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Grillo
Parlante 55/2002 PAZIENTI E IMPAZIENTI Appuntamenti da non perdere
In primo piano APOCALISSE E NATIVITA' A KOROGOCHO Gianfranco Bettin, prosindaco di Venezia, sociologo impegnato nella solidarieta', racconta in questo articolo una visita a padre Alessandro Zanotelli a Korogocho, la baraccopoli ai margini di Nairobi, in Kenia, in cui da molti anni il missionario vive ed opera. La donna arriva nel cuore della notte. Nessuno sta comunque dormendo. Alcuni ragazzi, ubriachi e fatti di colla sniffata, hanno fatto casino fino a poco fa, nei paraggi. Quando si sente bussare alla porta della baracca, padre Alex chiede chi e' e capisce subito che si tratta di un altro arrivo da Kybera, la baraccopoli sconvolta da giorni da una rivolta violentissima. Korogocho e' grande, e non manca di persone generose, pronte ad accogliere anche questa sfollata. Serve una coperta, pero', almeno quella. Alex fruga nella baracca in cui vive da dodici anni - tre stanze, una cucina, una specie di patio con un tetto in lamiera - e che adesso ospita anche noi, per qualche giorno, e infine una coperta la trova. Per questa notte, la donna in fuga, come le altre persone arrivate finora, avra' un riparo e un po' di caldo. Le notti sono fresche, infatti, anche adesso che e' primavera avanzata. A gennaio sara' estate, ma Nairobi e' pur sempre una capitale d'altopiano, a molti metri sul livello del mare (il piu' vicino e' l'Oceano Indiano, sulla ricca e stravolta costa orientale dell'Africa, paradiso dei fan di Malindi e di riciclati e riciclatori di ogni sorta). La differenza tra il giorno e la notte si sente: se durante il giorno fa caldo, o caldissimo, nelle baracche di fango, cartone e lamiera, quando il sole tramonta la temperatura puo' scendere bruscamente, anche nel dedalo di vicoli e stradine cieche, nell'immensa baraccopoli disposta a schiena d'asino sulla collina, che ospita un numero incalcolabile di persone. Nairobi avra' un milione di abitanti "normali", una piccola parte dei quali benestante, dislocata in centro - tra grattacieli di stampo occidentale - o nei blindati quartieri residenziali, ordinati e verdissimi, dall'aria coloniale e old style, come quello in cui la vecchia casa di Karen Blixen e' stata trasformata in un museo, dove non mancano, coi cimeli autentici della grande scrittrice danese che vi visse tra il 1915 e il 1931, le pacchiane reliquie del film multi-Oscar di Sidney Pollack con Meryl Streep e Robert Redford. A questo milione di fortunati e di poveri "ordinari", si affianca - anzi lo circonda - una massa di un altro paio di milioni, o forse piu', che vive nelle baraccopoli, alcune delle quali battezzatesi "Soweto", in onore dello slum sudafricano che fu teatro di una famosa rivolta. Le piu' grandi di queste baraccopoli sono appunto Kybera e Korogocho. Nelle baracche, qui, si paga l'affitto: deve essere uno dei pochi casi al mondo. Ci sono padroni anche negli slums, e del resto chi li abita, a differenza di molte altre realta' analoghe del mondo, non e' solo la componente piu' marginale della societa' locale. Al sottoproletariato, agli sradicati di ogni sorta, a coloro che praticano in mille modi l'arte di arrangiarsi, si affianca una massa di lavoratori industriali o di addetti ai servizi, gente che lavora quindi niente affatto ai bordi del sistema ma che non potrebbe pagare affitti normali e che, dunque, e' costretta a vivere nelle baracche. Le baracche consentono a costoro di restare in citta' e di lavorarvi, pochissimo pagati e ancor peggio trattati, e dunque hanno un ruolo chiave, strutturale, nel sistema sociale e nella realta' urbana di Nairobi. Il Kenya - "il pericoloso, decadente, saccheggiato e indebitato Kenya", come lo descrive John le Carre' nel suo ultimo romanzo, Il giardiniere tenace (Mondadori), una storia di delitti e intrighi di multinazionali farmaceutiche ambientata proprio in questo paese tragico e bellissimo - il Kenya e' un pezzo d'Africa insieme futuribile (nell'accenno di metropoli moderna che Nairobi e') e primordiale, selvaggio nelle sopravvivenze naturali, tutelate nei parchi e nelle riserve, a volte con misura e decisione, altre volte in modo velleitario e/o pacchiano. Cosi', se si va nelle grandi riserve e nei parchi immensi dove circolano i leoni e gli elefanti, le giraffe, le antilopi e i rinoceronti e tutta l'altra fantastica fauna che vi abbonda protetta, ci si sente un po' trepidanti, temendo di essere li' a far visita a una fragile reliquia d'altre epoche, o a una vecchissima nonna un po' male in arnese e che si potrebbe perdere da un giorno all'altro anche se, insomma, viene abbastanza curata nella clinica o nell'ospizio in cui si trova. Vite nel fango. Al contrario, il Kenya, l'Africa, che ti viene incontro quando entri a Korogocho o a Kybera o nelle altre baraccopoli e' forse un continente giovane o giovanissimo, un continente bambino addirittura, quantomeno affollato di bambini, poco o mal nutriti, poco o mal vestiti, poco o mal curati in ogni senso, se non da qualche eroe motivato. Come la protagonista del romanzo di Le Carre'. O come, nella viva realta', Alex, e con lui i fratelli e le sorelle di fede e tutti gli altri volontari che gli danno una mano e che lavorano a progetti per prevenire o curare o lenire (soprattutto) malattie - a cominciare dalla devastante Aids che implacabile miete vittime - a mitigare le sofferenze della poverta', a costruire orgoglio e dignita', e coscienza politica. Sono tutte attivita' e "missioni" cruciali nel lavoro di Alex Zanotelli, quanto la cura delle anime, in senso letterale vorrei dire, cioe' la presentazione e la spiegazione della Parola, legittimata da una piena condivisione della vita altrui. Che e' la vita delle baracche, del fango e della polvere di Korogocho, dei suoi stenti, della sua desolata poverta', delle sue tensioni strazianti e sconvolgenti, sempre sul punto di esplodere, come questa volta e' avvenuto a Kybera. Ogni sera, Alex porta questa Parola in una baracca dove celebra la Messa. Con paramenti poveri, ma ricchi dei colori piu' belli dell'Africa, accompagnato da strumenti musicali indigeni, in un kiswahili ormai sperimentato e fluente, raduna intorno a se' la famiglia ospitante e le altre che formano la piccola comunita' cristiana della zona (ve ne sono trentasei a Korogocho, dedite alla cura della comunita', anima e corpo, e all'ascolto della Parola). La forza della testimonianza politica di padre Zanotelli, ben nota, puo' forse offuscare il nitore del suo impegno di fede, ma basta vederlo all'opera tra queste baracche e questi vicoli affumicati, tortuosi, rischiosi, tra polvere, fango e rifiuti, per capire immediatamente che la dimensione di fede resta centrale - che e' il centro vero, per molti aspetti - del suo impegno. Eppure, cio' non riduce o depotenzia il suo concreto attivarsi in favore di chi ha bisogno e la portata direttamente politica del suo agire e parlare. Ci dice un ragazzo, un catechista, che "Alex e' molto importante per l'Africa", e che ogni volta che va alla televisione kenyana a parlare - ogni tanto gli capita - riesce a interpretare speranze e paure dell'intero continente. Gli spiace molto che debba tornare in Italia, il prossimo anno. Spera che padre Daniele, il giovane comboniano che lo sostituira', ne ripercorra i passi. Per capire il bisogno vertiginoso di conforto e di rivolta, basta ascoltare Thomas, che oggi ha perso due dita in un incidente di lavoro - faceva il falegname - che gli costera' anche il licenziamento. Che se ne fa la falegnameria di un uomo con qualche dito in meno? Thomas e' disperato, anche se e' circondato dall'affetto dei tre figlioletti e della giovane moglie in una catapecchia che, fra le poche, e' collegata, abusivamente, alla rete elettrica e puo' perfino far funzionare un piccolo antiquato televisore in bianco e nero. Questo minimo livello di benessere sara' spazzato via in poche ore dalla perdita del lavoro, e tutti lo sanno. Per questo sono come schiacciati da una sventura - e per questo, come puo', Alex cerca di confortarli (e di prestar loro concreto aiuto, anche). Le altre due ragazze che visitiamo stasera sono invece malate di Aids, come troppi qui e in tutta l'Africa, e la speranza sembra averle abbandonate da molto tempo - e avere solo il volto di questi volontari che hanno accettato di venire a vivere qui e di darsi da fare. Scuola, sanita', trasporti, tutti i servizi essenziali costano troppo per quasi tutti, in questo paese: ci si arrangia da soli, allora, o con l'aiuto di qualche strano eroe venuto da lontano. Anche le altre visite saranno di questo tipo, salvo quelle che ci portano alle sedi delle attivita' lavorative o di recupero (per bambini di strada o ex prostitute) promosse in questi luoghi impervi socialmente ed esistenzialmente, oltre che materialmente. Natale in discarica. "Ce n'e' sempre una", scherza Alex, che per questo non riesce quasi mai a giungere puntuale agli appuntamenti. Prima di arrivare alla baracca dove avrebbe tenuto la messa, ieri sera, ha girovagato a lungo, scoprendo ovunque - facendoci scoprire, per lui e' la norma - lo stesso carico di dolore, solitudine, ingiustizia. E, naturalmente, di rabbia che cresce, che monta, che esplode come a Kybera, o come nella provincia vicina, dove ci si e' ammazzati per il diritto a pascolare e usare l'acqua dei pozzi. O come nelle parole di due ragazzi, peraltro colti e riflessivi, niente