IN AZIONE
ISRAELE
UN
APPELLO DEI MILITARI-OBIETTORI
La spirale di violenza e di terrore
che attanaglia Israele e Palestina si aggrava sempre di più. La pesante
occupazione militare dei territori palestinesi da parte dell'esercito
israeliano contribuisce alla crescita della tensione e della violenza.
L'uccisione del reporter italiano Raffaele Ciriello, mitragliato dal carro
armato che stava filmando a Ramallah, ci avvicina ancor di più al tragico
conflitto fra due popoli per tanti motivi già molto vicini all'Europa ed
all'Italia in particolare. Consideriamo che il silenzio, in una situazione
come questa, costituisca una effettiva complicità con le parti più
estreme e violente; per questo sosteniamo tutte le realtà (più
consistenti di quel che lascia capire la maggior parte dei media) che si
oppongono alla violenza, sia fra i palestinesi sia fra gli israeliani. Ci
pare molto significativo il movimento di protesta e di obiezione sorto fra
i militari israeliani che si oppongono al loro impiego nei territori
occupati.
Sono già più di trecento i militari firmatari del documento pubblico in
cui affermano:
Noi che con i nostri occhi abbiamo visto il prezzo di sangue che
l'occupazione impone su entrambe le parti di questa divisione.
Noi che abbiamo sentito come gli ordini che ricevevamo stavano
distruggendo tutti i valori di questo paese.
Noi dichiariamo che non continueremo a combattere questa gurerra per la
pace delle colonie, che non continueremo a combattere oltre la linea verde
per dominare, espellere, affamare e umiliare un intero popolo. ...
Vi invitiamo a sostenere questi militari:
Aderendo al loro appello che trovate nel sito: http://www.seruv.org.il
Basta entrare nel sito, cliccare in alto a sinistra per la scelta della
lingua inglese e seguire le istruzioni (si apre la pagina successiva, in
cui bisogna cliccare sotto la parola LINKS).
Aiutandoli economicamente mediante versamento sul conto corrente bancario
intestato a "il manifesto coop. editrice" presso Banca Popolare
Etica, via Rasella 143 Roma c.c. n° 111200 ABI 05018 CAB 12100: PRECISARE
LA CAUSALE "sostegno ai militari israeliani che dicono no a Sharon".
ASSOCIAZIONE PER LA PACE DI VERONA
Bruno Fini (Tel 045532472)
MASSMEDIA
e TAM TAM vari
15 SITI DA VISITARE
1) Agenzia di Stampa Missionaria www.misna.org
2) Pedagogisti on line: www.educare.it
3) Notiziario femminile www.femmis.org
4) Rete Lilliput: www.retelilliput.org
5) Il sito dell'Associazione no profit «Progetti Alternativi per
L'energia e l'ambiente» www.paea.it
6) Terre Libere, altre forme di comunicazione www.terrelibere.it
7) Da Monteforte d'Alpone... www.stilelibero.org
8) Il sito dello scrittore Gaetano Bellorio: www.gaetanobellorio.it
9) Il sito dei padri Bianchi http://www.missionaridafrica.org
10) Legnago Social Forum: www.vronline.it/LSF/
11) Informazioni, relazioni, riflessioni... crmvillage.it
12) Giovani e missione... www.giovaniemissione.it
13) Sito sul nuovo pensiero socio-economico che fonda le sue radici in una
cultura umanistico-spirituale www.prout.it
14) L'importante network italiano dell'informazione ecologica: WWW.PROMISELAND.IT
SALVIAMO
LA LEGGE 185/90
Per aderire alla difesa della Legge
185/90, che regolamenta il commercio delle armi, è possibile
sottoscrivere il proprio consenso alla campagna:
http://www.edizioni-achab.it/contatto/campa.html
La Legge 185/90 prescrive fra l'altro misure per la trasparenza ed il
controllo degli scambi di armamenti. La revisione di questa legge prevede
invece l'eliminazione di alcuni importanti criteri stabiliti per rendere
visibile il commercio delle armi (ad esempio, venire a conoscenza di quali
banche finanziano l'industria delle armi), permettendo quindi agli uomini
del business più degenerato di alimentare violenza e guerra in modo da
non essere visibili al pubblico e poter operare indisturbati nella loro
azione. Grazie e buon lavoro. EDIZIONI ACHAB VIA CAROTO, 2/A - 37121
VERONA TEL. +39 045 8489196 - FAX +39 045 8403149 www.edizioni-achab.it
CAMPAGNA
SULLA GIUSTIZIA MINORILE
Per contestare la conversione in
legge del ddl governativo 28/2/02 sulla giustizia minorile puoi visitare
il sito www.volontariatogiustizia.it o mandare un_e-mail a vol.giustizia@tiscalinet.it
ABROGAZIONE
DELLE NUOVE LEGGI SU ROGATORIE E FALSO IN BILANCIO
MicroMega organizza una
sottoscrizione per abrogare le nuove leggi sulle rogatorie internazionali
e sul falso in bilancio. Per aderire basta inviare una mail a
micromegaforum@katamail.com con questa dicitura: Il/La Sottoscritto/a
(dati anagrafici e dati del documento d’identità) aderisce al
referendum per la legalità finalizzato all’abrogazione delle leggi 5
ottobre 2001 n. 366 sulla riforma del diritto societario e 5 ottobre 2001
n. 367 sulle rogatorie internazionali.
APPELLO
PER LA PALESTINA
L'Unione dei Comitati di Soccorso
Medico Palestinese (UPMRC) e i Medici per i Diritti Umani di Israele(PHR-Israele)
fanno congiuntamente appello per porre fine all'incubo nei territori
palestinesi. Ramallah è completamente occupata, nelle strade ci sono 120
carri armati e sia questi che gli elicotteri stanno bombardando diversi
quartieri con i missili. Due ospedali, il Ramallah Hospital e il Ramallah
Maternity Hospital , sono rimasti sotto il fuoco delle truppe israeliane.
Inoltre stamattina, come succede in molti altri luoghi di Gaza e
Cisgiordania, i soldati hanno sparato su due ambulanze. Per di piu'
l'esercito proibisce l'accesso alle cure mediche per malati e feriti,
rifiutando sia il loro trasporto in ospedale che l'accesso al personale di
pronto soccorso sul luogo dove si trovano i feriti o i malati.Ovviamente,
proibire l'accesso alle cure mediche non farà altro che aumentare i
morti; allo stesso modo, anche il divieto di accesso alle cure mediche per
gli ammalati aumenterà i morti. Chiediamo con urgenza azioni da tutto il
mondo, le organizzazioni internazionali e umanitarie devono immediatamente
costringere il governo israeliano a fermare queste atrocità. Vi
sollecitiamo alla mobilitazione, a fare appelli ai rappresentanti dei
governi, a intraprendere ogni iniziativa che permetta ai feriti
palestinesi di ricevere cure mediche per evitare ulteriori inutili morti.
Facciamo appello anche ai governi stranieri perchè agiscano per arrivare
a un'immediata interruzione di questa aggressione dall'esercito israeliano
e porre fine a questa crisi umanitaria. Per ulteriori informazioni
chiamare: Dr. Mustafa Barghouti 059-254218 (UPMRC-Ramallah); Hadas Ziv
050-228599 (PHR-Israele). (Traduzione di Anna Cotone)
DA LEGGERE
/ 1
GENERAZIONI AL MARGINE
bioetica globalizzazione crisi internazionale mass-media scuola:
come la rivoluzione tecnologica accelera la deriva culturale
di Giuseppe Manzato, prefazione di Giuseppe Goisis, pp. 184, € 12,90
Il Segno dei Gabrielli editori, marzo 2002
visibile sul sito http://www.gabriellieditori.it
LA RECENSIONE
Un manuale di autodifesa dalle angosce del presente. Per affrontarle a
viso aperto ragionando con la propria testa, fuori dal gregge. E' un fuoco
di fila di questioni di scottante attualità quello che un sociologo
veneto, Giuseppe Manzato, affronta con rigore di studioso e con passione
civile di uomo che non rinuncia a lottare, nel suo saggio di recente
pubblicazione "Generazioni al margine" edito da Il Segno dei
Gabrielli Editori. L'opera, pur accogliendo in alcune sue pagine
un'analisi rigorosa e tagliente del nostro Nord est, è tuttavia di ben più
ampio respiro, includendo questioni attualissime con cui la nostra civiltà
quotidianamente si misura. Parliamo di bioetica e di difesa della dignità
della vita; di globalizzazione non agitata come uno spauracchio ma
lucidamente analizzata; di scuola sacrificata sull'altare del dio mercato
per il quale non conta la qualità, ma la quantità dei laureati o dei
promossi; e naturalmente di Islam, un Islam perlustrato a 180 gradi dopo
l'immane tragedia dell'11 settembre. In questa galleria di temi
appassionanti trova posto anche l'osservazione minuziosa, a tratti ironica
e amara, di una serie di falsi idoli dell'uomo moderno: tra questi,
l'idolatria del proprio corpo (la nostra è l'era del fitness), e
l'onnipotenza - onnipresenza della televisione che sta disgregando l'Homo
sapiens per ridurlo a Homo videns, primo fatale gradino verso uno
smarrimento sempre più ineluttabile della nostra identità. (Caterina
Diemoz)
DA LEGGERE / 2
Norberto Bobbio e Maurizio Viroli: "Dialogo intorno alla
repubblica" - Edizioni Laterza - euro 12,39.
INFORMAZIONI,
RIFLESSIONI & OPINIONI
PALESTINA/1
Ghassan Andoni è docente di fisica
all'Università palestinese di Bir Zeit ed è un attivo esponente della
resistenza non violenta. Come dimostra il cognome, è cristiano. Cosa di
relativa importanza in sé, ma è bene ribadirlo per coloro che vedono in
ogni arabo un musulmano e in ogni musulmano un extraterrestre.
Marzo 2002
Voglio concedervi il beneficio del dubbio e pensare che dopo 35 anni di
occupazione, non avete ancora idea di cosa stia succedendo nel cortile di
casa vostra. Non vi siete mai accorti del livello di tolleranza e di
pazienza che i palestinesi hanno avuto verso la vostra occupazione
militare. Invece di cogliere l'occasione e cercare di arrivare a una
conclusione decente del conflitto, la vostra avidità è aumentata, il
vostro dominio si è fatto più severo, il vostro livello di controllo era
soffocante e lo è ancora. I vostri sogni disumani di prendere di più
quando noi non eravamo più in grado di dare sono cresciuti. Io spero che
vi ricordiate ancora dei tempi in cui la manodopera palestinese a basso
costo ha fatto di voi dei padroni, in cui noi eravamo il vostro secondo
mercato, in cui avete consumato con piacere la nostra acqua, in cui ci
avete espropriato la maggior parte della terra e in cui noi vi abbiamo
solo guardato con occhi tristi, nella speranza che avreste desistito.
