IN
AZIONE
Petizione per
una Commissione investigativa internazionale sui crimini contro l'umanità
di Ariel Sharon
Per firmare, andate su: http://www.petitiononline.com/warcrime
e cliccate dove è scritto: "Click here to sign petition"
indicando cognome, nome e indirizzo e-mail. La petizione aiuterà gli
avvocati Belgi che stanno cercando di fare incriminare Ariel Sharon.
Hanno bisogno di 1 milione di firme, e per ora ne sono state raccolte
circa 270.000.
A Mary
Robinson, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani.
"La storia insegna che quanto più non è stata fatta giustizia,
tanto più lo spettro della guerra può riemergere", Giudice Claude
Jorda. Noi, sottoscritti, gente di questo pianeta, facciamo appello a
Mary Robinson di costituire una commissione per investigare il
coinvolgimento di Ariel Sharon nei crimini di guerra contro l'umanità
secondo i principi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e le
risoluzioni 260, 2391, 3074 dell'Assemblea Generale e la Risoluzione
1296 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in nome delle
vittime del massacro del 1982 dei campi profughi di Sabra e Shatila in
Libano. Le risoluzioni delle NU hanno chiarito che i colpevoli di
genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra debbono essere
perseguiti e debitamente puniti. E' stato chiarito inoltre che la totale
protezione dei civili in un paese occupato è nelle mani dell'esercito
occupante. Nel 1982 l'esercito Israeliano era forza di occupazione a
Beirut (Libano); in ottemperanza alle leggi internazionali essi avevano
la responsabilità di protezione di tutti i civili sotto il loro
controllo. A quel tempo l'esercito di Israele era sotto il totale
controllo del Ministero della Difesa Israeliano e Ariel Sharon era il
Ministro della Difesa.Egli visitò Beirut e promise pieno supporto alla
Milizia Cristiano Libanese alleata di Israele. Ariel Sharon
personalmente diede via libera alla Milizia Cristiano Libanese per
entrare nei campi profughi di Sabra e Shatila a Beirut ovest, e ciò
diede come risultato massacro, tortura e stupro di centinaia di civili
inermi, soprattutto donne e bambini. L'esercito Israeliano non solo non
controllò i campi e non fece nulla per fermare il massacro, ma, come è
provato dai fatti, aprì la via ai Miliziani per entrare nei campi. Essi
ebbero diretti e chiari ordini dal Ministero della Difesa Israeliano di
non interferire e di dare mano libera e assistenza alla Milizia
Cristiano Libanese. "C'era un chiaro obbligo per i leaders politici
e militari, quello di fare ragionevoli passi per proteggere i civili
quando diedero i loro ordini. In una situazione in cui la vita dei
civili era chiaramente a rischio, la persona che dava gli ordini era
persino più responsabile di quelli che li eseguivano". Giudice
Richard Golstone. Con l'irrompere delle notizie del massacro nei campi
profughi di Sabra e Shatila, il pubblico Israeliano fu scandalizzato e
andò in manifestazione e chiese le dimissioni di Ariel Sharon e
un'indagine nel merito. Il Parlamento Israeliano agì e costituì una
commissione parlamentare per investigare il coinvolgimento di Ariel
Sharon in questi atti disumani. Secondo il risultato dell'inchiesta
Ariel Sharon fu trovato responsabile per le azioni della Milizia
Cristiano Libanese e di conseguenza fu forzato a dimettersi da Ministro
della Difesa. Ma ovviamente essendo egli un Israeliano ed essendo quei
crimini stati commessi non contro cittadini Israeliani, egli non fu mai
chiamato in giudizio né comparve in nessuna corte di giustizia in
Israele. Ora il tempo è venuto, tutte le prove e i documenti sono stati
raccolti e sono pronti per una commissione investigativa che consegni
quei responsabili alla giustizia al di là del loro status sociale o
politico. Possa la giustizia prevalere e guarire le ferite delle vittime
sopravvissute.
MASSMEDIA e TAM
TAM vari
15 SITI DA VISITARE
1) Agenzia di Stampa Missionaria www.misna.org
2) Pedagogisti on line: www.educare.it
3) Notiziario femminile www.femmis.org
4) Rete Lilliput: www.retelilliput.org
5) Il sito dell'Associazione no profit «Progetti Alternativi per
L'energia e l'ambiente» www.paea.it
6) Terre Libere, altre forme di comunicazione www.terrelibere.it
7) Da Monteforte d'Alpone... www.stilelibero.org
8) Il sito dello scrittore Gaetano Bellorio: www.gaetanobellorio.it
9) Il sito dei padri Bianchi http://www.missionaridafrica.org
10) Legnago Social Forum: www.vronline.it/LSF/
11) Informazioni, relazioni, riflessioni... crmvillage.it
12) Giovani e missione... www.giovaniemissione.it
13) Sito sul nuovo pensiero socio-economico che fonda le sue radici in
una cultura umanistico-spirituale www.prout.it
14) L'importante network italiano dell'informazione ecologica: WWW.PROMISELAND.IT
UN ANNO
CON... www.FEMMIS.org
8 marzo: un traguardo ma anche un punto di
nuova partenza... per www.femmis.org . E' stato un anno
"pieno". Dall'Africa all'Estremo Oriente oltre duecento
notizie dalla data del lancio del sito con un ritmo di otto notizie a
settimana, concedendosi solo una pausa nei mesi estivi per rinnovare le
pagine del sito. L'informazione ha voluto essere, fin dalle prime
settimane, a tutto campo spaziando dalla condizione femminile in Europa,
alla situazione africana, a quella in America latina, in Asia e nel
medio oriente. L'attenzione si è concentrata in particolare sull'Africa
(il 32% dei lanci) e sull'Europa (il 30 %), quest'ultima anche per le
notizie riguardanti le iniziative avviate in Italia, vista la volontà
di non perdere l'occhio la realtà nazionale. Seguono Medio oriente
(12,5%), America latina (11%) e Asia (10%).
Le
questioni più seguite - Tra le questione che Femmis ha seguito
costantemente e fin dall'inizio c'è il caso di Safiya e Abok, due donne
condannate alla lapidazione in Nigeria e in Sudan (l'agenzia delle
missionarie comboniane è stata la prima a segnalare il caso di Abok).
Anche alla condizione delle donne afgane Femmis ha dato subito grande
rilievo segnalando le persecuzioni dei talebani fin dal giugno scorso e
continuando a mantenere viva l'attenzione nei mesi successivi al
conflitto.
I contenuti
- Per quanto riguarda i contenuti, le notizie pubblicate
raccontano in primo luogo le violenze alle quali vengono sottoposte le
donne: il 17,5% delle notizie.Naturalmente parte delle notizie hanno
riguardato fatti positivi come iniziative, progetti, prese di posizioni
a questo proposito. Collegata alla questione delle violenze, quella dei
conflitti: dalle notizie pubblicate (6,4%) risulta evidente come le
prime a farne le spese in mille modi siano proprio le donne. Le
discriminazioni subite e la lotta per combatterle hanno ricevuto grande
spazio (10 %), così come si è tenuta d'occhio la battaglia per
conquistare spazio in politica(10%), un match che si sta giocando
ovunque non solo in Europa ma anche, in Africa, all'America latina. La
questione della prostituzione, i problemi sanitari, la mancanza di
formazione scolastica, sono gli altri temi emersi dalle notizie, assieme
ai progetti e alle iniziative messi in atto per migliorare la condizione
femminile.
Si riparte
- Un bilancio timido se consideriamo le migliaia di dispacci che
inondano giornalmente le agenzie mondiali. Ma la nostra preoccupazione
è stata soprattutto curare e seguire la notizia, rendere visibile
quelle notizie che altrimenti sarebbero state ignorate dai media più
potenti. A noi pare che un primo traguardo sia stato raggiunto. Ora
bisogna ripartire. (a cura della redazione di FEMMIS)
Visitate
www.prout.it
Desidero portare alla vostra attenzione un sito sul quale abbiamo
inserito alcune novità interessanti nel campo socio-economica
alternativo per l'Italia. Il sito è www.prout.it in italiano
(www.proutworld.org in inglese). In questo sito è sintetizzato un nuovo
pensiero socio-economico che fonda le sue radici in una cultura
umanistico-spirituale. Alcuni concetti di base ad esempio sono:
"Garanzia delle minime necessità per tutti, attraverso un lavoro o
un reddito" . Si ritiene, infatti, che sia un diritto naturale
quello della sopravvivenza per tutti e che la natura in effetti non
abbia assegnato a nessun individuo, stato, nazione, corporazione in
particolare la proprietà delle risorse. Ne discende che le risorse sono
a disposizione di tutti per il proprio sostentamento e per il proprio
progresso intellettuale e spirituale. Un diritto da inserire secondo il
Prout (Teoria della Utilizzazione PROgressiva) nella costituzione come
diritto fondamentale. Il Prout, come visione, si oppone fondamentalmente
al sistema capitalistico della concentrazione della ricchezza (pure a
quello dove la ricchezza è concentrata nelle mani dello stato) e crede
in una economia sociale in cui sia più equa la distribuzione della
ricchezza. Si sa, il capitalismo ha bisogno del 5-10 % di disoccupazione
fisiologica e quindi non può garantire a tutti queste minime necessità.
Se il comunismo era forse in grado di garantirle, esso comunque creava
situazioni di vita disumane e repressive (comunque contro le
fondamentali esigenze della natura umana). Trasformando l'idea di
'garanzia delle minime necessità' in termini socio-economici il Prout
prevede una struttura socio-economica tridimensionale in cui il sistema
di cooperative ha la parte maggiore. In questo sistema cooperativo ogni
individuo si prende sì la responsabilità del proprio destino
economico, ma beneficia anche degli utili in modo adeguato. E questo
sistema ha una triplice utilità:
* Partecipazione alle decisioni economiche dei singoli lavoratori
(colletti blu e bianchi)
* Distribuzione della ricchezza in modo più razionale
* Eliminazione della possibilità di eccessiva accumulazione.
Non crediamo che il singolo imprenditore sia in grado di far crescere
l'economia nazionale, dove la maggior parte dei lavoratori è 'dipendente'.