affatto esagitati, che discutendo dell'11 settembre e dell'Afghanistan (i giornali locali riportano la notizia di arresti di presunti membri di Al Qaeda) ci dicono: "The Talibans? They are a very good men. Osama? An idealist". E' un'Africa apocalittica, quella vista da qui, che sembra fatta apposta per incupire ancor piu' l'immagine che ce ne siamo fatti in Occidente: un continente ormai perduto e moribondo, oscuro. Un'immagine che non piace affatto a uno dei principali viaggiatori e conoscitori occidentali dell'Africa, Ryszard Kapuscinski, che contesta questa visione nerissima e che, anzi, dichiara che la "prima cosa che ti colpisce dell'Africa e' la luce" (Ebano, Feltrinelli). E ha ragione, davvero. "Mount Kenya", dice l'hostess indicando fuori del finestrino. E' l'alba, appena spuntata, alle sei, ed esattamente di fronte a noi dopo una notte di volo si staglia l'ombra solenne e svettante, inconfondibile nel suo profilo frastagliato, della montagna piu' alta dell'Africa dopo il Kilimangiaro. Oltre l'ombra, il cielo si infiamma di luce viola rossa e gialla. La luce dell'Africa, che illimpidisce i cieli e gli orizzonti, e che fa sentire piu' atroce la sconfinata ingiustizia che illumina. L'Apocalisse attorno a cui riflettono le comunita' di Korogocho, insieme ad Alex, e' invece quella biblica, letta e discussa attentamente in questo periodo, con l'ausilio di interpretazioni come quella di Wes Howard-Brook e Anthony Gwyther (L'Impero svelato, Emi, con prefazione dello stesso Zanotelli). Una lettura che vede in questo "disvelamento" un manifestarsi della verita' intorno alla struttura del mondo contemporaneo, letto sullo sfondo, e con la chiave interpretativa, della vicenda di Roma imperiale. Apocalisse non come catastrofe totale, quindi, ma come crisi di quelle strutture di oppressione e di sfruttamento che sono alla radice anche della tragica condizione odierna di miliardi di uomini e donne. E di bambini e bambini e bambini, viene da dire, guardando alle strade e alle baracche di Korogocho, affollate di piccoli che ti vengono incontro ripetendo sorridenti - sempre sorridenti! - "How are you? How are you?" come un saluto e come una filastrocca. Bambini che quasi sempre vivono solo con le madri - spessissimo abbandonate dai padri dei loro figli e scacciate dalla stessa famiglia d'origine quando restano incinte - e che non di rado vivono da soli, e da soli si arrangiano. Ci sono solo quelli come Alex ad aiutarli, le scuole pubbliche costano troppo (le rette sono aumentate ancora, del 30 per cento, lo scorso anno, provocando un nuovo crollo delle iscrizioni, anche fra i ceti medi: cosi' restano sempre piu' spesso solo le opportunita' educative fornite dai volontari, o dalle scuole delle varie sette cristiane o musulmane che anche cosi' mirano a far nuovi adepti). Bambini ovunque, bambini soli, come le loro madri, perfino piu' sole queste ultime: nella baracca accanto a quella di Alex, che serve da centro di accoglienza per donne sole, un giovane artista di Korogocho, che si firma Moses K., ne ha dipinto sulle pareti la "via crucis", in parallelo a quella di Cristo, dal momento in cui restano gravide all'abbandono alla vita sulla strada, in prigione, e fino alla morte e - speranza e fede - alla resurrezione. Se ci sara' resurrezione, infine, nessuno puo' dire, anche se la fede che si vede all'opera qui, e che risuona nelle parole di uno come Alex, lascia scossi, sconcertati, felicemente e drammaticamente provocati. Quel che e' certo e' che, di sicuro, c'e' nativita', e non solo perche' nascono bambini comunque, di continuo, e neanche solo perche' e' Natale. Perche', piuttosto, in questo nesso tra Apocalisse - catastrofe e disvelamento - e Nativita' - rinascita e speranza, opportunita' - sembra imporsi ogni giorno di nuovo la sfida della vita, e quindi dei suoi diritti e della sua energia insopprimibile. La veglia di Natale di Korogocho quest'anno e' stata fatta sulla discarica - a "Mukuru" - dove ogni giorno migliaia di persone contendono agli uccelli rapaci e ai topi, e ai propri rivali umani, i rifiuti. Rifiuti da riusare, riciclare, rivendere, o di cui cibarsi. Col popolo della discarica, a mezzanotte, Alex ha detto, nella lingua di Korogocho e di tutta l'umanita' piu' consapevole "Mtoto Amezaliwa Yesu Amezaliwa Mukuru": un bambino nasce, Gesu' nasce, nella discarica. SOLIDARIETA' VOTA ANCHE TU ! La CNN sta effettuando un sondaggio in cui chiede se si debba o meno inviare degli osservatori internazionali in Israele e nei territori palestinesi. Legge 20 luglio 2000, n. 211 "Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti" pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 luglio 2000. Art. 1. 1. La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. Art. 2. 1. In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinchè simili eventi non possano mai più accadere. MASSMEDIA e TAM TAM vari SITI DA VISITARE
Immagini e métissage - Cinema e confluenze interculturali - Venezia, Videoteca Pasinetti, 22 gennaio – 26 marzo 2002. E’ uno sguardo, quindi un’analisi e un approfondimento, su quell’universo complesso e avvincente di contaminazioni, sincretismi, ibridazioni e ibridità, confluenze e mélanges, insomma métissages. La rassegna presenta una selezione di film – lungometraggi e cortometraggi di fiction e documentari - che interpreta attraversamenti e compenetrazioni tra codici culturali distinti, sconfinamenti e interferenze tra molteplici configurazioni di valori, comportamenti, modi di essere, nel contesto di un Mediterraneo storicamente ricco di feconde itineranze. La rassegna nasce nell’ambito del Master europeo in “Mediazione intermediterranea: investimenti e integrazione”, coordinato dall’Università Ca’ Foscari, Dipartimento di Studi Eurasiatici e si avvale della collaborazione del Comune di Venezia – Ufficio Attività Cinematografiche e anche dell’Associazione Veneziana Albergatori. Grazie inoltre alla Délégation d’action culturelle de l’Ambassade de France à Venise e all’Associazione culturale italo-francese/Alliance française è stato possibile organizzare un intervento del critico cinematografico André Videau alla presentazione della rassegna, il 29 gennaio prossimo, all’Auditorium S.Margherita (ingresso libero). Le altre proiezioni si svolgono alla Videoteca Pasinetti alle ore 16 e alle 21 di ogni martedì (programma e presentazione al sito www.unive.it/migrante ). L’ingresso alla Pasinetti è riservato ai soci (la tessera costa 13 euro). Oltre che agli studenti del Master MIM e ai soci ACIF. (Laura Cappellesso). Immagini e métissages E’ uno sguardo, quindi un’analisi e un approfondimento, su quell’universo complesso e avvincente di contaminazioni, sincretismi, ibridazioni e ibridità, confluenze e mélanges, insomma métissages. La rassegna presenta una selezione di film – lungometraggi e cortometraggi di fiction e documentari - che interpreta attraversamenti e compenetrazioni tra codici culturali distinti, sconfinamenti e interferenze tra molteplici configurazioni di valori, comportamenti, modi di essere, nel contesto di un Mediterraneo storicamente ricco di feconde itineranze. La rassegna nasce nell’ambito del Master europeo in “Mediazione intermediterranea: investimenti e integrazione”, coordinato dall’Università Ca’ Foscari, Dipartimento di Studi Eurasiatici e si avvale della collaborazione del Comune di Venezia – Ufficio Attività Cinematografiche e anche dell’Associazione Veneziana Albergatori. Grazie inoltre alla Délégation d’action culturelle de l’Ambassade de France à Venise e all’Associazione culturale italo-francese/Alliance française è stato possibile organizzare un intervento del critico cinematografico André Videau alla presentazione della rassegna, il 29 gennaio prossimo, all’Auditorium S.Margherita (ingresso libero). Le altre proiezioni si svolgono alla Videoteca Pasinetti alle ore 16 e alle 21 di ogni martedì (programma e presentazione al sito www.unive.it/migrante). L’ingresso alla Pasinetti è riservato ai soci (la tessera costa 13 euro). Oltre che agli studenti del Master MIM e ai soci ACIF. (Laura Cappellesso). INFORMAZIONI, RIFLESSIONI & OPINIONI OMAGGIO A PADRE DAVID MARIA TUROLDO L'intervista che segue è stata pubblicata dal mensile Nordest nell'ottobre 1985.Un messaggio di speranza e di pace. Due ottobre, ore 17.00. Incontriamo padre David nella casa di don Adami. Pensavamo di averlo finalmente tutto per noi. Invece è di là, affaccendato come sempre: articoli, interviste e incontri, sempre tanti incontri con persone che vogliono anch'esse accoglierlo, ascoltarlo, parlargli un attimo. Ogni volta così. Poi appare sulla soglia e ritroviamo improvvisamente un uomo di 69 anni, rughe e acciacchi gli scavano il volto. Eppure è ancora lui, la voce che rumina e tuona è la stessa, inconfondibile, e ci rinfranca. E' stata una conversazione tra amici, ci ha ascoltato con pazienza e parlato con franchezza. Non volevamo noi fargli pesare troppo il tempo con i nostri eterni problemi. Ma è grazie a uomini come lui se la speranza è ancora viva tra questi giovani che affollano il sagrato della chiesa di San Zeno per ascoltarlo. E ascoltare le poesie dalla sua viva voce, la stessa sera, non è stato facile, troppo forte la commozione e l'impatto con le nostre coscienze. Nessun grido, stavolta. Soltanto un canto, ora amaro ora dolcissimo, che redime il tempo e lo salva dall'usura degli uomini. Grazie, David. Perché poeti nel tempo della miseria? Che senso