Vi ricordate ancora di ciò che ci avete fatto quando eravamo tranquilli,
quando non resistevamo, quando con lo sguardo triste facevamo appello alla
vostra umanità e alla "buona volontà" del mondo? Sono sicuro
di sì. I fatti evidenti non si possono nascondere. Ciò che non riuscite
a capire è questo: non potete uccidere la speranza e rubare il futuro di
una nazione orgogliosa, e aspettarvi che quella nazione vi sia grata. Per
quanto vi possiate inebriare di potere, non potrete mai vincere questa
guerra.
Sapete quale è stata la cosa più dolorosa di tutte? È stato ascoltare i
vostri dirigenti. Prendiamo ad esempio il vostro eroe della
"Gerusalemme Unita", Ehud Olmert, con la sua campagna
sistematica per cacciarci da Gerusalemme e inondarla di altra gente. Ogni
volta che abbiamo taciuto, o che abbiamo protestato a bassa voce, lui ha
detto: "Vedete, ve l'avevo detto che non era il caso di preoccuparvi
delle reazioni palestinesi, di temere che la nostra campagna a Gerusalemme
avrebbe portato a un conflitto o al versamento di sangue. Gli arabi o sono
contenti di ciò che facciamo, oppure in fondo sanno che non ci possono
sfidare." Eppure, ogni volta che non riuscivamo più a sopportare le
vostre politiche disumane, ogni volta che abbiamo protestato o manifestato
la nostra ira, lui diceva: "Vedete, ve lo avevo detto che non
dovevamo permettere loro di dettarci ciò che dobbiamo fare e ciò che non
dobbiamo fare. Dobbiamo fare di più per convincerli che la loro violenza
non paga". E tutto questo lo chiamavate felicemente la "Risposta
sionista".
Era il vostro modo tpico di trattarci. Se stavamo tranquilli, ci
spremevate di più e se resistevamo ci spremevate lo stesso. Ma dove
pensavate che tutto questo ci avrebbe portati? L'unica possibilità che
avevamo era di aumentare la resistenza. Chiudendo completamente la porta
alla speranza e aumentando ciecamente la brutalità dell'occupazione, si
gettano le basi di una guerra aperta. Tutti gli occupanti hanno commesso
questo errore, e voi pure.
Quando gridavamo che le vostre colonie ci soffocavano, o ci ignoravate o
ci accusavate di essere contro gli ebrei. Avete sempre creduto che imporre
situazioni molto dure sul terreno fosse il modo giusto di trattare gli
"arabi". Ogni volta che abbiamo gridato che Gerusalemme era
molto cara anche a noi, voi avete portato avanti ulteriormente i vostri
piani per cacciarci dalla città che amavamo e per vietarci persino dal
farle visita. Avete sempre pensato che quello fosse il modo giusto di
fare. Avete sempre pensato che fosse naturale per i palestinesi adattarsi
alle necessità e all'avidità d'Israele. Non avete mai pensato di
prestare la minima attenzione all'effetto che le vostre "necessità"
avevano su di noi, né vi siete mai chiesti se eravamo in grado di
convivere con esse. Non si tratta di nulla di nuovo, di nulla di
specialmente vostro: tutti gli occupanti raggiungono questo stato di cecità
ed è per questo che tutti loro hanno perso.
Il vostro problema però è ancora più grave. A differenza degli inglesi
o dei francesi, non potete prendere su la vostra roba e andarvene. Proprio
come voi vi trovate nel cortile di casa nostra, noi ci troviamo in quello
di casa vostra. Se riuscite ad aprire gli occhi e la mente, vi renderete
conto che potrete vivere solamente se anche noi potremo vivere.
Anche quando avete cominciato a rendervi conto che non era possibile
cacciarci con la forza dal nostro paese, e avete capito che eravamo troppi
da poterci annettere, proprio allora avete voluto che noi ci adattassimo
ancora di più. Le vostre impsizioni erano insopportabili. Era così che
ragionavate: "voi dovete scendere dalle nostre spalle mentre noi
continuiamo a sederci sulle vostre." Anche dopo questo lungo periodo
di diretta occupazione militare, volevate che noi accettassimo di essere
umani a metà, di avere diritti umani a metà, di avere diritti civili a
metà e di accettare di non aver alcun diritto nazionale. Pensavamo che
grazie alla vostra storia, sareste stati il popolo più sensibile al mondo
ai diritti dei popoli che vivono dentro altre nazioni, o sono controllati
da altre nazioni. Abbiamo sbagliato totalmente. L'unica lezione che avete
appreso dalla vostra tragedia è stata questa - "dovrà essere
qualcun altro e non noi a soffrire." Non era, "non dovrebbe
succedere mai più a nessuno".
Sapete, l'umanità ha sofferto molto per colpa di quelli che avevano il
potere e si sono comportati come se fossero superiori a tutti gli altri.
Riuscite a guardarvi allo specchio e riconoscere ciò che vedete? Riuscite
a fermarvi un attimo ed esaminare ciò che le vostre pretese e la
definizione che date dei vostri diritti significano per gli altri?
Ce la fate a smetterla di essere gli unici intelligenti e pensare che
tutti gli altri siano stupidi? Quando ci siamo impegnati nelle trattative
di pace alla ricerca di una coesistenza pacifica, voi non avete mai
negoziato con noi. Avete negoziato tra di voi e poi ci avete informati. E
quello che ci dicevate era, "questo è quanto, prendere o
lasciare". Avete sempre pensato a noi come se fossimo dei minorenni,
degli inferiori, un problema tra i tanti che voi avete. Allo stesso tempo,
pensavate che noi fossimo ciechi. Pensavate che non potessimo vedere
quanto avevate sfruttato il tempo che duravano i negoziati, che non
potessimo accorgerci che le zone occupate dalle colonie erano raddoppiate,
come sono raddoppiati i vostri "ambasciatori" tra di noi, i
fanatici più estremisti della vostra società (che voi chiamate coloni).
Ricordatevi che non potevamo essre ciechi, perché anche se non riuscivamo
a vedere le belle case in stile europeo in cima a ogni collina attorno a
noi, riuscivamo comunque a sentire come quelle colonie e le strade che le
servivano avevano trasformato le nostre vite in un inferno.
Sapete, il senso di superiorità va sempre di pari passo con l'arroganza.
Sapete cosa prova un palestinese anziano e rispettato quando i vostri
adolescenti armati e arroganti lo guardano con disprezzo? Avete mai
provato anche voi questa sensazione dal vostro passato? Ci avete mai
guardato come persone che hanno un loro orgoglio e una loro dignità?
Pensando alla nostra esperienza con voi, ne dubito. Di una cosa potete
essere certi. Non possiamo sopportare di essere tenuti come ostaggi mentre
decidete tra di voi cosa volete e cosa intendete fare di noi.
Io non so come fare appello a voi. Ci ho provato per quindici anni. Io
credo che prima di poter porre termine a questo sanguinario conflitto,
dobbiamo guardarci attentamente allo specchio, per definire chi siamo e
cercare di camminare nelle scarpe dell'altro, per poter vedere oltre noi
stessi.Spero che abbiamo ancora il tempo per farlo.
Ghassan Andoni,
The Palestinian Centre for Rapprochement between People - 64 Star Street,
P.O.Box 24 - Beit Sahour - Palestine www.rapprochement.org
Questo articolo può essere riprodotto liberamente, sia in formato
elettronico che su carta, a condizione che non si cambi nulla, che si
specifichi la fonte - il sito web Kelebek http://www.kelebekler.com
- e che si pubblichi anche questa precisazione.
PALESTINA/2
(a cura di Ettore Masina) - Care amiche, cari amici, credo fosse il mese
di settembre del 2000 quando in LETTERA vi parlai del Progetto
“Gazzella”, varato da due straordinarie persone: Marisa Musu e Marina
Rossanda. Dandole il nome di una bambina palestinese di 12 anni, colpita
alla testa da un soldato israeliano mentre tornava a casa da scuola e
rimasta a lungo fra la vita e la morte, Marisa e Marina, con un gruppetto
di altri gene-rosi avevano appena dato vita, a quell’epoca, a una rete
di solidarietà insieme politica e affettuosa. Avevano, cioè, lanciato la
proposta di adozioni a distanza di piccoli palestinesi feriti o mutilati
nel corso della Seconda Intifada.E’ passato poco più di un anno e
nonostante la penuria di mezzi e - naturalmente! – il silenzio dei
giornali, il progetto ha preso quota: e poiché le animatrici di
“Gazzella” dicono che i primi “adottori” sono stati gli amici di
LETTERA, mi sembra giusto informarvene: tanto più che la situazione
palestinese ci carica di un’angoscia dalla quale possiamo uscire
soltanto con gesti concreti di rottura del silenzio e dell’inerzia. Gli
amici di Gazzella si sono riuniti recentemente per il loro primo
“congresso”: gente meravigliosa, venuta da tutte le parti d’Italia:
La loro rete si è ormai distesa come una carezza su 361 bambini
palestinesi. (per informazioni: bettinif@libero.it
)
Bambini di Palestina - Come vi scrivevo in quella LETTERA ormai
lontana, da cinquant’anni, anzi da cinquantaquattro, noi ogni giorno ci
alziamo, portiamo i bambini a scuola, andiamo al lavoro, ritorniamo a
casa, mangiamo, ci abbandoniamo al sonno e intanto in Palestina muoiono
ammazzati uomini donne e bambini: 372 bambini uccisi dal settembre 2000,
uno di 13 anni assassinato il 17 febbraio scorso, quasi a impedire che ci
illudessimo di una pausa di questa atroce contabilità. No, non è un
genocidio, i giuristi negano che si possa definirlo così. Allora diciamo:
è uno stillicidio omicida, come se il tempo fosse segnato da una
mostruosa gigantesca clessidra attraverso la quale passano, ma sempre più
velocemente, non granelli di sabbia ma corpi di uccisi. Da cinquant’anni,
anzi da cinquantaquattro, noi ci innamoriamo, sogniamo, preghiamo,
frequentiamo concerti, organizziamo feste fra amici, ci commoviamo
leggendo le pagine di grandi scrittori, tentiamo di scrivere poesie e di
imparare nuove canzoni, e intanto uomini donne bambini palestinesi
continuano a morire ammazzati: uno dopo l’altro, o in stragi
crudelissime, dietro le muraglie di una totale incapacità di reazione
dell’opinione pubblica internazionale e di un’acquiescenza dei governi
democratici che rimarranno una vergogna per la storia del nostro tempo. In
questo mezzo secolo di martirio palestinese, nei tranquilli territori
europei alcuni di noi sono giunti alla vecchiaia, altri hanno maturato la
loro giovinezza, ed altri ancora sono nati, sono cresciuti, hanno imparato
le tecniche per entrare in contatto con persone lontanissime da loro
mentre a due ore di distanza di aereo i palestinesi continuavano a morire,
in diverse maniere. Nei primi decenni ci sono state, “laggiù”, guerre
terribili. Allora per qualche giorno – o settimana – siamo stati
costretti da orrendi rumori e visioni di massacri a pensare al Medio
Oriente. Ma gli eserciti innalzano le loro bandiere proprio per farci
sapere che la guerra è cosa loro, noi ne siamo fortunatamente (almeno
direttamente) esclusi. Così a quel sangue e a quelle morti abbiamo
dedicato l’attenzione dolorosa – o forse soltanto perplessa - che si
presta ad eventi che sono atroci e disgustosi ma che, in fondo, non ci
appartengono. Oppure è accaduto a non pochi di prendere posizione su
quelle guerre, parteggiando per il “piccolo”, moderno, civile,
“occidentale”, “europeo” Israele aggredito da arabi fanatici,
straccioni e sporchi. Ricordo ancora sui parabrezza di molte automobili
milanesi l’adesivo “Io sono per Israele”. Poi le guerre si sono
rivelate più che mai inutili, il “piccolo” Israele minacciato essendo
in realtà un gigante, issato com’è sulle spalle degli Stati Uniti e
difeso dalle armi dell’Impero; e anzi qualcuno di noi ha capito che in
quella faziosità filo-israeliana era contenuto un grano di razzismo.
