Il cardinale e
gli immigrati islamici
Questo articolo fu pensato
un primo tempo come lettera aperta al Card. Biffi, Arcivescovo di Bologna.
Un doveroso ripensamento mi ha fatto ritenere come meno corretto (e mi
scuso di averlo pensato) quasi costringere un Cardinale a rispondere su
un tema da lui già ampiamente trattato. Poiché per altro
mi sembrava opportuno esprimere il pluralismo legittimo nella Chiesa per
gli argomenti opinabili, ho ridotto la lettera aperta ad articolo.
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Scrivevo e scrivo facendomi
portavoce delle perplessità non solo mie, ma di tanta gente che
mi ha stimolato, conoscendo i miei impegni del passato e sapendo per di
più che provengo dall’Archidiocesi che il Card. Biffi così
significativamente rappresenta. Mi rifaccio ovviamente alla questione da
lui ripetutamente sollevata, sulla presenza degli immigrati islamici in
Italia.
La questione è stata
forse accentuata e ampliata dai mezzi di informazione, come oggi è
scontato e come certo non sfugge anche a lui, così spesso strumentalizzato
da quegli stessi mezzi, i quali puntano sulle reazioni - di consenso o
di protesta - a seconda delle linee politiche a cui ciascuno è affine.
E così un intervento “laico” - come l’ha definito un politico cattolico
di centrodestra - perché rivolto a richiamare lo Stato a riflettere
sulla diversità di mentalità che rifluiscono sulla società
civile e i suoi rapporti giuridici, finisce coll’essere letto dalla gente,
in particolare dai giovani, come un manifesto religioso, perché
proclamato da un Cardinale importante. E, se religioso, pone problemi sull’atteggiamento
che i cristiani devono avere nei confronti delle altre religioni.
E’ chiaro che un cattolico
riconosca la propria religione come la vera; e spero che ogni credente
abbia la stessa convinzione: mi preoccuperebbe che qualcuno aderisse a
una religione ritenendola... facoltativa. Ma se contestiamo a molti settori
islamici l’integralismo di un atteggiamento che impone la norma religiosa
come legge civile anche per le minoranze non islamiche, dobbiamo poi essere
attenti a non dare l’impressione di continuare ad usare lo stesso metro
(come abbiamo fatto a lungo per il passato) per un cristianesimo di maggioranza,
almeno culturale o sociologica. Ed alcuni sono forse rimasti indebitamente
sorpresi che il Cardinale abbia ribadito il suo appello durante un Convegno
della Caritas, organizzazione chiamata a testimoniare la carità,
che è caratteristica del cristiano e della Chiesa.
E’ stata ampiamente riconosciuta
più che legittima la richiesta agli Stati a maggioranza islamica
ad ammettere per tutte le religioni la stessa libertà che i Paesi
di civiltà cristiana hanno maturato come espressione di autentica
democrazia; anche se vi siamo giunti (e tuttora stiamo continuando a fare)
attraverso la testimonianza specificamente cristiana del martirio, così
insistentemente e provvidenzialmente richiamata dal S. Padre in quest’anno
giubilare. E giustamente è stata ribadita la netta distinzione tra
il piano religioso, con le sue convinzioni indiscutibili, e quello politico,
con sollecitazioni pertinenti.
Dicevo che mi faccio portavoce
di chi, bombardato dai mezzi di informazione, non riesce a distinguere
i due piani, e finisce col concludere che solo i cattolici (e allora solo
i coerenti!) possano salvarsi: lo stesso Sommo Pontefice ha poi ribadito
che, pur nella fede di Gesù Cristo unico salvatore e della Chiesa
principale strumento di salvezza, tutti si possono salvare. Ovviamente
si salvano per un rapporto misterioso con Cristo, sconosciuto alla maggioranza,
ma che tocca a noi cattolici rendere percepibile e convincente per il nostro
comportamento, prima ancora che per le nostre parole.
Forse non tutti si rendono
conto che vi sono nella Chiesa punti di vista diversi e complementari:
da un S. Agostino, portato a convertirsi da una vita corrotta e perciò
portato al pessimismo verso la natura per esaltare l’unicità e il
trionfo della Redenzione, a un S. Tommaso, ugualmente convinto dell’unicità
della Redenzione, ma più sereno e ottimista e più aperto
al dialogo. Nel Vangelo stesso, accanto al mandato di predicare e di battezzare,
trovo sfumature che sembrano suggerire di far precedere l’annuncio del
Regno dalla condivisione della vita della gente e dall’impegno del servizio
(“Mangiate quel che vi mettono davanti, curate gli infermi, annunciate
che il Regno di Dio è vicino!”). Ribadivo infine - e lo ripeto qui
- che suggerivo ai lettori rapidi e superficiali di leggere attentamente,
e per quanto possibile integralmente, quanto il Card. Biffi con tanta abbondanza,
e spesso con arguzia, comunica doverosamente ai suoi diocesani, ma poi
viene diffuso in pillole, non sempre immediatamente digeribili, a tutto
il resto degli italiani, e forse non solo a loro.
+ luigi bettazzi
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