Quando il fuoco....

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Quando il fuoco nasce dall'acqua
di Michele Stagapede

Quello dell'acqua è un ruolo di assoluto primo piano nel lungo conflitto in Sudan. Se ne è parlato in ottobre in un seminario internazionale a Cremona. 

Ai partecipanti al Seminario che si è tenuto a Cremona lo scorso mese di ottobre sul tema "Acqua e petrolio in Sudan: guerra e diritti umani" sono ancora rimaste impresse negli occhi le scene di guerra e le dichiarazioni minacciose contenute nel video che Julie Flint, la coraggiosa giornalista inglese che fu della BBC, ha mostrato. Un piccolo scoop in cui mostrava l'utilizzo di un missile balistico di fabbricazione iraniana da parte dei militari dell'esercito del Nord. I graduati si affrettavano a dichiarare orgogliosi che anche quello era il frutto degli investimentio militari e strategici che Karthoum può permettersi ora grazie alle risorse provenienti dall'abbondante petrolio estratto in terra sudanese e che prende il largo verso la Cina e molti Paesi occidentali. Ma il Seminario di Cremona non cercava certo effetti shock! Ha posto al centro una riflessione articolata e seria sulle questioni che maggiormente ostacolano il processo di pace oggi in Sudan. I temi scelti dagli organizzatori non erano affatto neutrali e hanno tolto la maschera a tanti luoghi comuni con cui troppo spesso vengono presentate le ragioni del conflitto sudanese. Della questione del petrolio Mosaico di pace si è già occupato (Luglio 2000, pagg. 10 -11) mentre mi pare utile porre in luce come l'acqua dei fiumi che attraversano questo Paese africano ne hanno da sempre segnato il corso della storia. Anche nei giorni di Cremona la questione è stata comunque inquadrata nella complessità più ampia del tema dell'acqua.

Il problema dell'acqua

La domanda di acqua cresce rapidamente mettendo in crisi l'ecosistema mondiale. Un numero maggiore di fiumi, laghi e vene acquifere nel sottosuolo sono sempre più contaminati da scorie e rifiuti. Se non interverranno fattori nuovi capaci di invertirne la tendenza, nel 2020 la domanda di acqua supererà abbondantemente la disponibilità e le persone senza accesso all'acqua potabile diventeranno più 3 miliardi, al momento sono solo 1,4 miliardi. Se così fosse si rischierà una grave crisi che coinvolgerà una fascia ancora più grande della popolazione mondiale, con abbassamento della qualità della vita e ulteriori ritardi nello sviluppo economico e sociale… e pensare che basterebbe anche meno del 5% delle spese previste per la costruzione "dello scudo stellare" - orgoglio americano offuscato -per dare accesso all'acqua potabile a tutti gli esseri umani!
Ismail Seralgeldin, vicepresidente della Banca Mondiale, nel 1995 affermava: "Nel prossimo secolo le guerre scoppieranno per l'acqua, non per il petrolio e per motivi politici". L'acqua è destinata a rivestire un'importanza sempre più rilevante nei rapporti tra gli Stati, con il rischio di dare origine a violenti conflitti. Questa affermazione di Seralgeldin dice perfettamente le ragioni del conflitto che insanguina il Sudan sin dal 1955 all'alba della sua Indipendenza dal regime coloniale britannico. Le acque del Nilo in Sudan e il loro controllo costituiscono uno dei motivi chiave per comprenderne il conflitto. L'Egitto, mantenuto in vita dall'acqua del Nilo, e il desertico Nord del Sudan si sono sempre opposti all'idea dell'autodeterminazione ed eventuale separazione del Sud Sudan per timore di trovarsi a dover fare i conti con un altro Paese che controlla le acque del fiume. A Sud del Sudan, l'acqua è presente in maniera abbondante a causa delle intense precipitazioni. Centinaia e centinaia di chilometri di paludi che costituiscono da sempre una barriera naturale al controllo della zona meridionale da parte del Nord. A partire da Mongalla, a nord di Juba, il Bahr el Jebel si perde in una conca di 400 km di lunghezza, in acquitrini e bracci divergenti. Tra giugno e luglio, a metà della stagione delle piogge, si forma una vastissima palude da cui evaporano 14 miliardi di metri cubi di acqua ogni anno. Il grande canale di Jonglei lungo 350 km, intendeva evitare tutta questa dispersione d'acqua e far defluire 4 miliardi di metri cubi in più aumentando così la portata complessiva del Nilo. L'accordo per l'utilizzazione di queste acque fu raggiunto nel 1974 tra l'Egitto e il Sudan. I lavori, iniziati nel 1977 furono interrotti dalla lotta armata che si riaccese nel Paese nel 1983.

