Biospeleologia del Piemonte

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Biospeleologia - Cenni essenziali

Storia

Ecologia e fattori ambientali

Categorie trofiche biospeleologiche

Evoluzione ipogea

Biogeografia


Biogeografia


La vita, in tutta la sua complessità, si manifesta in natura in una grande varietà di forme o specie. Nessuna di queste è distribuita casualmente sulla superficie della Terra. Ogni specie popola solo un'area limitata rispetto alle dimensioni del pianeta, seppur variabile da specie a specie. Ci sono infatti organismi molto rari ed altri comunissimi. Questa ineguale distribuzione spaziale è una caratteristica fondamentale degli esseri viventi ed è dovuta al fatto che ogni specie si è evoluta, nel corso della sua storia, in modo tale che i suoi processi vitali fisiologici, comportamentali e di accrescimento, funzionino solo in un determinato ambiente, con condizioni limitanti e con certi tipi di risorse alimentari.

A questo punto entrano in gioco anche processi importantissimi come la competizione, la specializzazione, la selezione naturale. Ma fondamentale è comprendere che le condizioni ambientali quali temperatura, luce, umidità e le risorse alimentari non sono assolutamente distribuite omogeneamente: perciò, anche la distribuzione degli organismi non sarà uniforme.

La biogeografia studia pertanto la distribuzione degli esseri viventi nel tempo e nello spazio, i fattori che la determinano o la limitano.


Limiti di distribuzione

Il luogo in cui una specie animale o vegetale vive abitualmente ed è reperibile più spesso che non altrove si chiama habitat.

Intorno alle zone di distribuzione di una specie (considerate su scala geografica o a livello di habitat) esistono aree in cui tale specie non può essere presente con la propria popolazione perchè i rapporti sinecologici (di competizione con le altre specie) sono troppo influenti e le condizioni fisiche o la mancanza di risorse alimentari sono troppo marcate per consentirne la sopravvivenza. Queste aree sono da considerarsi delle vere e proprie barriere che la specie deve assolutamente attraversare se vuole diffondersi in altri luoghi favorevoli, ma non ancora colonizzati.

Esempi di barriere possono essere mari o oceani per specie terrestri; distese di terra, specialmente desertiche, rappresentano invece un ostacolo invalicabile per organismi acquatici, ma anche le catene montuose rendono molto difficoltosa la diffusione dei viventi, perché presentano picchi di freddo troppo intenso per numerose forme viventi.

Quando gli organismi cominciano ad estendere la propria distribuzione anche su scala geografica, probabilmente traggono profitto da mutamenti climatici temporanei, stagionali o permanenti, o da variazioni nella distribuzione degli habitat (es. concorrenza numerica intensa, scarsità di cibo, ecc.), che consentono ad essi di attraversare barriere altrimenti insuperabili. In realtà gli ostacoli non sono tanto da individuarsi nei fattori ambientali ostili, quanto nella stessa fisiologia e grado di adattabilità della specie.


Relitti climatici

Molte specie, che in passato conobbero un'ampia distribuzione, furono interessate da mutamenti climatici e oggi sopravvivono solo in alcune "isole" in cui il clima è ad esse favorevole. Tali specie vengono indicate come relitti climatici. Non si tratta necessariamente di specie con una lunga storia evolutiva, poiché le modificazioni climatiche di maggior rilievo si sono prodotte in epoche relativamente recenti .

L'emisfero settentrionale, inoltre, è popolato da numerose specie le cui distribuzioni si sono venute modificando in conseguenza della regressione verso Nord delle coltri di ghiaccio che si estendevano fino ai Grandi Laghi in America settentrionale e sino alla Germania per quanto riguarda l'Europa durante i periodi glaciali del Pleistocene (gli ultimi ghiacciai si sono ritirati dalla Britannia circa 10.000 anni fa). Molte specie adattate al clima freddo erano distribuite in quell'epoca a Sud delle calotte di ghiaccio, fin quasi al Mediterraneo. Oggi queste aree sono molto più calde, così che tali specie vi sopravvivono solo in luoghi particolarmente freddi (es. alle alte quote delle catene montuose) oppure molto più a Nord, in Scandinavia, Scozia o Islanda. Non mancano esempi singolari di specie che, estinte ormai nelle regioni settentrionali, sono oggi rappresentate soltanto in luoghi freddi e montuosi di regioni meridionali da popolazioni che vanno considerate come relitti glaciali.

L'epoca glaciale terminò con un riscaldamento rapido del clima ed i ghiacciai si ritrassero verso il Nord; al loro seguito migrarono le piante e gli animali che si erano spinti a Sud nel corso dei periodi glaciali. Animali amanti del caldo poterono spostarsi celermente verso il Nord. Più lenta fu ovviamente la risposta dei vegetali per la loro più graduale capacità di diffusione.

