IVREA - La filosofia politica è
ancora possibile, utile ed interessante? Una risposta positiva, convincente
sul piano teorico e stimolante per i numerosi agganci alla realtà
contemporanea, è venuta dall’incontro con il filosofo Salvatore
Veca, tenutosi lo scorso martedì, presso il teatro “Giacosa” di
Ivrea. Introdotto da Piero Pagliano, in rappresentanza del Liceo “Botta”
e da Giorgio Vitari, per l’Associa-zioni Giuristi Canavesani, l’incontro
con Veca, di cui è uscito recentemente il libro dal titolo “La bellezza
e gli oppressi”, si è snodato sul filo dei quesiti posti al filosofo
da Giacomo Bottino, direttore artistico del teatro “Giacosa”. Oggi, a giudizio
di Veca, parecchie istanze obbligano ad ampliare la nozione di globalizzazione,
oltre i confini del flusso delle merci e dell’informatica, portandola sul
terreno dei diritti e dell’idea stessa di giustizia. Il mondo degli ultimi
e degli oppressi esibisce storie di massacri quotidiani, davanti ai quali
- secondo alcuni - occorre rinunciare, una volta per sempre, ad ogni idea
di giustizia, ad ogni visione di una società giusta. Gli unici criteri
di giudizio superstiti sarebbero riconducibili al gioco dei potenti, ed
alle istanze del realismo politico.
C’è chi invece, ritiene di
potere avere la chiave di accesso per capire non come il mondo dovrebbe
essere, ma dove va il mondo “reale”, E’ la tradizione che si rifà
a K. Marx, il quale ha svolto una funzione diagnostica (dove sta il male
della società?) e prognostica (dove va a parare?), giudicando comunque
insensata ogni idea di giustizia ed ogni tentativo di applicarla come criterio
di giudizio. L’ipotesi di Veca si discosta da queste posizioni. Egli muove
dalla constatazione che la politica - quella giocata sul piano locale/nazionale
- ha visto ridursi, a partire dagli anni ‘70, la sua efficacia: ci si è
resi conto che può fare sempre meno cose, condizionata com’è
da vincoli esterni sempre più pesanti. Lo stesso conflitto avutosi
in Italia fra classe politica e magistratura (Tangentopoli) non poteva
avere che un effetto “chirurgico”, né si poteva chiedere alla “giustizia”
di estendere oltre la propria funzione di supplenza. I veri dilemmi, soggiunge
Veca, che la politica si trova ad affrontare non sono più racchiusi
nei confini nazionali. Di qui una tensione crescente fra una visione di
equità sociale, basata sui diritti dei cittadini e la difesa di
diritti individuali, improntata al libertarismo, tensione che si gioca
tutta sul piano internazionale, naturalmente con conseguenze importanti
sulla visione degli stati nazionali. La controversia in atto è,
infatti, fra coloro che vogliono ridurre l’agenda pubblica e la sfera dello
stato all’unico bene della sicurezza e chi, invece, ritiene che si debba
assicurare alle persone la capacità concreta di esercitare la libertà
dichiarata a parole.
La proposta che Veca avanza è,
allora, quella di un’utopia ragionevole, che non rinuncia ad esplorare
uno spazio di possibilità praticabili, spazio in cui si connettono
le possibilità individuali e le dimensioni della globalizzazione,
entro, però, vincoli posti da esigenze di giustizia e di difesa
universale dei diritti. L’esigenza impellente, infatti, è di avviare,
dentro la globalizzazione di stampo economico, una globalizzazione dei
diritti umani, che comporti un’estensione dello stesso concetto di giustizia,
al di là dei confini angusti delle comunità locali, in cui
l’abbiamo abitualmente considerato.
don piero agrano