Obiettare all'ombra Sinagoga

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Obiettare all'ombra della Sinagoga
di Matan Kaminer

Obiettori in Israele? È possibile e ce lo spiega un giovane di diciotto anni che ci sta provando.

La società israeliana è capitalistica. Il carattere social-democratico che aveva fino agli anni Settanta si è completamente disintegrato negli ultimi decenni; ora, tra i paesi industrializzati, Israele è secondo solo agli Stati Uniti per la sua ineguaglianza sociale. Inoltre, la società israeliana è razzista, sessista e omofobica. Il legame intrinseco tra questi due preconcetti e il capitalismo si riconnette al militarismo che affligge parimenti la nostra società, ossia al ruolo centrale che l'esercito svolge in Israele.
Mi è stato chiesto di scrivere questo articolo per il peso che ho avuto nella stesura della "Lettera dei Seniors", un gruppo di giovani che non intendono fare ciò che l'esercito ordina loro. Noi rifiutiamo di collaborare all'occupazione dei territori palestinesi. Come spiegherò più avanti, l'occupazione svolge una parte importante nella rete di oppressione in cui noi come israeliani ci sentiamo avvolti. La renitenza è un modo per allargarne le maglie.

Militarismo e classismo

Nella società israeliana l'esercito è una componente fondamentale. Amicizie, relazioni amorose e d'affari si allacciano nell'esercito. L'esercito d'altronde è un'istituzione di classe che s'inserisce perfettamente nella cornice più ampia della società capitalistica. Alla base della piramide militare e sociale ci sono gli arabi israeliani. Essi, per "motivi di sicurezza" non sono obbligati a svolgere il servizio militare e, di conseguenza, sono discriminati nella ricerca della casa e del lavoro.
Nemmeno gli ebrei ultra-ortodossi svolgono il servizio militare. In generale, sono esclusi dalla società per loro stessa scelta e per la paura e il disprezzo che gli altri nutrono nei loro confronti. Naturalmente la loro situazione è migliore di quella degli arabi: essi beneficiano di scappatoie giuridiche che consentono loro di ottenere molti dei benefici negati agli arabi.
Nella gerarchia militar-sociale seguono gli ebrei poveri di ceppo 'orientale' gli ebrei africani di Etiopia e gli arabi drusi (che appartengono ad una setta araba che sfugge all'emarginazione araba). Questi shkhorim (neri) sono ovviamente impiegati nell'avoda shkhora (lavoro nero): pattugliamento delle linee di confine, dove sono responsabili della repressione quotidiana dei civili palestinesi ai posti di blocco; reparti di fanteria e artiglieria; lavori fisicamente spossanti come cucinare e pulire.
I giovani delle classi medio-alte hanno qualche opportunità in più. Possono fare richiesta di entrare nei reparti scelti come i commando navali, l'aeronautica o i General Staff Rangers, lo squadrone della morte; oppure possono entrare nei reparti altamente tecnologici e informatici.
Israele è il solo Paese al mondo in cui le donne sono soggette al servizio militare obbligatorio. Il sistema classista vale anche per le donne, solo che il loro genere le tiene alcuni gradini più giù dei loro colleghi maschi. Le donne-soldato sono per lo più escluse dalle unità di combattimento. Chi proviene da famiglie facoltose può chiedere di entrare in alcune unità di combattimento o nelle unità tecnologiche ed informatiche alla pari degli uomini appartenenti alla loro classe sociale. Ma in linea di massima, le donne sono relegate a compiti d'ufficio e a mansioni noiose e senza interesse come... ripiegare i paracadute.