ha evocare/invocare la Parola quando le parole vivono pellegrine in una terra di nessuno? La parola è creatrice, la parola è virtù e potenza. Cristo è la parola vivente, non si può fare senza la parola. Anzi, è nel tempo della morte, nel tempo del silenzio, che è urgente la parola. Credo che sarà una parola a salvarci nella misura in cui è una parola vera e autentica detta nel tempo giusto, "opportune importune" dice la Bibbia, che opportunamente e inopportunamente sprona, richiama, sferza, grida. La voce che grida nel deserto è sempre stata leale. Anzi più si fa deserto, più è necessaria.......Sai, cosa - qui è necessario dire "la" parola, invece di molte parole. Qui è necessario arginare il fiume delle parola, cominciare per esempio a richiamare i politici a fare un discorso che sia identificabile, che sia verificabile, perché tutti i politici parlano e fanno lo stesso discorso: tutti parlano di pace e intanto ti fanno le guerre stellari; tutti parlano di giustizia e poi ti danno le stangate sui poveri e saranno sempre i poveri a pagare le tasse; parlano di socialismo e invece non c'è nulla di socialismo. Si tratta allora di riscoprire l'autentica parola contro il mare delle parole e quindi a maggior ragione è necessario il poeta, è necessario il profeta, è necessaria la voce che grida nel deserto. Anzi, senza di questo, siamo perduti! E' ancora tempo di monaci? Sì, anzi è sempre più tempo di monaci. Vedi, il monaco è contemplativo. Il contemplativo in antico era colui che possedeva uno strumento per misurare il valore delle cose. Questo strumento era come un quadrato e l'aruspice si concentrava nel centro che era attraversato da fasce di linee convergenti: era uno strumento per la concentrazione del pensiero. Poi, perché l'aruspice non fosse disturbato, ecco che allargano lo spazio e fanno su di lui una specie di riparo. Attraverso quello strumento egli veniva a conoscenza dell'altezza, della profondità, della larghezza, cioè della misura delle cose. La contemplazione è lo strumento per misurare il valore delle cose, il senso delle cose. Ho paura che noi abbiamo perso questo strumento della contemplazione e allora non sappiamo più misurare le cose. E così stimiamo importanti cose che non hanno invece alcuna importanza e consideriamo di nessuna importanza cose invece importantissime. Come dice Bonhoeffer, le verità ultime che diventano le penultime e le penultime che diventano ultime, e quindi è spostato tutto quanto l'asse della vita, ti copri di idoli e non hai mai il senso ultimo delle cose, il senso dell'assoluto. Il monaco è quello che ha (o dovrebbe avere) ancora lo strumento della misura delle cose, lo strumento della contemplazione. Si può essere monaci senza chiesa? Si capisce! Il monaco non è quello che ha o non ha una chiesa, il monaco è quello che cerca continuamente l'assoluto. Non è tanto quello che vive solo, perché io posso essere monaco nella battaglia - "Monacus in proelio et milis in castro" dice un detto latino, il monaco è quello che cerca il valore ultimo delle cose. Si chiama monaco perché ha solo Dio, non perché sta solo. C'è malessere nelle parrocchie e molti cristiani vivono ancora alla ricerca del senso ultimo delle cose, però fuori della Chiesa. Va bene, possono avere tante ragioni e comunque sono cose su cui riflettere, perché non tutti i praticanti sono credenti e non tutti i credenti sono praticanti. La fede non combacia mica con la chiesa, la chiesa non combacia mica con la fede, o comunque non la esaurisce. Ma può vivere un cristiano senza chiesa? Ma il cristiano è per se stesso uno che non sta bene finché non sta bene suo fratello. Il borghese invece, ideologicamente borghese, è quello che se ne infischia del fratello, basta che stia bene lui solo. Quindi uno è individualista e l'altro è comunitario. L'uomo stesso e comunitario, la vita è sempre un rapporto e tanto più un cristiano deve essere sempre più un comunitario, qualunque cristiano. Non confondiamo adesso il fatto chiesastico, che è un fatto storico preciso, con il fatto comunitario: sono due aspetti ben diversi. E' un segno dei tempi. Per me sono segni dei tempi il movimento per la pace, la liberazione della donna....Naturalmente vanno capiti, vissuti, interpretati. Anzi, vuoi che ti dica - saremo giudicati tutti sul crinale della pace e della giustizia, tutti, chiesa o non chiesa, tutti! Soltanto l'incoscienza può permetterci di vivere un po' tranquillamente. Tant'è vero che in uno scritto intitolato "Gufi come angeli - i gufi sono l'immagine dei monaci che vegliano nella notte: perciò i gufi hanno quegli occhi grandi, per vedere nella notte e avvertire gli uomini dell'imminente distruzione - dicevo: "O uomo, beata incoscienza ti assista!" Solo nell'incoscienza si può vivere tranquillamente sotto questi regimi politici criminali, come dice un documento della chiesa: gente che pensa alle guerre stellari, a sempre nuovi armamenti, quando ci sono tonnellate di tritolo per ogni individuo nel mondo; gente che consuma tutte queste forze, tutte queste ricchezze per la distruzione e sempre più spietatamente per uccidere, quando ci sono uomini che muoiono per fame, quindi consumando i beni che sono dei poveri. Ma queste sono follie! Queste sono criminalità! Soltanto l'incoscienza può permetterci di vivere tranquillamente. Anzi, io non accetto nessuna di queste politiche se non sono politiche di pace. E il movimento per la pace è il movimento più profetico che ci sia, è il campanone che suona e suona da tutte le parti. Perché io posso essere sì un cristiano, ma mi metterò sempre con quelli che cercano la pace, comunque, senza paura di strumentalizzazioni. Non c'è mai nessuno che sia così strumentalizzato come un cristiano, e nessuno come un santo.....pensa a Sant'Antonio! Per questo io non riesco assolutamente a pensare un cristiano che non sia per la pace, comunque e con chiunque è per la pace! Come hai trovato le poesie dei ragazzi di Monteforte che hanno partecipato al concorso di Desio? (vedi Nordest n. 7/1985) Sono molto contento di essere stato insieme con Spinella e Porta nella commissione incaricata di premiare le poesie per la pace in una manifestazione indetta dalla biblioteca comunale di Desio (Mi). E devo dire che abbiamo immediatamente concordato di dare il premio alla classe di Monteforte, perché siamo stati subito colpiti dalla levatura dei testi, dalla limpidezza, dalla coralità, veramente una cosa esemplare! E questo ci è parso come un fatto molto educativo. Anzi, è dalla scuola che bisognerebbe cominciare, a partire dalle elementari, direi quasi dal seno materno, a essere educatori della pace e per la pace. Ci siamo letti i testi scritti dai ragazzi con vera gioia e questo lo puoi dire ai tuo scolari. Ve ne ringrazio! La Rosa Bianca con Borrelli Nell’isola di Utopia, immaginata nel 1516 da Thomas More (Tommaso Moro), non sono assolutamente ammessi avvocati, perché le cause non devono venir trattate "con astuzia" o con "cavillose discussioni di legge". More era il più grande avvocato di Londra, la testa più acuta d’Inghilterra. Poi divenne primo ministro, infine martire della fede per mano del suo re, Enrico VIII. Scrivendo, con una notevole dose di ironia, della società buona immaginata sulla sperduta isola di "Utopia", More criticava la società del suo tempo e in particolare il suo sistema politico-giudiziario, dove le troppe e intricate leggi, e i raggiri dei furbi, impedivano di arrivare alla verità. Che direbbe oggi, di fronte al processo Sme-Ariosto, esempio luminoso e terrificante di raggiro da parte dei furbi? Di fronte all’avvocato-parlamentare Previti che è riuscito per anni a non presentarsi in tribunale? Di fronte al capo del governo Silvio Berlusconi che utilizza il ministro della giustizia per trovare tutti i cavilli di legge possibili per impedire che si svolga un processo nel quale lui stesso, Berlusconi Silvio, è imputato? Forse More dovrebbe constatatare amaramente che, cinque secoli dopo, sono addirittura aumentate l'arroganza e la spudoratezza.Berlusconi e Previti sono accusati di aver comprato dal magistrato Renato Squillante una sentenza in loro favore nella vendita della società Sme. Un'accusa gravissima. Ma invece di favorire il rapido svolgimento del processo per liberarsi al più presto dall'onta, lo bloccano utilizzando mezzi e parole che in un paese civile provocherebbero una sollevazione generale. Purtroppo la sollevazione non c’è. Storditi dalle televisioni, rimpinzati di benessere, gli italiani assistono allo scontro come ad una partita di calcio. Come se non fosse in gioco la loro libertà, il senso stesso della democrazia che ha il suo fondamento nell’uguaglianza di fronte alla legge. Qualcuno dice che la vicenda è troppo complicata. No, no, si capisce bene se si vuol capire. Tutto è terribilmente chiaro: chi ha il potere vuole impedire di essere giudicato. Perciò cambia le leggi (vedi rogatorie svizzere e diritto societario, primi atti del Parlamento), così certi processi a suo carico non si possono più fare; intimidisce i giudici e costruisce campagne di diffamazione a loro danno usando le televisioni di cui dispone; prende le distanze dal contesto europeo, che lo vincolerebbe a più rigorose norme in materia giudiziaria; si dichiara vittima di persecuzioni.Il potente si fa beffe della legge. Lui è la legge. Lui è il diritto, l’economia, la finanza, la pubblicità. Lui è il governo, il parlamento, la politica interna, la politica