Franco Fornari, grande psicoanalista, ci ammoniva: concedere a Israele il
diritto di comportarsi in modi che non si consentirebbero ad altri popoli
significa pensare che esso è qualcosa di geneticamente diverso da noi.
Come se fossero vittime del traffico - Finita l’epoca delle
guerre, è cominciata la più macabra delle routines. Come le stragi sulle
strade degli week-end nei paesi industriali, le morti di uomini donne e
bambini palestinesi scandiscono nel Medio Oriente le cronache di una
violenza che, nella sua insensatezza, sembra ormai inestirpabile. Negli
ultimi anni i palestinesi non sono morti di guerre ma sono morti di
nostalgia nell’esilio, di miseria da espropri e da disoccupazione, di
torture, di prigionie nel deserto, di malattie da repressione:
denutrizione, mancanza d’acqua, ritardi nei soccorsi medici a causa dei
blocchi stradali, immensa difficoltà di stabilire un minimo di condizioni
igieniche nei campi profughi, in cui per mezzo secolo centinaia di
migliaia di persone sono state costrette a vivere e in cui per mezzo
secolo gli israeliani hanno impedito ogni miglioria. Negli ultimi sedici
mesi i palestinesi sono morti soprattutto di spietate rappresaglie di ogni
loro atto insurrezionale. Ma si potrebbe dire che i palestinesi sono morti
e muoiono soprattutto di solitudine perché il loro martirio di mezzo
secolo è anche e soprattutto amara consapevolezza di costituire per
l’opinione pubblica internazionale ben più un fastidio che un problema.
I bambini prigionieri - In mezzo a questa solitudine, a questo
sangue, a queste case sventrate dai bulldozers si muovono i bambini
palestinesi; e molti non si muovono affatto, perché dal settembre 2000 ad
oggi più di 700 sono stati incarcerati, cioè rinchiusi in celle, insieme
a delinquenti “comuni”, adulti, e quindi esposti non soltanto alle
inevitabili brutalità del sistema carcerario ma anche a rischi facilmente
intuibili. Il 26 gennaio scorso si è svolta a Bruxelles una conferenza
organizzata dalla parlamentare europea Luisa Morgantini, straordinaria
donna che moltiplica le proprie iniziative a favore dei diritti umani con
una generosità che ha pochi riscontri nella classe politica del nostro
Paese. In questa conferenza hanno parlato il palestinese Quzman Khaled
della Defence Children International e Tamara Pelled-Sryck
dell’associazione israeliana Hamoked. Hanno portato cifre e illustrato
il contesto dell’infanzia negata ai bambini palestinesi. Riassumo: i
piccoli uccisi sono stati: colpiti per la maggior parte alla testa, cioè
non per errore o per una pallottola di rimbalzo ma con volontà di
uccidere. 8450 bambini sono stati feriti o sono rimasti mutilati, e di
essi 980 hanno riportato mutilazioni o lesioni permanenti. I posti di
blocco e i coprifuoco rendono difficilissime la possibilità di tempestivi
interventi sanitari, cosicchè si aggravano ferite ed emorragie che
avrebbero potuto essere soccorse con risultati ben migliori. Quanto ai
bambini incarcerati, le due relatrici hanno denunziato l’uso quasi
“normale” della tortura da parte dei militari, il diritto alla difesa
tramite avvocato quasi sempre negato, processi superficiali, sommarî, che
portano a condanne di una severità inaudita e a pesanti ammende inflitte
ai genitori, le visite delle famiglie a questi piccoli dannati
all’inferno carcerario affidate alla discrezionalità dei militari e via
dicendo.
I sorrisi spenti - 361 bambini morti, 8450 feriti, 700 incarcerati
in un anno e mezzo sono le cifre che conosciamo; ma nessuno può dirci il
numero dei piccoli palestinesi che avendo vissuto forti traumi psichici,
sono ora profondamente feriti nella loro identità. Ho parlato
recentemente con una psicologa tedesca che veniva dalla Striscia di Gaza,
mi ha raccontato di bambini segnati da difficoltà di apprendimento,
incubi notturni, tremiti, fobie- “Bambini – mi ha detto – incapaci
di sorridere, bambini che forse non sorrideranno mai più”. Il regime
coloniale comporta inevitabilmente la violazione sistematica dei diritti
umani più elementari e pone Israele al di fuori degli stati che osservano
le convenzioni internazionali. Viene sistematicamente violata anche quella
sui diritti del bambino, pur ratificata dallo stato sionista. In realtà
Sharon e i suoi stati maggiori hanno i cestini della carta straccia pieni
di risoluzioni umanitarie e di testi internazionali: “chiffons de
papier”, come si diceva una volta, fazzoletti di carta.
Già, ma noi? - Care amiche, cari amici, so bene che facendolo mi
renderò odioso ma vorrei chiedervi uno sforzo di fantasia: quello di
pensare ai bambini che più amate, e di vederli per un momento, per un
solo momento, collocati, per una sorta di malvagio incantesimo,
nell’allucinante paesaggio palestinese: No, non vi chiedo di
raffigurarveli morti o mutilati o feriti; e neppure terrorizzati mentre la
loro casa viene demolita da un bulldozer per rappresaglia. Questi sono,
per così dire, casi estremi, anche se frequenti. Vorrei semplicemente che
pensaste a quei vostri cari mentre assistono allo spettacolo del loro
fratello maggiore portato via di notte da militari nemici, del padre
obbligato a mettersi in ginocchio con le mani dietro la nuca (un padre che
non può difendersi, tanto meno può difenderli), della madre costretta a
subire davanti agli occhi dei figli perquisizioni umilianti. E queste sono
scene “normali” nei territori occupati. Non parlo di sangue. Parlo
della bambola strappata dalle braccia della sua padroncina e sventrata a
un check-point perché potrebbe contenere una bomba, parlo del piccolo
uliveto che i bambini avevano imparato ad amare come parte della sua casa,
e improvvisamente viene sradicato per tracciare una strada riservata ai
coloni; parlo delle scuole perennemente chiuse per ordine degli occupanti,
o dei coprifuoco che durano intere giornate mentre in casa mancano acqua,
cibo, medicinali. Bambini che non solo subiscono la paura dei
bombardamenti, l’incubo degli elicotteri, il rombo minaccioso dei carri
armati ma anche la profondissima insicurezza che nasce dal contemplare la
disperazione dei genitori. Pensate, vi prego, a che accadrebbe
“dentro” a un adolescente che amate se egli vivesse in un luogo come
la striscia di Gaza e proprio mentre allunga il suo sguardo sulle realtà
della vita per valutarne il bene e il male sapesse ciò che accade in una
delle quattro zone in cui i militari israeliani hanno diviso quel
territorio: 1500 privilegiati consumano il 36% dell’acqua disponibile e
di migliore qualità mentre 230 mila persone ( fra le quali lui, il vostro
ragazzo) devono contentarsi del 64% e di peggiore qualità. Riuscite a
pensare quali accumuli di rabbia e anche di odio – sì, diciamola
l’orrenda parola - si creerebbero nel suo cuore? Nel 1991, visitando con
un gruppo di deputati italiani i campi profughi palestinesi, ho parlato
con ragazzi del genere. Negli anni seguenti mi sono spesso domandato se
qualcuno di loro non si sia tramutato in bomba umana.
I 56 Giusti di Israele - Questi esercizi di fantasia, credetemi,
non mi sono permesso di chiederveli per sadismo ma in nome della verità.
Perché, vedete: i bambini palestinesi sono del tutto identici ai nostri e
le loro condizioni di vita influenzeranno il futuro dei nostri cari. Se
noi non siamo capaci di identificarci con gli oppressi, e di comportarci
di conseguenza, vincendo pigrizie, paure, senso di impotenza, tentazioni
di egoismo ci avviamo a un degrado progressivo dal punto di vista etico e
culturale. E’ contro quel degrado che oggi si muovono molti meravigliosi
israeliani. Penso ai 313 riservisti che affrontano l’accusa di
diserzione perché, si rifiutano di obbedire a ordini che, hanno scritto
in un loro documento, “stanno distruggendo tutti i valori di questo
paese” e perché, dicono ancora, non vogliono più combattere “per
dominare, espellere, affamare, umiliare un intero popolo”. Penso a
Sulamit Aloni, docente all’università di Tel Aviv, che, un anno fa, al
parlamento europeo, mostrando il numero tatuato sul suo braccio dagli
sgherri nazisti, gridava che neppure l’orrore della Shoa autorizzava
Israele a ghettizzare, reprimere e avvilire il popolo palestinese. Penso
soprattutto a Nurit Peled-Elhahan, scrittrice, docente universitaria, che
tre anni fa ha perso una figlia tredicenne in un attentato di Hamas e che
da allora si batte contro chi non vede le spaventose responsabilità del
regime di occupazione, un regime – dice - “che umilia, affama, nega
lavoro, demolisce le case, distrugge i raccolti, ammazza i bambini,
incarcera i minori in condizioni terribili e spesso senza processo, lascia
che i neonati muoiano ai check-point – e diffonde bugie”. Per Nurit
non ci sono differenze fra i 24 piccoli israeliani morti per attentati
terroristici e i bambini palestinesi uccisi dai militari. Lei dice: “Nel
regno della morte i bambini israeliani giacciono accanto a quelli
palestinesi, i soldati dell’esercito d’occupazione accanto agli
attentatori suicidi e nessuno ricorda chi era Davide e chi era Golia”. E
Nurit dice: “Propongo che i genitori i quali non hanno ancora perso i
loro figli prestino attenzione alle voci che salgono dal regno della
morte, sul quale camminiamo giorno dopo giorno e ora dopo ora, e che ci
insegnano che non c’è differenza fra una vita e un’altra, che poco
importa quale sia il colore della nostra pelle o della nostra carta
d’identità o quale bandiera sventoli su una collina o quale sia la
direzione verso la quale ci dirigiamo pregando”.Dice una leggenda
ebraica che ci saranno sempre 56 Giusti per amore dei quali Dio mitigherà
ka sua collera.