Dopo la divisa

Quando due israeliani s'incontrano, una delle prime domande che si fanno l'un l'altro è: "Dove hai fatto il militare?" Non c'è niente che riassuma meglio lo status sociale del tuo interlocutore della sua posizione come militare. Se scopri che è stato nel tuo stesso reparto, l'amicizia scatta istantaneamente.
Funziona così. Quei giovani di buona famiglia che sono stati in reparti ad alta tecnologia saranno già in carriera quando saranno stati congedati, anche in mancanza di un diploma universitario. Quanti hanno svolto il servizio militare in un'unità combattente possono contare su una rete di amici e conoscenti che possono aiutarli a trovare un buon lavoro.
Gli ufficiali sono anche in posizione migliore, e più elevato è il loro grado e meglio è. Gli ex-generali che entrano in affari possono aspettarsi cifre a sei zeri sin dall'inizio. Molti capi del personale dell'esercito entrano in politica non appena lasciano la divisa. Degli ultimi cinque primi ministri di Israele, tre (Ehud Barak, Ariel Sharon e Isac Rabin) sono ex-generali; un altro (Benjamin Netanyahu) era ufficiale nelle squadre della morte e un altro ancora, Shimon Peres, è stato per lungo tempo direttore del Dipartimento della Sicurezza e fondatore dell'arsenale nucleare israeliano.
Al contrario, a coloro che nell'esercito sono stati autisti, cuochi o guardie carcerarie non restano che bei ricordi. Per loro non si aprono opportunità di carriera alla fine del servizio. Tutto quel che hanno è un intervallo di tre anni da recuperare in qualunque lavoro siano riusciti a trovare.
Molti israeliani sostengono che l'esercito sia un 'melting pot', un fattore di eguaglianza. È vero che persone di ogni livello s'incontrano durante il servizio militare; in realtà, gli effetti socio-economici del militare sono ben altri: anziché ridurre il divario sociale essi lo acuiscono.
Il capitalismo israeliano possiede pertanto uno strumento che asseconda la sua tendenza a rendere i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. I figli delle élites escono rafforzati dal militare, i poveri ne rimangono schiacciati. Sul piano politico le conseguenze sono altrettanto propizie per il sistema.

Classe e razza: il paradosso politico

Molti progressisti, al loro primo impatto con la politica israeliana, rimangono stupiti da un'apparente contraddizione. In tutto il mondo, le classi operaie sono affiliate ai partiti di sinistra. Invece, in Israele i poveri votano in massa per la destra mentre la classe media preferisce i partiti di sinistra. Questa situazione non è così inspiegabile. Non è questo il luogo per spiegarne tutte le ragioni; mi limiterò alla principale. La politica israeliana è totalmente immersa nella questione del 'governo della sicurezza', ossia del corretto atteggiamento verso i palestinesi e il mondo arabo. Un partito con un forte programma nazionalista è considerato di destra, mentre i politici che invocano i negoziati di pace sono considerati di sinistra. Le questioni di politica sociale non sono ritenute importanti.
Inutile dire che tutto ciò torna utile alla classe dirigente israeliana che può spostare l'attenzione dalla sfera economica verso quella degli affari esteri. Conseguentemente, tutti i governi israeliani a partire dagli anni Settanta, sia di destra che di sinistra, hanno realizzato in maniera aggressiva programmi neo-liberali di privatizzazione tra lo scarso o nullo interesse dell'opinione pubblica.
L'esercito è uno dei migliori strumenti per rendere la classe operaia ebrea insensibile politicamente. I soldati 'grunt' ['grugnito' in inglese, n.d.t.], in genere ebrei 'orientali' di famiglie povere, cercano di risalire la scala sociale attraverso il nazionalismo 'patriottico'. Obbligati a partecipare alla quotidiana oppressione dei palestinesi, essi sviluppano per questi ultimi un odio viscerale. Quindi, la classe operaia israeliana è fortemente divisa sulle scelte nazionali, ma l'ideologia di destra ha la meglio.
Sul versante opposto, i ricchi ebrei della classe media (per lo più di discendenza europea) si atteggiano in genere in maniera molto più moderata nei confronti dei palestinesi. Essi costituiscono il grosso del movimento pacifista e dei partiti di sinistra, che non lo sono poi realmente. Tale classe, compresa l'intellighenzia israeliana, è sempre stata rappresentata nell'élite militare ed è da essa che sono sorti i primi segni di resistenza.

Esercito e occupazione

La distinzione tra renitenti all'arruolamento e all'occupazione (vedi i box di queste pagine n.d.e.) è un punto critico della nostra percezione della renitenza. Fino a poco tempo fa, quasi tutti i sarbanim erano dell'ultimo tipo. Una persona che accetta di essere arruolata ma rifiuta di entrare nei Territori riconosce in un certo senso la legittimità della coscrizione. Infatti, essa dice che un regime democratico ha il diritto di esercitare una coercizione sui cittadini anche se tale diritto non è illimitato e finisce laddove siano violati i principi giuridici e morali, come nei Territori occupati.
Il rifiuto dell'arruolamento può essere discusso sotto diversi punti di vista. Un anarchico o un pacifista metterà in questione la legittimità dell'esercito come strumento di repressione e uccisione. Ma perfino chi ragioni in maniera più convenzionale punterà il dito sull'arbitrarietà del rifiuto dell'occupazione. È da ingenui pensare che un soldato che svolge un'attività di intelligence sui palestinesi o cucina per i soldati che stanno per compiere un assassinio non serva la causa dell'occupazione solo perché la sua base si trova sul suolo israeliano anziché nei Territori palestinesi.

