| Notizie Flash | Nota politica | Art 3 | Art 4 | Art 5 | Art 6 | Art 7 |
        
       
    RAGAZZI TRA VIOLENZA E VUOTO EDUCATIVO

       IVREA - Avviare (o riavviare) un discorso educativo a tutto campo è una domanda diffusa. Interessa istituzioni e ambiti educativi diversi. Il Centro Missionario Diocesano (con la collaborazione di altri uffici Pastorali: catechiscico, Caritas, giovani e famiglia...) ha scelto di osservare quel “mondo”, a partire da alcune situazioni estreme: gli adolescenti in carcere, nella tossicodipendenza, i bambini vittime di violenze in varie parti del mondo. Le situazioni “estreme” non sono mai esattamente circoscrivibili, non le si può delimitare con un alto steccato. Al contrario, sono punti da cui osservare fenomeni e problematiche molto più estese e complesse.
       Così il primo atto del convegno posto sotto il titolo “Ragazzi, fra violenza e vuoto educativo”, svoltosi lo scorso sabato 21 ottobre, presso l’Istituto “Card. Cagliero”, di Ivrea, ha preso in esame alcune situazioni di sofferenza, enucleate da “storie”, alcune estreme, altri comuni. Oltre ad alcuni filmati, forniti da Rai Tre e in grado di evocare efficacemente la geografia del disagio e della sofferenza minorile, nel mondo, si è scelto di osservare quelle realtà con il metodo della testimonianza di alcuni che hanno scelto di vivere a contatto con esse, anzi “dentro”. Una forma di osservazione caratteristica, che corre sul filo della testimonianza, del coinvolgimento personale, di una dedizione appassionata.
       Don Domenico (“Mecu”) Ricca è da circa trent’anni il cappellano del “Ferrante Aporti”, il carcere minorile di Torino. Quella del carcere - inteso non solo come luogo di pena ma di rieducazione - è una terribile scommessa. Ma è anche un luogo da cui osservare l’intero mondo giovanile, poiché “quelli che sono dentro non sono poi molto diversi da quelli che sono fuori”. Vi si ripetono le stesse dinamiche della violenza in piazza, nella banda, violenza subita e attuata, talora sfruttando la voglia di protagonismo e di uscire dall’anonimato.
       Gli ospiti del “Ferrante Aporti” sono in larga parte degli immigrati. E l’immigrazione è il problema cruciale, soprattutto quella che proviene dall’Europa Orientale. Ci si trova a fronteggiarne la prima grande “ondata”.
       I pochi italiani - ma con reati più gravi - testimoniano un “malessere da benessere”, un’abitudine “culturale” a risolvere i problemi con qualcosa “che viene dal di fuori”, si tratti di farmaci, droga o emozioni forti, tali da vincere la noia e l’apatia.
       Nel mondo dell’immigrazione, il percorso da compiere contempla diversi obiettivi, quali l’educazione alla multiculturalità, il passaggio dalla prima accoglienza all’integrazione, segnando piccoli passi, la valorizzazione delle somiglianze (si tende a mettere l’accento sulle differenze!), la messa in atto di un “codice” che coniughi legalità e solidarietà, ed eviti loro la violenza che viene dalle stesse istituzioni.
       P. Giordano Grosso dirige da anni il centro per recupero di tossicodipendenti della “Rotonda” di Agliè. Egli scova le radici della violenza in una diffusa cultura che esalta il successo individuale (a cominciare dalla stessa educazione familiare), che tende a risolvere i problemi personali mediante i farmaci (la cultura degli anestetici, come è stata chiamata), e porta ineluttabilmente alla deresponsabilizzazione (si pensi alla funzione delle cosiddette “famiglie lunghe”, in cui si rimane parcheggiati fin e oltre i trent’anni).
       Si assiste all’emergere di una nuova generazione di tossicodipendenti, che non si sentono tali (o comunque non si sentono assimilati alla tossicodipendenza “storica”): si tratta piuttosto di “farmacodipendenti”, delle pastiglie dei “fai da te”, per colmare certi vuoti o risollervarsi dalle frustrazioni. La violenza - subita, attuata su altri - ha radici nella stessa educazione, familiare e non, spesso oscillante fra l’autoritarismo e il lassismo. Per tentare qualche recupero, è necessario aiutare i soggetti a “riprendere la vita” ripartendo dall’ultimo anello buono, intatto. Ma in realtà, constata amaramente P. Grosso, non si fa prevenzione, si arriva sempre dopo, in ritardo.
       La testimonianza di P. Vittorio Farronato, Missionario Comboniano, spazia sul vastissimo campo dell’infanzia “negata” o violata, nei territori cosiddetti “di missione”. Impossibile rendere in poche righe la forza e la freschezza della sua testimonianza. Colpisce però la valutazione “globale”, che punta il dito sulla deriva a cui è sottoposta l’umanità del Sud del mondo, con l’amara osservazione di H. Camara: “Una volta questi popoli servivano per essere sfruttati, ora si sentono semplicemente inutili!”.

       In Africa, come altrove, la guerra - nelle sue varie forme - è un’immensa tragedia, una tragedia figlia dell’economia mondiale. E’ segno di disperazione. Anche quando è diretta “contro” la Chiesa, non esprime odio verso il Cristianesimo, ma risentimento verso l’Occidente.
       “Come restituire la vita, purificando la sorgente?”, si domanda P. Farronato. Il quale testimonia, però, la presenza in quel mondo di una grande “forza”, che nasce dalla consapevolezza di appartenere a qualcuno che non ti sfrutta, ma ti ama.
       Sabato 28 riprende il cammino del convegno alle ore 14,30. Con l’aiuto di Padre Michael Paul Gallagher, gesuita, docente all’Università Gregoriana, si cercherà di “scavare” nel terreno della cultura contemporanea, per rintracciarvi le radici della violenza, ma anche qualche via per porvi rimedio.
     
    d.p.a.

      


     | Notizie Flash | Nota politica | Art 3 | Art 4 | Art 5 | Art 6 | Art 7 |