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    ORA SERVE AIUTO ALL’AMICO COLOMBIANO PER ACQUISTARE UN TAXI
    Juan Carlos, nome d’un angelo
    Un “incredibile” episodio occorso a don Severino

       BOGOTA’ - Con le suore di Betania nella città della Ceja,  nome che deriva dalla configurazione dei monti circostanti simili a delle “ciglia”, mi trovavo bene e non solo per il nutrimento spirituale che mi veniva abbondantemente offerto dalla loro vita “contempl-attiva”, per usare una espressione cara a Tonino Bello vescovo, ma anche dall’ambiente montano e silenzioso, trovandosi il convento, recentemente costruito, ad una altitudine di 2200 m.s.l.m. nella cordigliera centrale delle Ande.
       Un clima di eterna primavera, come gli stessi abitanti del luogo dicono, favorisce in quella terra Antiochena una ininterrotta coltivazione di fiori. Mi allontanai dal convento per otto giorni, volendo visitare la parte nord della Colombia, la costa dei Caraibi, spingendomi fino ai confini con il Venezuela. E fu a Cartagine delle Indie che mi successe un fatto così singolare da spingermi a condividerlo con i lettori. 
       Mi trovavo completamente da solo e ospite in un piccolo hotel della costa. Il taxista che il giorno prima mi aveva portato a destinazione, doveva ripresentarsi quella mattina per farmi fare un giro di conoscenza della vecchia città di origine spagnola. C’eravamo dati l’appuntamento alle otto, ma il tempo passava e del taxista neanche l’ombra. Nel frattempo... un altro taxista, che mi vedeva preoccupato, si avvicinò e si offerse al posto dell’altro! “No - risposi -, ho dato parola e quindi aspetto”. Passavano i minuti... nulla! Il taxista mi si riavvicinò con la stessa proposta. Un po’ seccato gli dissi che se ne andasse pure con i clienti che si stavano intanto pressando attorno al suo taxi. Non ci fu verso! Anzi chiedeva ai suoi clienti di aspettare, ma questi spazientiti se ne andavano. Ed io sulle spine. Finalmente dopo più di venti minuti di attese disattese, mi rivolsi al taxista che mi stava alle costole e gli dissi “hai vinto tu, andiamo!”. 
       Sorridente e felice più che mai, iniziammo il nostro giro, incurante da parte sua di stipulare un qualsiasi contratto, che invece io volevo ad ogni costo per non trovarmi poi inguaiato in sorprese finali. Ci fu un’intesa immediata di fiducia e simpatia quando, al ritorno dalla visita al monumento ai “vecchi scarponi” inneggiati da un poeta colombiano, sorridente mi rivolse la parola dicendo “Lei deve essere molto innamorato, di chi non so!”. Rimasi sorpreso, poi domandai subito il motivo. “Perché solo un innamorato - mi rispose - perde tutto questo”. E mi mostrò il passaporto e tutto il denaro che avevo portato con me! Da quel momento non mi sentii più solo in quella città a 800 chilometri dalle suore di Betania. Potevo contare su qualcuno: sul taxista Juan Carlos.  
       Passammo sei giorni insieme visitando città e situazioni di povertà indicibili. Il timore di trovarci in qualche situazione di guerriglia era sempre presente. Almeno dodici volte fummo fermati da squadroni di militari o paramilitari: la differenza in pochi la sanno vedere. In una di queste fermate trattennero il mio passaporto per una ventina di minuti e prima di rilasciarmelo volevano che dessi loro una paga in dollari, cosa che non feci con grande stupore e timore di Juan Carlos. Più tardi mi disse: “Perché non hai dato loro nulla?”. “E se quelli volevano mettermi alla prova... e poi magari denunciarmi come corruttore?”. 
       Arrivammo all’ultimo giorno e Juan Carlos mi volle fare conoscere un intero villaggio di tessitori: San Jacinto a 90 km. da Cartagine delle Indie. Alle due del pomeriggio, già di ritorno, mi sentii improvvisamente molto male, aprendosi tutte le cataratte superiori ed inferiori! Fortemente spossato mi rimisi in taxi, pregando Juan Carlos che mi portasse in qualche famiglia per prendere qualcosa di caldo. Giungemmo ad un piccolo villaggio... ma nulla riusciva a fermarsi in stomaco. Anzi rapidissimamente mi trovai senza forze e con il capo reclinato sul tavolo del piccolo bar in cui ci eravamo fermati. Ormai sentivo le voci fievoli e lontane, la mia vista intravedeva le cose, ma senza colore, più nessun stimolo mi faceva reagire. Un mormorio lontano ripeteva: ma qui ci vuole un medico! Mi ritrovai su un lettino di pronto soccorso dove mi stavano iniettando soluzioni reidratanti! Ripresa la capacità di gestire con più lucidità la mia coscienza, cominciai a rispondere alle domande del medico, che suggerì al taxista di portarmi subito all’hotel e là chiamare un altro medico, perché lui aveva solo tamponato una difficile situazione! 