Il raccolto di quest'anno

L'attuale ondata di renitenti è del tutto differente da quella degli anni Ottanta. La maggioranza di quelli condannati al carcere durante le ondate precedenti era costituita da soldati riservisti chiamati a svolgere un servizio di alcune settimane nei Territori occupati in Libano. Si trattava di adulti tra i venti e i quarant'anni che avevano completato regolarmente il servizio militare per un periodo di tre anni ed avevano 'aperto gli occhi' all'università o sperimentando il mondo. Perciò rifiutavano di servire ciecamente.
L'attuale ondata è del tutto differente e con essa si è persa l'omogeneità del sarbanut. Alcuni dei nuovi sarbanim, come Dan Tamir, ufficiale dei paracadutisti, corrispondono alla descrizione del classico renitente. Una parte sostanziosa, se non la maggioranza, dei sarbanim incarcerati si trova ancora nel periodo regolare della leva. Alcuni di loro hanno seguito l'esempio del pioniere dell'ondata attuale, Lothan Raz, e hanno rifiutato l'arruolamento stesso.
Anche tra quelli che si trovano già nell'esercito ce ne sono alcuni che vogliono uscirne. Tra quelli che si oppongono alla loro partecipazione all'occupazione, alcuni trovano nuovi modi per farlo. Avia Ettiya, la prima donna renitente incarcerata, è una soldatessa insegnante che lavora con i bambini. È stata recentemente incarcerata per aver rifiutato di insegnare ai bambini negli insediamenti come proteggersi dai bombardamenti.

Globalizzazione e società israeliana

Il cambiamento nel profilo del renitente medio è dovuto ai significativi processi che la società israeliana ha affrontato negli ultimi anni. Guardiamo più da vicino, nel bene e nel male, gli effetti della globalizzazione su Israele e sulla renitenza alla leva.
Fino all'inizio della prima Intifada, Israele era una società ideologicamente omogenea. Della popolazione ebrea solo una piccola minoranza non si considerava sionista. Il partito comunista, la principale forza non sionista, si autodefiniva patriottico e non metteva in discussione la necessità del servizio militare.
La renitenza è nata proprio dall'interno del sistema, verso cui rappresentava una minaccia. I sarbanim, provenienti da buone famiglie, intendevano obbedire agli ordini fino a che questi non diventassero moralmente ripugnanti ed erano disposti ad andare in carcere a causa della loro 'offesa'.
Negli ultimi dieci anni, la globalizzazione (e il post-modernismo, suo gemello ideologico) ha colpito il vigore di Israele. Dal punto di vista geopolitico, i suoi effetti sono stati il riconoscimento dell'OLP e il processo di pace. In politica interna i grandi partiti d'ideologia tradizionale si sono eclissati e hanno lasciato il posto a partiti di settore che rappresentano gruppi etnici e religiosi. Dal punto di vista culturale, Israele ha perso la sua autonomia ed è diventata dipendente dalla cultura consumistica all'americana. Gli effetti ideologici di tali cambiamenti sono stati profondi. Il sionismo, seppure non rimpiazzato da altre ideologie, ha semplicemente perso la sua presa morale, in special modo tra la gioventù ebrea non religiosa. La popolarità dello Stato come oggetto per cui val la pena di sacrificarsi ha subìto un forte declino.
Tutti questi cambiamenti hanno determinato una trasformazione nel movimento per la renitenza. L'organizzazione che unisce molti dei sarbanim della prima ondata, Yesh Gvul (C'è un limite/confine) ha usato una retorica filosofica e giuridica per legittimare il rifiuto dell'occupazione. Ciò non è abbastanza per molti dei nuovi renitenti, che si oppongono all'esercito come la rappresentazione di ciò che è negativo nella società israeliana.
Uno dei portavoce di questo nuovo movimento è New Profile, un'organizzazione per la "civilizzazione della società israeliana". Essa appoggia tutti i tipi di rifiuto e sostiene la soppressione della leva come un passo verso una società migliore.
Un aspetto importante della nuova renitenza è la riduzione del divario tra sarbanut e ihishtamtut. Il crescente individualismo nella società israeliana può essere considerato come egoistico e anti-sociale. Invece il movimento per la renitenza lo considera come salutare, come risveglio dalla pericolosa delusione che l'esercito e lo Stato conoscono più di tutti.