estera. Lui è la verità che ogni giorno diffonde tra il popolo battendo la grancassa mediatica. Questo è il funerale della democrazia. Il 17 febbraio prossimo saranno dieci anni dall’arresto di Mario Chiesa che inaugurò la stagione di Mani pulite. Triste anniversario se non sarà l’occasione per svegliarsi, per tornare a farsi sentire, scrivendo, protestando, togliendo la fiducia, se disgraziatamente gliel’abbiamo data, al nuovo padrone. Non passerà molto tempo che, come per gli anni di Tangentopoli, ci si vergognerà di questa stagione. Dei silenzi, delle complicità, delle vigliaccherie che hanno accompagnato i colpi mortali allo stato di diritto inferti dal nuovo padrone e dalla sua servitù. Anni dove si è continuato a vivere come sempre, come se nulla fosse, ciascuno facendo il suo mestiere, occupandosi dei suoi affari e dei suoi cari, come sempre accade nei più nefasti momenti della storia. Chi a studiare, e a curare libri e carriera, come tanti silenziosi professori universitari; chi a comprare e a vendere, come tanti imprenditori, per nulla sgomenti che l’imprenditoria al potere dimostri la sua massima capacità nel raggiro, e non nella competizione leale; chi a curare scuole private e otto per mille, in mancanza di concordati da firmare, come buona parte della gerarchia cattolica italiana, che considera un peccato di gioventù il proprio documento "Educare alla legalità", del 4 ottobre 1991, che anticipò Mani pulite e che sferzò la pigrizia e l’ignavia di tanti cattolici. Chini sul proprio particulare, si lascia che a sbrigarsela con i colpi mortali allo stato di diritto siano i giudici. Supplenti, ieri come oggi, di una società senza spina dorsale, capace di emozioni e indignazioni tanto passeggere quanto opportunistiche: basti vedere il tradimento verso Mani Pulite della Lega Nord e di Alleanza Nazionale, ma anche di una bella fetta della sinistra nella stagione infelice della bicamerale di D’Alema. Dieci anni dopo, è tempo di tornare eretti. Giustamente Saverio Borrelli, nel suo ultimo discorso da Procuratore generale, ha invitato a resistere sulla linea del Piave della legalità. Resistere, resistere, resistere, tre volte resistere. Di fronte a questo accorato appello, Thomas More di certo tirerebbe un respiro di sollievo: non tutto è definitivamente perduto. Giovanni Colombo e Vincenzo Passerini (Milano, 12 ottobre 2001: Giovanni Colombo è Presidente nazionale della Rosa BIanca e consigliere comunale di Milano; Vincenzo Passerini è consigliere provinciale del Trentino Alto Adige). I POLI TERRESTRI STANNO CAMBIANDO LA LORO RISPETTIVA POSIZIONE Vorrei farvi partecipare ad una discussione in corso su eventi che hanno mutato non solo la vita sociale, economica della società umana ma anche la geografica dei sui territori e la qualità della vita sul pianeta. Sembra infatti che non siano in corso solo grandi mutamenti nell'assetto strutturale della società come tale ma anche nell'assetto strutturale della Terra stessa. I cambiamenti climatici in corso, le anomalie stagionali, e le inversioni di tendenza del clima per molti sono da mettere in relazione con un fenomeno poco conosciuto ma che sembra essere avvenuto diverse volte nel passato: 'Lo spostamento dei poli terrestri', geografici e quindi anche magnetici. Gli scienziati hanno predetto lo spostamento dei poli fin da 1911 e quando Einstain venne a sapere di questa ipotesi disse: "Questa idea mi elettrizza. E' di estrema importanza per tutto ciò che è in relazine alla storia della superficie terrestre". In particolare il 31 maggio del 1986, P.R. Sarkar nel suo discorso inaugurale dell'associazione internazinale Rinascita Universale, ha parlato sul tema: "I poli si scambiano le rispettive posizioni". Con molta intuizione e acume intellettuale ha indicato che profondi cambiamenti dalle vaste conseguenze sono iniziati a livello dei poli terrestri. Questi cambiamenti avranno conseguenza profonde su tutte le forme di vita, sull'elettromagnetismo terrestre, sulla mente umana e sullo sviluppo di qualità spirituali. Il problema che con tale spostamento dei poli sono previste catastrofi geologiche di vasta portata in tutto il mondo e l'inizio di una nuova era glaciale. Questo è successo nel passato, ricordiamo i mammouth congelati in Siberia con vegetazione tropicale ancora nello stomaco, segni di ghiacciai sulle Ande del Centro America ... GENERALI: IN CINA, SCELTO UN PARTNER CHE ALIMENTA LA GUERRA IN SUDAN Mentre il mondo finanziario - imprenditoriale italiano saluta come un successo lo sbarco in Cina delle Generali assicurazioni, frutto dell’entrata del Paese nel WTO, la Campagna Italiana per la Pace e il Rispetto dei Diritti Umani in Sudan esprime preoccupazione e riserve. Il partner scelto dalle Generali per la joint venture è quella stessa China Petroleum impegnata in modo massiccio nell’estrazione del greggio in Sudan. Come è stato più volte sottolineato dalle maggiori ONG internazionali e dalla Chiesa sudanese, l’estrazione di greggio in Sudan è un fattore di inasprimento del conflitto in atto da quasi vent’anni nel paese, che ha già portato alla morte di oltre due milioni di persone. L’attività estrattiva fa in modo che siano sempre di più i profughi e i rifugiati e provenienti da quelle aree. Inoltre i proventi del petrolio vengono in gran parte utilizzati per l’acquisto di armi da parte del governo sudanese. La Cina è il principale fornitore di armi al governo di Khartoum. La China Petroleum è la principale impresa straniera impegnata nello sfruttamento del petrolio sudanese, detenendo il 40% dei diritti di sfruttamento dei blocchi di estrazione1, 2 e 4 e l’intera concessione del blocco 6. Nei mesi scorsi un ampio cartello di realtà europee impegnate in Sudan hanno dato vita all’iniziativa Peace first! con cui si chiede di fermare l’estrazione di petrolio fino quando non ci sarà rispetto dei diritti umani e pace. La Campagna Italiana per la Pace e il Rispetto dei Diritti Umani in Sudan invita pertanto Generali a chiedere garanzie al nuovo partner finanziario circa gli effetti sinora deleteri della propria azione in Sudan. La Campagna Italiana per la Pace e il Rispetto dei diritti umani in Sudan, promossa da ACLI, Amani, ARCI, Caritas Italiana, CESPI, Cuore Amico, Manitese, Missionari Comboniani, Nigrizia, Pax Christi, Raggio, dal 1995 sostiene gli sforzi della società civile sudanese per il raggiungimento di una pace giusta e duratura nel più grande paese africano. (Segreteria Campagna Sudan 02/29417030 segreteria@campagnasudan.it ). MINE: il terreno minato fa crescere i costi Ogni 20 minuti nel mondo esplode una mina. Le vittime sono 26mila l'anno, ma si contano mutilati gravi a decine di migliaia: il 30% delle mine determina la perdita di uno o più arti, per un totale di oltre 250mila handicappati. Gli ordigni anti-uomo hanno inoltre uno straordinario rapporto costo-efficacia: a parte i danni procurati, rendere inoffensiva una mina da 3-30 dollari ne costa tra 300 e 1.000. Eliminare gli oltre 100 milioni di mine ancora attive nel mondo, secondo stime Onu, costerebbe almeno 35-50 miliardi di dollari e richiederebbe, agli attuali blandi ritmi di sminamento, ben 1.100 anni. Infatti, malgrado le continue campagne contro la fabbricazione e l'uso, le 100mila mine rimosse ogni anno sono sostituite da altri 1,5-2milioni. I FONDAMENTI IDEOLOGICI DELLA GUERRA MONDIALE IN CORSO Per cercare di capire cio' che sta accadendo dopo l'11 settembre nel mondo, e quale sia in particolare il senso di questa guerra, per capire cio' che sta cambiando e cio' che non sta cambiando nella storia, vorrei tentare una strada, quella di esplorare le ideologie cui si ispirano i protagonisti, che sono il potere americano con i suoi alleati, impersonato da George Bush, e l'integralismo islamico, impersonato da Osama Bin Laden. Richiamando l'attenzione sui fondamenti ideologici della guerra, non intendo certo considerarli come la sua spiegazione adeguata. Il ruolo dei fattori economici e politici rimane in essa decisivo, ma l'esplorazione delle ideologie mi pare importante per capire il corso oggettivo della guerra ed il consenso popolare che la sostiene dalle due parti. Tale esplorazione dovrebbe permetterci di capire perche' grandi masse umane si stiano affrontando ed uccidendo, perche' nei due campi vi siano gruppi numerosi disposti a rischiare la vita per la loro causa. Ma questo apporto mi pare interessante anche per una ragione opposta: esso dovrebbe consentirci di cogliere non solo cio' che i combattenti dei due campi credono, ma anche le ragioni per cui essi non credono alle realta' che ad un osservatore esterno sembrano evidenti. Perche', in altre parole, analisi e valutazioni che ad un osservatore esterno sembrano evidentemente errate, possano contare su un consenso cosi' massiccio. Vogliamo cioe' riferirci alle ideologie nel loro duplice significato di illuminazione della realta' e di occultamento di essa. E' un problema epistemologico, dicevo, all'apparenza astratto, ma in realta' estremamente concreto perche' in questo e' uno degli aspetti piu' decisivi di questa guerra, ossia il consenso maggioritario col quale nonostante le stragi di innocenti che va perpetrando e' stata accolta da una parte e dall'altra. Problema quindi politicamente e tragicamente centrale: quello della complicita' delle vittime con i loro carnefici. Questo approccio costituisce inoltre la premessa da cui partire per affrontare la domanda a mio parere