Cinema, amore di cinema

                                      di questa straordinaria proiezione immaginativa

                                          in cui scorre la vita dell'uomo e del mondo

 

 

 

E però solo il cinema d'autore, o quel cinema che abbia una certa valenza sociale ed estetica.

Non troverete qui i film da botteghino, i blockbuster, i remake, i sequel, gli harrypotter; raramente i gialli e i neri.

 

Da un certo punto in poi della mia vita ho tenuto uno schedario dei film che via via sceglievo e vedevo, e meditavo poi la sera e nei giorni seguenti; ma non sempre, perché il lavoro mi prendeva e distraeva, la ricerca filosofica che sempre continua,  mai finisce.

Ora tento di ricostruire questo spazio di riflessione e di memoria.

Che potrà essere anche una specie di presentazione dei film in corso di proiezione.

Ma ci vorrà del tempo.

 

                                                                                               

                                                                                                                    

                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                  Registi, Maestri del cinema

                                                                                                                                                       Michelangelo Antonioni

                                                                                                                                                       Ingmar Bergman

                                                                                                                                                       Omaggio a Bernardo Bertolucci

                                                                                                                                                       David Cronenberg                                           

                                                                                                                                                       Federico Fellini

                                                                                                                                                       Krzisztof Kieslowski

                                                                                                                                                       Gabriele Muccino

                                                                                                                                                       Martin Scorsese

                                                                                                                                                       Oliver Stone

 

 

 

Film del mese: agosto-dicembre  2007 - 2008 - 2009 - 2010 - 2011 - 2012

Indice alfabetico per registi - per film

 

da gennaio 2013 - Indice:     ● i migliori

 

 

gennaio

Robert Redford – La regola del silenzio  ● 

Ang Lee – Vita di Pi  ●   

Paul Thomas Anderson – The master     

Giuseppe Tornatore-La migliore offerta  ●     

Dustin Hoffman – Quartet       

Quentin Tarantino – Django unchained

febbraio     

Robert Zemeckis – Flight         

Steven Spielberg - Lincoln

Roberto Andò - Viva la libertà

Kathryn Bigelow – Zero dark thirty   

Gus Van Sant – Promised land

aprile

Christian Petzold – La scelta di Barbara   

Lorraine Lévy – Il figlio dell’altra

Derek Cianfrance – Come un tuono

Maria Sole Tognazzi – Viaggio sola  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

                                    

                                    aprile   

Maria Sole Tognazzi – Viaggio sola  

Al Massimo di Lecce, il 29/04/013.

Una figlia del grande comico, ora quarantenne, al suo terzo film, forse il migliore che abbia fatto.

Storia di solitudine. Di una donna (che poi à Margherita Buy, sempre intensa nella sua umanità) che vive nella sua professione di ispettrice di una catena di grandi alberghi a cinque stelle; e quindi è in giro per l’Italia e per il mondo, in questi spazi lussuosi in cui entra come un’ospite qualunque e in cui svolge il suo lavoro sulla base di questionari predisposti, un lavoro molto accurato in un ambiente che mira alla perfezione.

Una solitudine che sembra non pesarle, anche quando la sorella, che è sposata con due bambine, glielo fa notare; che solo ha una piccola crisi quando la studiosa americana che aveva incontrato nella sauna, e con cui aveva discorso, muore improvvisa nella notte stessa. Forse di fronte alla morte s’interroga sulla sua vita, e un poco si smarrisce. Crisi che la porta a reincontrare l’amico del passato (Stefano Accorsi) a dormire una notte con lui; ma che poi subito si placa, e il viaggio riprende.

Film esile e accurato, con grande schermo e grandi paesaggi, grande cura dell’immagine.  

 

 

Derek Cianfrance – Come un tuono

Al Massimo di Lecce, il 17/04/013.

Regista americano (ma il cognome è italiano) appena trentenne, al suo secondo film, dopo Blue Valentine, molto apprezzato. Ma il titolo originale è The place beyond the pines, il cui senso ci sfugge.

Il film soffre alquanto del suo snodarsi in tre tempi e diversi protagonisti. Il primo dominato dal motociclista campione dei luna park e del giro della morte, che trova poi lavoro a rapinare banche con la sua velocissima moto (come un tuono), e finisce sotto il colpo di un poliziotto cadendo da una finestra. Denaro per mantenere il figlio avuto da una donna che ormai lo rifiuta e sta con un altro uomo? Dubbioso.

