IVREA - La figura di Baker Fattah, che la sera di lunedì 14 ha parlato nella sala S. Marta sul tema: "Iraq: petrolio in cambio di kurdi?", è già di per sé emblematica di una situazione. Curdo, nato nel ‘57, laureato in chimica (ma il governo iracheno non gli ha consegnato l’attestato di laurea), organizzatore clandestino dell’opposizione al governo, condannato a morte, dall’80 all’89 comandante partigiano in montagna (nascosta la sua famiglia), poi "diplomatico", rappresentante del suo partito, il PUK (Unione Patriottica del Kurdistan), a Teheran e quindi, costituitasi la Regione Autonoma del Kurdistan, in Spagna e oggi in Italia. Con calore, con chiarezza e anche con vivo senso di realismo egli ci ha presentato la situazione attuale del suo tormentato paese. Per il quale il petrolio costituisce ricchezza e dannazione: è a causa sua che nel ‘23 il paese venne diviso fra cinque stati. Contro la popolazione curda l’Irak attò una vera e propria pulizia etnica, con deportazioni e distruzioni: la più terribile quella dell’88 nella città di Halabjia, dove i gas nervini uccisero più di 6 mila persone.
In quest’opera di "pulizia" sono spariti 180 mila curdi. La cifra è stata recentemente ammessa dalle stesse autorità irakene, che però l’hanno dichiarata "esagerata": si tratterebbe solo di 100 mila persone! Ma la brutale politica di Saddam ha fatto conoscere il problema curdo a tutto il mondo (quasi dobbiamo essergli grati - dice Baker); oggi il popolo curdo ha molti amici nel mondo e per questo Baker esprime ottimismo per l’avvenire. La situazione economica è migliorata. Il recente accordo "cibo per petrolio" assicura alla popolazione della Regione Autonoma un minimo vitale in alimenti. Ma qui sorge un primo problema: nella Regione si sono rifugiati 300 mila curdi cacciati dalla zona petrolifera direttamente sotto Bagdad; questi non sono conteggiati tra la popolazione "assistita" e sono così a totale carico per il loro sostentamento della Regione Autonoma. L’altro problema è il fatto che il Kurdistan non ha solo bisogno di cibo, ma di sviluppo tecnico, economico, culturale; ha bisogno di libri, di comunicazioni, di fabbriche. Ma questo l’Irak non lo vuole. Una profonda differenza divide il Kurdistan dall’Irak e da tutti gli stati arabi: nessuno di questi ha un regime democratico, il Kurdistan autonomo sì. (In febbraio si sono svolte le elezioni municipali, con la partecipazione di 11 partiti). Gli stati arabi non vogliono l’unità del popolo curdo.
Oggi il grave pericolo è che la normalizzazione dei rapporti dell’Occidente con Saddam e la revoca dell’embargo (che è certamente un grave e ingiusto peso per la popolazione irachena) permette a Saddam di rivolgersi nuovamente con forza contro i curdi. Bisogna che la questione curda sia presa in considerazione insieme alla questione embargo. (E’ quanto ha chiesto in questi ultimi mesi il Comitato di Ivrea ai nostri parlamentari e al Governo). Ma difficilmente potrà risolversi il problema curdo se non ci sarà democrazia in Irak. L’autonomia della regione, così come è oggi, non garantisce nulla; l’aspirazione dei patrioti curdi oggi è uno stato federato all’interno di un Irak federale. Questo fatto sarebbe anche un esempio per gli altri stati dove vivono minoranze curde.
Baker risponde anche a domande circa l’esodo così massiccio dal Kurdistan. Fenomeno che lui spera diminuisca (come già pare), anche perché sottrae al paese forze vive, culturalmente preparate. La fuga oggi non è più tanto per fame, quanto per mancanza di lavoro, per la precarietà di una situazione ambigua, per l’incertezza del perdurare della zona franca, ove sorge la Regione Autonoma, per il senso di soffocamento di vivere in un paese dove le frontiere sono chiuse e i passaporti non esistono (se non falsi). Certo agisce anche la suggestione di un Occidente ricco; i molti parenti che vivono già lì mandano i soldi.
Martedì 15 il dr. Baker ha avuto un cordiale incontro col sindaco Grijuela e rappresentanti del Consiglio comunale (era già stato a Torino al Consiglio regionale) ed è stato alla scuola media di Piverone, dove, in un interessante confronto con un ex partigiano italiano, ha parlato della loro Resistenza. Una differenza è nella durata: i reduci curdi, dopo venti anni di montagna, hanno incontrato molta più difficoltà nel ritorno alla vita civile dei nostri partigiani.
Un vivo ringraziamento a quanti hanno adottato a distanza dei bambini curdi: è un appoggio morale oltre che materiale di vitale importanza per loro.
liliana curzio