Con lo scioglimento dei ghiacci i livelli dei mari aumentarono e alcune delle specie colonizzatrici che avevano raggiunto nuove aree attraverso connessioni di terraferma furono isolate dall'innalzamento del livello delle acque.

D'altro canto molti vegetali e animali termofili (amanti del caldo), tipici della regione mediterranea, erano sopravvissuti durante le glaciazioni nella fascia dell'Europa meridionale o addirittura nella frangia costiera dell'Europa occidentale, dove avevano trovato aree con clima umido, mite e privo dei rigori del gelo.


Origine dell'attuale distribuzione dei viventi

Consideriamo un qualsiasi nuovo gruppo di organismi che fa la sua comparsa in un determinato territorio ad esso congeniale. Se esso entra in competizione con un altro gruppo, stabilitosi precedentemente nella zona, l'espansione della distribuzione del gruppo nuovo può provocare una contrazione della distribuzione di quello preesistente. In seguito, comunque, la sua capacità di diffondersi dipenderà inizialmente dalla sua capacità o meno di superare le barriere geografiche o di adattarsi a diverse condizioni climatiche che caratterizzano questa nuova zona, ma potrà essere limitata anche dalla presenza o meno di gruppi meglio adattati a quell'ambiente.

Mutamenti climatici graduali, che interessano il mondo intero, potrebbero provocare fenomeni di migrazione delle faune e delle flore verso Nord o verso Sud, in modo da raggiungere zone più favorevoli, oppure estinzioni in quelle divenute climaticamente inospitali. Allo stesso modo potrebbero variare anche le possibilità migratorie in seguito alla comparsa di nuove barriere.

Fino a non molti anni fa le diverse distribuzioni animali e vegetali venivano spiegate solo prendendo in causa alcuni fattori fondamentali: evoluzione, variazioni climatiche (es. glaciazioni) e connessioni di zone attraverso bracci di terraferma. Ciò trova conferma in molte testimonianze offerte dal passato più recente. Ma questi ed altri fenomeni vanno inseriti in un quadro molto più complesso che interessa tutto il nostro pianeta.


La teoria della deriva dei continenti

Le singolari ed imprevedibili distribuzioni della flora e dei ghiacciai nel Paleozoico (Carbonifero e Permiano, da 360 a 245 milioni di anni fa) fanno pensare ad una posizione dei continenti molto diversa da quella attuale: uniti tra loro a formare un unico continente, detto Pangea, ed estesi più a Sud di quanto non lo siano attualmente.

Per raggiungere la posizione attuale si sono allontanati tra loro quasi fluttuando alla deriva, muovendosi verso Nord; già nei primi anni del '900 qualcuno avanzò ipotesi del genere, ma fu un tedesco, Alfred Wegener, a fornire analisi e prove in merito e a formulare una prima teoria nel 1915. Tuttavia, solo a partire dal 1953 la teoria di Wegener sulla deriva dei continenti cominciò ad essere a poco a poco accettata. Secondo tale teoria Africa ed Eurasia si allontanano gradualmente dal continente americano; l'Arabia si è approssimata all'Asia meridionale e l'Africa all'Europa, restringendo l'antico oceano di Tetide, i cui resti si possono oggi riconoscere nel Mar Mediterraneo, e provocando nel Terziario e Quaternario (da 65 milioni di anni fa ad oggi) il sollevamento della catena alpina; l'Australia si è staccata dall'Antartide e si è diretta verso Nord, infine; solo nel Terziario, l'India entrò in contatto con l'Asia, provocando il sollevamento della catena himalajana. Per quanto ne sappiamo tutti questi movimenti sono tuttora in corso, anche se lentissimi (dell'ordine di 3-10 cm all'anno).

In un'ottica più locale, per quanto riguarda la storia geologica del bacino mediterraneo, applicando la "tettonica a placche", la visione della paleogeografia del Mediterraneo occidentale e delle sue passate vicende si è molto modificata rispetto a quella risultante dalla visione tradizionale. Le moderne ipotesi sulla "rotazione" della microplacca sardo-corsa nel suo movimento di deriva che l'avrebbe distaccata dalla costa francese per portarla nell'attuale situazione, hanno portato a ripensare il popolamento faunistico delle grotte sarde e a verificarne la rispondenza, o l'eventuale discordanza, con le ricostruzioni dei geologi, tanto più che in queste ultime potrebbe forse ritrovarsi la risposta e la spiegazione alle spesso artificiose ricostruzioni di "ponti" continentali fra la Toscana e la Sardegna.

Tali spostamenti non possono non aver influenzato il mondo vivente, anche se in modo quanto mai graduale nell'arco di milioni di anni.