Protagonisti o vittime - E’ un “pensare in positivo”,
creativo, attivo, quello cui siamo sollecitati dalla tragedia
medio-orientale e questo pensare e creare gesti coerenti è l’unico modo
per uscire da un’angoscia che altrimenti si sedimenta in noi, in una
specie di necrosi dell’anima. Quell’angoscia possiamo fingere di non
avvertirla, rimuoverla, nasconderla sotto altri pensieri, come quello
della nostra supposta impotenza, ma farlo è del tutto vano, come la
stupidità della casalinga pigra o frettolosa che nasconde la spazzatura
sotto il tappeto. Credo fermamente che non ci sia altra scelta: o essere
protagonisti della storia (umili, piccoli, magari paurosi ma attivi) o
essere vittime della storia, scivolando ai margini delle tragedie mondiali
ma finendo egualmente in un abisso. Se accettiamo questa prospettiva,
abbiamo molto da fare, a cominciare dal far crescere una insurrezione
morale di massa contro la intollerabile situazione coloniale della
Palestina; ma questo lavoro rimarrà astratto - e poco coinvolgente per
coloro cui chiederemo di condividerlo – se non sapremo renderlo più
vivo, più amabile (ecco la parola giusta!), attraverso azioni concrete di
solidarietà. La gente non ne può più della politica fatta soltanto col
bilancino della prudenza e l’avarizia del buonsenso: la gente vuole,
deve avere, una politica che sia anche esigenza del cuore. Le amiche e gli
amici di Gazzella ci offrono oggi una mano per uscire dalla campana di
vetro dell’inerzia colpevole. Li ringrazio con tutto il cuore e spero
che saremo in molti a unirci a loro. (Ettore Masina)
Libri - Umberto Allegretti non è uno di quegli intellettuali
italiani (Dio sa quanti ce ne sono, a nostra perenne disgrazia!), che nei
tempi bui se ne stanno raggomitolati dietro le loro cattedre, distillando
note a piè di pagina. Tanto per dirne una, la televisione ce lo ha
mostrato mentre sfilava in prima fila, insieme con la sua straordinaria
moglie. Teresa Crespellani, alla “Marcia dei professori”, com’è
stata chiamata la sorprendente manifestazione fiorentina. E’ un giurista
internazionalmente noto, ma accanto alla “produzione” scientifica
allinea una serie di attività e di libri che lo rendono prezioso a chi si
sforza non solo di proclamare ma anche di mostrare che “un altro mondo
è possibile” . Per le Edizioni Cultura della Pace fondate da padre
Balducci ha scritto nel 1992, con Dinucci e Gallo “La strategia
dell’Impero. Dalle direttive del Pentagono al Nuovo Modello di Difesa”
che contiene pagine quasi profetiche; è stato fra i più importanti
animatori dei Comitati Dossetti per la difesa della Costituzione etc: etc.
Grande mediatore culturale, generosamente al servizio dei tanti gruppi che
richiedono la sua presenza, Umberto ha appena pubblicato un libro di
eccezionale importanza: “Diritti e Stato nella mondializzazione”, ed:
Città Aperta, pagg. 302, e 18,07. Sì, il titolo non è invitante per i
tanti che sono (o pensano di essere) digiuni di certe materie: ma il
discorso è piano e soprattutto va al cuore dei problemi che la Terra
“mondializzata” ci presenta: dalla negazione dei diritti umani
inevitabilmente imposta dalla globalizzazione a tutti gli uomini e le
donne (non soltanto dunque a quelli dei paesi sottosviluppati ma anche a
noi, alle nostre libertà, alla nostra democrazia) alle devastazioni
dell’ambiente provocata dalle logiche del neloliberismo, a un
militarismo sempre più pericoloso. Tuttavia il quadro non è soltanto
fosco, Allegretti pone con lucidità alcune indicazioni per alternative
possibili: le quali sollecitano la nostra presa di coscienza e il dovere
di essere protagonisti della storia. Un libro scritto con competenza
scientifica nello spirito di Porto Alegre.
IL MIO «FORUM
SOCIAL MUNDIAL» DI PORTO ALEGRE
«Il tuo Cristo è giudeo, la tua macchina giapponese, la tua pizza
italiana, la tua democrazia è greca, il tuo caffè è brasiliano, le tue
vacanze sono turche, i tuoi numeri arabi, la tua scrittura è latina. E tu
rimproveri il tuo vicino di essere straniero!» Ci regala questa frase
tratta da un biglietto che il figlio teneva in camera Heidi Gaggio, madre
di Carlo Giuliani, all’inaugurazione del campeggio a lui dedicato dentro
l’immenso e splendido “Parco dell’Armonia” in cui si assiepano
oltre 20.000 giovani, con striscioni e bandiere in tutte le lingue, ma
accomunati dalla voglia di esserci e di provare a immaginare il mondo che
verrà, quell’ “unico mondo possibile”, oltre il quale c’è solo
disastro e distruzione…E, subito dopo, sempre sotto un acquazzone
torrenziale caldissimo, la grande manifestazione di apertura del II Forum
Social Mundial, indetta da Via Campesina e dal titolo inequivocabile:
“Un altro mondo socialista è possibile”, con circa 50mila
partecipanti, di cui 13-15mila delegati del movimento, striscioni, canti,
suoni e ritmi tipicamente sudamericani, multiculturalità e mescolarsi di
visi e colori diversi. Aperto dai bambini dei Sem terra, il corteo pullula
di donne, di indios, di giovani, ma anche di bandiere della Cut, il
sindacato brasiliano… Si fa notare immediatamente la delegazione
italiana, composta da circa 1000 persone, facce già viste a Genova e che
si ritrovano ancora una volte unite da quella forte esperienza sotto lo
striscione inequivocabile del corteo di Roma del 10 novembre: “Contro la
guerra economica, sociale e militare” e subito dietro la massiccia
delegazione di Rifondazione, a partire dal segretario, a tanti giovani, a
membri della direzione nazionale, a parlamentari. Il popolo di Porto
Alegre oggi si ritrova insieme in un’esplosione di gioia e orgoglio per
sottolineare che ora non vuole più solo seguire i vertici internazionali
e identificarsi con la protesta di piazza, ma è venuto il momento delle
proposte ed è pronto con obiettivi concreti e campagne a dar vita alla
nuova agenda del movimento globale... E si inizia subito la mattina dopo:
la prima cosa che spaventa è il programma stesso del Forum mondiale: 150
pagine in portoghese e inglese per elencare tutto ciò che avverrà nei
prossimi giorni in vari punti di questa città accogliente e pulitissima
(ma siamo in Svizzera?), la cui particolarità salta all’occhio
immediatamente anche a chi non sa nulla di bilancio partecipato, ma vede
che tutto funziona, che le ristrutturazioni sono frenetiche, che i luoghi
pubblici sono particolarmente ordinati, che i trasporti pubblici sono
frequentissimi, che il taxi arriva sempre immediatamente; la seconda è la
sede del FSM: la Puc, Pontificia università cattolica, lascia stupefatti
e attoniti per la grandiosità e la modernità, che non ti aspetteresti
mai di trovare in un paese del Sudamerica, perché non ne hai mai viste di
simili nel tuo primo mondo, con sale a perdita d’occhio,
ipertecnologiche, con un centro stampa immenso che ospita centocinquanta
computer collegati a internet, con centinaia di addetti pronti a smistare
e indirizzare le migliaia di delegati sperduti e sconvolti dalla ricchezza
dell’offerta. I moltissimi incontri si terranno in contemporanea, in
vaste sale da migliaia di posti: si parla di commercio mondiale, di
economia solidale, di popolazioni indigene, di alimentazione e transgenico,
di controllo dei capitali finanziari, di temi ambientali, dell’acqua, di
energia, di lavoro, di diritti umani, di violenza e discriminazioni, di
democrazia partecipativa, di comunicazione, di differenze culturali…
conferenze, seminari, workshop o oficinas, testimonianze, spettacoli,
concerti e proiezioni… La quantità di idee e proposte alternative al
neoliberismo è così ampia che è realmente difficile scegliere:
assistere a una conferenza significa vivere il rammarico di perdere tutte
le altre proposte contemporanee. Come scegliere tra la prima sessione del
Tribunale internazionale sul debito e il seminario sulla Tobin tax? Andare
ad ascoltare Noam Chomsky che aprirà il primo Forum contro le guerre,
assieme ad ospiti eccezionali quali i due premi Nobel per la pace,
l’argentino Perez Esquivel e la guatelmateca Rigoberta Menchù, il
pacifista israeliano Michael Warshawsky, lo zapatista Sergio Rodriguez
Lazcano (in una sala troppo piena per poter resistere) o, alla stessa ora,
alla proiezione del film dei registi italiani su Genova, nel Memorial che
il Municipio di Porto Alegre ha allargato anche alla storia del movimento
dei movimenti?E tra un dibattito e l’altro sarebbe interessantissimo
anche passeggiare nei viali della PUC: bancarelle, feste, balli
improvvisati, scuole di samba, comizianti, militanti, distintivi,
bandiere, volantini, dépliants, libri, sementi, collanine, artigianato in
legno, tessuti, bambole etniche… L’enorme partecipazione, l’immensa
offerta, la vivacità e il protagonismo oltre a sancire la vittoria del
movimento, la sua capacità attrattiva, indicano la necessità di
allargare i confini senza smarrire l’identità definita da due
coordinate precise e irrinunciabili: contro la guerra e contro il
neoliberismo. Il documento finale dice chiaramente che “l’opposizione
alla guerra è uno dei nostri elementi costitutivi”. Non era un
risultato scontato, soprattutto dopo che la seconda edizione del Forum
parlamentare ha visto momenti di tensione e di contestazione: circa 400
delegati dei movimenti sociali hanno contestato la presenza di politici
che hanno votato o sostenuto la guerra. Tra i circa 700 tra deputati
nazionali, europei e senatori, erano presenti molti esponenti delle
sinistre socialdemocratiche e liberali, con il tentativo esplicito di
settori delle sinistre moderate di rilanciare se stesse dentro il
movimento. I contestatori sono entrati nella grande sala al grido di
“Fuori la guerra dal Forum” e “Viva la lotta argentina”. Vari
deputati dell’Internazionale socialista si sono opposti che nel testo
finale figurasse qualsiasi riferimento alla guerra, mentre i parlamentari
antiliberisti, soprattutto noi di Rifondazione comunista, non potevamo
certo accettare una risoluzione in palese contrasto con lo spirito
generale del Forum in cui il no netto alla guerra è stato un punto
fondante, né tacere la contraddizione di chi è venuto a Porto Alegre a
professare fede antiliberista e poi, nel suo lavoro parlamentare
quotidiano, vota le privatizzazioni o, peggio, la guerra. (On.Tiziana
Valpiana)
Blu... cupo
Questa mail ha il solo scopo di infrangere un silenzio forzato sulle
vicende di un'azienda italiana: la Blu S.p.A che appartiene al consorzio
formato da Autostrade, Mediaset (ultimamente la quota azionaria è stata
ceduta a British Telecom), Benetton, Banca Nazionale del Lavoro, Gruppo
Caltagirone, Italgas, British Telecom e Distacom. In due anni di presenza
sul mercato Blu si è dimostrata vincente riuscendo a conseguire gli
obiettivi aziendali e affermare la propria immagine occupando un proprio
spazio tra i colossi del settore della telefonia mobile (Blu registra il
12% delle nuove attivazioni, il logo Blu è conosciuto dall'85% della
popolazione nazionale, il livello di soddisfazione del cliente blu è
altissimo: il 92%). Oggi, nonostante il successo, gli azionisti vogliono
uscire dal business e per far questo hanno congelato i capitali
minacciando di mettere in liquidazione l'azienda. Nessuna tutela per i
2000 dipendenti assunti che rischiano di perdere il posto di lavoro. Circa
100 persone (ma il numero è destinato a crescere) sono già state
lasciate a casa. Scioperi, cortei e manifestazioni (il 1 marzo più di
1000 dipendenti hanno manifestato per Roma) non hanno trovato spazio su
mass-media e non ci rimane che la rete per far circolare la notizia. Ti
chiediamo di inviare questa mail ad almeno 5 persone. se non lo farai non
succederà nulla. Se lo farai avrai la riconoscenza di 2000 persone che
grazie a te forse non perderanno il lavoro. Grazie. I dipendenti di Blu.