La Seniors' Letter

La Seniors' Letter è una tradizione nel movimento pacifista israeliano. Risale al 1970 quando i giovani della scuola superiore che ricevono il precetto si unirono occasionalmente per protestare contro i programmi del governo nei loro confronti scrivendo lettere aperte al governo. La prima lettera è stata una risposta al primo ministro Golda Meir che aveva respinto i sostenitori della pace con l'Egitto.
Un piccolo gruppo di adolescenti, me compreso, ha sviluppato l'idea di scrivere una nuova lettera al primo ministro Ariel Sharon alcuni mesi dopo la sua elezione. La lettera doveva essere una protesta contro i piani del governo di "combattere il terrore" rendendo la vita dei civili palestinesi miserabile e insopportabile.
Questa Seniors' Letter era diversa in quanto includeva una minaccia, ossia la renitenza alla leva. Nello spirito della "nuova renitenza" non si specificava il tipo di sarbanut (il testo comprendeva anche i mishtamtim). Ma abbiamo espresso chiaramente il fatto che nelle attuali condizioni nessuno di noi poteva partecipare da soldato all'occupazione. La lettera è stata inviata nel settembre scorso, con 62 firme. Da allora si sono aggiunti altri firmatari. Abbiamo avuto la fortuna di capitare in una settimana povera di notizie, e i media israeliani hanno apprezzato il nostro atteggiamento 'provocatorio'. Mentre alcuni esponenti pacifisti si sono dichiarati d'accordo con noi, la grande maggioranza delle reazioni è stata non solo negativa, come ci aspettavamo, ma addirittura cattiva e virulenta.
Pare che la renitenza stia guadagnando terreno man mano che si chiariscono le differenze tra quanti sono realmente impegnati per la pace e quanti preferiscono l''unità' e la 'coerenza' della società israeliana. Ad un intelligente osservatore appare evidente che il sistema ha paura, molta paura. I sarbanin minacciano il cuore stesso della sua struttura di potere con l'incubo di uno sciopero generale dei soldati che, come chi sta al potere sa, è una situazione rivoluzionaria.
Non abbiamo scelta: facendo quello che ci dicono non arriveremo da nessuna parte. Sarebbe un suicidio collettivo e non un'opzione. La lotta continua.

Matan Kaminer ha diciotto anni. È un cittadino ebreo di Israele che ha ricevuto la chiamata alle armi. Poiché ha chiesto di lavorare in un'organizzazione no-profit che promuove il dialogo tra i giovani ebrei e arabi, il suo servizio militare è stato rinviato di un anno. Quando arriverà il momento, ha intenzione di rifiutare il servizio in Palestina nei territori occupati. È' uno dei firmatari della Lettera dei Seniors al Primo ministro, redatta da giovani che non vogliono mettersi al servizio dell'occupazione.

LA LETTERA

Al primo ministro Ariel Sharon e p. c. al Ministro della sicurezza, Binyamin Ben-Eliezer e al Capo di Stato Maggiore della Forza di Difesa Israeliana, Shaul Mofaz
I sottoscritti, giovani cresciuti in Israele, stanno per essere chiamati a prestare servizio nell'Idf (Israeli defence force).
Contestiamo a Lei personalmente la politica aggressiva e razzista portata avanti dal Governo di Israele e dal suo Esercito, e La informiamo che non intendiamo partecipare all'esecuzione di questa politica.
Ci opponiamo con forza alla distruzione dei diritti umani ad opera di Israele. Espropriazione delle terre, arresti, esecuzioni senza processo, demolizioni di case, blocchi stradali, tortura, e impedimento all'assistenza sanitaria sono solo alcuni dei crimini che lo stato di Israele compie, in esplicita violazione delle convenzioni internazionali che ha ratificato.
Queste azioni non sono solo illegittime; non raggiungono nemmeno lo scopo prefissato - aumentare la sicurezza personale dei cittadini. Questa sicurezza sarà raggiunta solo attraverso un accordo di pace giusto tra il governo israeliano e il popolo palestinese.
Pertanto obbediremo alla nostra coscienza e rifiutiamo di prendere parte ad atti di oppressione contro il popolo palestinese. atti che dovrebbero propriamente essere chiamati azioni terroristiche.
Invitiamo tutte le persone della nostra età, gli arruolati, i soldati dell'esercito e i soldati di riserva a fare lo stesso.