Il secondo dal poliziotto che lo ha colpito dopo essere stato colpito ed è acclamato com’eroe; è onesto, e non si lascia coinvolgere dai compagni corrotti che trovano e si dividono il denaro del motociclista; al momento non osa rifiutarlo ma poi lo restituisce; e così, mentre i compagni finiscono sotto processo, lui inizia la carriera che lo farà procuratore generale dello stato di New York. Figura peraltro appena abbozzata, di debole spessore.

Il terzo sono i figli, dell’uno e dell’altro, compagni di scuola e amici; ambedue molto diversi dai padri. E però il figlio del motociclista, quando conosce la storia del padre, tenta la vendetta. Strano che il poliziotto e procuratore non reagisca con una rapida mossa al ragazzetto con la pistola, ma anzi s’inginocchi e scoppi in lacrime; e così lo commuova. Scontro tra crimine e onestà, ma un’onestà che vorremmo più forte.

 

 

Lorraine Lévy – Il figlio dell’altra

Dai Salesiani di Lecce, il 14/04/013.

Quarto film di una regista ebreo-francese.

Che affronta il tema del conflitto ebreo-palestinese attraverso una vicenda familiare, la sostituzione di un neonato nella clinica – come talora avviene – per cui la famiglia ebrea si trova il figlio della palestinese e viceversa. Il figlio amato, da cui non è possibile distaccarsi, anche se ormai ha diciott’anni e dello scambio ci si accorge quando egli fa la visita medica previa al servizio militare obbligatorio; il figlio della famiglia ebrea che abita a Tel Aviv; il gruppo sanguigno poi il Dna incompatibile. Sì che, attraverso la clinica si cerca e si trova l’altra famiglia; e la s’incontra.

Un film che s’intesse nell’amore profondo per i figli, e nel dolore che minaccia questo amore; negl’incontri tra famiglie, tra figli. Una commozione viva ma pacata. Mentre, su questi brevi viaggi, preme l’odioso muro eretto dal governo d’Israele, che torna e ritorna; e i checkpoint, i controlli da parte di soldati israeliani armati. L’arroganza d’Israele. La soluzione non può essere che una sola: che i due figli siano amati da ambedue le famiglie; che ebrei ed arabi si ricompongano in questo amore.

Un film denso e insieme leggero, dove gli affetti profondi sono vissuti con semplice dolcezza.

 

 

Christian Petzold – La scelta di Barbara   

Regista tedesco cinquantenne al suo quinto film.

Un’opera quasi perfetta. La Germania degli anni del regime sovietico, regime del controllo e della paura.

La giovane Barbara, una dottoressa che, in punizione di aver chiesto un passaporto per l’estero, il regime ha spostato da Berlino in un piccolo ospedale di  provincia. Dove è sola, e vuole restare sola, perché sa che la polizia di stato è onnipresente e nel collega e presunto amico può esservi la spia. Il primo nodo poetico è questa solitudine, questa personcina di giovane donna scevra, severa, sola, che evita ogni contatto; che si sposta in bici nel piccolo paese, nelle straducole di campagna battute dal vento dell’Est, non accetta passaggi; puntuale nella professione, protettiva verso una ragazza semidetenuta in una casa per minorenni.

Ha un amore, che di quando in quando viene dall’Ovest, e la sostiene, l’aiuta, prepara la sua fuga. Ma la notte in cui la zattera che la deve prelevare arriva, e v’è un solo posto, preferisce offrirlo alla ragazza che dalla detenzione era fuggita da lei, sotto la sua protezione. Preferisce il sacrificio e il rinvio; si salverà un’altra volta.  

 

 

                           febbraio

Gus Van Sant – Promised land

Dai Salesiani di Lecce, il 24/02/012.

Una terra, una comunità contadina minacciata da una società produttrice di gas naturale con promesse di grossi guadagni al seguito delle perforazioni; che però inquinerebbero le falde acquifere con pericoli per il bestiame come per la gente.

Bellezza di foto dall’alto, le grandi distese di verde, le belle fattorie e granai e silos che v si collocano, le strade che le percorrono. Steve Butler è l’agente che ha il compito di convincere i contadini, coadiuvato da un’impiegata (Matt Demon e Frances McDormand)

C’è un’assemblea della comunità in cui un anziano studioso e insegnante spiega alla gente il pericolo e chiede alcune settimane affinché tutti possano capire e riflettere; dopo di che un’altra assemblea deciderà. Butler continua il suo lavoro, anche se con difficoltà. Interviene pure un giovane ambientalista che fa una apparente controazione ma che in realtà è inviato dalla stessa società, come si scopre alla fine. Il che adonta l’agente Butler e lo spinge a parlare chiaro sui pericoli nell’assemblea; per cui viene subito licenziato e decide di restare lì, in quel paese che gli ricorda tanto quello in cui era cresciuto; e dove ha conosciuto una donna in cui spera.

