La risposta è la cooperazione

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La risposta è la cooperazione
di Giulio Marcon, Presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà

Nel contesto dei nuovi "venti di guerra" dopo l'attentato dell'11 settembre, diventano di ancora più grande attualità la riflessione ed il dibattito sui meccanismi di un sistema di "sicurezza internazionale" che prevenga il terrorismo e la guerra e sappia mantenere la pace e difendere i diritti umani, ovunque.

Nel mainstream della realpolitik occidentale, la strada che è stata tracciata (e rafforzata dopo gli eventi che sono seguiti all'11 settembre) è abbastanza chiara e netta: rafforzare i meccanismi di difesa militare (magari aumentando le spese per le armi e dando il via libera alla costruzione dello "scudo stellare") e di alleanza tra i paesi più potenti della terra. In tal senso, la scelta del rafforzamento e dello sviluppo della NATO è sempre più un'opzione strategica e centrale. Di fronte allo scoppio di guerre e violenze, invece di affrontare le cause e le radici profonde dei conflitti che favoriscono il reclutamento della manovalanza terrorista (conflitti e tensioni irrisolte, disperazione sociale, ecc.), si sceglie di intraprendere unicamente la strada della difesa armata, della deterrenza (e dell'intervento) bellica. Anche il recente incontro della NATO (26-27 settembre, a Bruxelles) ha confermato la linea strategica seguita in questi anni: un ruolo di "polizia" (non in nome di tutti, ma solo per conto dei paesi più forti) volto a difendere gli interessi strategici dei paesi che ne fanno parte e una visione della "sicurezza" che ha bisogno di "nemici" per potersi legittimare. Non più, quindi, un'Alleanza Atlantica pronta solo ad intervenire per difendere i propri membri da un attacco di un nemico esterno (come dice l'art. 5 del suo trattato istitutivo), ma pronta ad agire ovunque, a seconda delle indicazioni dei suoi membri. Il prologo è stato l'intervento in Bosnia (estate 1995) e i proseguio in grande stile è stato rappresentato dalla "guerra umanitaria" in Kosovo (marzo-giugno 1999). Tutto questo si è accompagnato con l'allargamento ad est dell'Alleanza (dal 1999 hanno aderito Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia e truppe della NATO sono presenti oggi in Albania, Macedonia, Kosovo, Bosnia) e con il varo della "nuova concezione strategica" (Washington, aprile 1999) che ha, per l'appunto, ridisegnato e formalizzato il nuovo compito "umanitario" e di "sicurezza" della NATO (i nuovi nemici sono in base a questo nuovo "concetto": terrorismo, tensioni internazionali, stati "canaglia", minacce agli approvvigionamenti, ecc.). Nella riunione di Bruxelles, tra i punti discussi -nel quadro della nuova situazione dopo gli attentati dell'11 settembre- vanno ricordati: a) la disponibilità offerta agli Stati Uniti di collaborare all'intervento armato in Afghanistan, b) la continuazione dell'impegno in Macedonia con la nuova missione militare "Amber Fox" e c) lo sviluppo di forme nuove di un partenariato con la Russia di Putin.

Quali alternative

Nel contesto della nuova situazione del "dopo 11 settembre", dei nuovi scenari di guerra che si sono aperti e delle tante "nuove" guerre degli anni '90 (ben 85, di cui 79 nazionali, etniche, interne) non basta più però denunciare solamente le "malefatte" della NATO, evidenziare le cause nel neoliberismo o avere posizioni ideologiche da anni '70 e strillare: "yankee, go home". Di fronte ai massacri in Ruanda e in Burundi o di fronte a più di 1000 giorni di assedio a Sarajevo bisogna proporre delle alternative -delle politiche e delle pratiche alternative- per prevenire le guerre, costruire e mantenere la pace. La nostra politica alternativa alla NATO sono le Nazioni Unite -"l'ONU dei Popoli"- che vanno adeguatamente riformate e democratizzate, ma anche potenziate nei loro strumenti di intervento. Sono queste le richieste formulate in tante marce pacifiste da Perugia ad Assisi, che però hanno trovato scarso ascolto in questi anni nei governi e nei parlamenti. La prevenzione e la soluzione nonviolenta e giusta dei conflitti rimangono la strada maestra; ma bisogna ricordare che è sempre di più necessario attuare quella parte della Carta delle Nazioni Unite (il cap. VII) in cui si parla di "polizia internazionale" e di un autonomo ruolo delle Nazioni Unite per mantenere e costruire la pace. Le grandi potenze (Stati Uniti in testa) hanno fatto in modo in questi anni che l'ONU non potesse esercitare questo ruolo. Le nostre pratiche alternative già sperimentate: volontariato pacifista, diplomazia popolare, interposizione nonviolenta, "caschi bianchi". Non abbiamo solo marciato, protestato, rivendicato, ma abbiamo tentato di costruire "dal basso" una alternativa concreta di un percorso di pace fatto di ponti di dialogo, riconciliazione, solidarietà. Pratiche che, soprattutto nel contesto di guerre civili, servono molto di più di tanti interventi militari. In questo contesto all'"ingerenza umanitaria" della NATO -fatta di guerre e di violazioni del diritto internazionale- abbiamo contrapposto "l'ingerenza umanitaria" dei pacifisti e della società civile che -al di fuori di ogni atteggiamento di "superiorità" di tipo neocoloniale- vuole condividere con le vittime dei conflitti un percorso di pacificazione e di ricostruzione nonviolenta delle società. La NATO non riuscirà mai -se non al costo di ingiustizie, guerre e nuove armi- a garantire una sicurezza sul pianeta. Solo dalla cooperazione internazionale, dal disarmo e dalla soluzione dei conflitti potrà venire una prospettiva certa e pacifica di un nuovo e giusto ordine internazionale.

Si ringrazia per la disponibilità la redazione di MOSAICO DI PACE, Rivista mensile promossa da PAX CHRISTI.

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