decisiva: e' inevitabile, come si afferma da tanto, sia in occidente sia all'interno dell'integralismo islamico, schierarsi da una parte o dall'altra? E' inevitabile, come si afferma in occidente, schierarsi con la democrazia o con il terrorismo, con la civilta' o con la barbarie? Oppure esiste una via alternativa? E in tal caso quale ne e' il contenuto positivo? Se poi come mi sembra evidente le due ideologie di cui siamo in presenza assolvono l'una e l'altra una funzione di occultamento e deformazione della realta', si impone la domanda: esiste un punto di vista sulla storia che consenta di avvicinarsi maggiormente alla realta', dissipando le nebbie dell'ideologia? Finalmente, l'esplorazione dei fondamenti ideologici della guerra e del consenso di cui essa gode, e' il necessario punto di partenza di qualunque strategia alternativa. Contestare la guerra significa in primo luogo sradicare il consenso popolare su cui essa poggia, e rafforzare il grido insurrezionale della coscienza mondiale contro di essa. Ritengo quindi che su questo tema dovrebbe essere richiamata con forza l'attenzione del Forum Mondiale di Porto Alegre. Tenteremo quindi di analizzare il punto di vista del potere nordamericano ed occidentale e il punto di vista dell'integralismo islamico, per poi interrogarci sulla possibilita' di un punto di vista alternativo. Il punto di vista del potere nordamericano e' evidentemente quello che domina il sistema politico ed informativo mondiale. Esso si esprime negli sforzi e nelle decisioni delle autorita' degli Usa, del governo e delle camere, degli alleati occidentali, della Nato, etc. Per quanto ci riguarda direttamente esso si esprime negli sforzi e nelle decisioni delle autorita' italiane, della presidenza della Repubblica, del governo e delle camere. Alle ragioni oggettive che certamente fondano questa scelta di campo, si aggiunge la convinzione che solo facendo proprio il punto di vista dei grandi sara' possibile per l'Italia sedersi oggi e domani al tavolo dei grandi, e sara' possibile al governo oggi in carica conquistare in Italia e all'estero la credibilita' che finora gli e' mancata. Questo punto di vista viene assunto ed argomentato da gran parte dei mezzi di comunicazione di massa degli Usa e dei Paesi alleati. Esso e' condiviso dalla grande maggioranza del popolo americano e dagli altri popoli occidentali, tra i quali il nostro. Ed e' questo largo consenso che consente alle autorita' di procedere con tanta sicurezza. Cio' che considero particolarmente importante e preoccupante, e' il fatto che questo punto di vista sia condiviso anche da quasi tutti i partiti e movimenti di sinistra, i quali hanno capito che solo allineandosi alle scelte del potere nordamericano ed occidentale sul tema della guerra e del terrorismo, come su quello della globalizzazione, potranno rimanere al potere nei loro paesi, o riconquistarlo se lo hanno perduto, anche se queste scelte provocano per la sinistra e per molti dei suoi militanti, una drammatica crisi di identita', un'angosciosa serie di interrogativi sul significato della loro militanza. Ma vogliamo esplorare un poco piu' da vicino il punto di vista del potere nordamericano nei confronti del terrorismo. Lo faro' prendendo come punto di partenza il discorso pronunciato da George W. Bush il 20 settembre, nel quale il presidente formulo' la sua dichiarazione di guerra al terrorismo e ne illustro' il senso. Molti commentatori hanno subito qualificato questo discorso come il piu' importante della presidenza Bush. La BBC lo ha considerato addirittura il piu' significativo di un presidente americano dopo la seconda guerra mondiale. Qualche aspetto saliente del discorso. Alla comunita' internazionale Bush rivolse un ammonimento categorico: in questa guerra non e' possibile neutralita', o con noi o con i terroristi. Peraltro sappiamo che Dio non e' neutrale. La definizione dell'obiettivo della guerra implica l'identificazione del nuovo nemico principale: nell'immediato esso veniva indicato nel milionario saudita Osama Bin Laden e nella rete terroristica internazionale che egli dirige e finanzia, Al Qaeda. Ma la guerra intende colpire tutte le organizzazioni terroristiche del mondo e i governi che le appoggiano. Bush caratterizza queste organizzazioni come una rete, termine che attribuisce loro una certa unita' e coordinazione mondiale, riconoscendo al tempo stesso che esse non sono facilmente localizzabili. Si comprende cosi' perche' questa guerra sara' diversa dalle altre, in cui il nemico era uno stato, o un insieme di stati chiaramente organizzati. Si comprende anche perche' sara' prevedibilmente assai lunga. In questo discorso Bush evita il termine crociata che aveva usato precedentemente, ma non evita di satanizzare il nemico. Si tratta per lui di assassini, eredi di tutte le ideologie assassine del secolo XX. Sacrificando vite umane per servire le loro visioni radicali, abbandonando tutti i valori eccetto la volonta' di potenza, essi seguono il cammino del fascismo, del nazismo e del totalitarismo, e seguiranno il loro cammino anche nel sepolcro della storia della menzogne fallimentari. Quale il motivo di un comportamento cosi' abietto? Bush non si preoccupa molto di approfondire una questione cosi' importante. La sua riposta e' assai semplice: la loro motivazione, oltre la volonta' di potenza, e' l'odio, l'odio della democrazia e delle liberta'. Essi odiano cio' che vedono in questa camera, un governo democraticamente eletto, ci odiano per le nostre liberta'. Sebbene Bush abbia escluso espressamente che il nemico degli Usa e dell'Occidente siano i musulmani, ed abbia evitato di caratterizzare la guerra come una crociata, la sua dichiarazione di guerra e la sua caratterizzazione etica del nemico, banda di assassini mossi dall'odio, dall'invidia e dalla volonta' di potenza, imprime alla guerra il carattere di un conflitto mondiale fra il bene e il male, che prolunga ed attualizza quello del secolo XX con il comunismo ateo, considerato il regno del male, un conflitto tra il bene e il male, tra la civilta' e la barbarie, la liberta' e il totalitarismo, nei confronti del quale tutti i popoli e tutte le persone del mondo sono chiamati a schierarsi. Proclamando poi che Dio non e' neutrale, Bush afferma solennemente che il punto di vista di Dio coincide con il suo, e con quello del potere occidentale. Questa convinzione permettera' agli strateghi della guerra di denominarla in un primo tempo giustizia infinita. In tale prospettiva quindi, il conflitto non e' solo etico, tra bene e male, ma e' anche religioso, tra Dio e i suoi nemici. La parola crociata e' scomparsa, ma la sostanza del suo significato rimane intatta. Nei confronti del terrorismo islamico e' esplosa unanime la condanna, non solo da parte degli Usa e degli stati occidentali ed arabi che hanno aderito alla guerra, ma anche di quelle minoranze che in tutte le parti del mondo, contestano la validita' della guerra come risposta al terrorismo. Solo quindi un atteggiamento settario puo' qualificare i fautori del rifiuto della guerra come conniventi con il terrorismo. Ma e' comprensibile la domanda che i fautori della guerra rivolgono a quanti ne contestano la validita': qual e' allora la vostra risposta al terrorismo? Il presupposto alla domanda e' molto chiaro: per rispondere al terrorismo altre vie diverse dalla guerra non esistono. Si tratta comunque di una domanda molto esigente, alla quale non possiamo certamente sottrarci, e che ci impegna a porre in atto un'ampia ricerca popolare partecipativa. Ma tale ricerca deve partire da una analisi approfondita del terrorismo islamico e delle sue ragioni. Infatti solo comprendendo la sua natura e la sua genesi potremo decidere come combatterlo con efficacia. I dirigenti nordamericani ed occidentali, non hanno finora compreso la vitale importanza di quest'analisi per elaborare una strategia adeguata di risposta. Per cogliere il senso che Bin Laden e i suoi seguaci attribuiscono alla loro lotta e' necessario partire dall'analisi che essi compiono della politica nordamericana e quindi dell'attivita' occidentale di cui essa e' l'espressione. Questa analisi si incentra su una vigorosa ritorsione del terrorismo contro gli Usa ed il loro complice principale, lo stato d'Israele. Gli americani ci accusano - dice Bin Laden - di essere terroristi. Ma sono loro i piu' grandi terroristi della storia. Ovunque volgiamo lo sguardo, vediamo gli Usa come leader del terrorismo e del crimine nel mondo. Gli Usa non considerano un atto di terrorismo lanciare una bomba atomica in un paese lontano migliaia di miglia. Quelle bombe sono state gettate contro intere popolazioni, comprese donne, bambini e anziani. E ancora oggi in Giappone rimangono tracce di quelle bombe Ma il terrorismo e l'imperialismo nordamericano che Bin Laden denuncia con particolare virulenza e' quello di cui sono vittime innumerevoli paesi islamici. Nei loro confronti l'imperialismo nordamericano rappresenta una fatidica incursione, essi sono vittime di aggressione militare, di sfruttamento e usurpazione economica, di attacchi all'egemonia e ai valori dell'Islam. E' chiaro, dice, che non esiste alcun dovere piu' importante che respingere il nemico americano fuori dalla Terra Santa. Non c'e' altro dovere dopo la fede che combattere il nemico che sta corrompendo la vita e la religione. Se non c'e' altro modo di cacciare il nemico tranne una mobilitazione collettiva di tutti