Un Paese povero perchè ricco

"L'acqua del Nilo ha un valore identitario e valori funzionali particolarmente riconosciuti nel Nord, nei confronti del quale, già dai tempi della colonizzazione inglese, il Sud appare come un serbatoio da controllare strategicamente e da gestire nel modo più efficiente possibile.", afferma la dott.ssa Paola Minoia, docente all'Università di Padova e di Khartoum. La Minoia nella sua relazione evidenziava come "il rapporto sullo sviluppo umano redatto annualmente dall'UNDP pone il Sudan come 143°, su 174 Stati, all'interno del gruppo 'di basso sviluppo umano'. La povertà tocca circa l'85% della popolazione…il 27% non ha accesso all'acqua potabile e addirittura il 49% vive in situazioni residenziali senza infrastrutture fognarie".
"L'acqua non è un bene economico e non può essere privatizzata, l'accesso all'acqua è un diritto umano" sottolineava dal canto suo la dott.ssa Teresa Isemburg e nel suo intervento sconfessava il principio n.4 della Dichiarazione di Dublino, 1992, "Acqua e sviluppo sostenibile" in cui si afferma: "L'acqua ha un valore economico e in tutti i suoi usi dovrebbe essere riconosciuta come un bene economico". Quale impatto potrebbe avere la gestione dell'acqua come bene economico sulla vita dei Paesi più poveri del Sud del mondo? Purtroppo bisogna riconoscere che da qualche anno l'approccio alla gestione di un bene così fondamentale e comune a tutti gli esseri viventi - senza petrolio il mondo si ferma e può usare delle energie alternative, senza dell'acqua il mondo muore - è divenuto un approccio a marchio liberista. L'acqua sta divenendo un bene sempre meno comune e sempre più da privatizzare e da sottomettere alle regole degli interessi privati dei produttori, dei distributori, dei gestori di servizi e dei consumatori. È evidente che mancano delle regole mondiali di controllo sulla gestione dell'acqua e la sua difesa come bene comune. Le strutture pubbliche stanno sempre più abdicando in favore di soggetti privati e delle multinazionali. La fonte principale di vita rischia di trasformarsi in merce su cui compiere ogni sorta di speculazioni. 
Dobbiamo forse attendere un ulteriore grave atto di terrore ai danni dei cittadini dei paesi in via di iper sviluppo perche' cambi l'approccio al problema acqua e i Governi tornino soggetti politici, capaci e desiderosi di compiere scelte in favore della comunità mondiale?!

Hanno contribuito al dibattito...

Preziosissima è stata la presenza dell'ambasciatore sudanese in Italia S. E. Andrew Makur così come la partecipazione preannunciata dal governo di Karthoum (ma non realizzata a causa della situazione internazionale venutasi a creare diopo l'11 settembre) del Dr. Ahmed El Mufti, sotto segretario del Ministro della Giustizia. Costantemente presente, l'Ambasciatore si è mostrato particolarmente disposto ad un dialogo sincero. Gli interventi e le relazioni di Julie Flint, giornalista e redattrice del rapporto di Christian Aid "The Scorched Earth" e di Peter Verney redattore del rapporto del Sudan Update "Oil and Conflict in Sudan"; la presenza delle diverse componenti della società sudanese come quella di Abel Alier, avvocato e membro del Tribunale Internazionale dell'Aja, ex vicepresidente del Sudan, del vescovo Daniel Adwok, dell'avvocato Johnny Saverio e di alcuni docenti universitari italiani particolarmente impegnati nella causa dei paesi del terzomondo, ha dato al seminario una connotazione di riflessione e ricerca concreta di possibili percorsi di pace per il Sudan. Forte è stato il contributo di Rino Serri (ex sottosegretario agli Esteri) accolto e arricchito poi dal segretario del Sen. Aventino Frau, dall'on. Giovanni Bianchi e da Marco Pezzoni di costituire, cioè, un gruppo di lavoro alla Camera e al Senato che sviluppi e renda possibile una presenza più estesa e significativa dei Partner del Forum dell'IGAD (IPF) e rilanciare così una politica e solidarietà internazionale tutta mediterranea.

Si ringrazia per la disponibilità la redazione di MOSAICO DI PACE, Rivista mensile promossa da PAX CHRISTI.

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