Tutti siamo invitati ad essere invece protagonisti in prima persona per
iniziare una nuova pagina nella storia della socio-economica. In soldoni
la FIAT, Mediaset, per fare un esempio, potrebbero essere gestite in
cooperativa da tutti i lavoratori addetti. Agnelli e Berlusconi
sarebbero soci come tutti gli altri. Se così fosse Berlusconi e
Agnelli, credo non avrebbero più il problema del conflitto di
interessi!
SALVIAMO
LA LEGGE 185/90
Per aderire alla difesa della Legge 185/90, che regolamenta il commercio
delle armi, è possibile sottoscrivere il proprio consenso alla
campagna: http://www.edizioni-achab.it/contatto/campa.html
La Legge 185/90 prescrive fra l'altro misure per la trasparenza ed il
controllo degli scambi di armamenti. La revisione di questa legge
prevede invece l'eliminazione di alcuni importanti criteri stabiliti per
rendere visibile il commercio delle armi (ad esempio, venire a
conoscenza di quali banche finanziano l'industria delle armi),
permettendo quindi agli uomini del business più degenerato di
alimentare violenza e guerra in modo da non essere visibili al pubblico
e poter operare indisturbati nella loro azione. Grazie e buon lavoro.
EDIZIONI ACHAB VIA CAROTO, 2/A - 37121 VERONA TEL. +39 045 8489196 - FAX
+39 045 8403149 www.edizioni-achab.it
"LIBERI
DI"... ESPRIMERCI. LA DIFESA DEL DIRITTO ALL'INFORMAZIONE NELL'ITALIA
DI BERLUSCONI
"Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio
pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La
stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure". È
questo il testo dell'articolo 21 della Costituzione Italiana che
sancisce un diritto quanto mai attuale e in pericolo nell'Italia di
Berlusconi, imbavagliata da un sistema radiotelevisivo in mano al patron
di Mediaset e governata da un premier che si è ritagliato una legge ad
hoc sul conflitto di interessi. A partire da queste constatazioni è
nata l'"Associazione Articolo 21- Liberi di" su iniziativa di
giornalisti, scrittori, edicolanti, giuristi, docenti e utenti della
comunicazione che vogliono difendere il diritto alla libera espressione
e al dissenso e l'operato della magistratura. Tra i firmatari
dell'appello (che è possibile sottoscrivere via e-mail all'indirizzo
art21liberidi@yahoo.it, per telefono allo 06.67602245 o via fax allo
06.67609651) vi sono numerosi giornalisti e personalità impegnate nella
società civile come Federico Orlando, Miriam Mafai, don Vinicio
Albanesi, Rosi Bindi, don Luigi Ciotti, Domenico Gallo, Paul Ginsborg.
Nel manifesto fondativo dell'associazione, presentata alla stampa il 27
febbraio, si denuncia la politica della maggioranza di centro-destra
tesa a usare il Parlamento e la legge per proteggere gli interessi
privati di Silvio Berlusconi e della sua parte politica, i frequenti
attacchi alla magistratura, continuamente dileggiata e delegittimata
nella sua funzione super partes di difesa della legge e dell'uguaglianza
dei cittadini. Dal punto di vista dell'informazione, i firmatari
mostrano preoccupazione per il "rapidissimo allineamento di gruppi
editoriali al potere politico", il progressivo restringimento degli
spazi di diversità al di fuori del duopolio televisivo Rai-Mediaset,
con il fallimento nei mesi scorsi del progetto di "terzo polo"
(dopo l'acquisizione de "La 7" da parte di Tronchetti Provera,
alleato d'affari di Berlusconi), l'omologazione - con le recenti nomine
al Consiglio di Amministrazione della Rai - del servizio pubblico
radiotelevisivo, nei contenuti e nello stile, alla televisione privata.
L'impegno dell'associazione è dunque di vigilare su abusi, censure ed
autocensure, e di costituirsi come un punto di riferimento per
iniziative culturali, legislative e giuridiche per elevare la qualità
dell'informazione nel Paese. (fonte: ADISTA)
ANCORA
DEPORTAZIONI: QUESTA VOLTA TOCCA ALLE DONNE
L'associazione Senzaconfine e l'Asgi Sicilia denunciano che
2/3 delle donne nigeriane rastrellate in tutt'Italia (circa 60 spesso
prese in casa e non sulla strada) in un'operazione contro la
prostitizione e l'immigrazione clandestina, e successivamente rinchiuse
al Centro di Detenzione Temporanea Serraino Vulpitta, da ieri sera sono
state fatte salire su un pullman con tappa a Roma e destinazione
Malpensa, da dove partiranno in serata per essere rispedite nel loro
paese di provenienza. E' stato impedito loro di chiedere asilo, come le
poche (meno di una ventina) rimaste al centro di detenzione; è stato
impedito loro anche di poter avviare un percorso di reinserimento
sociale per uscire dalla prostituzione, attraverso l'opera dei Vivian
Wiwoloku, pastore evangelico nigeriano che a Palermo attraverso il suo
lavoro ha recuperato 78 ragazze che ora lavorano. Il pastore Wiwoloku
stesso denuncia che per queste ragazze la prossima tappa, una volta
reimpatriate, sarà il carcere; la cauzione per ottenere la libertà
raggiunge la cifra di un milione, cifrà inaccessabile per le loro
famiglie,e il bisogno economico le repingerà nuovamente nel circolo
della prostituzione; quelle di provenienza islamica rischiano anche la
condanna alla lapidazione. Nessuna garanzia è stata data alla loro vita
e alla loro libertà, poichè il console nigeriano, rappresentante dello
Stato in Italia, ha dato il nulla osta per il loro reimpatrio dopo
averle incontrate. Senzaconfine e l'Asgi dnunciano che ancora una volta
questo rimpatrio viola la legalità, nazionale e internazionale: il
divieto di deportazione, che in questi casi dovrebbe scattare
automaticamente, come sancito dalla convenzione di Ginevra firmata anche
dall'Italia; e il divieto di espulsione, sancito, oltre che dalla
convenzione di Ginevra, dalla legge italiana stessa. Ci troviamo dunque
di fronte a un nuovo atto di illegalità, in un crescendo sempre piu'
incontrollabile se queste pratiche non avranno una risposta dal
movimento che si è sviluppato in questi mesi contro la legge Bossi-
Fini e per la difesa dei diritti di profughi e rifugiati. Per questo
Senza Confine l'Asgi Sicilia fa appello al Social Forum di Milano e a
tutto l'associazionismo impegnato sul terreno della solidarietà con gli
immigrati a mobilitarsi entro la giornata per dare una risposta ferma e
decisa a questo ennesimo atto di violazione della legalità e negazione
dei diritti riconosciuti. Facciamo appello in particolare al movimento
delle donne e alla rete che si è mobilitata in favore di Safiah perchè
si rinnovi la mobilitazione per decine di donne deportate e a rischio di
carcere e di maltrattamenti. (Associazione Senzaconfine - ASGI Sicilia -
Info: Dino Frisullo 339 65 04 639; Fulvio Vassallo 348 33 63 054)
INFORMAZIONI,
RIFLESSIONI & OPINIONI
La scelta
della nonviolenza
di Sergio Paronetto
Cari amici, faccio parte del
Consiglio nazionale di Pax Christi. Vorrei esprimere un parere sull'
incontro bolognese dei "social forum" del 2-3 marzo scorso.
L'appello di Alex Zanotelli riguardante la pluralità nonviolenta del
"movimento dei movimenti" e del Forum Europeo costituisce, a
mio parere, la prospettiva più adeguata sia dal punto di vista etico
che da quello politico. Per me, è l'unica strada praticabile. Va
certamente approfondita. A mio avviso, ad esempio, più che tematizzare
la nonviolenza come dottrina o come tecnica, andrebbero studiate le
nonviolenze come movimenti storici, come azioni popolari e come stili di
vita. Cioè le esperienze concrete di nonviolenza del Novecento, i volti
di pace, le testimonianze reali. Personalmente, cambierei anche la
parola nonviolenza che, per quanto scritta come fosse una parola sola,
esprime sempre una carica negativa e può prestarsi a equivoci.
Preferisco "convivialità delle differenze" o azione
conviviale. Dovremmo inventarci parole nuove. Dovrebbe nascere una nuova
cultura. Secondo me, ogni azione per la pace deve basarsi sulla coerenza
tra mezzi e fini e sull'etica della responsabilità. Non si può
contrastare le guerre favorendo un clima di guerra. Non si può vincere
le violenze tollerando le microviolenze. Esse possono operare anche in
frange del "movimento dei movimenti", ora per scelta autonoma
di pochi, ora per infiltrazione poliziesca, ora per provocazione
esterna, ora per ambiguità di comportamento, ora per esibizionismo
mediatico. Cedere alle violenze, siano pure piccole o motivate da nobili
ideali, o solo minimizzarle, significa -scrive Tonio Dell'Olio- ridursi
a "stupidi ingranaggi del sistema". "Scegliere
profondamente la parola nuova della nonviolenza" è introdurre
un'alternativa etica, una novità storica, un'innovazione politica.
