MAGNANO - Non c’è che dire:
è un momentaccio per le relazioni fra la Chiesa Ortodossa Russa
e la Chiesa Cattolica, fra Patriarcato di Mosca e Santa Sede di Roma. Le
recenti notizie di espulsioni di sacerdoti cattolici dalla Russia hanno
fornito un ulteriore indizio, non solo dell’impasse che si è creato
nel dialogo fra le due Chiese, ma anche dell’accresciuta tensione fra Ortodossia
Russa e Cattolicesimo Romano, testimoniata anche dalla mancata visita del
Papa a Mosca.
Naturalmente contatti e collaborazioni
sono proseguiti, anche se non a livelli ufficiali. Ne è prova il
recente convegno ecumenico di Bose, la cui seconda sessione (dedicata al
Monastero russo di Optina) è stata organizzata congiuntamente dalla
Comunità di Enzo Bianchi e dal Patriarcato di Mosca. Ed è
a Bose che ho realizzato, con un esponente del Patriarcato di Mosca, l’intervista
che viene qui proposta.
Ma è, forse, utile ricostruire
l’antefatto. Lo faccio utilizzando un articolo di Padre Legrand, che sarà
pubblicato sul prossimo numero del “Regno”. Di questa anticipazione ringrazio,
oltre ai fratelli di Bose, la redazione della prestigiosa rivista dei P.
Dehoniani di Bologna.
Una data importante nelle relazioni
ortodossi russi-cattolici è il 1993: in quell’anno, a Balamand,
in Libano, si riunì la Commissione mista internazionale. Una delle
risoluzioni riguardava l’uniatismo, che allora rivedeva la luce dopo gli
anni delle persecuzioni sovietiche: “Per la maniera in cui cattolici e
ortodossi si riconsiderano nel loro rapporto con il mistero della Chiesa
e si riscoprono come Chiese sorelle, la forma di apostolato missionario
chiamata “uniatismo” (si tratta di comunità cristiane con ordinamenti
e forme di vite orientali, ma in comunione con Roma) non può più
essere accettata né come metodo da seguire, né come
modello di unità ricercata dalle nostre Chiese”. Balamand respingeva
ogni forma di “proselitismo presso gli ortodossi”.
La recezione di Balamand, da parte
di entrambe le Chiese, è stata faticosa e contraddittoria.
L’attività di movimenti cattolici di provenienza occidentale (neocatecumenali,
focolarini, Comunione e Liberazione) svolta, quasi sempre, al di fuori
d’ogni accordo con il Patriarcato, non ha potuto evitare l’impressione
di proselitismo.
L’evento che ha suscitato i malumori
più gravi da parte ortodossa è stata la creazione di una
provincia ecclesiastica cattolica all’interno del territorio canonico dello
stesso Patriarcato moscovita. In conseguenza di tale decisione, “esso rompeva
ogni relazione con Roma ed annullava la visita programmata del Cardinale
Walter Kasper”.
La questione concernente il rispetto
reciproco del “territorio canonico” è complessa: investe non solo
aspetti organizzativi e disciplinari, ma anche teologici: il legame di
una comunità cristiana con il suo territorio. Certo è che
la creazione di diocesi cattoliche in territorio russo è stata avvertita
come un’iniziativa che tradiva un certo proselitismo, accordando alle strutture
cattoliche insediate di recente gli stessi diritti d’evangelizzazione della
Chiesa Russa. A questo si sono aggiunti recentemente alcuni visti negati
ad ecclesiastici cattolici, dietro ai quali si sono sospettate, da parte
di alcuni, pressioni della Chiesa Ortodossa Russa.
Padre Alexander, qual è il
punto di vista del Patriarcato di Mosca sulla questione, e sullo stato
attuale dei rapporti ortodossi-cattolici?
“Attualmente fra Chiesa cattolica
e Ortodossa Russa non c’è dialogo. Tuttavia, come il convegno di
Bose dimostra, un certo rapporto permane. In particolare, dobbiamo dire
che abbiamo sempre avuto ottime relazioni con i cattolici italiani. Recentemente
il patriarca ha ricevuto gruppi di pellegrini italiani (della diocesi di
Verona, o venuti con la “Famiglia Cristiana”).