i musulmani, allora i musulmani hanno il dovere di ignorare le insignificanti differenze che sussistono tra loro. Sono queste incessanti aggressioni perpetrate dall'imperialismo nordamericano ed ebraico, non la liberta' e la democrazia, che secondo Bin Laden generano nei musulmani risentimento e odio e quindi l'esplosione del terrorismo. L'ostilita' che l'America continua a dimostrare contro i musulmani ha avuto come reazione una crescita d'odio contro l'America e l'Occidente. Se il governo americano e' serio quando dice di voler fermare gli attentati all'interno del territorio degli Usa, allora che la smetta di provocare i sentimenti di un miliardo e duecento milioni di musulmani. Allora questa reazione non si puo' caratterizzare come antiamericanismo, ma come antimperialismo e piu' precisamente come antimperialismo islamico. Confrontando dal punto di vista degli oppressi e delle oppresse come soggetti alternativi, i due progetti storici che ho cercato di caratterizzare, mi colpiscono nel loro rapporto due aspetti che sembrerebbero contrastanti. Da un lato essi sono radicalmente opposti tra loro. Dall'altro presentano tra loro profonde affinita'. La contrapposizione tra i due progetti e' scontata, dato che essi ispirano i due campi nemici della guerra. Sorprendente e sconvolgente e' invece constatare la profonda affinita' tra i due nemici mortali e, chiamiamoli con il loro nome, tra i due opposti terrorismi. Constatazione che mi sembra importante anche per scoprire le vie dell'alternativa. Nella prospettiva di Bin Laden infatti gli aggressori diventano vittime e le vittime aggressori. Terroristi non sono piu' gli islamici ma i nordamericani. Difensori della liberta' e di giustizia infinita non sono piu' gli occidentali ma gli islamici mobilitati. Gli eroi e martiri della guerra non sono i soldati occidentali o i pompieri di New York, ma i giovani musulmani che sacrificano la vita per la causa, in particolare quelli impegnati in attacchi suicidi. I valori etico- politici chiamati ad affermarsi su scala mondiale non sono piu' quelli occidentali e cristiani, ma quelli islamici. Alla coalizione internazionale convocata dagli Usa e costruito intorno all'occidente si contrappone la comunita' degli stati islamici fedeli alla loro religione. La condanna non colpisce piu' gli stati che ospitano terroristi, ma quei paesi islamici che difendono gli Usa, che ospitano le loro truppe, che combattono al loro fianco contro altri paesi islamici e tradiscono quindi la loro religione. Il regno del bene diventa regno del male e viceversa. Dio stesso cambia campo passando dallíoccidente all'islam. Sono i musulmani e non piu' i nordamericani a dichiarare che in questa guerra Dio non e' neutrale, che "Dio e' con noi". D'altro lato si riscontrano tra i due approcci profonde e sconvolgenti affinita'. Gli uni e gli altri si considerano aggrediti e quindi vittime. Gli uni e gli altri si considerano impegnati a combattere il terrorismo. Gli uni e gli altri demonizzano il loro nemico e lo pongono come terrorista, come assassino, anzi come satanico. Gli uni e gli altri ritengono di essere difensori della liberta' e della giustizia contro gli oppressori, di rappresentare quindi il regno del bene e di essere in guerra contro il regno del male. Gli uni e gli altri pensano che l'attacco sferrato contro un membro della loro alleanza deve essere percepito da ciascuno come sferrato contro di lui e provocare di conseguenza la sua reazione militare. Gli uni e gli altri ritengono di stare combattendo una guerra giusta, anzi una guerra santa. Gli uni e gli altri perseguono per volere di Dio un progetto imperialista, l'instaurazione cioe' di un ordine mondiale egemonizzato dai loro valori. Gli uni e gli altri ritengono che il loro "destino manifesto" di egemonizzare il mondo, possa e debba prevalere sul diritto di ogni popolo all'autodeterminazione. Gli uni e gli altri ritengono che il fine da loro perseguito giustifichi tutti i mezzi, in particolare il ricorso alla violenza militare ed economica. Ritengono pertanto che sia giusto sacrificare alla causa anche le vite di tantissimi innocenti, comprese quelle di donne e bambini. Gli uni e gli altri pongono tutti i paesi del mondo di fronte a questo dilemma: o con noi o contro di noi, non vi e' alternativa. In una parola esiste un pensiero unico imperniato sul diritto del piu' forte, che accomuna il progetto storico occidentale e quello dell'integralismo islamico. Tra i due progetti imperiali allora e' inevitabile la scelta? Se i due progetti storici che si scontrano sono l'uno e l'altro imperialisti e terroristi non e' per nulla evidente che sia ineludibile la scelta di campo fra di essi. E' anzi ineludibile dal punto di vista degli oppressi e delle oppresse la necessita' di respingerli entrambi. Respingerli, ma in nome di che cosa? In nome di quale punto di vista? Di quale strategia? Di quale progetto? Al punto di vista degli oppressori dei due campi stiamo contrapponendo proprio il punto di vista degli oppressi e delle oppresse che emergono in tutto il mondo alla coscienza e alla dignita' di soggetti alternativi. Punto di vista che e' stato in realta' la nostra bussola in questa analisi e deve continuare ad esserlo nell'elaborazione della strategia. Punto di vista che fonda una cultura alternativa a quella dei due imperialismi, una cultura cioe' della nonviolenza liberatrice, di una nonviolenza intesa nel suo significato positivo e creativo, capace quindi di scoprire e valorizzare la forza del diritto, della verita', della giustizia, della solidarieta' e dell'amore. Capace quindi di scoprire e valorizzare le risorse intellettuali, morali e politiche degli oppressi e delle oppresse. Se quindi all'origine del terrorismo islamico vi e' l'immensa collera e la profonda umiliazione provocata dall'aggressione americana nei paesi islamici, e' evidente che scatenando nuove guerre contro paesi islamici non si sradica il terrorismo, ma lo si alimenta ed estende tragicamente. La risposta valida al terrorismo islamico e ad altri terrorismi antioccidentali, puo' consistere solo nell'estirpare le radici, cioe' il progetto e la pratica imperialista dell'occidente, nel porre cioe' le basi di una civilta' alternativa. Paradossalmente quindi la risposta valida la stanno dando i movimenti impegnati nell'elaborazione dell'alternativa alla globalizzazione neoliberale. Movimenti che il potere occidentale denuncia appunto come terroristi e che reprime violentemente. Ma nell'immediato il nostro compito prioritario e' quello di invertire la tendenza storica rafforzando l'insurrezione e la ribellione della coscienza popolare, che sta gia' scuotendo e sconvolgendo il mondo. Che sta sconvolgendo quel consenso che rende possibili le stragi perpetrate dal neoliberalismo e dalla guerra. Il terrorismo ci obbliga anzitutto a prendere coscienza piu' accuratamente della minaccia di morte che per la gran parte dell'umanita' e per la stessa madre terra, proviene non tanto dal terrorismo antioccidentale, quanto dal terrorismo scatenato dall'economia e dalla politica neoliberale. Peraltro l'insurrezione della coscienza popolare non ha come oggetto solo minacce di morte, ma anche potenzialita' di vita e di speranza. Vorrei in parte contraddire e in parte integrare il punto di vista a questo riguardo di Giulietto Chiesa. Questa presa di coscienza implica infatti, particolarmente per merito dei popoli indigeni, la riscoperta e la riaffermazione del diritto di tutti i popoli e di tutte le persone all'autodeterminazione solidale. Diritto la cui affermazione si contrappone frontalmente alla logica neoliberale, imperniata sull'autodeterminazione del capitale finanziario transnazionale. Diritto la cui affermazione si impone quindi come l'anima di una civilta' alternativa nonviolenta e di una strategia nonviolenta per costruirla. Ma l'insurrezione della coscienza popolare che siamo chiamati ad accendere, implica anche la scoperta e la valorizzazione delle risorse intellettuali, morali e politiche degli oppressi e delle oppresse di tutto il mondo per la costruzione di una nuova civilta'. Risorse troppo spesso ignorate, sottovalutate e persino soffocate dalle stesse organizzazioni popolari, dalle stesse organizzazioni di sinistra, vittime quasi sempre di quell'autoritarismo che denunciano nel sistema vigente. Autoritarismo della sinistra che a mio parere e' una delle ragioni principali della nostra mancanza di creativita' e delle nostre sconfitte storiche. Perche' su queste risorse e sulla loro valorizzazione si fonda la convinzione che ispira la nostra mobilitazione, che ci autorizza ad affermare che un altro mondo e' possibile. Solo ritrovando la fiducia nelle risorse inesplorate degli oppressi e delle oppresse, solo valorizzando a fondo queste risorse nelle nostre organizzazioni, nella nostra ricerca, nella nostra lotta, potremo affermare con fondamento che una nuova storia e' possibile, che una nuova storia costruita dagli esclusi e dalle escluse di ieri e' gia' cominciata. (*) Giulio Girardi è uno dei piu' importanti teologi e filosofi della liberazione. ZOOM ASSOCIAZIONI Corso di Formazione del Movimento Nonviolento Mercoledì 30 gennaio: MOHANDAS K. GANDHI: “La forza della Verità” Lunedì 11 febbraio: GIUSEPPE G. LANZA DEL VASTO: “Una vigna per vela” Mercoledì 27 febbraio: LEV TOLSTOJ: “La non-resistenza al male” Lunedì 11 marzo: MARTIN LUTHER KING: “L’efficacia dell’azione” Mercoledì 27 marzo: ALDO