di riunione… Insomma, a Genova sono stati in gioco i fondamentali principi democratici. Ovviamente, la condizione è che questi diritti vengano esercitati senza nuocere ai diritti altrui, devono cioè essere esercitati in forma pacifica, nonviolenta. Al riguardo, è molto interessante la Dichiarazione delle Nazioni Unite del dicembre 1998 sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di promuovere, proteggere i diritti umani universalmente riconosciuti. Tra i 20 articoli di questa Dichiarazione, detta dei difensori dei diritti umani (human rights defenders), c'è l'art. 12 che recita: "Tutti hanno il diritto, individualmente e in associazione con altri, di partecipare in attività pacifiche contro le violazioni umane e le libertà fondamentali". Ci sono poi altri articoli in cui si parla della libertà di riunirsi e manifestare dentro il proprio Paese e al di fuori. È una sorta di carta di legittimazione per agire in difesa dei diritti umani. Ora, a Genova chi ha usato violenza si è posto al di fuori della sfera della legittimità e quindi non può invocare questo documento, ma credo che la stragrande maggioranza dei manifestanti abbia voluto esercitare quei diritti, mentre le cosiddette Forze dell'Ordine sono andate al di là di quello che è loro consentito per l'uso della coercizione fisica, della forza.

Anche per l'uso della forza da parte delle istituzioni esistono patti internazionali?

Si può far riferimento a due convenzioni specifiche. La prima è la Convenzione internazionale contro la tortura e altri atti disumani, crudeli e degradanti, la seconda è la speculare, ma molto più incisiva, Convenzione europea contro la tortura. Quest'ultimo documento prevede addirittura un Comitato sovranazionale al quale devono rendere conto gli Stati per obbligo giuridico e che può fare anche delle visite, dei blitz per così dire, all'interno di luoghi di detenzione, nei posti di polizia, ecc.. Mi pare che a Genova, almeno a quanto si desume dalle denunce, si possano configurare violazioni precise di queste norme internazionali.

Un cittadino, o un gruppo di cittadini, che ritenesse di aver visto violati questi diritti, che cosa può concretamente fare, al di là dei procedimenti della magistratura?

Può presentare degli esposti sia al Comitato europeo che presiede all'applicazione della Convenzione contro la tortura sia al Comitato internazionale (cioè delle Nazioni Unite) che presiede alla Convenzione internazionale contro la tortura. Può anche inviare un esposto alla Commissione Diritti Umani delle Nazioni Unite e al Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani, civili e politici. Chiaramente si tratta di strade che non hanno il carattere della giurisdizione in senso stretto, però a volte possono avere una maggiore efficacia, soprattutto dal punto di vista politico, della visibilità e della pubblicità.

A Genova comunque l'Italia ha fatto una pessima figura sul piano del rispetto dei diritti.

Sicuramente l'immagine del Paese ne esce appannata, ma l'Italia non se lo merita, anche perché abbiamo una società civile esemplare a livello internazionale. Ad esempio, il nostro volontariato, le Ong e le iniziative degli Enti Locali in tema di pace e solidarietà internazionale sono veramente esemplari sotto il profilo della promozione dei diritti umani. Da Genova deriva un danno per tutti, il che esige che si accertino le responsabilità dei violenti, che vanno perseguiti rigorosamente secondo legge, ma anche i comportamenti di quelle parti delle Forze dell'Ordine che avrebbero violato precise norme di legge. Le associazioni e tutte quelle strutture che chiamiamo di promozione umana sono danneggiate nella loro immagine ed è perciò che un po' tutti ci sentiamo parte civile.

Nello scorso numero di Mosaico, mons. Bettazzi ha criticato, come molti, la legittimità di questo club esclusivo che si è riunito a Genova, un club di soli ricchi che sono sì democraticamente eletti nei propri Paesi ma che sono un po' sordi quando si tratta della democrazia di tutto il resto del pianeta. La presenza di Kofi Annan a Genova non rischia di legittimare una realtà che invece non lo è dal punto di vista delle istituzioni internazionali?