Penso sia la scelta più vera, più buona, più bella, più utile. Le
violenze sono certamente diverse tra loro per motivazioni, per
consistenza e per responsabilità. In ogni caso, le ritengo
"reazionarie", clonate da quel sistema di violenze e di
degrado che si vuole superare. Nelle manifestazioni pubbliche, in
particolare, anche la violenza più piccola rovina il lavoro di anni,
offende la dignità di chi lotta, blocca il desiderio di comunicare,
paralizza lo spirito di festa, umilia il valore delle proposte, scredita
il movimento e accredita la violenza dei potenti che si presentano come
garanti di stabilità e salvatori del mondo. Il campo delle nonviolenze,
invece, è aperto, inclusivo, compatibile con varie ispirazioni ideali,
coerente con i fini auspicati, radicato nella limpida coscienza della
personale responsabilità. E' credibile e liberante. Garantisce tutti
gli operatori di pace permettendo una varietà di iniziative, una
sperimentazione costante, reversibile, creativa. Fa corpo con l'idea di
democrazia, con la sua espansione, con la sua profonda sostanza. E' un
campo stupendo, poco conosciuto perché maltrattato o banalizzato da
tanti opinionisti e da molti uomini politici di segno opposto. La
dichiarazione di Casarini, riportata da "La Repubblica" il 3
marzo, "la nonviolenza di principio è un'ideologia", è
subalterna all' ideologia diffusa e trasversale della violenza. La sento
contraria non solo all'annuncio evangelico (per me radicale e
rivoluzionario) della pace. La sento doppiamente sbagliata anche dal
punto di vista "marxiano". Mi riferisco, in primo luogo,
all'idea di ideologia come "falsa coscienza" (proiezione nella
mente dei rapporti di sfruttamento) perché, in realtà, la scelta
nonviolenta è una forma di lotta che si basa sulla valutazione
realistica dei rapporti di forza e di una storia di conflitti gestiti
secondo la logica delle armi. In secondo luogo, ho presente la
definizione di "ideologia religiosa" come "sospiro della
creatura oppressa", come astratta aspirazione alla giustizia e alla
libertà; l'opzione nonviolenta, invece, intende dare corpo al
"sogno diurno" di un mutamento reale e si propone come
alternativa alle violenze del sistema e al sistema delle violenze.
'Non possiamo fare gli angeli se gli altri sono diavoli', dicono in
sostanza alcuni esponenti dei centri sociali quando difendono
metodologie forti di intervento come le occupazioni o le risposte decise
agli assalti della polizia durante i cortei (a volte gli assalti sono
auspicati o provocati ad arte tramite insulti o lancio di oggetti). Lo
stesso concetto, con intenzioni diverse, esprimono coloro che vogliono
giustificare le guerre o la lotta militare globale al terrorismo che sta
eliminando diritti e snaturando la democrazia. 'La nonviolenza è scelta
solo personale', dicono molti: 'quando bisogna "difendersi"
dai nemici o dal terrorismo bisogna armarsi'. Da opposti versanti, la
nonviolenza viene interpretata in maniera simile: o come aspirazione
vaga e inefficace o come semplice rifiuto dell'atto violento; o come
generosa passività, o come viltà, o come rifugio di anime belle. In
molti opera la logica dualistica dei contrasti assoluti: bene o male,
sconfitta o vittoria, vita o morte. Resiste l'immaginazione dell'assalto
definitivo e della conquista decisiva legata al meccanismo del
"capro espiatorio" (da eliminare). C'è sempre un male
assoluto da distruggere per la vittoria del bene assoluto. Ognuno,
ovviamente, si ritiene combattente del bene. Il guaio dell'ideologia
della violenza è che ognuno può ritenere "giusta" la sua
violenza. Ognuno rivendica per sé la migliore giustificazione della
violenza. Questa logica si scontra con una "contraddizione
irriducibile: lottare contro la violenza con la violenza non permette di
eliminare la violenza. Le ideologie della violenza vogliono occultare
questa contraddizione". Lo scrive Jean- Marie Muller, tradotto da
Enrico Peyretti (Jean Marie Muller , Le principe de non-violence.
Parcours philosophique, Paris 1995, in "Il foglio" 289,
Torino, febbraio 2002): "Se la violenza è legittimata come un
diritto dell'uomo, ciascuno potrà prendere a pretesto questo diritto
per ricorrervi ogni volta che lo stimerà imposto dalla difesa dei suoi
interessi. In realtà l'ideologia della violenza permette a ciascuno di
giustificare la propria violenza. La storia si trova allora risucchiata
in una spirale di violenze senza fine. Si crea una reazione a catena di
violenze degli uni e degli altri, tutte legittimate.La violenza diventa
fatalità. La nonviolenza intende spezzare questa fatalità". La
scelta nonviolenta, infatti, è concreta, realista. La "Tavola
della pace", prima della marcia Perugia-Assisi dell'ottobre scorso,
scriveva ai parlamentari dell'Ulivo, sostenitori della guerra in
Afghanistan, che la nonviolenza è "polvere della storia".
Come sono belli i passi di quelli che la sollevano perché camminano
sulle montagne per annunciare la pace! direbbe il profeta Isaia (52.7).
Un saluto fraterno. Shalom. (Sergio Paronetto)
VIS:
"BASTA, È L’ORA DELLA TOLLERANZA ZERO IN MEDIO ORIENTE"
"Oggi, più che mai, rifiutiamo la guerra come mezzo di
risoluzione dei conflitti e siamo fermamente convinti, ispirandoci alle
parole del Cardinal Martini, che per il Medio Oriente sia giunta l’ora
della tolleranza zero". Lo afferma il Vis (Volontariato
internazionale per lo sviluppo, Ong promossa dal Centro nazionale opere
salesiane) in un comunicato diffuso l'8 marzo. Nel testo viene poi
illustrato questo concetto di tolleranza zero. "Non siamo più
disposti a tollerare – vi si legge - le troppe vittime che
quotidianamente soccombono alla follia e ai disegni politici ed
economici di coloro che governano per un mondo che non vogliamo. Non
riusciamo più a tollerare l’idea di civiltà come alibi per
giustificare ogni tipo di azione, per avvallare ogni tipo di
comportamento, per legittimare il diritto di difesa di un sistema
globale gestito da pochi per i molti, per legittimare il silenzio e il
rifiuto delle voci del dissenso. Non possiamo più tollerare l’ignavia
dei governi degli Stati Uniti, che appoggiano la politica di Sharon per
giustificare la guerra al terrorismo internazionale, e dell’Europa,
incapace di affrontare la colpa per il silenzio del passato. Non
accettiamo più di tollerare il flebile e inconsistente appello alla
Forza di difesa israeliana di ritirarsi dai campi e di intensificare la
ricerca della pace del Segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan e non
possiamo più sopportare che questa Organizzazione Internazionale non
abbia il ruolo di organismo super partes fuori dai confini delle scelte
politiche ed economiche dei singoli Stati, con il ruolo originario di
pacificare nelle dispute mondiali. Non dobbiamo più tollerare i raid
degli elicotteri "Apache" su una popolazione inerme, il
desiderio di immolarsi come kamikaze, l’esilio nella propria terra del
Presidente di uno Stato eletto democraticamente, i proclami del
fanatismo islamico, la politica di colonizzazione dei Territori,
l’ipocrisia della diplomazia internazionale più attenta a non
spostare gli equilibri mondiali che a concretizzare una soluzione
decisiva. Non vogliamo più tollerare un’epoca di guerra permanente,
di diritto di sopraffazione del più forte sul più debole ma vogliamo
essere liberi di affermare che un altro mondo è possibile, che
un’altra civiltà è auspicabile. Per questo, per il Medio Oriente
sollecitiamo il riconoscimento di due popoli e due stati, il ritiro
immediato dei militari e dei coloni da tutti i Territori occupati, il
diritto di esistenza dello Stato Palestinese secondo i confini stabiliti
dalla risoluzione 242 dell’ONU, l’individuazione di Gerusalemme come
capitale di due stati e la sua proclamazione di città aperta. Siamo
solidali con il crescente dissenso della popolazione israeliana, con le
dichiarazioni di disubbidienza di tanti riservisti dell’esercito
d’Israele, con le tante voci di protesta che in tante parti del mondo
si sollevano e con tutti gli uomini di buona volontà che vogliono
intraprendere un cammino di pace e che sono consapevoli che il sonno
della ragione genera mostri".
Halabja:
Hiroshima del Kurdistan - 14° Anniversario del bombardamento con le
armi chimiche sulla cittadina kurda di Halabja nel Kurdistan dell’Iraq
di Shorsh Surme, Direttore del periodico kurdo
Hetaw "Sole"
Venerdi 16 marzo di tredici anni fà veniva bombardata con le armi
chimiche la cittadina kurda di Halabja provincia di Sulaimanya 260 km
Nord Est di Baghdad; nel giro di mezz'ora morirono più di 10.000
persone. L'Occidente allora si limitò a una timida manifestazione nei
confronti di Saddam, nonostante questi avesse palesemente agito contro i
diritti umani usando un’arma bandita della convenzione di Genivra nel
1925. Alla fine di marzo del 1988 l’opinione pubblica internazionale
viene a conoscenza, grazie a videocassette clandestinamente e
fortunosamente giunte in occidente del massacro perpetrato attraverso le
armi chimiche nella cittadina di Halabja: uomini, donne,bambini,vecchi
morirono tra spasmi atroci a causa dei gas tossici. La città si svuotò,
numerosi tra suoi abitanti trovarono rifugio in Iran: Halabja è ancora
oggi una città ferita, come numerosi altri villaggi nei dintorni delle
maggiori città kurde, kirkuk, Arbil, Sulaimaniya e Duhok. Dopo il
massacro di Hiroshima Nakazaki si sperava che queste armi non venissero
mai usate, invece, il problema delle armi chimiche rimane ancora una
questione da risolvere, dato che molti paesi del terzo mondo possiedono
questa arma micidiale anche grazie alle tecnologie dell’Occidente che
riesce costituire. Oggi i kurdi preoccupati per il loro futuro,
ricordano questa giornata e quei morti innocenti massacrati da un regime
dittatoriale come quello di Saddam Hussien che tuttora è saldo al
potere e continua a sottoporre tutta la popolazione irachena alla fame e
miseria a causa della sua arroganza e mania di potere. Dopo la guerra
del Golfo una parte del Kurdistan è stata liberata a prezzo altissimo
del suo popolo, quel popolo che da millenni vive su quella terra, ma che
soltanto per un brevissimo periodo, ha potuto godere di libertà e
autodeterminazione. Il resto della sua storia è fatto di guerra ,
sangue, oppressione, ingiustizia e dolore. Chi è in Occidente è a
conoscenza del fatto che i Kurdi , pur stremati da anni di guerre contro
Saddam, hanno avuto la forza di organizzare in pochi mesi libere
elezioni, che hanno portato alla formazione di un Parlamento
democratico, e poi di un governo che legifera e amministra il diritto, e
si sforza di gestire le poche risorse del paese? Chi sa che al suo
interno si lotta per mantenere in efficienza un sistema sanitario
dignitoso, una pubblica istruzione accessibile a tutti, una libertà e
pluralità di opinioni che si confrontano all’interno di un contesto
di stampa e mass- media aperto ad ogni contributo? Ma soprattutto, chi
conosce le disperate condizioni economiche che questa nuova realtà
politica deve affrontare, privato di ogni risorsa, come petrolio, le vie
di comunicazione e di commercio, ostacolato da una parte dal tiranno di
Baghdad, dall’altra dagli assurdi provvedimenti di embargo decretati
nell’ignoranza della reale situazione della regione irachena? Per
questo occorre andare al di là della semplice cronaca e della doverosa
e necessaria informazione, per effettuare un'analisi storico-politica più
approfondita del fenomeno Kurdistan. Domandarsi chi sono i Curdi e
cercare una risposta è già di per sé un segno importante di rispetto,
democrazia e civiltà da parte di un popolo come quello italiano che
dolorosamente conquistato la propria libertà verso un’altro popolo
che da secoli la agogna senza averla ancora ottenuta.