Alcune conseguenze possono essere:

- cambiamenti climatici per gli spostamenti dei continenti rispetto ai poli (formazione di calotte glaciali perenni su terre spostatesi verso Nord) e all'equatore;

- vicinanza del mare e quindi condizioni meteorologiche più variabili e umide per la diffusione di mari tra i continenti;

- aumento della variabilità climatica all'interno delle masse continentali per la comparsa di nuove catene montuose.


Gli endemiti e il glacialismo

Anche la nostra regione durante le glaciazioni del Quaternario fu soggetta alla parziale occupazione dei fondovalle da parte delle masse glaciali che scendevano da Nord ed alla creazione di alcune isole libere dai ghiacci e dalle nevi perenni, costituite dalle porzioni più elevate dei monti o dei massicci più meridionali. Tali oasi territoriali, note come "massicci o aree di rifugio", costituirono praticamente delle isole di salvezza per le faune preglaciali; qui infatti poterono sopravvivere quelle specie che già vi si erano insediate, mentre vi trovarono rifugio altri elementi planiziali, provenienti dalle zone limitrofe occupate dai ghiacci, nonché altre specie sospinte verso Sud dalla progressiva calata dei ghiacci.

L'isolamento geografico, in cui si trovarono durante il Quaternario questi elementi, senza possibilità di accoppiamento e quindi di scambi genetici tra le popolazioni dei vari "massicci di rifugio", favorì la formazione, all'interno delle singole specie, di razze geografiche o sottospecie o anche nuove specie derivanti da un'unica progenitrice.

Terminata la glaciazione Würmiana (l'ultima, da 75000 a 10000 anni fa), gli invertebrati manifestarono diversi livelli di capacità di ricolonizzazione dei fondovalle, ora liberati dai ghiacci, soprattutto in relazione alla loro ecologia e quindi alle loro possibilità di adattamento biologico.

Si possono distinguere quattro diverse categorie di endemiti:

1. Stenoendemiti: specie con esigenze ecologiche particolari, oggi con areale ristrettissimo e puntiforme, e con scarsissime possibilità di spostamento, nulle le capacità di ricolonizzazione;

2. Euriendemiti dei massicci di rifugio: specie con limitate possibilità di diffusione e con precise esigenze ecologiche, confinate nei massicci montuosi;

3. Euriendemiti, reimmigranti "a corta distanza": specie che ricolonizzarono piccole porzioni di aree prima coperte da ghiacci;

4. Euriendemiti, reimmigranti "a lunga distanza": specie con ampia valenza ecologica e con notevoli capacità di ricolonizzazione, che occuparono estese regioni.

Un altro numeroso gruppo di specie, ubiquitarie, senza particolari esigenze ecologiche non ebbe difficoltà a ricolonizzare territori molto vasti: si tratta di specie che presentano areali più ampi (es. specie medio-europee ed euro-asiatiche).

 



Endemiti del Piemonte e della Valle d'Aosta

I fenomeni glaciali hanno notevolmente interessato l'arco alpino occidentale. Ghiacciai costituenti una calotta glaciale sommitale hanno interessato tutte le nostre cime più alte, al di sopra dei 2000 m, anche se non si può escludere la presenza di aree di rifugio che, per condizioni locali dovute alla conformazione orografica, possono essere rimaste escluse dalla morsa di ghiaccio anche ad alte quote; la vera fascia di rifugio è verosimilmente stata, però, quella compresa fra i ghiacciai di fondovalle e le calotte cacuminali.

Organismi particolarmente resistenti al freddo possono essere sopravvissuti in ambiti locali. Recentemente l'autore ha scoperto una specie nuova di Opiliones del genere Ischyropsalis nell'alta Valsavarenche nella grotta detta "Borna du Ran".

Molto più interessante è stato l'esame della zona prealpina, in zone considerate marginali rispetto alle ultime glaciazioni.

Così, l’esame di piccole grotte poste in lenti di calcare nella Valle di Ribordone, vallecola collaterale della bassa Valle Locana, nella zona della Punta d'Arbella ha permesso di scoprire quella che è attualmente la specie di Coleottero Cholevidae più specializzata alla vita ipogea del Piemonte: Canavesiella lanai, in una fascia compresa fra i 1200 ed i 1850 m di quota.

Sulla riva orografica sinistra della bassa Valle d'Aosta, nel comune di Carema, ad una quota di circa 1400 m, fessure di origine tettonica fra cui la Boira dal Salè e la Grotta del Maletto hanno preservato dalla morsa dei ghiacci un altro Cholevidae, Archeoboldoria lanai. Nella zona settentrionale dell'arco prealpino occidentale vi è una larga fascia colonizzata fra i 1000 ed i 1800 m dal Cholevidae Archeoboldoria doderoana che è stata recentemente (1999) resa discontinua dalla scoperta di una nuova specie dello stesso genere: A. pascuttoi in una miniera della bassa Valle Cervo.