In quanto capi di Stato e di Governo, i membri del G8 sono legittimati a incontrarsi come e quando vogliono. Il problema della legittimazione nasce in virtù di un rapporto di scala. Questi "grandi", cioè, si interessano collegialmente a problemi che investono la comunità mondiale, l'umanità tutta, ma per queste istanze esistono appositi organismi internazionali che sono in corretto rapporto di scala con l'ordine di grandezza di questi problemi e che sono pienamente legittimati a farsene carico. Mi riferisco ovviamente a tutto il sistema delle Nazioni Unite e ad altre istituzioni internazionali che sono state create proprio per perseguire gli obiettivi dello sviluppo umano, della pace e sicurezza internazionale all'interno di un sistema collettivo sovranazionale. In altre parole, quel gruppo ristretto di capi di Stato che formalmente e pubblicamente s'interessa di questi problemi mondiali è uscito dai ranghi e sarebbe meglio che utilizzasse quelle risorse per far funzionare le istituzioni internazionali! Sta a loro rilanciare il ruolo delle Nazioni Unite, alimentando il funzionamento di un sistema collettivo di sicurezza mondiale: insomma possono fare tutto il bene possibile, dando una grossa lezione di democrazia a tutto il mondo. Pertanto, la contestazione anti-G8 (non quella contro la globalizzazione) si rifà a un tema di democrazia internazionale, di efficacia delle organizzazioni internazionali: la domanda della gente comune è "perché non si fa funzionare l'Onu?"

Per lei, dunque, non c'è alcuna speranza di "riforma" del G8 così come era stato promesso da alcuni alla vigilia del summit di Genova?

Io non vedo alcun futuro per il G8 in termini di istituzionalizzazione di questi incontri. Bisogna tornare a lavorare nelle istituzioni internazionali, dove ci sono tutti, grandi e piccoli, ricchi e poveri: questo è il primo passo per una democrazia e giustizia internazionali. Dall'agenda politica istituzionale dei prossimi anni il G8 dovrebbe essere semplicemente cancellato!

Come risponde allora alle accuse di chi dice "chi sta contro il G8 sta contro i poveri"?

Ai poveri si può pensare in termini di elemosina e mi pare che sia proprio questa l'ottica nella quale si muove il G8. Credo invece che ai poveri si debba pensare in un'ottica di giustizia e di democrazia. La sede istituzionale deputata a far ciò è l'Onu e gli altri organismi multilaterali legittimi. In realtà, l'obiettivo di fondo è di assicurare in un futuro ordine mondiale una posizione di predominanza e di egemonia di questo blocco di Paesi che in partenza sono più forti di altri. Inoltre, i diritti umani non riguardano soltanto noi cittadini dei Paesi del G8: tutti gli altri abitanti della terra hanno questo stesso nostro "corredo genetico".

L'impressione generale è che la riforma dell'Onu di cui tanto si è parlato negli anni scorsi si sia arenata.

C'è indubbiamente un calo di tensione a livello di istituzioni governative, ma dentro le formazioni di società civile, in Italia e in tante altre parti del mondo, è sempre molto alta l'attenzione alle Nazioni Unite e al loro futuro. Occorre che la società civile prema sempre di più, nelle forme coerenti con la deontologia del diritti umani e cioè pacificamente, sui governi perché venga ripresa in mano l'agenda Nazioni Unite, che è centrale per la costruzione di un ordine mondiale. È chiaro che se abbiamo in mente una funzione di ancella dell'Onu nei confronti dei paesi più ricchi, vuol dire che pensiamo a un modello di ordine mondiale gerarchico, che non persegue obiettivi di giustizia sociale redistributiva e di sicurezza multidimensionale. Se invece assegniamo alle Nazioni Unite il ruolo che spetta loro, di massimo garante della sicurezza, di sito istituzionale da cui partono gli indirizzi per l'orientamento sociale dell'economia mondiale, allora abbiamo in mente un ordine mondiale pacifico e più giusto.

Quali proposte concrete per una mobilitazione della società civile a favore dell'Onu?