CAPITINI: “Il potere di tutti” Mercoledì 10 aprile: Don LORENZO MILANI: “L’arte della parola” Lunedì 22 aprile: ALEXANDER LANGER: “Tradire la propria parte” Tutti gli incontri si svolgeranno alla Casa per la Nonviolenza, in via Spagna 8 a Verona. L’iscrizione all’intero ciclo è di € 25,00. L’iscrizione ad un solo incontro è di € 5,00. Il numero degli iscritti è limitato a 40. Ai partecipanti verrà fornito materiale didattico. Al termine del ciclo verrà rilasciato un attestato di frequenza. Il Corso è coordinato da Mao Valpiana, Direttore della rivista Azione nonviolenta. INFO: Movimento Nonviolento - Via Spagna 8, 37123 Verona - Tel. 0458009803 - Fax 0458009212 - Email: azionenonviolenta@sis.it - Sito internet: www.nonviolenti.org 1° MASTER SULLA FINANZA DI FRONTIERA LOTTA ALLA POVERTA’ “1° MASTER SULLA FINANZA DI FRONTIERA” 10 POSTI RISERVATI AD ASSOCIAZIONI DEL SUD IMPEGNATE NEL MICROCREDITO. Partirà a Milano nel mese di Marzo 2002 il primo Master di specializzazione in Microfinanza, organizzato dal CIPSI, Coordinamento Nazionale che associa 30 ONGs di Cooperazione Internazionale, e dalla Fondazione Giordano dell’Amore, in collaborazione con le Facoltà di Economia di altre Università italiane e straniere. Rosario Lembo, Presidente del CIPSI ha dichiarato: "In un mondo in cui la Microfinanza è sempre più rilevante, con questa iniziativa vogliamo sostenere lo sviluppo di uno strumento che promuova attività produttive gestite direttamente dai protagonisti del Sud del Mondo, per contribuire in modo efficace alla crescita delle economie ancora oggi deboli a causa del debito estero e delle conseguenze della globalizzazione". L’idea di avviare il primo Master di specializzazione in Microfinanza nasce dall’esigenza di rafforzare un fenomeno in costante aumento a livello mondiale e dalla crescente necessità di formare quadri qualificati, sia al Nord che al Sud, nella gestione di crediti o Fondi Rotativi. Si tratta di un corso post-universitario con l’obiettivo di rafforzare le competenze professionali di chi, come operatore del mondo della cooperazione, si occupa di promozione di intermediari finanziari e della loro capacità di rispondere ai bisogni della popolazione nei Paesi in Via di Sviluppo, ma anche di coloro che nel Sud del Mondo intendono gestire direttamente strumenti di microfinanza. Nonostante i finanziamenti e le strategie messe in atto dalle principali Agenzie delle Nazioni Unite e da parte di molte cooperazioni, esistono ancor oggi nei Paesi in Via di Sviluppo segmenti della società civile che incontrano difficoltà di avvicinamento al mondo bancario cosiddetto "ufficiale" e che non hanno accesso ai "normali" strumenti finanziari. Si tratta di operatori di minore dimensione, sia urbani che in ambito rurale. E’ per questo motivo che nel corso degli ultimi anni sono venute crescendo forme di "intermediazione" particolarmente efficaci nel soddisfare le esigenze della clientela marginale: e tra queste rientrano gli intermediari operanti nell’ambito della microfinanza, cioè in quel segmento della cosiddetta Finanza di Frontiera che punta a consentire l’accesso al credito e la promozione di attività produttiva da parte di segmenti della società civile non toccati dal mondo bancario. Il Master, dal contenuto sicuramente innovativo, prevede una prima parte teorico-introduttiva che tratterà le maggiori strategie, gli attori e le teorie che giustificano il contributo dell’intermediazione finanziaria allo sviluppo. Il corso affronterà poi in maniera più specifica temi quali, l’Economia dello sviluppo e gli attori del processo di sviluppo, gli intermediari finanziari nelle economie in via di sviluppo e la cooperazione internazionale. Il corso prevede poi una parte pratica di stage che potrà essere svolta direttamente presso Agenzie internazionali e progetti di sviluppo realizzati da ONGs operanti nel settore della microfinanza e del microcredito. Il Master a carattere residenziale (5 mesi di permanenza in Italia presso la Fondazione Giordano dell’Amore e circa 45 gg di stage sul campo presso ONG che gestiscono progetti di microcredito) si svolgerà in lingua inglese, terminerà nel mese di novembre 2002, e prevede l’ammissione di 30 persone, di cui 20 residenti in Italia o Europa e 10 provenienti da associazioni e partners del Sud impegnati nella gestione di attività di microcredito. A fine corso a tutti i partecipanti che avranno superato gli esami verrà rilasciato un Master o attestato di specializzazione in Microcredito. L’ammissione al corso, che ha un livello post-universitario (Master), avviene sulla base di un bando e tramite l’invio di una scheda di ammissione, entrambi consultabili o scaricabili sui siti del CIPSI www.cipsi.it e della Fondazione G. Dell’Amore : www.fgda.org . Le candidature dovranno pervenire entro il 31 gennaio 2002. La documentazione potrà, inoltre, essere richiesta a: CIPSI tel. ++39 02 48703730; cipsi@cipsi.it - FONDAZIONE GIORDANO DELL’AMORE ++39 02 8135341 training@fdga.org "... anch'io a Kisangani!" "... anch'io a Kisangani!", azione internazionale nonviolenta di pace in Africa: 3 - 8 aprile 2002. Partecipazione al Simposio Internazionale per la Pace in Africa (Sipa 2) "Liberons la paix". Kisangani, Repubblica Democratica del Congo. Carissimi, Come vi avevo preannunciato nelle mie email precedenti, quest'anno siamo particolarmente impegnati come movimento Pax Christi a promuovere e a sostenere la costruzione di un "evento" di pace rivolto a tutta l'Africa, in continuita' con l'azione di pace dello scorso anno "anch'io a Bukavu" che ha dato come voi saprete risultati ampiamente positivi. Il nuovo progetto "anch'io a Kisangani" ha bisogno di uno slancio superiore a quello di "anch'io a Bukavu", proprio a causa del clima creato dal contesto di guerra dell'Occidente. Siamo in controtendenza: le torri gemelle e quel che ne e' seguito hanno monopolizzato tutto, ma noi continuiamo a fare storia mantenendo la solidarieta' con le vittime, tutte, anche quelle anonime e dimenticate e vogliamo tenere i fari dell'informazione e dell'attenzione internazionale accesi sui poveri. A Kisangani vorremmo che quante piu' persone possibili da tutt'Europa incontrassero i rappresentanti della societa' civile della regione dei Grandi Laghi per ascoltarli, affiancarli, farsene portavoce, dando anche alla nostra azione e ai nostri rapporti maggiore continuita' e concretezza. Partendo dalla situazione concreta dei Grandi Laghi e' come se tutta l'Africa ci interpellasse. Kisangani e' una citta' martire dove tutti gli eserciti si sono scontrati, al centro delle contraddizioni di tutte le parti attualmente in conflitto. Rimangono le difficolta', le incertezze, le precarieta' africane di sempre. Anche questa volta alla volonta' e alla determinazione, si contrappongono le condizioni di grande lacerazione della popolazione locale e la particolare difficolta' di comunicazione tra Kisangani e l'Europa. C'e' poi da aggiungere che anche quest'anno dipendiamo da una condizione logistica importante: a Kisangani ci si arriva solamente con l'aereo. L'aeroporto e' attrezzato anche per voli internazionali, ma e' chiuso da tempo per questi voli. Attualmente vi arrivano aerei privati da trasporto e gli aerei della Monuc (Onu). Mons. Monsengwo, l'arcivescovo di Kisangani, si e' gia' attivato per avere l'agibilita' politica per il Simposio Internazionale per l'Africa (Sipa 2). Per questo vi chiedo non solo di aderire, ma di farvi promotori in prima persona del progetto, partecipando magari al Convegno internazionale di Ancona "Dalla schiavitu' degli aiuti alla liberta' dei diritti" dal 22 al 24 febbraio prossimi e al Sipa 2 "Liberons la paix" a Kisangani dal 3 all'8 aprile 2002. GLI INCONTRI DEGLI AMICI DELLA BICICLETTA DI VERONA Prosegue anche quest'anno "VIAGGIANDO IN BICICLETTA NEL MONDO", la serie di proiezioni diapositive sul cicloescursionismo illustrate dai protagonisti organizzata dall'associazione "Amici della Bicicletta" di Verona. L'iniziativa è patrocinata dalla Commissione Cultura della Prima Circoscrizione del Comune di Verona e si pone l'obiettivo di far conoscere ai veronesi la pratica del turismo in bicicletta, da quello più "estremo" a quello per famiglie, fornendo degli spunti per trascorrere una vacanza originale, rilassante e in sintonia con l'ambiente.Questo il programma completo dell'iniziativa: PAROLE IN LIBERTA' (vincenzo.andraous@cdg.it - Tel. 0382 3814417) - Vincenzo Andraous è nato a Catania il 28-10-1954, una figlia Yelenia che definisce la sua rivincita più grande, detenuto nel carcere di Pavia, ristretto da ventinove anni e condannato all’ergastolo “FINE PENA MAI”. Da otto anni usufruisce di permessi premio e lavoro esterno in art.21, da due anni e mezzo è in regime di semilibertà svolgendo attività di tutor-educatore presso la Comunità “Casa del Giovane “di Pavia. Per dieci anni è stato uno degli animatori del Collettivo Verde del carcere di Voghera, impegnato in attività sociali e culturali con le televisioni pubbliche e private, con Enti, Scuole, Parrocchie, Università, Associazioni e Movimenti culturali di tutta la penisola, Circa venti le collaborazioni a tesi di laurea in psicologia e sociologia; E’titolare di alcune rubriche mensili su riviste e giornali, laici e cattolici; altresì su alcuni periodici on line di informazione e letteratura laica, e su periodici cattolici di vescovadi italiani; ha conseguito circa 80 premi letterari; ha pubblicato