Legge
185: non un appello, una pretesa
di VAURO
Centottantacinque è il numero di una legge del 1990. Dietro
quel numero il tentativo modesto, sicuramente insufficiente, di regolare
con controlli e limitazioni la produzione e il commercio di armi nel
nostro paese. Una legge che fosse veramente civile bandirebbe produzione
e commercio di questi strumenti di morte. Un paese veramente civile si
farebbe portavoce del valore della vita umana nella comunità
internazionale. Così non è, la 185 è solo un appiglio legale per
inserire delle regole in un mercato che regole non accetta, quello della
guerra, e che cerca lo smantellamento anche di questa normativa. Con il
decreto legge 1927, basato su un accordo soprannazionale sulla
cooperazione nella produzione di armi, e che porta la firma anche di
autorevoli esponenti del centro sinistra come Minniti, le poche, e per
questo ancora più importanti, regole etiche sulla produzione di armi
verrebbero a cadere. L'Italia è al quinto posto mondiale tra i paesi
produttori di armi e potrebbe così ambire a scalare a più alti livelli
in questa graduatoria della barbarie. E chissà, forse in Turchia,
riprendere la produzione di quei simpatici oggettini che tanto hanno
fatto apprezzare il made in Italy nel mondo, le mine antiuomo. Mi è
capitato, anche recentemente, di vedere gli effetti delle armi sulla
carne umana. E' come testimone delle mutilazioni, della morte,
dell'orrore che voglio con queste poche righe non lanciare un appello,
ma un grido che vuole essere una pretesa: pretendo che Minniti ritiri la
sua firma dal ddl 1927, si scusi pubblicamente di avervela apposta e
pubblicamente denunci gli effetti tremendi che la modifica della 185
comporterebbe; pretendo che chi fa i girotondi per la legalità metta al
primo posto la legalità dei diritti dell'uomo difendendo la 185;
pretendo che gli uomini e le donne di cultura, di arte, di spettacolo
parlino, denuncino come un attentato terroristico alla civiltà la
liberalizzazione della produzione e del mercato delle armi; pretendo che
per i partiti, le organizzazioni sociali e politiche la difesa della 185
divenga una priorità discriminante. Lo pretendo perché ne ho diritto.
Me lo ha dato un bambino di dodici anni, si chiama Massud, vive ad
Hanaba in Afghanistan, nell'ospedale di Emergency, una mina gli ha
portato via una gamba e un occhio, forse era italiana, come me, come
noi.
Safiya
Vi proponiamo uno stralcio
della lettera inviata da Ettore Mesina agli amici che si sono impegnati
nella campagna di solidarietà per salvare dalla lapidazione Safiya.
Le notizie sembrano finalmente buone. Nel corso di una importante
riunione internazionale, il presidente nigeriano Olosegun Obasanjo ha
detto: “Safiya ha presentato appello e sulla base di questo appello ci
aspettiamo che si farà giustizia; una giustizia che rallegrerà i cuori
di quanti l’hanno chiesta per lei, ma rallegrerà tantissimo anche
me”. “La società nigeriana è maschilista e sciovinista – ha
aggiunto Obasanjo – e una società non si cambia in una notte. Ma
dobbiamo cominciare a lavorare per cambiarla e rompere certe regole
sociali”. E allora? Come ricorderete, il processo in appello a Safiya
sarà celebrato il 18 marzo ed io credo che nonostante le parole del
presidente nigeriano, il calvario di Safiya sarà più breve se
continueremo la nostra pressione sull’ambasciata nigeriana, inviando
ad essa (e non a me!) la nostra richiesta di salvezza per quella
poverissima donna. Ricordo che le lettere in tal senso - anche
brevissime (per esempio. “salvate Safiya!”) - vanno firmate con nome
e cognome (comprensibili) e l’indirizzo del mittente. L’indirizzo
dell’ambasciata nigeriana è: via Orazio 18, 00193 Roma. Queste nostre
vigilanza e pressione sono tanto più importanti in quanto potrebbe
esserci l’eventualità di una conversione della pena. E’ accaduto
così nel caso di Abok Alfa, la ragazza sudanese condannata alla
lapidazione per lo stesso “reato”: La condanna è stata cassata
perché (ufficialmente) la sharya non si applica ai non-musulmani e Abok
è cristiana, ma la giovane è stata processata per reati minori e
condannata a 50 frustate: il che, temo, non è stata “giustizia” ma
una specie di compromesso fra autorità nazionali e corte islamica. Abok
è una ragazza e (forse) ha potuto sopportare senza danni gravissimi un
supplizio del genere; se toccasse a Safiya (che ha fra i 30 e i 35 anni
ma sembra una vecchia) quali sarebbero le conseguenze per lei? Dunque
tornate a scrivere e fate scrivere all’ambasciata nigeriana. Il
giornalista della RAI Leopoldo Innocenti è riuscito a intervistare
Safyia: Safya gli ha detto, fra l’altro: “Io non so dove sia
l’Europa e nemmeno l’Italia ma mi hanno detto che persone di quei
posti mi hanno aiutato. Ringrazio tutti. Auguro a tutti prosperità
perché grazie anche a loro forse avrò salva la vita”. Ha detto
ancora: “ho subìto angherie e boicottaggi. Spero che questo non sia
successo invano”. Inviandovi quello che penso sarà il mio ultimo
messaggio su questo tema – penso che il 19 marzo tutti i mass-media
daranno notizie dell’esito dell’appello - mi permetto di
sottolineare la bellezza dell’esperienza che abbiamo vissuto insieme:
non dobbiamo mai rassegnarci al senso di impotenza che talvolta ci
coglie, se siamo capaci di stringere le mani di altre donne e altri
uomini che come noi credono nella necessità della solidarietà,
possiamo diventare una forza viva. (Ettore Masina)
NO
NEWS
(le non-notizie di Carta (www.carta.org), in edicola dal 7 al 13 marzo)
Movimenti
multipli
La non notizia di questa settimana è che, mentre centinaia di migliaia
di persone marciavano a Roma con le bandiere dell'Ulivo e dei Ds, a
Bologna si teneva una grande assemblea nazionale dei forum sociali. Nel
nuovo numero di Carta raccontiamo diffusamente discussione e prospettive
del movimento antiliberiste, così come lo strano sciopero della
cooperazione sociale napoletana, le prossime proteste della scuola
contro Letizia Moratti...
Haiti,
l'isola senza alberi
Questa, poi, è una Non Notizia con le maiuscole. Haiti, il paese più
povero, disperato, senza democrazia dell'intera America, e oltre. Un
grande fotografo, Danilo De Marco, ci è andato, ha scattato le sue
splendide immagini e ha parlato con il leader della rete di
organizzazioni contadine che resiste al terrore del nuovo dittatore,
l'ex padre salesiano Aristide. Un reportage che non potreste leggere da
nessuna altra parte, senza esagerazioni. In Carta settimanale in arrivo.
Come
va Carta?
All'assemblea di Bologna e ovunque vadano redattori di Carta, si
sentono rivolgere questa domanda, con una sollecitudine affettuosa. Noi
rispondiamo: stiamo nuotando controcorrente e con vari pesi addosso, ma
siamo ancora a galla. L'allarme sulla nostra situazione economica ha
suscitato: un'ondata di lettere, molte delle quali pubblichiamo nel
settimanale; un buon aumento degli abbonamenti, che per noi è
essenziale, visto che si tratta di un flusso finanziario costante;
segnali di miglioramento delle edicole, perché molti lettori cercano di
essere più costanti nell'andare, giovedì e venerdì, in edicola; un
discreto aumento di persone o associazioni [come Roba dell'altro mondo,
centrale del commercio equo] che decidono di diventare soci della nostra
cooperativa. Cominciamo a pensare di potercela fare, con il vostro
aiuto. Scriveteci [carta@carta.org], diteci le vostre opinioni, dateci
dei suggerimenti: Carta si fa insieme, o non si fa.
ZOOM
ASSOCIAZIONI
19^ Mostra Internazionale d'Illustrazione per
l'Infanzia e...
L'Associazione "Cerchio magico" di Soave (VR) segnala: Le
Immagini della Fantasia 19^ Mostra Internazionale d'Illustrazione per
l'Infanzia. Treviso - Casa dei Carraresi - 2 marzo - 7 aprile In questa
edizione si potranno fare... "Quattro passi nella storia di
Pinocchio" e giocare, tutte le domeniche, in piazza dei Signori
(ore 11-13 e 14.30 - 17) con spettacoli di teatro di strada. Tel. 0422
513150 La Mostra resterà chiusa nei giorni 31 marzo e 1 aprile.
Inoltre: "Da Pinocchio a Harry Potter" a Brescia 19 e 20
aprile 2002. Tutte le notizie utili e piacevoli cliccando: http://web.tiscalinet.it/avisco
«C'è
mondo fuor di queste mura...». Diapo-Rassegna dedicata a Walter
Pedrotti
La VI Circoscrizione di Verona, il CENTRO TERRITORIALE PERMANENTE
PER L'ISTRUZIONE E LA FORMAZIONE IN ETA' ADULTA, il DISTRETTO 29 -
SCUOLA " G. CARDUCCI " VERONA, curato del circolo Legambiente
Fagiani nel mondo, promuovono la Rassegna di diapo-racconti di viaggio
per conoscere paesi e culture di altri mondi " C'è mondo fuor di
queste mura…" (dedicato a Walter Pedrotti). 21 Marzo 2002
Pakistan: da Gilgit a Kashgar lungo la Karakorum Highway di Agostino
Mondin e Cristiano Tedeschi; 28 Marzo 2002 Eritrea - Etiopia: le terre
dei Negus di Andrea Semplici; 4 Aprile 2002 Palestina: viaggio in una
terra troppo promessa di Stefano Chiarini; 11 aprile 2002 "Saharawi:
un popolo dimenticato nel deserto algerino" di Susanna Ureni; 18
aprile 2002 - Nicaragua: dal lago Cocibolca al Rio San Juan… Viaggio
nell'Acqua di Sandro Campagnola e Federico Carazzolo. Tutti gli incontri
inizieranno alle ore 20.30 presso la scuola "G. Carducci" Via
Betteloni, 21 Verona - tel. 045525551. Ingresso libero.