Un film forse un po’ moscio, scarso di forza e di passione. Perciò la critica l’ha demolito; ma perlomeno discute un problema.

 

 

Kathryn Bigelow – Zero dark thirty 

Ai Salesiani di Lecce il 17/02/013

Il titolo porta il nome della missione, che è poi la sua ora, mezzanotte e mezza.

Il film della scoperta e dell’attacco mortale ad Osama Bin Ladem. Un’opera condotta con «msaschio» rigore, come si addice alla tempra dell’autrice (in collaborazione con lo sceneggiatore Bol, che è anche suo compagno). Film austero, quasi un documentario.  Che ovviamente segue i comportamenti anomali della superpotenza americana: la tortura dei prigionieri (anziché il rispetto della loro dignità e diritto di persona), la violazione del territorio di uno stato sovrano, il Pakistan, per catturare Bin Laden; l’uccisione e (ciò che on compare nel film) la sparizione in mare del cadavere di colui che doveva invece essere giudicato e condannato, ma non a morte.

Perno del film è una donna, Maya, che ha il fisico delicato, fine, fragile di Jessica Chastain (già protagonista de L’albero della vita di Malick); è lei che per oltre un decennio persegue l’arduo compito di ricerca dell’ago nel pagliaio (è il caso di dirlo), lo persegue con decisione sempre immutata, lottando coi superiori maschi che di lei si ritengono migliori (“chi è quella? è quella figlia di puttana che ha trovato Bin Laden”, la sua risposta) e con le indecisioni e lentezze della politica. Questa valutazione ed esaltazione della donna è il grande apporto etico e spirituale del film.

 

 

Roberto Andò - Viva la libertà

Al Massimo di Lecce, il 16/02/013.

Ma quale libertà? forse quella che si prende il politico che scompare piantando tutto? per qualche giorno, si dice; ma qui siamo in campagna elettorale e si arriva alle elezioni.

Film basato sullo scambio di due gemelli (come è avvenuto in altri film), impersonati da Toni Servillo. Quando il segretario del partito scompare – è andato a Parigi in casa di una vecchia conoscenza che là è sposata – il suo segretario pensa di sostituirlo col gemello in tutto simile a lui; tranne la schizofrenia per cui è stato ricoverato in una comunità psichiatrica,che tuttora ama e frequenta. La sua stranezza, i suoi discorsi un po’ sibillini, i suoi slogan piacciono, danno un tono nuovo alla campagna elettorale, sì che il partito vince le elezioni.

Ma all’infuori di questo gioco un po’ meccanico, e del resto scontato, il film non dice nulla. A parte la bravura o meno di Servillo nelle due parti.

 

 

Steven Spielberg - Lincoln        

Al Massimo di Lecce di Lecce il 3/02/013

Spielberg, regista ineguale, ci dà talora dei film di alto livello, come Schindler’s List, il vasto e ineguagliato  affresco sull’Olocausto, e come questo Lincoln. Che non è affatto biografico ma è quel momento nodale, quello sforzo supremo dell’abolizione della schiavitù in un paese fortemente schiavista. All’elezione di Lincoln nel marzo 1861 segue nell’aprile la guerra di secessione degli stati del Sud, cui Lincoln risponde col decreto di emancipazione degli schiavi nel settembre 1862, poi, quando la guerra va già verso la sua soluzione,  col 13° emendamento che abolisce la schiavitù, approvato dal Senato nell’aprile ’64 e dalla Camera nel gennaio ’65. In questo momento cruciale inizia il film, quando si tratta di ottenere il voto della Camera, che si presenta difficile. Il film è sempre condotto con la stessa serietà e lo stesso stile; ma nella prima parte si attarda in una serie d’incontri e di discussioni di non particolare interesse. Salva sempre la difficoltà dell’alta impresa umana, il voto, e lo sforzo di superarla. Acquista grande pathos col salire della discussione alla Camera e soprattutto con la votazione e con le manifestazioni popolari che la seguono; poi l’assassinio, trattato con sobrietà. Dove Lincoln paga con la vita la sua coscienza e lotta per la libertà, per la liberazione degli Stati Uniti dall’obbrobrio schiavista, e diventa un presidente martire della libertà. Il martirio che lo consacra per sempre.

