Santi... santità... santificazione...
tutti termini che si rincorrono nel linguaggio ecclesiastico circondati
da un alone soprannaturale di mistero, che li rende così distanti
dalla vita quotidiana del cristiano. Eppure, mai come negli anni recenti
il culto dei santi è tornato alla ribalta, segno che la devozione
popolare valorizza le figure dei santi, senza spesso comprenderne il significato.
La solennità di “Tutti i Santi” (e non di questo o di quello in
particolare) è l’occasione privilegiata per riflettere sul vocabolario
della santità: precisando i concetti, anche la devozione risulterebbe
meglio impostata e più fruttuosa.
Un primo passo indispensabile sarebbe,
a mio avviso, il ritorno all’uso biblico del termine “santo”. Un aggettivo
che troviamo ricorrente nella letteratura paolina, e che indica semplicemente
il battezzato, senza ulteriori precisazioni. Ciò favorisce una più
viva coscienza del mistero del Battesimo, porta dei sacramenti e di tutta
la vita cristiana, con la vocazione che in esso è nascosta e deve
essere sviluppata lungo tutto l’arco della vita: la chiamata a vivere come
figli della luce, andando incontro al Signore che viene. Questa consapevolezza
immette la santità nel tessuto ordinario: essa è la chiamata
quotidiana, mai del tutto corrisposta e sempre da perfezionare, a vivere
coerentemente con la grazia ricevuta nel Battesimo. Vivere pertanto non
in contraddizione con ciò che siamo per grazia, e non per merito.
Un secondo passo, altrettanto importante
quanto il primo, è quello di percepire l’aspetto ecclesiale di questa
vocazione. Nessuno di noi viene al mondo da solo, bensì inserito
in una società di cui avvertiamo i condizionamenti benefici o negativi.
E, analogamente, nessuno rinasce alla vita nuova dei figli di Dio in modo
individuale e chiuso in se stesso: entrando a far parte della Chiesa viviamo,
spesso purtroppo inconsapevolmente, il mistero della comunione dei santi.
E’ una delle verità di fede che professiamo, ma che, sia nella catechesi,
sia nella pastorale, non viene messa sufficientemente in evidenza. Il rischio
è quello di trasformare il nostro impegno di vita cristiana in un’ossessione
perfezionista basata unicamente sulla propria volontà e non sull’aiuto
di grazia che può venire dal condividere le “realtà sante”,
i doni che Dio non lascia mancare alla sua Chiesa. Tra questi doni è
fondamentale l’esempio dei testimoni eroici della fede, speranza e carità,
quelli che abitualmente definiamo “i Santi”. In realtà, tornando
a definire “santi” tutti i battezzati, questi testimoni potremmo definirli
i “realizzati”, ossia coloro che hanno corrisposto fino in fondo alla chiamata
alla santità che è rivolta a tutti i credenti.
In questa linea mi piace leggere
il segno che l’attuale Papa ha offerto alla Chiesa nei cinque lustri del
suo pontificato, giungendo a un vero record di beatificazioni e canonizzazioni
che nell’insieme sembrano quasi costituire la folla dell’Apocalisse “che
nessuno poteva contare, di ogni razza, popolo, lingua e nazione”!... Battute
a parte, credo che Giovanni Paolo II abbia voluto mostrare al mondo che
il termine santità non è poi così distante da nessun
stato di vita. L’eroismo richiesto per prendere sul serio il Vangelo nella
vita di ogni giorno è un eroismo comunque “possibile”, non riservato
a categorie particolari. Seguire il Signore “più da vicino” come
si diceva un tempo per i consacrati è in realtà la via maestra
che ogni battezzato è invitato a percorrere.
Relegare i Santi in un’aureola che
li rende così distanti è forse una comoda strada per adagiarci
nella nostra mediocrità: vederli, invece, come fratelli “realizzati”
è uno stimolo ad entusiasmarci di più nel seguire Gesù
Cristo via, verità e vita, sapendo di non essere soli in questo
cammino, ma di poter contare sulla preghiera e l’intercessione di coloro
che già lo hanno percorso interamente.
don gianmario cuffia