FEVOSS
di Verona: «C'è bisogno di te e del tuo volontario servizio»
Nel reparto di lungodegenza del presidio Ospedaliero di Marzana, c'è
bisogno di te! C'è bisogno di te, per fare un piccolo grande gesto di
umana solidarietà, come quello di imboccare un allettato o di aiutarlo
a compiere semplici movimenti riabilitativi. Ascolta il tuo cuore e, se
avverti il suo richiamo compassionevole, offri la tua personale
disponibilità a chi ti sta cercando per una nuova e nobile missione.
Telefona alla sede centrale della FEVOSS (Tel.045/8002511) per
incontrarti con i volontari che risponderanno a ogni tua domanda. AGLI
STUDENTI GIOVANI E STUDENTI IN ATTESA DEL SERVIZIO MILITARE SE AVETE
DECISO DI SVOLGERE "SERVIZIO CIVILE" RIVOLGETEVI ALLA FEVOSS
VI DARA' TUTTE LE INFORMAZIONI NECESSARIE. GENITORE HAI FIGLI CHE DEVONO
SVOLGERE IL SERVIZIO MILITARE? SE HANNO DECISO PER IL "SERVIZIO
CIVILE" RIVOLGITI ALLA FEVOSS. FEVOSS, FEDERAZIONE DEI SERVIZI DI
VOLONTARIATO SOCIO SANITARIO, VIA SAN NAZARO, 73 – VERONA, TEL.
045/8002511
Anniversario
della Liberazione
L’Associazione LAPIS - Associazione culturale e centro studi senza
scopo di lucro - ha organizzato per il giorno Giovedì 14 marzo alle ore
20.30 una riunione organizzativa, presso la sezione DS di Verona, Borgo
Roma in via Scuderlando 137, sul seguente tema: “Anniversario della
Liberazione”. La nostra Associazione, il cui scopo consiste nel
sensibilizzare, mediante iniziative culturali, le persone su
problematiche di natura politico-sociale, vuole essere un punto di
riferimento e di discussione per tutte quelle persone aventi una comune
radice cattolica nonché per tutte quelle persone che pur non
condividendo la nostra radice si rifanno a valori quali la solidarietà,
la democrazia, il pluralismo. In particolare, l’intento
dell’incontro di giovedì 14 marzo è quello di riscoprire e
rivalutare la festa della Liberazione del 25 Aprile mediante la
costituzione di un comitato civico tra tutte quelle associazioni che
aderiranno all’iniziativa. L’idea è quella di organizzare per il
giorno 20 Aprile un convegno avente ed oggetto la figura di Meneghetti e
per il giorno 25 Aprile una festa popolare, da tenersi nel parco san
Giacomo di B.go Roma, per riconfermare e rilanciare i valori sui quali
si è costruita la nostra Repubblica. Nella speranza di una vostra
partecipazione, vogliate gradire distinti saluti. Il Presidente, Prof.
Patrizio Del Prete (65@patriziodelprete.it)
Pax
Christi: dagli operai dell'industria bellica un monito da seguire
Tra le tante prese di posizione che in questi giorni la società civile
va esprimendo contro l’ipotesi di modifica della legge italiana che
regola il commercio delle armi (185/90), Pax Christi chiede di porre
grande attenzione all’Appello firmato da alcune lavoratrici e
lavoratori dell’industria bellica. Il testo si rivolge alle
rappresentanze sindacali affinché assumano una linea coraggiosa e non
ricada “di fatto e di nuovo, sui lavoratori dell’industria militare,
la responsabilità di collaborare a traffici di morte. Essi venivano
quanto meno parzialmente tutelati dalle limitazioni poste dalla
185/90”. Commentando la nota, Mons. Diego Bona, vescovo di Saluzzo e
presidente di Pax Christi ha detto che “queste parole meritano
un’attenzione tutta speciale perché provengono da persone che hanno
pagato anche di persona e si confrontano coraggiosamente con la propria
coscienza invitandoci a fare altrettanto”. L’appello chiede
sostanzialmente ai sindacati contribuire “individuare le vie più
opportune per la riduzione della spesa militare, della ricerca e della
produzione bellica, per difendere e semmai estendere le limitazioni alle
esportazioni di armi previste nella 185/90, per promuovere la
riconversione al civile della produzione militare (a partire per esempio
da quanto previsto proprio dalla L.185/90 e dalla rivitalizzazione
dell’Agenzia per la riconversione dell’industria bellica lombarda
istituita dalla L.R.6/94), per tutelare l’obiezione professionale alla
produzione militare, per dare ai lavoratori gli strumenti per opporsi
alla guerra, e a quella sua forma che oggi va sotto il nome di ‘guerra
permanente’, ed agire per la prevenzione dei conflitti e la diffusione
di una cultura di pace”.
Una
proposta alla Comunità di sant'Egidio e... abbonati a «Mosaico di Pace»!
Le riviste Missione Oggi, Mosaico di pace e Nigrizia, promotrici della
Campagna Banche armate e ora impegnate nella Campagna in difesa della
legge 185/90, hanno diffuso un comunicato stampa a seguito della
notizia, comparsa sul Corriere della Sera, che la Comunità di sant'Egidio
ha lanciato una Fondazione per la Pace che vedrebbe tra i suoi
sostenitori Finmeccanica - azienda specializzata nella produzione di
armi che conta tra i suoi marchi Alenia e Agusta - e alcune banche tra
cui la Cassa di Risparmio di Roma, l' IMI e la Compagnia San Paolo di
Torino, entrambe presenti nell'elenco delle "banche armate".
Le riviste denunciano che - dopo la smentita, giunta da parte del
portavoce della Comunità di sant'Egidio in merito alla presenza di
Finmeccanica nell' elenco degli sponsor - tra questi compaiono comunque
la Nestlè, Fincantieri, Monte dei Paschi di Siena e Banca nazionale del
lavoro, tutt'altro che esenti da responsabilità etiche anche in materia
di esportazione di armi. Pertanto il comunicato stampa rivolge il
proprio benvenuto alla Comunità di Sant'Egidio nella Campagna contro la
modifica della legge 185 a patto che anche i suoi sponsor vogliano
ufficialmente aderire alla medesima Campagna. Il testo integrale della
nota sarà pubblicato nel numero di marzo di Mosaico di pace e potrà
essere richiesto alla segreteria nazionale di Pax Christi. Abbonati a «Mosaico
di pace» (24 euro); Versamento su c.c.p. n. 16281503 intestato a Pax
Christi Italia via Petronelli, 6 - 70052 Bisceglie (BA).
DOSSIER
(Approfondimento segnalato da Paolo Veronese)
Baby
gang e false coscienze
di Gianfranco Bettin
Ecco una notizia che scomparirà presto dalle cronache del Nordest e,
ancor prima, dalla memoria di troppi abitanti della regione. Due
"baby gang" hanno a lungo spadroneggiato, soprattutto fra i
propri coetanei, terrorizzando con estorsioni, rapine, minacce e
violenze, fermate solo dai Carabinieri malgrado l'omertà e la paura che
seminavano intorno. Con l'accusa di associazione a delinquere sono stati
arrestati cinque giovanissimi e altri dodici sono stati denunciati,
tutti minorenni tranne due. Le baby gang - come le chiamano i media -
sono una di Legnano e l'altra di Bovolone, entrambe in provincia di
Verona, ma il loro raggio d'azione comprendeva le province di Brescia,
Como, Verona, Sondrio, Trento e Ferrara, e le vittime prescelte erano
ragazzini ai quali sottraevano soldi, vestiti, cellulari, motorini
eccetera.
Vale la pena di segnalare la notizia, e il suo prevedibile repentino
oblio, per ricordare una volta ancora la deriva dei processi educativi e
delle forme di socializzazione che in una delle regioni più ricche del
mondo sta da tempo avvenendo nella semi-indifferenza generale. I ragazzi
in questione - tutti di famiglie "normali" e "per
bene" (qualunque cosa ciò significhi) - non sono infatti che gli
ennesimi protagonisti di simili cronache, a conferma di una drammatica
caduta della capacità di formazione dei giovani che l'insieme della
società locale rivela ormai da anni, e di cui tuttavia si accorge solo
in concomitanza di episodi eclatanti (anche peggiori di questo). Episodi
che hanno per protagonisti, o per vittime, i più giovani (si tratti di
comportamenti distruttivi o di altri, di solito passati sotto silenzio,
di tipo autodistruttivo: suicidi, suicidi mascherati, derive
esistenziali di diversa natura eccetera).