LA
BICAMERALE, MANI PULITE E IL "GIUSTIZIALISMO"
UN ARTICOLO DI PAOLO SYLOS LABINI CHE FA GIUSTIZIA DI TUTTI GLI EQUIVOCI E
LE CRITICHE SU UNA PAROLA AMBIGUA COME “GIUSTIZIALISMO”.
Nei giorni scorsi è stato ripetuto
che la Bicamerale è stata un errore, senza tuttavia spiegare bene perché.
E’ stata inoltre ripetuta l’accusa, anche nei miei confronti, di “giustizialismo”,
ma neppure in questo caso spiegando bene il significato dell’accusa.
Penso che sia utile cercare di sgombrare il campo da equivoci al fine
d’indirizzare il dibattito verso linee più costruttive. Avviare la
Bicamerale è stato un tragico errore di strategia commesso dal
centro-sinistra per motivi che possono essere definiti di logica
elementare. Non si poteva, da un lato, chiedere la collaborazione di
Berlusconi e dei suoi soci e alleati e, dall’altro, contrastarlo in modo
intransigente: era giocoforza cercare di assecondarlo, anche se in modo
non dichiarato e qualche volta con la tecnica del rinvio, nelle questioni
più scottanti per lui: giustizia, conflitto d’interessi e, in seguito,
le rogatorie (“legge Previti”). Ricordo che nel tempo immediatamente
precedente la Bicamerale era ripreso il dibattito sulle riforme
istituzionali intese in senso stretto, ossia le riforme relative alle
regole delle elezioni, fra cui la questione degli sbarramenti e il
maggioritario. I dirigenti del centro-sinistra si accordarono per creare
la Bicamerale e non si opposero – questo è il punto gravissimo –
quando Berlusconi pretese, officiosamente, che nell’agenda venisse
inserita anche la riforma della giustizia come condizione della sua
collaborazione: una tale pretesa, per i suoi conti tremendi aperti con la
giustizia, avrebbe dovuto provocare subito il rifiuto di avviare la
Bicamerale; ma i nostri astuti leader pensarono che, per via di quei
conti, il personaggio sarebbe stato malleabile, trascurando il fatto che,
se un machiavellico incontra un altro leader più astuto e machiavellico
di lui, può essere battuto e non può neppure protestare, avendo
accettato quelle regole del gioco. Questa mia critica non è fondata sul
senno di poi: la Repubblica dell’11 febbraio 1997 pubblicò un mio
appello a Massimo D’Alema, il principale leader del centro-sinistra, in
cui fra l’altro scrivevo che eravamo tutti convinti che la questione
della giustizia ed altre questioni assai importanti dovevano essere
escluse dalla Bicamerale e restare affidate alla normale attività del
Parlamento, cosicché, apprendendo che la riforma della giustizia era
stata inclusa nell’agenda, domandavo: “siamo stati dunque tratti in
inganno? In ogni modo – aggiungevo – è assurdo ed ha carattere
ricattatorio attribuire la priorità numero uno alla giustizia. Il
progetto berlusconiano rappresenterebbe un colpo durissimo
all’equilibrio dei tre poteri e quindi all’assetto democratico.
Sarebbe anche un colpo durissimo per la sinistra e per i liberali degni di
questo nome. E’ vero: oggi il silenzio dei sedicenti liberali è
tremendo. Di questo credo che D’Alema si renda conto. Ma non si può
escludere che consideri il vantaggio della Bicamerale maggiore del
rischio. E’ giusto rivolgergli l’appello a considerare bene il da
farsi, giacchè il rischio è mortale. La Bicamerale, invece di
rappresentare il principio di un rinnovamento del nostro paese, diverrebbe
una doppia camera mortuaria.” Errare è umano: riconoscere l’errore è
la premessa per imboccare la strada corretta. Negli ultimi giorni sono in
crescita i segnali decisamente incoraggianti. Il giustizialismo dovrebbe
significare l’uso politico della giustizia. Non molto tempo fa due
esponenti del centro-sinistra, Morando e Violante, hanno spiegato che cosa
intendono con questo termine. Il primo ha scritto – nell’Unità del 25
novembre 2001 – che rimase allibito di fronte ad un lungo prolungato
applauso che in una vastissima assemblea di partito accolse la notizia
dell’avviso di garanzia ad un ministro: “in quell’applauso, non
stigmatizzato o interrotto da nessun dirigente di primo piano, era
contenuto un vero e proprio atto di ‘dimissioni’ della politica.”
Dal suo canto Violante, nel Corriere della sera del 19 dicembre 2001
scrive che nei processi per corruzione per Mani pulite gli italiani videro
la conferma del loro giudizio negativo della vecchia classe politica e
sposarono acriticamente i processi come scorciatoia per liquidare molti
degli uomini politici che ne facevano parte. Concordo con entrambi i
giudizi, del resto simili. Ma questo che c’entra col giustizialismo? Io
dico: nulla. Una cosa è l’umore popolare, esasperato per la corruzione
di un gran numero di politici; cosa diversa è una strategia portata
avanti da dirigenti di partito per utilizzare la giustizia a fini
politici, con la connivenza di determinati magistrati. Di una tale
strategia non c’è traccia né viene data dimostrazione né da Morando né
da Violante né da altri, di centro-sinistra o di centro-destra che siano.
Resta vero però che intellettuali e politici del centro-destra inveiscono
ossessivamente contro il “giustizialismo” inteso nel senso
intenzionale cui facevo riferimento, ciò che non è in alcun modo
provato. Riguardo a Berlusconi, invece, che è il personaggio per il quale
è stata proposta e riproposta la storia della persecuzione
politico-giudiziaria, ci sono prove contrarie, la più semplice delle
quali, da me citata più volte, è costituita dal libro di Guarino e
Ruggeri “Berlusconi – Il signore TV”: i due autori, querelati da
Berlusconi, furono assolti pienamente ed alla fine “senza rinvio” in
tutti e tre i gradi di giudizio; il punto è che il libro riguarda gli
anni settanta e ottanta, periodo in cui il Cavaliere non aveva da fare con
la politica, cosicché i giudici, assolvendo i due autori, non potevano in
alcun modo colpire Berlusconi politico. Per quanto semplice, questo
argomento taglia la testa al toro della congiura politico-giudiziaria o
del diabolico piano delle “toghe rosse”. L’opera di Mani pulite è
stata riconosciuta valida da tanti politici onesti, compresi esponenti
della ex-DC, il partito più colpito; paradossalmente, quando credeva che
potesse essergli politicamente utile, un tale riconoscimento fu espresso
perfino da Berlusconi. Qualcuno ha detto: ben venga il corrotto se sa
amministrare. Attenzione: dal punto di vista economico nel breve periodo
ciò può esser vero, nel periodo medio o lungo, assolutamente no. Nella
crisi dell’Argentina, paese un tempo più prospero dell’Italia, la
corruzione ha giocato un ruolo molto importante. D’altra parte, anche
nel periodo breve è vitale non vergognarci di noi stessi: senza
autostima, non può esserci “amor di patria”. I giudici di Mani pulite
e tutti i giudici onesti meritano dunque rispetto e gratitudine. Certo,
non sono pochi i giudici che, pur senza dolo, hanno commesso sbagli, anche
gravi, e che hanno compiuto abusi o atti di protagonismo che erano del
tutto fuori luogo. E sappiamo bene che ci sono giudici corrotti – e ciò
è ancora più terribile. Sappiamo anche che la giustizia ha bisogno di
riforme rilevanti, ma queste, lo ripeto, potevano e possono benissimo
essere introdotte con leggi ordinarie – giuristi di valore a suo tempo
espressero giudizi positivi, almeno come punto di partenza, sul cosiddetto
pacchetto Flick; di recente l’Ulivo ha fatto nuove proposte. Perché non
insistere su una tale linea costruttiva, invece di perdere tempo con le
vaghe e vacue accuse di “giustizialismo”? Paolo Sylos Labini (L’Unità)
Essere donna
in Turchia
Circa 30 donne sono state arrestate in Turchia quando alcune grandi marce,
svoltesi in Turchia, in occasione della Festa della donna, sono finite in
scontri con la polizia, come hanno dimostrato anche le immagini trasmesse
da CNN Turk. A Gebze e Batman le donne che sono state fermate sono state
poi interrogate ed arrestate. Non sono state rese note, invece, le ragioni
dell’arresto. Una manifestazione che si è svolta a Izmir, alla quale
hanno partecipato le donne del partito HADEP, che hanno manifestato
reclamando il diritto al lavoro e denunciando l’aumento del costo della
vita. Secondo l’Unione delle donne turche nel paese soltanto una donna
su tre è occupata, in confronto al doppio di cinquant’anni fa.