Non dimentichiamo anzitutto l'evento che si è tenuto a New York nel maggio dell'anno scorso, il Millennium Forum, una sorta di primi "stati generali" della società civile globale, che hanno visto la presenza di circa 1400 Ong, su espressa volontà di Kofi Annan. Da lì sono scaturiti dei documenti molto importanti, una Dichiarazione e un Programma d'azione, nei quali ci sono indicazioni molto puntuali sul futuro dell'ordine mondiale, sui compiti delle Nazioni Unite. Una prossima iniziativa importante qui in Italia è la quarta edizione dell'"Assemblea dell' Onu dei Popoli" collegata con la Marcia Perugina - Assisi: con questa iniziativa si vuole riaffermare il tema della riforma democratica dell'Onu e del ruolo importante della società civile, testimoniando di come sia possibile perseguire la via giuridica nonviolenta alla pace. Il dato interessante è che a questa iniziativa partecipano, oltre ad associazioni, gruppi, movimenti, parrocchie, anche centinaia di rappresentanti di Comuni: un mix importante dal punto di vista civile e politico che rende visibile il polo funzionale (o orizzontale) della sussidiarietà, grazie al quale si comincia dal basso a costruire la pace.

Come operare il passaggio dal livello della testimonianza a quello istituzionale, in maniera che anche alla Farnesina o a Palazzo Chigi si discutano questi argomenti?

La cinghia di trasmissione dovrebbe essere il Parlamento, ma anche le Assemblee regionali e i Consigli comunali… Occorre richiamare alle proprie responsabilità tutti i parlamentari. La società civile, da parte sua, ha raggiunto già uno stato di maturazione molto elevato: i risultati dell'Assemblea dei Popoli dell'Onu dal 1995, ad esempio, sono altamente specifici, quanto a proposte e indirizzi strategici, e non hanno nulla da invidiare dal punto di vista tecnico a quello che viene prodotto dalla cancellerie diplomatiche. Un altro passaggio molto importante, e sul quale occorrerà investire, è quello della formazione e dell'educazione sui diritti umani, sulla pace e la solidarietà, a livello scolastico ed extrascolastico. Accanto al ruolo che il Parlamento e la società civile possono e debbono giocare, non bisogna dimenticare il ruolo del nostro Presidente della Repubblica, quale garante della Costituzione e dei diritti umani che in essa sono affermati.

Per concludere, quali sono gli ambiti istituzionali in Italia nei quali il tema dei diritti umani dovrebbe convergere?

L'Italia non ha "istituzioni nazionali per i diritti umani" secondo lo standard ormai in uso in molti paesi che seguono le raccomandazioni delle Nazioni Unite. Mi riferisco a due organi. Il primo è la Commissione nazionale diritti umani, un organo indipendente, con prevalenti funzioni di consulenza e monitoraggio, composta da rappresentanti della società civile, esperti in materia, rappresentanti del mondo culturale, ecc. L'altro organo è il Difensore civico nazionale: in Italia c'è un approccio amministrativistico, in realtà nella modellistica Onu, questa figura è deputata anzitutto al rispetto e alla tutela dei diritti umani. L'Italia non ha ancora istituito dunque queste istituzioni nazionali, mentre ha, da un lato, una miriade di difensori civici e, dall'altro, di assessori con delega alla pace, alla cooperazione internazionale, ai diritti, ecc..

SE CI FOSSE UNA LEGGE…

La conclusione dell'intervista al prof. Papisca merita d'essere raccolta. Presso la Presidenza del Consiglio c'è una Commissione per i diritti umani, organo consultivo ad personam del Presidente del Consiglio. C'è poi il Comitato interministeriale diritti umani presso il Ministero degli Esteri, composto da rappresentanti dei vari ministeri, più tre membri "laici", che sovrintende alla preparazione dei rapporti che l'Italia fa agli organismi internazionali. Ma né l'una né l'altro sono riconoscibili come istituzioni nazionali dei diritti umani secondo il modello applicato negli altri paesi.

Crediamo anzitutto che il Capo dello Stato debba farsi carico di seguire la messa in opera di quelle "istituzioni nazionali dei diritti umani" che l'Italia ancora non ha creato. È ovvio che per far questo ci vorrebbe una legge.

Perché allora non pensare a una legge d'iniziativa popolare per la costituzione delle "istituzioni nazionali dei diritti umani" secondo il modello raccomandato dalle Nazioni Unite? Sarebbe una giusta occasione perché la "società civile", quella che si riconosce e promuove l'Onu dei Popoli, faccia sentire la sua voce. Mosaico di pace ci sta!

Si ringrazia per la disponibilità la redazione di MOSAICO DI PACE, Rivista mensile promossa da PAX CHRISTI.

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