Di fronte a episodi come questi qualcuno dirà che si tratta di casi
isolati e dunque trascurabili, oppure che vi si mostra una generica
"crisi dei valori", impossibile da fronteggiare localmente e,
dunque, senza precise responsabilità. Altri invece ricorderanno quanti
giovani, nel Nordest, "fanno volontariato" e ne ricaveranno
una consolazione e una mistificazione, e cioè penseranno che la virtù
di alcuni riscatta le colpe di altri e l'indifferenza di tanti, specie
degli adulti, senza vedere che l'accusa di incapacità educativa
proviene spesso proprio dalla parte più consapevole e meno corriva di
quel volontariato (anche se non è tutto oro ciò che riluce, in questo
campo: proprio della controversa realtà del volontariato d'oggi si
parlerà, con don Luigi Ciotti, a Thiene martedì sera alle ore 20.30 al
padiglione di via Vanzetti). Anzi, questo approccio sincero e capace di
fronteggiare lucidamente le drammatiche contraddizioni della società
locale, viene quasi solo dalla quella parte. Intanto, una sinistra
troppo spesso culturalmente pavida è ancora attardata a discolparsi di
qualche parola un po' più radicale sfuggita a Rutelli (su certi
"padroncini razzisti") o a prendere le distanze da analisi
"troppo critiche" per non spaventare i "moderati"
(cioè i veri responsabili - nella loro ipocrisia e nella snaturata
scala di valori sostanzialmente professati - delle peggiori derive che,
in ogni campo, segnano questa regione).
L'Arena
- Sabato 9 Febbraio 2002
Sgominate due baby gang di Bovolone e Legnago
Un solo maggiorenne tra i 17 ragazzi nei guai per una ventina di
estorsioni
Taglieggiavano i clienti di bar e discoteche per farsi consegnare
cellulari, giubbotti e soldi
«Dateci quello che chiediamo, non ci fa paura andare in galera tanto
quando usciamo ve la facciamo pagare». Frasi da delinquenti consumati,
di quelle che si sentono nei film. Anche loro erano noti con il
soprannome («er patata», «il milanese» e «zippo») e dettavano
legge, anche usando coltelli a serramanico se doveva servire a
convincere le vittime a consegnare denaro, cellulari, giubbotti e in un
caso anche le scarpe, un paio di Nike nuove.
Eppure solo uno dei diciassette componenti della banda di taglieggiatori
sgominata è maggiorenne: gli altri sono tutti ragazzini tra i 15 e i 17
anni. Più o meno la stessa età delle loro vittime: almeno 25 quelle
accertate dai carabinieri che l’altra notte hanno notificato una
ventina di provvedimenti ad altrettanti baby-estorsori sparsi in varie
province del nord, oltre che - ovviamente - nel Veronese. Per tre di
loro c’è l’obbligo di permanenza in casa (misura restrittiva
equivalente agli arresti domiciliari), uno è finito in comunità e un
quinto, un extracomunitario, è in stato di arresto perchè si era
allontanato dal Comune in cui risiedeva nonostante fosse sottoposto
all’obbligo di dimora a Sondrio, ed è stato invece trovato a
Casaleone. Per tutti gli altri l’ipotesi di reato è associazione per
delinquere finalizzata a rapina, estorsione e tentata estorsione.
Due bande, una a Legnago e una a Bovolone, e un bilancio pesante che
potrebbe aggravarsi, soprattutto perchè non si esclude che il gruppo di
bulli con testa rasata, cappellino da baseball e bomber griffato possa
aver compiuto atti analoghi anche in altre province, con tutta
probabilità in quelle in cui vivono alcuni di loro: Ferrara, Trento,
Como, Brescia e Sondrio. Si chiama «Number One» l’operazione
condotta dai carabinieri di Legnago e coordinata dal capitano Alessandro
Manfredini. Prende il nome dalla discoteca che secondo le indagini
risulta essere il luogo di ritrovo abituale dei «gaber»: giovani che
stanno a mezza strada tra i punk e gli skinheads (uno dei baby estorsori
è stato denunciato in passato per istigazione all’odio razziale) e
che sono riconoscibili non solo per la testa lucida ma anche e
soprattutto per il bomber.
E proprio da un giubbotto e un cellulare rubati a Verona, in piazza Bra,
in settembre è partita l’indagine. Un’indagine difficile,
soprattutto per la paura da parte delle vittime a denunciare i soprusi,
la diffidenza che affonda le radici nel timore di subire poi
rappresaglie e ritorsioni per rapine di scarso valore: dieci, venti
euro, il cellulare o il giubbotto. Non era l’entità del bottino,
insomma, ad essere preoccupante ma piuttosto la sistematicità delle «richieste».
Che in qualche caso sono state accompagnate da minacce con coltello alla
mano. Una sorta di dipendenza psicologica che ha spinto una delle
vittime - l’unico maggiorenne - a diventare l’autista, colui che in
macchina portava gli estorsori in trasferta a Cerea e a Casaleone, fuori
dai locali abitualmente frequentati dai coetanei: bar, paninoteche e
discoteche dove entravano in azione. Strafottenti e sicuri di sé, al
punto che non hanno esitato a impaurire con minacce pesanti chi si
opponeva al taglieggiamento.
Ma poi qualcosa ha ceduto, e alla paura si è sostituita la
consapevolezza. Così in gennaio sono arrivate le prime denunce.
Mancavano i nomi: le vittime sapevano solo i vari soprannomi, ma ai
militari hanno raccontato come in alcune foto di gruppo appariva
qualcuno degli estorsori. E quelle immagini facevano bella mostra di
loro sul sito internet del «Number One». Quando l’altra notte i
carabinieri hanno iniziato a notificare i provvedimenti, allo sguardo
stupito dei genitori è seguito quello di sfida dei ragazzi indagati, la
maggior parte dei quali finita la scuola dell’obbligo ha iniziato a
lavorare come muratore o falegname. Ragazzi che appartengono a famiglie
normali, senza particolari disagi. Ragazzi che guardando gli addebiti
non sono riusciti a trattenere un sorriso di sfida. Da bulli. (di
Fabiana Marcolin)
L'Arena
Sabato 9 Febbraio 2002
«Vogliono possedere di più»
Legnago. «Che nella Bassa possano esistere e svilupparsi fenomeni di
questo tipo non mi meraviglia - commenta la psicologa Tiziana Martini -
Perché anche qui, come nel resto d'Italia, per non dire del mondo
intero, a prevalere tra i giovanissimi non è più il semplice desiderio
di possedere l'oggetto , ma di possedere quell'oggetto , quel qualcosa
in più che non tutti hanno e che una volta raggiunto è l'unico che fa
sentire davvero importanti». A dominare perciò non è più, come
accadeva fino a pochi anni fa, la logica della povertà e
dell'emarginazione, ma quella del benessere, del possesso esasperato,
dell'ottenere tutto e subito, senza fatica. «Non basta avere il
cellulare - continua Martini - occorre avere quel cellulare , di quella
determinata marca e naturalmente di ultimissima generazione. Meglio
ancora se invece di uno solo i telefonini a disposizione sono tre o
quattro, visto che ormai uno, bene o male, lo posseggono tutti. Lo
stesso vale per i capi di abbigliamento, le automobili, i motorini, gli
zaini e qualsiasi altro bene di consumo». Dello stesso parere anche
Lucia Zardin, insegnante alle scuole medie di Casette che rilevando come
«sia soprattutto lo spostamento dei valori ad aver provocato tutto
questo - sottolinea l'esigenza di intervenire fin dalla pre-adoloscenza
- con precisi programmi di prevenzione», mentre Giampietro Tiozzo,
preside del liceo Cotta punta il dito contro «la cultura del branco e
la scarsa consapevolezza da parte dei ragazzi del confine tra il lecito
e l'illecito». «E' un fenomeno inquietante- commenta a caldo il
sindaco Silvio Gandini- da tenere sotto controllo anche con l'attuazione
di una rete coordinata di interventi preventivi». (e.p.)
L'Arena
- Sabato 9 Febbraio 2002
«Amareggiato, non sorpreso»
Bovolone. «Amareggiato ma non sorpreso». È questo lo stato d’animo
che aveva ieri don Alessandro Bonetti, sacerdote che da tre anni lavora
con i giovani di Bovolone . «Posso pensare addirittura quali siano i
ragazzi coinvolti, visto che a quanto ne so le forze dell’ordine
lavoravano da tempo a questo caso», spiegava il sacerdote, «Purtroppo
già qualche mese fa si era avuto notizia di un pestaggio a scopo di
rapina avvenuto in paese: questa non è che una nuova dimostrazione che
qui la situazione è difficile. A Bovolone ci sono due tipi di giovani:
quelli che frequentano la parrocchia e quelli che stanno dall’altra
parte. Non ci sono vie di mezzo: e se si considera che il paese non
offre molto, soprattutto dal lato culturale, allora è chiaro che si
manifestano delle situazioni di disagio. Soprattutto da parte di ragazzi
che vivono in famiglie che danno loro tutto senza fatica, magari senza
avere molto tempo per seguirli; e che, se non vanno in parrocchia, in
paese trovano solo bar. Quella di Bovolone resta comunque della buona
gente e credo che se si riusciranno a coordinare le iniziative i
problemi, compreso quello della tossicodipendenze, potranno essere
affrontati con profitto». «Qui non ci sono precedenti in tema di
criminalità giovanile, se non un caso unico avvenuto qualche anno fa.
Questa storia della baby-gang, dunque, la ritengo un’anomalia rispetto
alla situazione generale» dichiara invece il vicesindaco e assessore al
sociale Giorgio Mantovani, «Negli ultimi dieci anni sono stati
realizzati impianti e sostenute le attività sportive ed è stata fatta
una forte prevenzione per quanto riguarda le dipendenze, pertanto
secondo me si tratta di schegge impazzite di un mondo giovanile che è
seguito e controllato». (lu.fi.)
L'Arena
Domenica 10 Febbraio 2002
Il pizzo era il prezzo della paura
Legnago. Le vittime erano più o meno le stesse. Settimanalmente
versavano un tributo a chi, senza violenze particolarmente gravi ma con
una determinatezza innaturale per un minore, garantiva una sorta di
tranquillità. E il pizzo diventava così il berrettino piuttosto che il
giubbotto, il cellulare - da cui estraevano la sim card per renderlo
pulito - piuttosto che qualche decina di euro. Trapela poco
dell’indagine conclusasi - per quanto riguarda il Basso veronese: ma
che non si esclude abbia risvolti a Brescia, Trento, Ferrara, Como e
Sondrio - sulle due babygang di Bovolone e Legnago, ma il quadro è
comunque sconfortante. L’atteggiamento di prevaricazione psicologica
su ragazzini in età scolare, in nome della superiorità garantita dalla
prepotenza e sfociata nella violenza, arriva ad essere preoccupante se
diventa un modus vivendi come quello dei 17 ragazzi individuati dai
carabinieri.
