SAN BENIGNO - INCONTRO-COLLOQUIO
CON L’ARCIVESCOVO EMERITO DI ACERRA Mons. Riboldi:
giovani,dal
disagio alla libertà
SAN BENIGNO - Va subito detto che
l'incontro dell'8 maggio in Abbazia con mons. Antonio Riboldi è
stato un relativo successo di pubblico, nonostante il diluvio che ha condizionato
le presenze (soprattutto dal chivassese): forse al monsignore, dopo due
terremoti, mancava un'alluvione. Quindi si consolino gli organizzatori,
in primis i genitori degli alunni dell'Istituto Salesiano, perché
circa 200 presenze - iniziali - siamo riusciti a contarle.
Va pure detto che l'incontro, più
che conferenza è stato un colloquio. E ciò dimostra la stoffa
del relatore, fatta di umorismo e di ricordi sereni di una vita personale
tanto intensa quanto semplice (a cominciare dal battesimo, quando l'Antonio
di un giorno di età fu smarrito, dal padre in festa, sugli scalini
di casa: battendo così anche il record di Gesù).
Nella narrazione è venuto
fuori il largo carattere brianzolo, integrato dalla formazione torinese
dai Rosminiani e dalla vita apostolica siciliana e campana: un vero immigrato
alla rovescia.
Il discorso si è snocciolato
così, senza un apparente filo logico, con frequenti deviazioni di
argomentazioni, ma per niente "alla buona": anzi è stato incisivo
di idee, di proposte, di speranze, di vita.
Dunque, i giovani sono accampati
fuori dalla mura della nostra città: non si riconoscono in ciò
che è nostra società, scuola, chiesa (soprattutto all'uscita
di certe insipide assemblee di chiesa). Colpa delle famiglie? Colpa di
Satana? Beh, Satana fa il suo mestiere e nella scelta tra Dio e l'Io, già
a quelle buon'anime di Adamo ed Eva è riuscito a far scegliere l'Io.
Nemmeno però colpa delle famiglie, come è stato risposto
ad un genitore fin troppo preoccupato, perché se la famiglia e l'educatore
(come Cristo) indicano la via, poi è la libertà del giovane
che comunque prevale ed è logico che prevalga.
“Certo i nostri giovani sono fragili
e facilmente prendibili per il naso, nel male e nel bene. Se si fosse ordinato
a quei due milioni di andare a Tor Vergata quell'estate del 2000, nessuno
ci sarebbe andato: non è stato ordinato e ci sono andati, dopo centinaia
di chilometri a piedi e giornate di attesa senza un filo d'ombra. Certo
i nostri giovani sono condizionabili dalle mode, al punto che in alcuni
rendez-vous punk dove è di moda l'eccentricità …persino il
vescovo ci fa la sua figura con il suo abito un po' stravagante”.
Purtroppo la piazza - unico luogo
di incontro della gioventù odierna - distrugge la personalità
al punto che non ci sono più sentimenti ("stiamo assieme, ma ci
lasciamo senza rimpianti"). “In realtà c'è una profonda mancanza
di radici: le nuove generazioni non si sentono "incarnati" in quella memoria
che per gli adulti è fonte di forza. Difatti il disagio dei giovani
deriva dall'essere senza origini, in contrasto spesso con adulti che si
sentono a loro "agio" grazie al valore della memoria (ma che altrettanto
spesso sembrano, di fronte ai giovani, statue di cera in un museo)”.
Molto toccanti sono stati i ricordi
"pedagogici", da parte di mons. Riboldi, della madre, della maestra elementare,
dei professori, del grande padre spirituale Clemente Rebora. Tutte figure
che gli hanno dato un perché: la necessità di essere più
che di apparire, mentre oggi, ahinoi, vale il motto "video, ergo sum" e
la scuola addirittura spesso prepara più… per la FIAT che per i
valori umanistici.”Invece è sempre l'essere che conta; quell'essere
per esempio che fa sì che questo papa, il quale manco riesce più
parlare, desti tanta ammirazione. Non ha bisogno di parole: è. L'essere
richiede che l'unico grande progetto sia quello di far trovare l'uomo con
la U maiuscola, con quella umanità attraverso cui può riacquistare
la dignità anche un camorrista”.
Questa parola ci riporta all'altra
esperienza di mons. Riboldi, quella di vescovo di frontiera: forse per
umiltà il prelato non ha speso in ciò molte parole. Certo
è che diventare parroco di una cittadina del Belice dove al tuo
ingresso sono presenti trenta vecchiette o poi passare una vita sotto scorta
per 15 anni e con minacce di tutti i tipi non è delle più
facili e ti fa venir voglia di fare le valigie. Ma, come gli ha ricordato
la madre, no.
“E poi la vita, e ciò che
fai nella vita, ha un senso, perché nella vita c'è gioia,
perché la vita è benedizione”. Al pessimismo del "fermate
il mondo, vogliamo scendere" va contrapposta la rivoluzione della speranza,
del semplice “rompere il ghiaccio in punta di piedi”, che indica
la pista giusta su cui poi il giovane farà le sue scelte in libertà