sette libri di poesia, di saggistica sul carcere e la devianza, nonché la propria autobiografia; “Non mi inganno” edito da Ibiskos di Empoli; “Per una Principessa in jeans” edito da Ibiskos di Empoli; “Samarcanda” edito da Cultura 2000 di Siracusa; “Avrei voluto sedurre la luna“ edito da Vicolo del Pavone di Piacenza; “Carcere è società” edito da Vicolo del Pavone di Piacenza; “Autobiografia di un assassino-dal buio alla rinascita” edito da Liberal di Firenze; “Oltre il carcere” edito dal Centro Stampa della “Casa del Giovane” di Pavia. CONDANNATI A RIEDUCARE CARCERE E COMUNITA’ In questi ultimi tempi nei riguardi del carcere si ascoltano frequenti analisi, per tentare di rendere questo pianeta sconosciuto non solo più vivibile per chi vi è ristretto, senza dimenticare chi vi lavora, ma anche più consono alle aspettative dettate da una Costituzione che non è carta straccia, ma la carta magna dei diritti e dei doveri di ogni cittadino, sia esso libero che detenuto. IL CARCERE CHE ANCORA NON C’E’ C’è necessità di un ripensamento culturale che affermi la giustezza di un principio, il quale non è filtrato da scuole di pensiero o strumentalizzazioni ideologiche, in carcere esiste un prima e un durante e un dopo, più il carcere recupererà persone, più il problema della sicurezza sarà soddisfatto, contrariamente a ciò che si è cercato di fare passare come principio sofistico. Un carcere che umilia, che destruttura senza preoccuparsi di ristrutturare, porterà ad una delinquenza ancora più agguerrita, ad una insicurezza maggiore di quella vissuta nei nostri tempi. Occorre davvero fare camminare insieme con equilibrio e senza dimenticanze la funzione di salvaguardia della collettività e quella di recupero fattivo delle persone detenute. In questo ultimo periodo non si fa che parlare di eliminare le vecchie fortezze penitenziarie perché fatiscenti e inumane. Non so perché ma ciò mi fa pensare a quella Edilizia Penitenziaria nata in epoca emergenziale: privilegiando criteri tecnologici di neutralizzazione e incapacitazione. Per cui se questa è l’ottica mi chiedo dove potrà estrinsecarsi l’aspetto di carattere trattamentale-rieducativo, risocializzante, di recupero del detenuto. Contraddizione questa, che coinvolge non solo il recluso, in quanto anello più debole (e quindi doppiamente prigioniero del meccanismo perverso che genera il carcere così com’è), ma anche l'Operatore Penitenziario, perchè volente o nolente, egli verrà a trovarsi in una posizione conflittuale rispetto alla consegna che la Costituzione e l’Ordinamento Penitenziario gli conferiscono. Mandato il suo che striderebbe fortemente in una situazione di sbilanciamento sul versante della sola sicurezza. Infatti l’Operatore Penitenziario ha nelle sue funzioni peculiari il fornire supporto per quell’auspicata risocializzazione dei detenuti, i quali sono soggetti a osservazione e trattamento, ma che a causa del sovraffollamento, dell'esiguo numero di operatori poco possono essere seguiti. Per cui questo importante mediatore relazionale si troverà anch'esso prigioniero dell'impossibilità di ben operare, di inventare tempi e modalità di esecuzione. Costruire nuove carceri? Si dice che lo si farà ragionando con il criterio di un paese moderno, ossia all’insegna della sicurezza e del recupero, eppure il personale addetto al trattamento rieducativo continua a mancare, gli istituti obsoleti nati nelle città vengono lentamente smantellati, e quelli nuovi piazzati nelle periferie sempre più remote… a dire dei tecnici per una impossibilità logistica. Ma così il luogo per eccellenza più separato, escluso, ghettizzato, diventa lo spazio più facile da rimuovere culturalmente. Se il carcere che si vuole fare nascere non avrà spazi di risocializzazione, perché costruito su un ragionamento di solo contenimento del fenomeno criminale, se gli spazi in questione verranno immediatamente occupati per la troppa abbondanza di carne umana, mi sembra chiaro che continuerà a venire meno la funzione stessa della pena e cosa ben peggiore aumenterà la recidiva e la società si ritroverà in seno uomini ancora più incalliti di quando sono entrati, peggio uomini ritornati bambini incapaci di fare scelte responsabili. In questo senso assume grande rilievo l'impegno di ognuno, ciò alimentando processi ripetuti di relazioni e interazioni, affinché sia possibile un cammino di crescita individuale attraverso la sinergia di quattro poli convergenti: Magistratura, Istituzione Penitenziaria, Società e Detenuti. Se solo una di queste componenti viene meno tutto il progetto è destinato a fallire. Lo stesso dibattito sulla Giustizia e in questo caso sulla pena e sul carcere è costantemente avvelenato dal flusso comunicazionale non sempre corretto e leale. Per cui il bene e il giusto che si riesce a fare in una galera, nelle persone ricondotte al vivere civile, premessa per ogni conquista di coscienza, rimangono ultimi e dimenticati, rispetto al male commesso dai pochi. Di conseguenza rivendicare la propria dignità, ognuno per sua parte e nel proprio ruolo, sfugge a ogni regolamentazione giuridica e umana, ciò per una politica contrapposta e distante che disgrega e annienta quei “ponti di reciproco rispetto “a fatica mantenuti insieme. Ci sono molte idee in pentola, personalmente mi limito a ribadire che affrontare il cambiamento è una necessità, come affrontarlo è una sfida per l’Amministrazione Penitenziaria, per i detenuti, per l’intera società. Se il carcere permarrà o scivolerà in un sistema chiuso, esso gestirà i problemi del cambiamento e dell’aggiornamento tentando di mantenere lo status quo ripiegandosi su stesso; se invece diverrà un sistema di detenzione aperto agli ideali nuovi e possibili, allora diverrà anche un luogo di reale testimonianza. Altrettanto bene so che è innanzitutto al detenuto, che viene chiesto doverosamente di essere all'altezza del servizio offerto ( e sarebbe bene intenderlo come una conquista di coscienza e non solo come una mera possibilità statuale ), ma questa prigione costantemente costretta a vivere del suo, a rigenerarsi di una speranza pressochè spenta, rafforza la separazione tra il carcere e la società. Allora come può una società non sentirsi chiamata in causa, non avere la consapevolezza che è suo preciso interesse occuparsi di ciò che avviene o non avviene dentro un carcere? Perché volenti o non volenti, esiste un dopo e questo dopo positivo dipende da un durante solidale costruttivo e non indifferente. Qualunque sia il fondamento che si vuole assegnare alla morale della pena, qualunque sia il peccato di ognuno, un punto è condivisibile e irrinunciabile: non ci sono contributi “unici” da dare, né costruzioni di prigioni utopistiche, non c’è neppure da inventare una nuova tavola di valori. C’è solamente bisogno di riempire di contenuti adeguati quel che viene chiamato il bene e il giusto, perché inutile negarlo il carcere è primariamente un male profondo, e se non sarà inteso come ripristino di un senso di giustizia e di possibilità a riacquistare la propria dignità, esso sfibrerà gli uomini ristretti rendendoli insensibili alla necessità di ricucire quello strappo dolente causato con il proprio comportamento. Vincenzo Andraous (Carcere di Pavia, e tutor della “Casa del Giovane“ di don Franco Tassone a Pavia) gennaio 2002 Progetto Sorriso El Salvador «Progetto Sorriso» è l'iniziativa di cooperazione con il Ser.Co.Ba di San Salvador avviata un anno fa a San Bonifacio (VR). Obiettivo: fornire aiuti materiali alle popolazioni terremotate del Salvador e, in particolare, finanziare la fornitura di materiale sanitario (multivitaminici) e per l'igiene personale. Per INFORMAZIONI: progettosorriso@infinito.it . Per versare il proprio contributo ricordiamo che è possibile utilizzare il conto corrente postale di "Progetto Sorriso - El Salvador": ccp numero 21008305 - intestato a: Amedeo Tosi - Chiara Terlizzi. Indirizzo: località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (Verona) - Causale del versamento: "Progetto Sorriso". Progetto Sorriso invierà tempestivamente quanto raccolto al gruppo di appoggio "Italia-Cuscatlan" di Turbigo (Milano), incaricato per le operazioni bancarie. SORRISI & CEFFONI FEMMINISTE (by Luisita) Ad una riunione di femministe di tutto il mondo, parla la delegata tedesca: "Un pò di tempo fa ho detto a mio marito: "Franz, non cucino più!". Il primo giorno non ho visto niente di nuovo, il secondo nemmeno, ma il terzo Franz ha preso le salsicce, i crauti e ha cucinato per tutti. "Applausi Scroscianti nella sala. Parla la delegata francese: "Alcuni mesi fa ho detto al mio Jean Paul:" Non farò più il letto!" Il primo giorno non ho visto niente, nemmeno il secondo, ma il terzo Jean Paul ha rifatto il letto" Applausi fragorosi. La delegata americana:"Io ho detto a Johnny: "Non preparerò più la colazione!" Il primo giorno non ho visto niente, nemmeno il secondo, ma il terzo Johnny ha preso uova, bacon e succo d'arancia e ha preparato la colazione per tutti!" Ovazione! É il turno della delegata italiana: "Io ho detto a Carmelo: "Carmelo non stiro più!" Il primo giorno non ho visto niente, il secondo nemmeno, il terzo giorno ho ricominciato a vedere un po' dall'occhio destro". Pensieri @ltri In realta' sappiamo che al mondo si produce tanto da poter dare a ciascuno La natura paradossale dell'attuale integrazione globale dell'economia (Vandana Shiva) |
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