Ragazzi esuberanti ma nella norma, con famiglie normali alle spalle.
Niente bravate di ragazzi viziati, insomma. E non siamo nemmeno di
fronte a criminali incalliti (anche se alcuni di loro avevano precedenti
per rapina e istigazione all’odio razziale). Per i baby-estorsori con
cappellino da baseball, bomber e testa rasata pretendere qualcosa dai più
deboli era normale. Così come era normale minacciare, promettere
protezione in cambio di denaro. Poco, ma in maniera costante: una volta
alla settimana. Erano arrivati perfino a sfidare le vittime, un modo per
far capire loro che era meglio non fiatare, non dire, continuare a
subire i «piccoli» furti. Una sorta di regolamento di conti che doveva
avvenire nei pressi dell’ospedale di Legnago una sera di gennaio, e
quando chi abita nelle vicinanze ha visto passare le macchine dei
carabinieri a tutta velocità per «bloccare» quella che avrebbe potuto
trasformarsi in una rissa non ha pensato di certo che un gruppo di
giovani poco più che adolescenti stava ribadendo una sorta di «diritto»,
quello di spadroneggiare a danno di altri.
Le voci giravano da tempo in realtà, solo che nei tre mesi di indagini
è stata la sistematicità delle richieste violente a dare il tono a
quella che sembrava una semplice bravata. Il tono di un fenomeno
pericoloso perchè diffuso, esercitato quasi alla luce del sole perchè
la paura di venire scoperti era talmente lontana da spingere gli
estorsori a osare: «State attenti che se parlate sappiamo dove state e
vi veniamo a trovare». Già, chi parla è un infame e va punito.
Ma a partire dall’episodio di piazza Bra, quando due ragazzini della
Bassa vennero avvicinati e rapinati da altri coetanei e fino a gennaio
qualcosa era iniziato a trapelare, perchè le vittime tornavano a casa
senza telefonino, senza giubbotto, uno addirittura senza scarpe. Brutto
da dire ma nelle grandi città queste cose possono essere considerate
all’ordine del giorno, in un paese no. Prima o poi si viene a sapere
se qualcosa non va, ma non vuol dire che poi alla conoscenza segua
un’azione deterrente perchè un conto è dire ai genitori di essere
stato rapinato da un coetaneo un conto è raccontarlo ai carabinieri.
Un’indagine blindata per l’età delle vittime e per quella degli
estorsori che poi più o meno è la stessa a parte un caso, quello
dell’unico maggiorenne invischiato in questa storia, uno di quelli che
viene da fuori e che rappresenterebbe il punto di riferimento, quello
chiamato «il milanese». Blindata inoltre per la difficoltà di
movimento, per la diffidenza e l’omertà delle vittime che temevano
rappresaglie. Conquistare la fiducia di chi si sente oppresso non è
semplice ma le voci girano, le modalità stesse delle «richieste» non
erano segrete, i ragazzini venivano avvicinati fuori dalle sale giochi e
dai pub, dalle birrerie piuttosto che in discoteca. E anche i soprusi
venivano fatti «pubblicamente», forse perchè dovevano servire da
esempio, forse perchè così si garantivano una sorta di impunità: in
una sera fuori da un bar della Bassa ne hanno rapinati 8. Ma il muro si
è incrinato, per cinque il provvedimento è pesante: obbligo di
permanenza in casa o in comunità. Per gli altri una denuncia per
associazione a delinquere a scopo di estorsione. Pesante comunque. Non
sono ancora maggiorenni. (di Fabiana Marcolini)
L'Arena
- Domenica 10 Febbraio 2002
«Il disagio esiste, basta non girare lo sguardo dall’altra parte»
Legnago. Indifferenza, incapacità di capire i messaggi. È possibile
che papà e mamma non capiscano cosa accade ai figli? È possibile. È
successo. È successo ai genitori dei 16 minorenni delle due bande di
estorsori in erba e anche a quelli delle loro vittime. Indifferenza nei
confronti di un’adolescenza che forse non può essere diversa da
quello che è perché ai più grandi manca, o sarebbe meglio dire non
interessa o si ritiene non serva, capire il codice con il quale entrare
in contatto con loro per interpretare le richieste di aiuto, di
pericolo, di avversione a regole imposte, ma troppe volte non rispettate
da chi le impone. Una sorta di nonnismo parentale, quando il genitore
impone al figlio determinati atteggiamenti perché a sua volta gli sono
stati imposti, ma non è capace di rispettarli e scambia
l’autoritarismo per autorevolezza.
A Legnago, dal 1995 fra’ Tonino Pedrina sta facendo crescere una
follia che ha coinvolto adolescenti e adulti, genitori, figli,
imprenditori: persone. Corte Samuele, il centro di aggregazione
giovanile a San Pietro dovrebbe aprire in giugno. «Aprirà in giugno»,
sottolinea il frate, «ma è già aperto oggi. Era già aperto nei mesi
scorsi, quando abbiamo iniziato questo cammino per offrire ai ragazzi
una possibilità di incontro che sia fatto da loro e non solo per loro
dagli adulti».
Una follia Corte Samuele. Una vecchia casa di campagna dove
funzioneranno alloggi di accoglienza, biblioteca, bar pizzeria, campi di
gioco, sale di incontri. Un’impresa in cui sono stati versate
centinaia di migliaia di euro, senza contare le centinaia di ore di
lavoro gratuite dei volontari. Follia lucida: «Un centro di
aggregazione fornisce l’occasione a persone di incontrarsi», spiega
il frate. «Incontrarsi vuol dire parlare, comunicare, trovare strumenti
per capire, per capirsi, per imparare a capire».
E una pizzeria, un pub, un computer collegato a Internet possono
prendere il posto della famiglia? «No. Ma in un posto dove si ascolta e
si parla. Dove ci si sforza di capire possono emergere problemi e
nascere soluzioni. Corte Samuele è un laboratorio dentro il mondo, non
fuori. La vita è un condominio complicato dove non si possono separare
i problemi dei più piccoli e dei più deboli da quelli dei più grandi
e dei più forti. Corte Samuele è un posto fatto di persone»
sottolinea fra’ Tonino, «che prima di tutto vogliono incontrare altre
persone per quello che sono e non per quello che la moda vorrebbe che
fossero». (g.d’a.)
PAROLE
IN LIBERTA'
di Vincenzo Andraous
(vincenzo.andraous@cdg.it- Tel. 0382 3814417)
Vincenzo Andraous è
nato a Catania il 28-10-1954, una figlia Yelenia che definisce la sua
rivincita più grande, detenuto nel carcere di Pavia, ristretto da
ventinove anni e condannato all’ergastolo “FINE PENA MAI”. Da otto
anni usufruisce di permessi premio e lavoro esterno in art.21, da due
anni e mezzo è in regime di semilibertà svolgendo attività di
tutor-educatore presso la Comunità “Casa del Giovane “di Pavia. Per
dieci anni è stato uno degli animatori del Collettivo Verde del carcere
di Voghera, impegnato in attività sociali e culturali con le
televisioni pubbliche e private, con Enti, Scuole, Parrocchie, Università,
Associazioni e Movimenti culturali di tutta la penisola, Circa venti le
collaborazioni a tesi di laurea in psicologia e sociologia; E’titolare
di alcune rubriche mensili su riviste e giornali, laici e cattolici;
altresì su alcuni periodici on line di informazione e letteratura
laica, e su periodici cattolici di vescovadi italiani; ha conseguito
circa 80 premi letterari; ha pubblicato sette libri di poesia, di
saggistica sul carcere e la devianza, nonché la propria autobiografia;
“Non mi inganno” edito da Ibiskos di Empoli; “Per una Principessa
in jeans” edito da Ibiskos di Empoli; “Samarcanda” edito da
Cultura 2000 di Siracusa; “Avrei voluto sedurre la luna“ edito da
Vicolo del Pavone di Piacenza; “Carcere è società” edito da Vicolo
del Pavone di Piacenza; “Autobiografia di un assassino-dal buio alla
rinascita” edito da Liberal di Firenze; “Oltre il carcere” edito
dal Centro Stampa della “Casa del Giovane” di Pavia.
LA
TRASGRESSIONE
Quante volte ho sentito parlare di questo termine, di questo concetto,
di questa parola che fa paura e ci confonde. "Trasgressione",
"diversità", "disagio","devianza", ognuna
di queste parole ha un significato particolare, eppure tutte hanno un
comune denominatore; sono l'esatto opposto di conformità. Se ritorno
indietro con la mente, all'adolescenza che forse non é mai stata mia.