 

 

Robert Zemeckis – Flight        

Al Massimo di Lecce di Lecce il 2/02/013

Il volo. Un film profondamente drammatico e doloroso. Di un uomo, un pilota d’aereo, che è schiavo di alcool e droga, e in questa schiavitù continua e affonda (è Denzel Washington, un po’ ormai appesantito e meno espressivo). In tutta la prima fase non lo sappiamo: quando si sviluppa il volo con oltre cento passeggeri, di cui è comandante, con le forti turbolenze che lo scuotono, lo sbalzano; poi l’aereo che diventa ingovernabile, precipita, il comandante che tuttavia lo riprende , lo fa persino volare capovolto, infine riesce a farlo atterrare in una zona erbosa, dove l’impatto provoca tuttavia sei vittime; e lo ritroviamo all’ospedale, e però con solo una lieve commozione cerebrale, una zona d’occhio ferita, le gambe che zoppicano. Ma nel suo sangue hanno trovato le tracce di alcool e droga.

Dopo pochi giorni esce e si ritira nella vecchia casa di campagna del nonno, per evitare giornalisti e fotografi; e incontra anche una simpatica donna, che già aveva incontrato in ospedale, che difende da un aggressivo e violento padrone di casa; e viene a vivere con lui. Ma la donna ha deciso di uscire dalla schiavitù della droga e lo invita con sé in un gruppo di alcolisti; cui però si sottrae; onde la donna lo abbandona, decisa com’è a liberarsi. Avrebbe voluto fuggire con lei in Giamaica.

Avvicinandosi il giorno in cui  dovrà comparire davanti alla commissione, il sindacalista suo amico lo fa ricoverare in un appartamento sorvegliato dove passa da sobrio nove giorni; ma l’ultima notte, mentre dorme, qualcuno sembra battere alla porta; non v’è nessuno, è invece un’altra doppia porta che lo introduce in una camera da letto (fine la scena della porta che tocca e batte) dove trova un frigorifero abbondantemente rifornito di alcoolici, e dove ricade pesantemente nel suo vizio, e così lo ritrovano al mattino.

Davanti alla commissione riesce a mentire e mentire fino al punto in cui non ne può più; come confesserà poi ai compagni in carcere: aveva mentito fin’allora ma non riusciva più a mentire oltre, Dio lo aveva come fermato. Così iniziava la sua redenzione.

Film notevole, molto ben costruito, eticamente e religiosamente sensibile.

                              

 

                                   gennaio

Quentin Tarantino – Django unchained       

Al Massimo di Lecce di Lecce il 30/01/013

Un film di oltre due ore e mezza. Stilisticamente non ha nulla della raffinatezza di Pulp fiction, non ha pretese stilistiche, si collega in parte allo western ma lo diremmo un film popolarmente narrativo condotto con vigore e coerenza.

La sua forza anche etica è la denunzia della schiavitù americana, dei suoi orrori, della sua crudeltà, del suo profondo inumano disprezzo dello schiavo. Così lo schiavo dilaniato dai cani; così la fustigazione, anche delle donne, vibrata con una forza e un sadismo, un vero piacere sadico; così la lotta tra due schiavi dinnanzi al padrone, che finisce con la martellata del vincitore, quindi la morte. È tutto un  mondo di umiliazione e di abiezione in cui si muove il film; quel mondo.

Figure positive sono il dottore dentista divenuto cacciatore di taglie e lo schiavo nero ch’egli libera e  fa suo compagno e collaboratore, Django appunto. Certo quel mestiere è strano ed inumano perché il cacciatore ha il compito di portare alla giustizia il criminale vivo o morto, e quindi per lo più lo uccide. Ma il dottore è comunque figura positiva e simpatica per la sua opposizione allo schiavismo, il suo accompagnarsi allo schiavo che ha liberato come ad un amico; la volontà di liberare anche la sua amata che è schiava di un grande negriero, Calvin Candie. Qui avviene, verso la fine, lo scontro che porta ad una furibonda sparatoria in cui viene decimata la casa del negriero. Mentre nel finale Django, recuperata la sua amata, farà saltare con la dinamite quella grande costruzione neoclassica, col grande colonnato. Distruzione simbolica. Siamo nel 1858, tre anni appena prima della guerra di secessione che  scoppia nel 1861.