Turchia:
gli avvocati di Ocalan rschiano 7 anni di galera
La memoria delle brutte scene capitate nel piccolo porto turco di Mudanya
è ancora fresca. Nel maggio del 1999 una folla fanatica aizzata dai media
tentò di linciare gli avvocati di Ocalan, di ritorno dall’isola di
Imrali, l’isola prigione nel mare di Marmara. Questo provocò loro
numerosi problemi e solo con l’aiuto delle guardie riuscirono ad
abbandonare l’isola. (...) Dal 6 marzo Aysel Tugluk, Mahmut Sakar e
Irfan Dundar sono a giudizio di fronte alla 6a camera della Corte per la
Sicurezza dello Stato di Istanbul. Rischiando fino a sette anni di
prigione. L’avvocato Tugluk ha già ricevuto una condanna a tre anni e
mezzo per aver definito il suo cliente "signor" Ocalan, nel
corso di un dibattimento. Il giudizio non è ancora esecutivo. La condanna
ad otto anni è dovuta al fatto che, secondo l’accusa, attraverso la
diffusione degli scritti di Abdullah Ocalan si sarebbe contributo alla
diffusione di materiale terroristico. (...) Nel frattempo la Corte di
Strasburgo ha deciso che l’udienza principale del caso Ocalan si terrà
nell’ottobre di quest’anno. L’attuale procedimento contro gli
avvocati di Ocalan è un chiaro ostacolo al diritto alla difesa del
Presidente Ocalan. Una condanna degli avvocati finirebbe per influenzare
il corso del procedimento dinanzi alla Corte europea dei diritti umani.
NO NEWS
(le non-notizie di Carta (www.carta.org), in edicola dal 14 al 20 marzo)
Muro d'acqua
È il titolo di copertina del nuovo numero di Carta. Allude alle decine di
migranti annegati nel Canale di Sicilia, e a tutti quelli che muoiono
davanti alle coste pugliesi e siciliane. Ci facciamo portatori della
richiesta di una inchiesta severa sui [mancati] soccorsi . Ma questa
strage, così come i rastrellamenti e le deportazioni di queste settimane,
è un effetto preventivo della legge Bossi-Fini, che è ora alla camera
dopo essere stata approvata al senato. Chiediamo che i parlamentari della
sinistra e del centrosinistra protestino in aula almeno quanto hanno fatto
per la legge sul conflitto di interessi. Quella legge va fermata.
Barcellona e Salamanca
Occhio alla Spagna. Nella capitale catalana, dal 14 al 16 marzo, in
occasione del vertice europeo, prima i sindacati e poi i movimenti sociali
manifesteranno in nome dei diritti dei cittadini europei. Subito dopo, a
Salamanca saranno gli studenti a protestare contro la messa sul mercato
dell'istruzione. Per seguire gli avvenimenti, informazioni, date e luoghi
sul nuovo numero di Carta e, nei giorni caldi, notizie non stop nel sito.
Le guerre della Colombia
Di Palestina ci occuperemo presto, anche per preparare il viaggio di
Action for Peace, a Pasqua: la società civile che si incunea nella guerra
israeliana. In questo numero di Carta ci occupiamo invece molto della
Colombia, paese seviziato da molte guerre. Un reportage di Jason Nardi [di
Unimondo] dalla Valle del Cauca, alla ricerca delle poche e piccole isole
di pace, e un'inchiesta di The Nation, prestigioso mensile di New York, su
come gli Usa organizzano le bande paramilitari.
DOSSIER
(Articoli proposti da una lettrice, Maria Giovanna)
Immigrato
"usa e getta" (tdr)
"Siete giunti nell'azienda Italia". Potrebbero assumere questi
toni -per riprendere un'espressione della Caritas nazionale- i cartelli di
benvenuto alle nostre frontiere, dopo la promulgazione della nuova legge
sull'immigrazione che, nei giorni scorsi, ha ricevuto l'approvazione del
Senato. Un provvedimento che indurrà il forestiero ad essere perennemente
considerato solo in quanto "forza lavoro" e che permetterà al
nostro Stato di espellere chi rimarrà disoccupato per appena qualche
mese. In questo senso va letto anche il previsto restringimento della
possibilità di ricongiungimento familiare, che mina il diritto
fondamentale a vivere con i propri cari. Il senso di una legge, tuttavia,
è anche di ribadire i valori e i principi di un popolo. E', perciò,
doveroso chiederci: quali sono i nostri? Permetteremo l'esistenza di una
società di servi parallela alla nostra? Lasceremo che la. logica
consumistica, fino ad oggi applicata agli oggetti, sia trasferita anche
all'uomo? Con l'istituzione dell'immigrato "usa e getta' -secondo la
definizione della Fondazione Migrantes- i lavoratori stranieri e le loro
famiglie diventeranno dei "provvisori": provvisori i loro
progetti, le speranze, i percorsi di integrazione.Ma una minore
integrazione non giova alle nostre comunità. perché mantiene e accresce
le distanze, alimenta la reciproca diffidenza e allontana la convivenza.
(da “La Voce dei Berici” di domenica 10 marzo 2002)
L'ECCEZIONE
DELLA MANODOPERA
I romani di allora li chiamavano schiavi. I romani di oggi li chiamano
"manodopera". I secoli che hanno distanziato le due generazioni
di romani, sono serviti solo per trovare un sostantivo più
sindacaldemocratico. "E' urgente e necessario che venga subito
emanato il provvedimento annunciato dai Governo per l'ingresso di
manodopera stagionale impegnata In agricoltura". Urge la raccolta
delle fragole, delle mele, dei pomodori, dell'uva... -Se non arrivano
loro-, dice Paolo Bedoni della Coldiretti, «le colture che rappresentano
un primato per l'Italia sono a rischio». Si è sbloccata da poco la
sanatoria per le colf; ora si spera che venga sbloccata quella per
l'agricoltura. Saranno circa 150.000 gli extracomunitari regolarizzati,
come "manodopera». Alcune forze politiche ci tengono a chiarire che
non si sono mangiate la faccia con questo decreto. L'antipatia e
l'acredine per gli immigrati è tuttora molto presente e pesante. Pare,
anzi, che da una recente ricerca i terzomondiali siano sempre meno amati
non solo dai politici ma anche dagli italiani. Vogliamo solo due mani che
lavorano e tantissimi «animali dotati di voce». Era così che i romani
definivano gli schiavi. (Famiglia cristiana - n. 5 del 3 febbraio 2002).
Benvenuti...
nell'Azienda Italia (tdr)
Il disegno di legge sull'immigrazione approvato dal Senato lo scorso 28
febbraio non ha mancato di suscitare i più differenti commenti. Tra
questi, immediate sono state le reazioni e le proteste
dell'associazionismo che opera nel settore, tra cui hanno avuto
particolare risalto quelle della Caritas italiana - secondo la quale il
nostro Paese, privato dalla legge dei principi dell'accoglienza civile,
ora diventa «L'azienda-ltalia» - e della Fondazione Migrates, il cui
direttore, mons. Luigi Petris, ha alzato la voce per dire no agli
immigrati usa e getta". A Gabriele Brunetti, presidente
dell'associazione vicentina "L'isola che non c'è", abbiamo
chiesto di aiutarci a capire perché il disegno di legge sia stato
definito un provvedimento "che non rispetta la dignità della
persona, impedisce l'integrazione e non facilita un clima di serenità
nell'opinione pubblica", per usare ancora le parole di monsignor
Luigi Petris. «Il disegno di legge - spiega Brunetti - prevede una serie
di piccoli interventi che rendono difficile il progetto immigratorio
permanente», che, cioè, compromettono il percorso di integrazione del
migrante e della sua famiglia. «La filosofia di fondo è di ricondurre
tutte le problematiche dell'immigrazione al lavoro, trasformando
l'immigrato stesso in un ospite lavoratore». Per far questo, si prevede
la soppressione dell'istituto dello sponsor, che attualmente consente
l'incontro diretto tra domanda e offerta di manodopera, l'istituzione del
contratto di soggiorno, in base al quale si entra e si rimane in Italia
solo se si ha un lavoro, e la drastica riduzione a sei mesi del tempo
concesso al disoccupato per trovare una nuova occupazione. «In questa
logica vanno letti anche i provvedimenti riguardanti l'accesso agli
alloggi popolari comunali, consentito nella misura massima del cinque per
cento degli immigrati aventi diritto, e l'innalzamento a sei anni della
permanenza regolare e continuata necessaria per l'ottenimento della carta
di soggiorno». «Un'altra decisione preoccupante - sottolinea il
presidente dell'isola che non c'è" - è la limitazione del diritto
di difesa dell'immigrato di fronte all'espulsione; limitazione, in quanto
la norma impone di eseguire il provvedimento senza entrare nel merito se
esso sia giusto o no. Così facendo, si priva la persona del diritto
fondamentale alla difesa. Ognuno di noi, invece, se accusato, vorrebbe e
dovrebbe avere la possibilità di provare la propria innocenza ...».
Purtroppo le nuove norme, prevedendo la possibilità di presentare ricorso
solo ad espulsione avvenuta, quindi dall'estero, non lo consentiranno.