 

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V Canavesiella (nov. gen.) lanai n. sp., holotypus X

habitus. (Lunghezza totale mm 3.05)

Archeoboldoria lanai n. sp., holotypus X

habitus. (Lunghezza totale mm 2.40)

Scendendo lungo i margini dell'arco alpino occidentale, troviamo a quote intorno ai 900 m, nella bassa Valle di Lanzo, presso il gruppo di Grotte del Pugnetto, il Cholevidae Dellabeffaella roccai.

A sud della Valle di Susa, interessata da un intensissimo glacialismo, troviamo, a quote comprese fra gli 800 ed i 1200 m, nelle Valli Chisone e Germanasca, il Cholevidae Dellabeffaella olmii.

 

 

Relazioni fra distribuzione geografica dei Leptodirinae della "serie filetica di Dellabeffaella" e estensione massima della copertura glaciale quaternaria (linea scura continua) nelle Alpi Occidentali Archeoboldoria doderoana Jeannel (Ý ); Archeoboldoria lanai n.sp. Giachino & Vailati(P); Archeoboldoria pascuttoi n.sp. Giachino, Lana & Vailati (ÝP ); Canavesiella lanai n.sp. Giachino (ý ); Canavesiella casalei n.sp. Giachino (à ); Dellabeffaella roccai Capra (p ); Dellabeffaella olmii Casale (Ê ).


Ancora più a Sud, a partire dal versante orografico destro della Valle Po fino allo spartiacque fra Valle Maira e Valle Grana, è diffuso il genere Parabathyscia con due specie, oodes e dematteisi, a quote comprese fra i 500 ed i 1300 m.


L'areale dei generi Dellabeffaella e Parabathyscia si sovrappone in parte a quello dei Carabidae del genere Doderotrechus, veri fossili viventi, con le specie ghilianii, crissolensis e casalei. In particolare quest'ultimo scende a quote decisamente basse, intorno ai 600 m, ed è un endemita delle Grotte di Rossana e delle zone circostanti, mentre le altre due specie hanno un areale che va dall'alta Valle Po al versante orografico destro della Val Chisone, fino a quote intorno ai 1500 m. s.l.m.

Tutta la zona a sud della Valle Maira è ampiamente popolata da alcune specie di Carabidae Trechinae del genere Duvalius; la specie Agostinia launoi , nell'alta Valle Pesio e nel Massiccio del Marguareis, è la più rara e specializzata.


Considerazioni finali

E' facile intuire come la collocazione geografica di una cavità condizioni direttamente la presenza di un popolamento al suo interno. La maggior parte delle forme troglobie terrestri presenta una distribuzione limitata ad Europa e Asia meridionali da un lato e Stati Uniti sud-orientali dall'altro, zone marginalmente interessate dalle glaciazioni del Quaternario; si pensa perciò che siano stati soprattutto i mutamenti climatici, iniziati alla fine del Terziario e continuati nel Quaternario, ad influenzare il popolamento ipogeo.

Esistono aree europee attualmente adatte, dal punto di vista ecologico, all'insediamento di organismi ipogei, ma che invece sono assai povere di organismi troglobi: si tratta di zone situate a Nord del margine meridionale di un'area per molto tempo coperta dai ghiacci.

Il verificarsi di particolari condizioni climatiche può indurre lo spostamento di forme epigee verso l'ambiente sotterraneo (colonizzazione). Il popolamento di un sistema sotterraneo è fortemente condizionato dalle vicissitudini storiche, paleogeografiche e geologiche subite dal territorio in cui si trova.

Numerosi organismi cavernicoli sono dei veri e propri "fossili viventi", relitti di antiche faune e talora con modificazioni ed adattamenti straordinari. Alcuni studi hanno dimostrato, per esempio, come la distribuzione attuale di elementi troglobi, ritenuti di origine marina, corrisponde esattamente alla configurazione delle coste di antichi mari: la distribuzione di Monolistra sp. e Caecosphaeroma sp. (Crostacei Isopodi Sferomidi) riflette la situazione geografica del Mediterraneo durante il Miocene (da 24 a 5 milioni di anni fa). Questo fatto, insieme alla presenza di specie marginali nei massicci di rifugio prealpini, ci permette di delimitare biologicamente, mediante il ritrovamento di specie troglobie, i limiti antichi dei mari e dei ghiacciai.

L'assenza di troglobi nel Nord degli Stati Uniti e nell'Europa centro-settentrionale è probabilmente da imputarsi ai massicci fenomeni di glacialismo del Quaternario, mentre la loro assenza in alcune grotte costiere può essere in qualche caso spiegata da fenomeni geologici come i bradisismi e l'innalzamento del livello dei mari, che possono avere interessato in passato i margini costieri dei continenti, sommergendoli




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