 

 

Dustin Hoffman – Quartet       

Al Santa Lucia di Lecce il 26/01/013

Del 2012: Dustin Hoffman a 75 anni fa il suo primo film, e un film sulla vecchiaia. Forse si sente vecchio, non ha maturato la visione utopica della “terza giovinezza”, non conosce la profezia isaiana “morire a cent’anni sarà morire giovani”: profezia che si sta avverando; è succube del pregiudizio corrente.

Qui, poi, la casa di riposo per anziani, che il pregiudizio lo moltiplica, lo concentra, lo appesantisce. Anche se si tratta di una casa particolare, per musicisti, che dunque risuona continuamente di musicalità: solisti al pianoforte, quartetti d’archi, e soprattutto l’opera, i grandi dell’opera, le arie, i cori. C’è anche una particolare malinconia perché qui ci sono soprattutto i grandi solisti, i cantanti d’opera abituati all’applauso nei grandi teatri del mondo; i grandi concertisti. Che forse potrebbero elidere la malinconia rivivendo quella grandezza, risentendo quella musicalità. Ma non avviene.

Certo il posto è magnifico, la grande villa, i prati verdi che si stendono, si perdono nella natura; una villa anche sontuosa. Ma non basta.

Il titolo deriva dal quartetto del Rigoletto che si canterà nel gala offerto agli amici e benefattori nell’anniversario della morte di Verdi; intorno a cui s’intesse una storia, di due cantanti che s’erano amati e sposati ma quasi subito divisi; una storia in cui ritorna l’amore.   

 

 

Giuseppe Tornatore - La migliore offerta  ●     

Al Massimo di Lecce il 13/01/013

Film di grande levatura, che sfiora il capolavoro. Grande cast, narrazione calibrata e avvincente, finale problematico e doloroso.

Film in cui giocano venature ideologiche. L’arte, che è il tema dominante, in cui è maestro il protagonista, un esperto d’arte e internazionale conduttore d’aste; e però inesperto nell’arte di amare; abituato alla contemplazione della donna d’arte, i quadri di cui ha riempito il suo segreto caveau contemplativo, ignaro della donna vera. Se in ogni falso o in ogni copia si può trovare il segno personale del copista o falsario, che ha voluto o gli è sfuggito (in ogni falso si nasconde sempre qualcosa di autentico); così nella verità si possono nascondere momenti di falsità. “Vivere con una donna è come partecipare ad un’asta; non sai mai se la tua è la migliore offerta”.

Qui il grande esperto, ormai sessantenne, che ha vissuto tutto e unicamente per l’arte; il carattere altezzoso, insofferente; perfetto nell’apparente stile di vita. Che incontra la giovane donna sofferente di agorafobia, chiusa nella sua stanza in quella casa preziosa e colma d’arte di cui, morti i genitori, vuol vendere tutto. La sente parlare, la spia, e tanto più ne è attratto quanto più essa si sottrae. Fino a che avviene l’incontro e nasce l’amore (o almeno così sembra) e tutto in lui cambia, e decide anche di chiudere con la sua vita di esperto, e va a Londra per la sua ultima asta.

Ma al ritorno la giovane donna è scomparsa; dalla sua casa, in cui si era trasferita; dalla vecchia casa di lei; e con lei sono scomparse le donne della sua preziosissima collezione. La sua vita è sconvolta; lo vediamo ricoverato e quasi ebete; o che si riprende, fa ginnastica; è tentato di ricorrere alla polizia; al bar di fronte le cose si confondono perché lì c’è un’altra Claire, una nana intelligentissima, che si dice lei la vera proprietaria della vecchia casa preziosa. Alla fine lui va a Praga, va al locale di cui gli aveva parlato la sua donna, dove lei s’incontrava col suo giovane amore; si siede a un tavolo, attende.

Che cosa dunque è accaduto in quei pochi giorni? chi può saperlo? nella delusione e nel dolore si chiude il film, e anche il nostro animo esce sofferente dalla sala. Attento alla vita! alle sorprese che riserva, che può riservare.

 

 

Paul Thomas Anderson – The master     

Al Santa Lucia di Lecce il 6/01/013

Film di grande ambizioni, per l’autore di Magnolia e de Il petroliere; ma che lascia perplessi.