Hishtamtut, eludere la chiamata alle armi

Negli ultimi anni molti giovani, uomini e donne, di ogni estrazione sociale stanno scegliendo di non entrare nell'esercito. Per le ragazze è molto semplice: l'esercito ammette di avere un surplus di donne-soldato che, pertanto, vengono congedate con qualunque scusa. Per i ragazzi la procedura è più complicata, per cui molti sono obbligati a fingere problemi medici o psichiatrici.
In un passato non molto lontano, eludere il militare o hishtamtut si attirava l'anatema sociale. Quanti erano riformati con la clausola della salute mentale (il cosiddetto "Profilo 21") erano considerati realmente malati di mente. I poveri ebrei 'orientali' mishtamtim (che eludono il servizio militare), di estrazione socio-economica comunque piuttosto bassa, sono stati in genere ignorati. Nel raro caso in cui un aschenazita (ebreo europeo) di classe media sia stato riformato, la società ne è rimasta colpita e costernata: tale tipo di 'caduta' era una vera minaccia per l'ordine costituito.
Tuttavia, negli ultimi dieci anni, le cose sono cambiate. Le immigrazioni di massa di ebrei dall'ex-Unione Sovietica e dall'Etiopia, oltre ai processi di globalizzazione, hanno indebolito l'omogeneità e la coerenza del mito militare. L'individualismo di tipo occidentale ha pervaso Israele e l'hishtamtut ha subito un'impennata. Il sistema continua a negarlo, ma ogni anno circa la metà delle classi di soldati non porta a termine il servizio militare per un motivo o per l'altro.

Sarbanut, la renitenza alla leva

Nei primi anni Ottanta, durante la guerra in Libano, è comparso un nuovo fenomeno. Se l'hishtamtut era una minaccia, il sarbanut (renitenza) era anche qualcosa di più. I renitenti (o sarbanim in ebraico) fecero sentire forte la loro voce rifiutando di partecipare da soldati a una guerra che ritenevano un errore. Queste persone (tutte di sesso maschile) non erano coscritti bensì soldati appartenenti per lo più ad unità combattenti di riserva. Essi non 'eludevano' bensì rifiutavano categoricamente di obbedire agli ordini. Molti di loro furono mandati nelle carceri militari.
Come abbiamo visto, l'hishtamtut si può facilmente ignorare: è difficile dire chi elude e chi ha un serio motivo per essere congedato; quelli che eludono possono essere marginalizzati, specialmente se provengono da una classe bassa. Il sarbanut era un fenomeno che toccava i soldati combattenti riservisti, alcuni dei quali erano perfino ufficiali, appartenenti all'élite militare e quindi sociale.
Gli esponenti di spicco dell'ambiente sociale a cui appartenevano molti dei sarbanim, l'intellighenzia liberale, manifestarono per proteggere la 'sacralità' del servizio. Nonostante contasse una piccola minoranza di soldati, il sarbanut è stato molto dannoso. Il fenomeno ha aperto una breccia nel mito israeliano che i 'bravi ragazzi' che studiano all'università possono sparare e piangere, ma non mettono in questione la validità degli ordini loro impartiti.
Durante la guerra del Libano e la prima Intifada palestinese la renitenza è rimasta un fattore di proporzioni mutevoli. Con gli accordi di Oslo e il processo di pace, la sinistra israeliana si convinse che la pace era prossima e l'occupazione lettera morta. Ciò ha interrotto la scia dei sarbanim, infatti molti potenziali renitenti si sono decisi ad andare sotto le armi, nella speranza di poter dare il loro contributo al processo di pace attraverso il servizio militare.
L'Intifada in corso ha distrutto questa convinzione. Molte sono state le persone di sinistra e piene di dubbi che hanno smarrito la fede nella pace come soluzione, ma chi resta capisce che l'occupazione è quanto mai vitale. Ecco perché gli ultimi due anni hanno visto un aumento del numero dei renitenti. Alcuni di loro rifiutano l'arruolamento, altri di svolgere il servizio militare nei territori.

Si ringrazia per la disponibilità la redazione di MOSAICO DI PACE, Rivista mensile promossa da PAX CHRISTI.

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