Gravissimo è poi il metodo con cui saranno esaminate le richieste di
asilo, basando l'accoglimento o il diniego sull'ipotesi che l'interessato
avanzi tale richiesta solo per sfuggire all'espulsione. E' una valutazione
fondata sul pregiudizio, commenta Gabriele Brunetti, in netto contrasto
con i principi sanciti dalla Convenzione di Ginevra». Anche sulla
regolarizzazione dei collaboratori familiari c'è qualcosa da
sottolineare: «Seppure i sostenitori della nuova legge non ne condividano
la definizione, il provvedimento è, di fatto, una sanatoria - prosegue
Brunetti. E questa sanatoria mette in luce due aspetti. Il primo è che
permane una situazione di difficoltà nell'ingresso e nell'inserimento
regolare degli immigrati nel mondo del lavoro; infatti, se si dichiara che
c'è un numero consistente di clandestini che lavorano, significa che il
nostro Paese ne ha bisogno e che le procedure di repressione e controllo
non hanno funzionato... Seppure le ripercussioni più pesanti si avranno
sulla pelle dell'immigrato che vuole vivere e lavorare tra noi in regola e
che intraprende un cammino di integrazione, il presidente de" L'isola
che non c'è" è preoccupato anche per i riflessi negativi che la
nuova legge potrà avere sugli italiani. " il messaggio che il
legislatore lancia al cittadino è : io ti garantisco la sicurezza, ma a
scapito dei diritti fondamentali dell'uomo, in questo caso dell'uomo
immigrato". A questo punto non possiamo fare a maeno di chiederci
quale dignità di persone ci resterà se, per salvaguardare la nostra
tranquillità, siamo disposti a calpestare la vita di tanti fratelli e
sorelle venuti da lontano. ( da " La Voce dei Berici" del 10
marzo 2002 , a cura di Luca De marzi )
ZOOM ASSOCIAZIONI
Il Cigno»
spicca il volo con un Laboratorio Itinerante di Promozione della Lettura
L'Associazione di Volontariato "Il Cigno" si prefigge di offrire
occasioni mirate a migliorare la qualità della vita delle persone. A tal
fine si prodiga per avviare iniziative di carattere educativo volte a
risvegliare l'amore per la lettura del libro in questi tempi sempre più
assopito dall'imperversare di stimoli massmediali e telematici. Le modalità
della proposta dell'associazione si racchiudono nel fare della lettura un
momento d'incontro e di scambio. PROGETTO: LETTURA COME INCONTRO:
LABORATORIO ITINERANTE DI PROMOZIONE LETTURA. DESTINATARI: BIBLIOTECHE,
CENTRI CULTURALI, PUNTI DI AGGREGAZIONE, COMUNITA' ASSISTENZIALI,
EDUCATIVE, CASE DI RIPOSO, DELLA ZONA TERRITORIALE DELL'EST VERONESE (Lavagno,
Illasi, Colognola ai Colli, San Bonifacio, Caldiero, Monteforte, Soave e
tutti quelli interessati). MODALITA': INDIVIDUAZIONE DI LUOGHI E TEMPI NEL
PROPRIO AMBITO TERRITORIALE, PER STARE INSIEME LEGGENDO, ASCOLTANDO,
PARLANDO, INTRATTENENDOSI ATTORNO AD UN LIBRO. DA CHI: L'OFFERTA PARTE DA
LETTORI PREPARATI A TRASMETTRE IL PIACERE DI LEGGERE. A CHI: LA PROPOSTA
E' RIVOLTA A GRUPPI DI PERSONE CHE CONDIVIDONO IL DESIDERIO DI AVVICINARSI
IN MODO AVVINCENTE AL MONDO DEI LIBRI E DELLA LETTURA. QUALI LIBRI? QUELLI
PIU' NOTI DELLA LETTERATURA CLASSICA. QUELLI PIU' NUOVI DEGLI AUTORI
CONTEMPORANEI. QUELLI SUGGERITI DURANTE IL PERCORSO. PER INFORMAZIONI:
TEL. 045982927 - ASSOCIAZIONE "IL CIGNO". RESPONSABILE del
PROGETTO Dott.ssa ELISA ZOPPEI (Centro Universitario di Educazione alla
Lettura - Università di Verona) (il Presidente, Simone Roncoletta).
Associazione di Volontariato "Il Cigno", via Cima Carega, 17.
C.A.P. 37030 Lavagno (VR).
INTERCAMPO IN
GUATEMALA
GVC e Y.O.D.A. organizzano un intercampo in Guatemala. Quest’intercampo
s’inserisce all’interno del Progetto “Diritti Umani e migrazioni
involontarie, analisi delle cause e tutela dei diritti dei rifugiati
profughi e richiedenti asilo” AID 6670 cofinanziato dal Ministero degli
Affari Esteri. Promosso dal GVC, in consorzio con CESTAS, COSPE, CRINALI,
NEXUS-CGIL, SCI, Terres des Hommes Italia e con la partecipazione di ASGI
e GRUPPO YODA. Periodo: 03 Aprile 2002 – 17 Aprile 2002; Luogo: Sierra
di Quetzaltenango; Numero Partecipanti: 15 persone; Controparte locale:
Ong CeDePem; Referente: Henry Morales. Tipologia Progetto: L’Ong CeDePem
coordina, all’interno di comunità indigene Quichè, progetti di
ricostruzione di infrastrutture agricole per “desplazados”, cittadini
guatemaltechi rientrati nel paese dopo anni di emigrazione forzata a causa
della guerra civile. Attività in programma: Costruzione di serre e
depositi; Incontri con la comunità locale; Visite a progetti GVC;
Realizzazione di un video e di un Progetto fotografico (con immagini
scattate dagli alunni delle scuole primarie sulla loro vita quotidiana).
Attività sul territorio: Raccolta Fondi; Medicinali generici; Materiale
didattico e fotografico. Quota di partecipazione: € 1.100: comprensiva
di tessera d’iscrizione Yoda, volo a/r, vitto, alloggio, assicurazione e
trasporti interni, materiali informativi, incontri di formazione.
Segreteria organizzativa per Yoda: Biagio Caracciolo (333-7420925),
Jonathan Ferramola (328-3429491) gruppoyoda@hotmail.com
PER RICORDARE
MONS. ROMERO
PROGETTO CONTINENTI (ONG di solidarietà internazionale) e CASA DELLA PACE
(Comune di Pesaro) organizzano il palinsesto: DA ESISTENZE INVISIBILI A
RESISTENZE VISIBILI e vi invitano alla CONFERENZA- DIBATTITO PER IL 22°
ANNIVERSARIO DELL’ASSASSINIO DI MONS. ROMERO - SALVADOR. La chiave di
lettura che proponiamo è quella di interrogarsi sulle forme di resistenza
all’imposizione economica e culturale del neoliberismo. Sono forme,
diverse, di una stessa resistenza, comune ai due contesti Latino-americano
ed italiano. Per questo vanno analizzate in modo parallelo: “…il caso
argentino è l’ultimo capitolo di una metafora italiana.” (M.
Chierici). Tra queste, anche la forma di resistenza di Romero, fatta di
concreto impegno contro l’ingiustizia socio-economica e politica in
Salvador, conserva una propria valenza rivoluzionaria. Interverranno:
Raniero La Valle, giornalista, saggista “Romero: una resistenza
messianica. E la nostra?”; Maurizio Chierici, giornalista-inviato nei
paesi dell’America Latina “Liberismo e paura funzionano insieme: Perù,
Argentina, Cile”. L’incontro di terrà presso l’AUDITORIUM DI
PALAZZO MONTANI- ANTALDI PESARO LUNEDI’ 29 MARZO, ORE 21.00. Con la
collaborazione di: Associazione Peruviana Pesaro-Italia; Bethlemme 2000;
Comunità Via del Seminario; Comunità Nigeriana Pesaro-Urbino; CASDIC;
Granello di Senape; Gruppo Missionario Comboniano; Rete di Lilliput-Pesaro,
Vocé-Onlus.
"Anch'io
a Kisangani": la partenza slitta al 22-27 maggio
Slitta al 22 - 27 maggio 2002 l'azione di pace a Kisangani. La decisione
è stata presa dal comitato promotore congolese, che ha ritenuto
necessario posticipare le date sia per la difficoltà di ottenere
l'agibilità politica che per favorire una diffusione più capillare del
progetto. "Bisogna permettere alla popolazione intera di collaborare
alla realizzazione del SIPA, affinché non venga in alcun modo visto come
una cosa calata dall'alto". In un messaggio di Lisa Clark,
attualmente a Kisangani, le motivazioni e il nuovo programma
dell'iniziativa (disponibile su www.beati.org). Intanto a Sun City
(Sudafrica) procede con difficoltà il 'Dialogo intracongolese', e in
alcune zone orientali del Paese si continua a combattere e a morire. E? di
oggi la notizia che i Mayi-Mayi (partigiani nazionalisti congolesi) hanno
lanciato un'offensiva nei confronti di Kitutu, centro che sorge 230
chilometri a sud-ovest di Bukavu (Sud Kivu, est della Repubblica
democratica del Congo). I militari della Coalizione democratica congolese
(Rcd), che la scorsa settimana avevano respinto un analogo attacco, ieri
sono stati costretti a battere in ritirata, cedendo il controllo dell?insediamento
ad alcune decine di Mayi-Mayi, appoggiati da circa 200 altri uomini
armati, probabilmente ex membri delle Far (le vecchie forze armate
ruandesi dei tempi del presidente Habyarimana), profughi in Congo dal
1994.
XII Festival
del cinema africano: Milano 15-21 marzo 2002
Organizzato dal COE e giunto ormai alla XII edizione, il Festival
costituisce un momento unico in Italia per la visione di una delle
cinematografie meno conosciute ed estremamente vitali del panorama
"extra-occidentale". Le proiezioni del Festival, circa 70
pellicole e 30 video, hanno luogo in cinque sale cinematografiche situate
nel centro di Milano. Tutti i film sono sottotitolati elettronicamente o
tradotti simultaneamente in italiano. La presentazione dei film in
concorso è presenziata dal regista. Biglietto: 4.50 euro - Tessera: 23
euro. QUATTRO LE SEZIONI PRINCIPALI: CONCORSO cinematografico di
lungometraggi, cortometraggi e video realizzati da registi africani o
della diaspora africana nel mondo. FINESTRE SUL MONDO: UN POSTO SULLA
TERRA, Una ventina di opere (di corto, medio e lungometraggio, in
pellicola e video, di finzione e documentario) per un cinema di
resistenza. SEZIONE RETROSPETTIVA: IL CINEMA DELLA COSTA D'AVORIO. SEZIONE
FUORI CONCORSO, omaggi a registi africani affermati, film e documentari
sull'Africa di registi non africani. SEZIONE ITINERANTE ITALIANA. Da
alcuni anni la Direzione del Festival ha deciso di portare
l'evento-festival in altre città italiane, stimolando e incentivando una
già solida consuetudine. Quest'anno il COE in collaborazione con il
Servizio Civile Internazionale presenta il FESTIVAL del CINEMA AFRICANO a
Roma e il FESTIVAL del CINEMA AFRICANO a Torino nei giorni immediatamente
successivi al festival. INFO: www.festivalcinemaafricano.org (programma
completo). MILANO: COE, Centro Orientamento Educativo, Tel: 02 6696258
coemilano@coeweb.org TORINO: Centro Interculturale tel. 011/4429700
centroic@comune.torino.it ROMA: Servizio Civile Internazionale, Tel.
065580644/661 Fax 065585268 info@sci-italia.org www.sci-italia.org
e-mail
Verona,
un lenzuolo per piangere
Verona è una città di incredibile bellezza storico-artistica. Ma... come
ebbe a dire in un'intervista Don Pighi, da più di trent'anni sulla
breccia della riabilitazione dei tossicodipendenti, sotto la facciata
nasconde vizi e fatiscenza. Il più repellente è , per la mia sensibilità,
quello di non essersi sottratta all'affare del turismo sessuale minorile.Lo
si sa da anni. Ha avuto il primato per lo spaccio della droga... e
conseguentemente anche quello di abile riciclaggio... Sotto il trucco
della sua opulenza cosa nasconde la bella Verona? Quanta ricchezza è
legata all'economia sommersa delle attività malavitose? Chi se ne occupa?