Il maestro è una di quelle figure carismatiche e profetiche – o pseudo tali – che negli Usa furoreggiano: come Ron Hubbard, fondatore di Dianetics, e molti altri. È impersonato da Philip Seymour Hoffman, con la sua corposità e il suo carattere forte e insieme morbido. Ma la sua dottrina come il suo metodo non si caratterizzano abbastanza: reincarnazione sì, introspezione, memoria e immaginazione; e neanche le sedute sono abbastanza significative. Quale l’obiettivo, quali le vie per raggiungerlo? Troppo vago. Di fronte a lui il marinaio Freddie, la cui madre è morta in manicomio, e  che è uscito dalla Seconda guerra mondiale con la psiche sconvolta: con l’ossessione sessuale (si vedano le scene di apertura), quella dell’alcool, l’aggressività. Cui il maestro si dedica in sedute ed esperienze varie e che non approdano a nulla. Se solo si guarda alla sua faccia tirata e disperata nell’ultimo incontro nella grande sala, dove il maestro siede dietro ad un grande tavolo avendo alle spalle una grande vetrata.

 

 

Ang Lee – Vita di Pi    

Al Santa Lucia di Lecce il 3/01/013

Film singolare e un po’ scomposto, almeno nell’infanzia e adolescenza di Pi (abbreviazione di Piscine Molitor con cui lo chiamò il padre, e che si prestava a deformazioni offensive): la fede in particolare, che tende al sincretismo dall’indiano-cristiano-islamico, le tre religioni ch’egli incontra. Il film è tutto raccontato ad un giornalista in Canada, dove Pi si è trasferito seguendo l’intenzione del padre.

Ma la grandezza e grandiosità dell’opera, l’epopea, sta tutta nella tempesta oceanica che si scatena mentre Pi con la famiglia si sta trasferendo in Canada dove il padre ha venduto gli animali dello zoo che possedeva in India. Pi è indiano. Sta nella grandiosità della tempesta, immensa, estrema.  La grandiosa e grandiosamente squallida solitudine in cui è abbandonato e vive e resiste l’adolescente (l’unico che viene calato in tempo dalla nave in una scialuppa, prima che la nave s’inabissi) in quell’immenso spazio oceanico; dove gli è compagna solo la tigre, che ha divorato gli altri animali saltati nella scialuppa, e vorrebbe divorare  anche lui; ch’egli riesce ad ammansire ricordando ciò che avviene nei circhi. Solitudine, riflessione, lettura, scrittura, rafforzamento interiore, fiducia nel Dio che salva. Nella scialuppa v’è acqua e cibo e altre cose. Raggiungerà la costa del Messico, sfinito.

Quasi una parabola della vicenda umana, della forza che richiede allo spirito, della fede come forza suprema.

Bene il personaggio dell’adolescente, meno quello dell’adulto. Alla base il romanzo di Yann Martel, ma anche il ricordo di Gordon Pym e di altri racconti.

 

 

Robert Redford – La regola del silenzio   

Al Santa Lucia di Lecce il 1°/01/013

The Company you keep è il titolo originale. Redford riesce qui a darci un grande film. La contestazione della guerra in Vietnam, gli Weather Underground degli anni Settanta. Trent’anni sono passati da questa lotta giovanile anche violenta (bombe notturne in sedi e uffici governativi – ma qui la rapina in una banca con l’uccisione di un uomo), lotta contro il potere ingiusto che mandava i suoi giovani alla morte in una guerriglia che non aveva ragione, violando uno stato sovrano, e che era già persa in partenza. Trent’anni. Una donna, Sharon Solarz, si consegna alla polizia; un giornalista scopre che l’avvocato che si fa chiamare Jim Grant è invece un membro del gruppo e presunto autore della rapina. L’avvocato fugge, incontra vecchi compagni che lo aiutano anche se non vogliono avere guai, si nasconde in un casotto ligneo nella foresta al confine del Canada; ma la sua telefonata alla figlia adolescente che adora lo tradisce. Lì incontra Mimi Lurie, la compagna di lotta che è rimasta fedele all’ideale di allora, che non tollera il preteso ordine di uno stato profondamente ingiusto; mentre lui e gli altri ormai pensano che fu pure un errore. Strana conversione. L’avvocato sarà preso e scagionato; ritrova la figlia adorata che il fratello aveva preso con sé: lo vediamo nel finale camminare parlando con lei in un viale alberato.

Ricordo, nostalgia di una lotta giusta, di un amore della giustizia che ancor sempre è vivo. Grande cast. Alla base il romanzo di Neil Gordon.