mi rivedo per il paese a strappare manifesti, a imbrattare falci e
martelli ad affiggere fiamme tricolori senza nulla capire di ciò che
facevo. Eppure dovevo farlo perché mi rendevo conto che in molti si
arrabbiavano. Quei molti che mi chiamavano "terrone", quei
molti che mi trattavano con distacco, quei molti che stavano innanzi e
io dietro. Così “trasgredire” ha illuso il cerbiatto di poter
liberarsi dalle fauci del lupo. Diverso a scuola, diverso dai compagni,
diverso in paese, fino a diventare diverso in famiglia. Diverso
nell'osservare, nel capire, nel non accettare.Un disagio strisciante
nell'esser ugualmente solo tra mille, ostacolo insormontabile l'iindiffrenza
più ancora della violenza. Una difficoltà estrema a conoscere,
elaborare e sapere. Ricordo ancora e mi fa male, l'abbandono della
scuola, la rabbia per le offese, per le umiliazioni, la ribellione e la
dissacrante unione dei cattivi, dei monelli, dei bambini banditi, fino
alla formazione della banda di minorenni. Le scorrerie e gli affronti
risolti in fretta. I soldi guadagnati sul ciglio della strada,
nell’incosciente spazio di uno sparo. E mia madre piegata dal dolore e
dalle tante ore a lavorare. L'età è scomparsa nel buio profondo della
pancia della balena, nel mondo sommerso delle colpe, nella follia lucida
che tutto ha distrutto, persino l'ultima volontà di un perdono. Oggi
sono un uomo che scrive e pensa, che cammina sulle ginocchia, distante
da quel mondo nemico e da Dio alla finestra, consapevole finalmente
d'esser stato io l'unico vero problema. Da qualche tempo in questa mia
ricerca, parlo e ascolto i giovani della Comunità, percepisco con una
tale empatia il disegno inconscio dell'esame ultimo per ottenere quella
speciale patente per vincere la solitudine. Nel silenzio di questa cella
mi chiedo come possa straripare tanta sofferenza in ragazzi di età
vicina al sole, Una sofferenza sorda che grida forte, e inutilmente li
proietta verso uscite d'emergenza per molti versi introvabili, e
comunque disseminate in questi labirinti esistenziali del disagio, a cui
nessuno presta attenzione. L'ombra lunga di questa nuova e antichissima
generazione è parte viva di quel reale attuale basato sui valori
dell’effimero, e bisogna infine farci i conti se non vogliamo, a
nostra volta, rimanere spezzati dentro. Io so bene di non poter
proteggere i giovani, di non poter sottrarli a ciò che li attende, ma
ripeterò all'infinito - dapprima a me stesso e poi a loro - che la
trasgressione nei rischi estremi è l'anticamera di quella devianza che
chiude il cerchio. Più in là ragazzi, più in là del nostro naso ci
sono tracce, orme e coordinate, affinché l'istinto non prenda il
sopravvento e si riesca a essere forti, assai di più di quella
maledetta catena che ci costringe. (11-2-1998)
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SORRISI
E CEFFONI
SanRemo
tutto da ridere
Inizia SanRemo... il festival della canzone italiana... e noi non
potevamo essere da meno, perciò che inizi il "Festivalon della
canson". La prima canzone, "i savoiardi", testo di Rosa
Pia Bonomi, rosapia.bonomi@libero.it, e musiche di Nazareno Baltimora,
un famoso cantautore che ha collaborato con artisti del calibro di Mogol
e Battiato; canta Mario Polenta (parente del Renga che partecipa a
SanRemo, una volta cantavano insieme, li chiamavano i "polenta e
renga"). Venghino siore e siori, è su http://www.bruscocartoons.com/
CANTASTORIE
di FRANCESCO MERLO
Ad Assago, al congresso della Lega, ha proclamato la propria
invincibilità, ma in piazza del Duomo a Milano il presidente del
Consiglio teme l’insolenza di un cantastorie di strada che lo dileggia
in versi sciolti e ne canta la vita fin da quando, «col vagito di
neonato / già assoldava un avvocato», e la illustra pure con grandi
tavole a fumetti, i famosi retablo degli artisti ambulanti. Ed è
davvero una sorpresa involontariamente burlesca, un accidentale ma
significativo capolavoro satirico, trovare, in coda alla richiesta di
trasferire il processo Sme lontano dall’ostile Milano, il nome di un
cantastorie siciliano, Franco Trincale, che ha composto 13 ballate su «don
Silvio Berlusconi / il padrone dei padroni». Eppure, è proprio firmata
dal presidente del Consiglio la descrizione di «tale Trincale Francesco
che si porta presso la piazza del Duomo ogni fine settimana per vendere
materiale diffamatorio, altresì arringando i numerosi presenti con
ulteriori diffamatorie prospettazioni». Ecco: le chiama «prospettazioni».
Invincibile ad Assago, Silvio Berlusconi è terrorizzato dalle
prospettazioni che Trincale esegue alla chitarra in piazza Duomo. A tal
punto che, nell’elenco dei soggetti politicamente pericolosi che lo
costringono, proprio nella sua città, a sentirsi in terra barbara come
Ovidio tra gli Sciti, accanto a Saverio Borrelli e ai manifestanti del
Palavobis, Berlusconi ha inserito appunto questo menestrello di strada,
Franco Trincale, 67 anni, nato a Militello, lo stesso paese di Pippo
Baudo. Da oltre vent’anni Trincale si esibisce in piazza Duomo, ai
piedi del sagrato, di tutto cantando e su ogni cosa moraleggiando, in
mezzo a un popolo che gesticola e grida con lui e più forte di lui, una
piccola folla di eterni fannulloni che si accende e si accapiglia sotto
lo sguardo giustamente tollerante dei vigili urbani e qualche volta
della Digos.
Ovviamente ogni tanto finisce pure a spallate, e una volta sono persino
arrivate la polizia e l’ambulanza: «Si deve altresì osservare -
prosegue l’istanza firmata da Berlusconi - che, come risulta dalla
nota allegata in data 10-2-2002, in stretta e diretta correlazione con
le esternazioni della magistratura milanese, sono accaduti in Milano in
piazza del Duomo fatti estremamente significativi per lumeggiare la
situazione dell’ordine pubblico».
E’ vero che il cantastorie sentenzia e sdottoreggia di politica e
giustizia, e dileggia, come ogni cantastorie, il potente di turno. Lo
aveva fatto anche con «Massimo, lo stanco navigatore / che alla
sinistra ha devastato il cuore». E prima ancora ha cantato Prodi, e
Andreotti, e Craxi... Ma Trincale ha cantato pure principesse e
briganti, le Torri gemelle e il matrimonio di Milingo, e anche Maria
Grazia «la picciotta catanisa/ che mannava storia vera / o corriere
della sera / pubblicava la primizia / e fu l’ultima notizia». E,
guardando scorrere i suoi sessantasette anni nello specchietto
retrovisore, si arriva alla sua canzone più famosa, quella «Ballata
del Pinelli», che gli costò pure un processo. Difeso, nientemeno, da
Umberto Terracini, Trincale fu assolto, e non perché la sua canzone
raccontasse la verità sulla morte di Pinelli, figuriamoci. Le canzoni -
spiegò Terracini - non devono raccontare la verità. Obbediscono ad
altre regole e possono essere condannate solo da un critico, da un
filologo, dagli Aldo Grasso e dalle Natalia Aspesi, o dalla giuria di
Sanremo. Invece l’invincibile presidente del Consiglio tratta le
canzoni di strada come fossero nemici politici: «Se io fossi un potente
- dice Trincale - prenderei un cantacronache come me, e lo pagherei per
farmi sbeffeggiare in piazza, per farmi prendere in giro». Insomma mai
Trincale aveva vissuto un’avventura così eccitante, e dunque adesso
si sente anche lui come Moretti, come la Ferilli e la Parietti, come
Benigni a Sanremo, anzi di più: «Un problema - e ride - di ordine
pubblico, come Che Guevara».
Si legge ancora nell’istanza di Berlusconi: «Si segnala altresì che
alle ore 14,30 circa, in una pausa dello spettacolo, una persona
iniziava a discutere animatamente con il Trincale. L’alterco
degenerava in una violenta lite che vedeva coinvolte altre persone del
pubblico. La rissa veniva poco dopo interrotta grazie all’intervento
di tre volanti della polizia di Stato. Una persona riportava lesioni
tali da rendere necessario l’arrivo di un’ambulanza che si
allontanava successivamente con il ferito a bordo». Aggiunge Trincale:
«Non dice però che quell’unico ferito ero io, e che non mi ero fatto
nulla. E chissà se sarò ricordato come il cantastorie che con uno
spettacolo mise in fuga da Milano Silvio Berlusconi, l’uomo cioè che
ha inventato la televisione commerciale, la politica-spettacolo, e
tollera Striscia la notizia ... Beh, non so se ringraziarlo o
preoccuparmi. Non vorrei che invece di andare via lui da Milano, alla
fine fossi costretto ad andare via io. Perciò vorrei dirgli alla mia
maniera che "se lei non ha fiducia in Milano / che pure dovrebbe
ringraziare / io che invece sono siciliano/ amo Milano e qui voglio
cantare"».
E’ tutta la vita che Trincale sogna di essere eversivo. Non che
insegua l’eversione da comizio, ma quella dell’artista che mette
sottosopra le anime e i linguaggi, che propone la deflagrazione del
mondo con una risata o con un pianto: «Gli devo, almeno, quest’illusione...
E dunque non smetterò mai più di cantarlo: "O signore, presidente
e padrone / la piazza non è la sua televisione./ Lei può farmi non
cantare alla tivù / al Costanzo Show o al Marameobubù / ma se non mi
fa cantar più nella via / allora uccide la democrazia"».
P .S. A tarda sera Franco Trincale ci ha mandato il lungo testo della
sua ultima ballata che ha intitolato «Girotondo degli avvocati».
Eccone i primi versi: «E’ così sconclusionato / questo testo che ha
firmato / che l’ha scritto un invasato / o piuttosto un avvocato». Ed
ecco gli ultimi due: «Cavaliere rinsavisca / chieda scusa e la finisca
Pensieri
@ltri
...
prima che sia troppo tardi
Se sei arrabbiato
con qualcuno, e nessuno dei due fa nulla per sistemare le cose... fallo
tu. Può darsi che oggi questa persona voglia ancora essere tua amica e
se non fai qualcosa, forse domani potrebbe essere troppo tardi.
Se sei innamorato di qualcuno, però questa persona non lo sa...
diglielo. Magari oggi anche questa persona è innamorata di te e, se non
glielo dici oggi, può darsi che domani sia troppo tardi
Se muori dalla voglia di dare un bacio a qualcuno... daglielo. Forse
anche questa persona vorrebbe avere un tuo bacio, e se non glielo dai
oggi, può darsi che domani sia troppo tardi.
Se ami ancora una persona che credi ti abbia dimenticato... diglielo.
Forse questa persona ha sempre continuato ad amarti, e se non glielo
dici oggi, forse domani sarà troppo tardi. Se hai bisogno
dell'abbraccio di un amico... chiediglielo. Magari lui ne ha bisogno
ancora più di te, e se non glielo chiedi oggi, forse domani sarà
troppo tardi.
Se hai degli amici che apprezzi veramente... diglielo. Forse anche loro
ti apprezzano, e se lasci che se ne vadano, o che si allontanino da te,
forse domani sarà troppo tardi. Se vuoi bene ai tuoi, e non hai mai
avuto l'opportunità di dimostrarglielo... fallo. Oggi sono lì con te,
e puoi ancora dimostrarglielo, ma se se ne andassero... domani potrebbe
essere troppo tardi.
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