Natale torna puntuale ogni anno,
con il suo carico di luci, di regali, di auguri, di riti, di più
o meno sincere discussioni su come andrebbe o non andrebbe preparato e
celebrato. Rischia di essere dimenticato il vero motivo per cui la liturgia
ce lo ripropone ogni anno: non tanto un anniversario, quanto un evento
che permane ed incide nella vita di ciascuno e del mondo intero.
Anche l’aspetto di anniversario
però non è da sottovalutare. Dal punto di vista storico i
vangeli ci aiutano solo a risalire all’anno della nascita di Gesù,
per il mese ed il giorno esiste qualche congettura. Ancora diversi poi
i motivi per cui la chiesa antica fissò la festa al 25 dicembre.
L’indagine storica su Gesù tuttavia è un capitolo sempre
aperto e mantiene la sua importanza, di fronte al rischio tutt’altro che
teorico che anche Gesù di Nazaret finisca tra i miti o i personaggi
dei cartoni animati. Questo rischio a Natale si fa ancora maggiore, perché
la tradizione che avvolge la festa può sommergere il Festeggiato.
Natale però è soprattutto
un evento che rimane, che ci è contemporaneo ed entra nella vita
di ciascuno di noi. Il mio augurio natalizio vuole essere un invito a riscoprire
l’Evento e la sua portata per l’umanità, un invito a non fermarsi
in superficie, a osare un approccio più profondo, a lasciarsi trasportare
più in alto per poter contemplare. Questa parola forse può
sembrare un lusso che non tutti si possono permettere ed in parte lo è:
per molti poveri e sofferenti vi sono attese molto più immediate
e materiali, che tuttavia restano fondamentali. Ma sto parlando anzitutto
del Natale qui da noi, dove di lussi ce ne prendiamo tanti e perciò
abbiamo non solo la possibilità ma il dovere di svincolarci da un
Natale vissuto in superficie.
Il cuore dell’Evento è contenuto
nel ritornello che la liturgia natalizia ripete in modo martellante: Verbum
caro factum est, il Verbo si è fatto carne, il Verbo, la Parola.
Natale è non solo Dio che parla: aveva già parlato “molte
volte e in molti modi per mezzo dei profeti” (ce lo ricorda la terza messa
di Natale) ma Dio che si fa Parola per noi, Parola piena, completa, che
viene a porre la sua dimora tra di noi per offrirci la possibilità
di ascoltarlo sempre, ogni giorno della nostra vita, non intraprendendo
viaggi fortunosi per andarlo a scovare ma semplicemente aprendo il nostro
cuore alla semplicità e alla quotidianità di Betlemme e di
Nazaret. Non solo la Parola di Dio ma Dio Parola, comunicazione, voglia
di dialogare con noi, di colloquiare come tra amici, per dirla con il n.
2 del documento conciliare Dei Verbum. “Non vi chiamo più servi
ma amici, perché vi ho detto tutto ciò che ho udito dal Padre”
(Gv. 15,15). Una Parola vivente, il Vivente, che sempre ci sovrasta e ci
stupisce, che non riusciremo mai a costringere nei nostri schemi, nelle
nostre categorie, in nessuna ideologia.
L’atteggiamento giusto, di fronte
al Natale, è l’adorazione: così seppero fare i Pastori (erano
semplici e poveri), i Magi, Maria e Giuseppe. Adorare per ascoltare, per
gioire di questa apertura di Dio verso di noi, per scoprire la voce sempre
nuova di questa Parola vivente.
Natale ci riporta alle sorgenti
del dialogo: il dialogo che Dio vuole fare con noi, iniziato da lui in
modo totalmente gratuito, ripreso mille volte da lui anche se da noi interrotto,
dialogo che diventa via verso la pace, perché sostenuta da una Parola
capace di creare e di trasformare: nulla resta come prima dove passa il
Verbo di Dio. Auguri per un Natale che non passi inutilmente.
+ arrigo miglio