Paradossalmente, il dialogo ufficiale
è sempre meno possibile. L’erezione di quattro diocesi cattoliche
in Russia è da noi letto come un atto non amichevole, non fraterno.
Istituire quelle diocesi ha dato l’idea che non ci fosse una Chiesa, non
ci fosse cristianesimo in Russia; che non c’erano stati mille anni di storia
della Chiesa Ortodossa Russa. Occorreva allora costituire una nuova diocesi
per evangelizzare una regione che non era cristiana.
Un atto, dunque - soggiunge P. Abramov
- che alimenta in Russia un sentimento anti-cattolico.
Quanto all’espulsione dei cinque
sacerdoti cattolici, non si è fatto notare che si trattava di cinque
stranieri. Il problema del loro visto non è evidentemente un problema
ortodosso o cattolico: è un problema dello stato. Quando la Chiesa
Ortodossa Russa viene accusata di essere complice di queste espulsioni,
essa ritiene l’accusa ingiusta e offensiva. Non abbiamo mai pensato che
quando veniva negato un visto ad un sacerdote russo, in Occidente, dietro
a quel rifiuto ci fosse l’intervento del Vaticano!
Dietro a quelle espulsioni - ritiene
P. Abramov - c’è il desiderio di aprire un conflitto, piuttosto
che un reale conflitto.
Circa l’incontro del Patriarca con
il Papa, il Patriarca non ha mai negato che possa avere luogo. Ci sarà,
quando si intravederà una possibilità che quell’incontro
porti un reale beneficio sia alla Chiesa cattolica che alla Chiesa Ortodossa
Russa. Recentemente il Patriarca Alessio ha suggerito la possibilità
di un incontro in un paese “neutrale”, quale la Slovenia. Perché
questo avvenga, in ogni caso, occorre sgombrare il terreno da grandi ostacoli”.
P. Alexander, quali problemi la
Chiesa Ortodossa Russa si trova di fronte, in questo periodo delicato di
post-comunismo e di secolarizzazione?
“Sono sostanzialmente gli stessi
problemi delle Chiese in Occidente: la crescita della secolarizzazione,
del fatto che valori utilitaristici passano avanti a quelli spirituali,
dell’imbarbarimento, dell’incrudelimento delle relazioni . Problemi analoghi
fra Occidente ed Oriente, ma in Russia presentano una particolare acutezza.
Non possiamo dimenticare che qui, per settant’anni, c’è stata un’interruzione
della tradizione della fede, e della possibilità di esprimerla in
tutta la sua pienezza. Pensi: nel tempo sovietico la Bibbia era considerata
un libro pornografico! Era possibile finire in prigione se si veniva scoperti
con la Bibbia. Negli ultimi dieci anni, grazie a Dio, questo è cambiato.
Si costruiscono chiese, si restaurano monasteri, vengono ritrovate le reliquie,
si riaprono i luoghi santi. Ma l’esperienza spirituale, il modo di vivere
e di pensare religioso della gente, è più difficile da ricostruire
che non le mura. Questo richiede molta attenzione, molto lavoro, molta
pazienza.
Quello che il potere sovietico non
è riuscito a fare, è stato lo strappare dal cuore della gente
la radice di questa tensione religiosa, di questa sete della Parola di
Dio. Ora, quando viene predicato l’Evangelo, si assiste alla “risurrezione”
della memoria storica. E’ come se la gente ricordasse come credevano i
suoi padri e le sue madri. Qui c’è davvero un terreno promettente
per un lavoro proficuo, non concorrenziale, non proselitistico, nei rapporti
fra le Chiese. Ed è veramente giusto che, quando una Chiesa è
in difficoltà, una Chiesa sorella le venga in aiuto.
E’ opportuno ripetere ora la Parola
del Signore: “Vieni e vedi”: quanto lavoro c’è da fare a tutti i
livelli, assistenziale, caritativo, di formazione, di ricerca.l.. Questo,
però, non va fatto concorrenzialmente, per dividersi il gregge di
Dio. Siamo nella situazione in cui si trovava Gesù: “La messe è
molta, ma gli operai sono pochi!”. Dobbiamo renderci conto che il cristianesimo
è, sta diventando, una minoranza. In questa situazione, qualsiasi
divisione porta alla paralisi”.
don piero agrano