O...chi se ne è occupato? I verdi...i bianchi o i rossi??? Nadia
Scardeoni (Verona)
da TELEVIDEO Ma 12 Mar 07:41:16
DROGA,BLITZ A VERONA 8 ARRESTI
Stroncato, negli ambienti della Verona- bene, un traffico di cocaina che
vedeva coinvolti anche titolari di ristoranti e locali del centro storico.
Otto le persone arrestate dalla Squadra mobile. Nove gli indagati: tra
loro, un imprenditore nel settore della moda di importanti griffe,
denunciato anche per cessione di droga a minorenni, turismo sessuale e
prostituzione omosessuale minorile. Sigilli per un ristorante, una
pasticceria e un bar della città, luogo di ritrovo per l'acquisto della
droga.
PAROLE
IN LIBERTA'
di Vincenzo Andraous
(vincenzo.andraous@cdg.it-
Tel. 0382 3814417)
Vincenzo Andraous è
nato a Catania il 28-10-1954, una figlia Yelenia che definisce la sua
rivincita più grande, detenuto nel carcere di Pavia, ristretto da
ventinove anni e condannato all’ergastolo “FINE PENA MAI”. Da otto
anni usufruisce di permessi premio e lavoro esterno in art.21, da due anni
e mezzo è in regime di semilibertà svolgendo attività di
tutor-educatore presso la Comunità “Casa del Giovane “di Pavia. Per
dieci anni è stato uno degli animatori del Collettivo Verde del carcere
di Voghera, impegnato in attività sociali e culturali con le televisioni
pubbliche e private, con Enti, Scuole, Parrocchie, Università,
Associazioni e Movimenti culturali di tutta la penisola, Circa venti le
collaborazioni a tesi di laurea in psicologia e sociologia; E’titolare
di alcune rubriche mensili su riviste e giornali, laici e cattolici;
altresì su alcuni periodici on line di informazione e letteratura laica,
e su periodici cattolici di vescovadi italiani; ha conseguito circa 80
premi letterari; ha pubblicato sette libri di poesia, di saggistica sul
carcere e la devianza, nonché la propria autobiografia; “Non mi
inganno” edito da Ibiskos di Empoli; “Per una Principessa in jeans”
edito da Ibiskos di Empoli; “Samarcanda” edito da Cultura 2000 di
Siracusa; “Avrei voluto sedurre la luna“ edito da Vicolo del Pavone di
Piacenza; “Carcere è società” edito da Vicolo del Pavone di
Piacenza; “Autobiografia di un assassino-dal buio alla rinascita”
edito da Liberal di Firenze; “Oltre il carcere” edito dal Centro
Stampa della “Casa del Giovane” di Pavia.
LA
MANO DI DIO
In quella sorta di terra di nessuno che è il carcere, Don Giuseppe è
stato un movimento lento, ma inarrestabile, soprattutto inalienabile,
nonostante le contorsioni perverse prodotte dai meccanismi
spersonalizzanti che si sprigionano da quel pianeta sconosciuto. Oggi, Don
Giuseppe ha dimesso gli abiti di Cappellano del carcere, non lo incontri
più nelle sezioni, a colloquio nei corridoi, nelle celle, oppure nei
passeggi cementati. Da qualche tempo è a riposo, in una di quelle stanze
confortevoli create per le persone anziane. Sono andato a fargli
visita…e mi sono trovato spiazzato. Pensavo di avere innanzi un uomo
finalmente libero dalle pressanti e disperate richieste di una umanità
ristretta. Invece ho trovato lui stesso “detenuto”, in un altro tipo
di cella. I suoi passi sono lenti, il corpo rimane fermo come il cielo
impresso nell’acqua del lago, eppure sotto quella consapevole ritirata,
c’è la ribellione di chi rifiuta di voltare le spalle. Sono entrato in
quella stanza, con lo stesso sentimento di bene, di quando varcavo la
soglia del suo ufficetto in prigione. L’identica gioia mi accompagnava,
ma incredibilmente differente era la condizione. I ruoli completamente
ribaltati, lui che sempre ha teso la mano all’ultimo, ora è tra queste
“quattro mura”. Io che per anni mi sono sottratto agli altri, oltre
che a me stesso, ero libero di entrare ed uscire da quelle sbarre
invisibili. Ho ricordato quell’uomo con le croci degli altri ben cucite
addosso, tanto da farle proprie. Ho rammentato l’uomo e poi il
Sacerdote; l’uomo con lo sguardo in alto, sebbene tra l’incudine e il
martello; dei vertici penitenziari distanti, dei detenuti inchiodati alle
loro colpe. Ho ritrovata intatta la sua capacità di credere e sperare
nell’uomo nuovo, insieme agli antichi insegnamenti: “occorre
riesaminare continuamente il passato per approdare a un mutamento
interiore che costruisca civiltà nell’amore”. Patrimonio, questo, di
quella sua cristianità che non regala facili ammende, o percorsi
illusoriamente in discesa. In questa sua cella, il paradosso che si
consuma è di carne e sangue, mentre il tempo si ferma. Rimangono le sue
parole che non sono mai di ieri. Parole di Giustizia, anche per gli
ultimi, in un carcere ancora troppo lontano dalla parabola evangelica del
figliol prodigo, ancora troppo a misura ( o peggio dismisura ) di una
mentalità che considera il pagare una regola che va onorata, ma
disinteressandosi dell’assenza e dello spirito della Costituzione,
quindi dello stesso Vangelo. Mentre rimango ad ascoltare l’Uomo, rivivo
i giorni in cui il Papa ha messo insieme come una Trinità:
PACE-GIUSTIZIA-PERDONO. Persino all’interno di una prigione, di una
solitudine imposta, di uno spazio angusto, non c’è solo l’eternità
della penitenza, ma il bisogno di un aiuto, la necessità di un recupero
che riconduca alla propria dignità tra gli uomini. Con questi pensieri ho
salutato Don Giuseppe, con la gratitudine di chi sta imparando che
Giustizia e Perdono vanno conquistati e meritati, nella fatica e negli
impegni assunti in tutti i giorni. In quelli che rimangono nel tanto
cammino ancora da fare insieme. Vincenzo Andraous (Carcere di Pavia e
tutor Comunità Casa del Giovane di Pavia, Marzo 2002)
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SORRISI E CEFFONI
La
giornata normale di un uomo normale
Salve, mi chiamo A. vivo a Milano 2, in un palazzo costruito dal
Presidente del Consiglio. Lavoro a Milano, in un'azienda di cui è
azionista principale il Presidente del Consiglio. Anche l'assicurazione
dell'auto con cui mi reco al lavoro, è del Presidente del Consiglio. Mi
fermo tutte le mattine a comprare il giornale, di cui è proprietario il
Presidente del Consiglio. Al pomeriggio, esco dal lavoro e vado a far
spesa in un supermercato del Presidente del Consiglio, dove compro
prodotti realizzati da aziende del Presidente del Consiglio. Alla sera,
quasi sempre guardo le TV del Presidente del Consiglio, dove i film
(spesso prodotti dal Presidente del Consiglio) sono continuamente
interrotti da spot realizzati dall'agenzia pubblicitaria del Presidente
del Consiglio. Allora mi stufo e vado a navigare un po' in internet con il
provider del Presidente del Consiglio. Soprattutto, guardo i risultati
delle partite, perché faccio il tifo per la squadra del Presidente del
Consiglio. Una volta a settimana più o meno vado al cinema, nella catena
del Presidente del Consiglio, anche li' vedo un film prodotto dal
Presidente del Consiglio, e gli spot iniziali sono realizzati dall'agenzia
del Presidente del Consiglio. La domenica rimango a casa, leggendo un
libro, la cui casa editrice è di proprietà del Presidente del Consiglio.
Naturalmente, giustamente, come in tutti i paesi democratici anche in
Italia è il Presidente del Consiglio che fa le leggi, che vengono
approvate da un parlamento dove la maggioranza è saldamente in mano al
Presidente del Consiglio, che ovviamente governa nel MIO esclusivo
interesse."
Barzellettando
Le tribù indiane sono in rivolta, viene mandato il settimo cavalleggeri
per domarle. Il colonnello, prima di avventurarsi fra le montagne, manda
in avanscoperta degli esploratori, per tutelarsi dalle imboscate. Torna
l'esploratore e il colonnello gli fa:
- Allora, riferiscimi quello che hai visto!
- Avanti 10 miglia da qui, mi sono imbattuto in 1.016 indiani.
- Complimenti esploratore, così mi piacciono i rapporti: precisi ed
esatti riceverai un premio! Ma racconta: come hai fatto a contarli in
maniera tanto puntigliosa?
- Quando ho sentito i rumori dell'accampamento indiano, sono sceso da
cavallo, e ho cominciato a strisciare per terra per non essere visto. Ad
un tratto, sulla collina alla mia sinistra, vedo quattro indiani di
guardia...
- Si... continua!
- Mi giro sulla destra, e ne vedo altri quattro, su di un'altra altura.
Per fortuna sono passato inosservato anche ai loro occhi.
- Si... ma vai avanti!
- Ed ecco che ne vedo altri otto, risalire il sentiero nella mia
direzione.
- Va bene... ma gli altri?
- Oh, bhe, sotto nella vallata, ce ne erano un casino... saranno stati
almeno un migliaio...
Pensieri @ltri
Perle
di saggezza
"Molte persone entreranno ed usciranno dalla tua vita, ma soltanto i
veri amici lasceranno impronte nel tuo cuore. Per trattare te stesso usa
la testa, per trattare gli altri usa il tuo cuore. Se qualcuno ti tradisce
una volta, è un suo errore, se qualcuno ti tradisce più di due volte è
un tuo errore. Grandi menti discutono di idee, menti mediocri discutono di
eventi, piccole menti discutono di persone e di quel che fanno. Chi perde
denaro perde molto, chi perde un amico perde molto di più, chi perde la
fede perde tutto. Giovani ragazzi belli sono casi naturali, ma persone
anziane belle sono lavori d'arte. Impara dagli errori degli altri non puoi
vivere così a lungo per farli tutti da te." (Eleanor Roosevelt)
Diritti
e ingiustizie
…«Non soltanto impegnati per contrastare le ingiustizie sul versante
dell’accoglienza, del servizio o di prestazioni diverse, ma coinvolti
anche in una vigilanza critica per diventare sentinelle dei diritti
altrui…
E’ generalmente istintivo difendere i propri diritti quando questi
vengono offesi. Molto più difficile – e meno spontaneo – è
coinvolgersi in prima persona quando ad essere calpestati sono i diritti
di altri, di minoranze più o meno vicine.
Diventare capaci di riconoscersi interpellati personalmente da ingiustizie
che riguardano gli altri, è il segno di una cittadinanza non indifferente
e corresponsabile…» Don Luigi Ciotti
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@ FINE @ @ @