       Riprendemmo il cammino. All’hotel Juan Carlos si preoccupò subito di andare a cercare un nuovo medico, che non tardò ad arrivare. Mi visitò e diagnosticò: “gravissima intossicazione... collasso, febbre e disidratazione!”. Non reagivo, ma guardavo fiducioso ai due che si davano da fare con grande attenzione. “Bisogna andare a cercare una farmacia aperta e prendere...” e sentii tutta una sfilza di medicinali, che la dottoressa aveva ordinato. “Chi va a prenderli? Ha qualcuno dei suoi qui?”. “No, rispose Juan Carlos, solo io mi sto prendendo cura di lui!”. La dottoressa lo guardò titubante, poi cercò il mio sguardo come per trovare un assenso di fiducia. Annuii sorridendo e dissi: “E’ il mio angelo! Si fidi”. Andò e tornò velocissimo dalla farmacia. Quando a notte inoltrata videro che incominciavo a reagire meglio e a far battute spiritose, mi augurarono la buona notte e se ne andarono. All’indomani alle sette del mattino, Juan Carlos era già lì per darmi una mano a preparare lo zaino. Avevo infatti l’aereo alle nove. Il giorno prima al mio star male, Juan Carlos mi aveva fatto conoscere parte della sua famiglia. Di origine africana come tante dell’America Latina. Ma quel mattino venne con suo padre, che mi volle ringraziare per aver lavorato sei giorni con suo figlio! “Sono io che vi devo ringraziare!” dissi profondamente commosso.  Juan Carlos, abbandonato dalla moglie, vive con i suoi due figli nella casa dei genitori in un quartiere poverissimo a circa un’ora di macchina dal centro dove era la sua piazza di lavoro. Al mattino presto esce con un taxi preso a noleggio e alla sera lo riporta pagando una percentuale al proprietario. Così da più di otto anni! Il mese prima aveva impegnato orologio e anello per comperare medicine al suo figlio Kevin. Andammo a disimpegnarli prima di lasciarci.
      Al salutarci, entrambi con le lacrime agli occhi, gli dissi: “un giorno ci rivedremo... grazie per quello che mi hai fatto: potevo essere abbandonato in qualsiasi posto ché nessuno si sarebbe accorto di me! Potevo finire spogliato di tutto al margine di una strada... Tu mi conosci appena come turista un po’ strano perché, mi dicevi sempre, non ho mai incontrato un cliente come te che mi chiede di portarlo nelle zone più povere e spesso considerate più pericolose!”.
       “Sai, Juan Carlos, nelle zone bene ci si trova di solito elegantemente derubati anche della nostra libertà e dignità senza che ce ne accorgiamo, ma sono zone bene e la facciata è salva! Nelle zone povere si proiettano tutte le malvagità, che riconosciamo essere solo di chi vive in quelle zone, o in esse entrano, e mai come del tutto nostre!? E allora tutto è male! Sono molto stupide a volte le nostre valutazioni, quando non completamente sbagliate, fatte quasi sempre secondo un cliché di perbenismo ipocrita!”. Juan Carlos non apparteneva alle zone bene. Ma aveva il Bene nel cuore e fu la mia salvezza!
       Ci salutammo ancora una volta. Avevo incontrato davvero un angelo che si era preso cura di me semplicemente perché uomo nel bisogno. Non erano stati messi in mostra altri ruoli o etichette che spesso prendono il sopravvento sulla realtà semplicemente umana, che alla fine è quella che solo vale. 
       Che lezione evangelica, altro che un ritiro spirituale! Juan Carlos lotta nella sua quotidiana povertà per portare a casa quattro soldi per i suoi figli. So che ci tiene tanto ad avere un taxi tutto suo! Gli ho promesso che l’avrà, così potrà lavorare più sereno, più libero e più gioioso tornare a casa e abbracciare e baciare i suoi figlioli e far sentire in quell’abbraccio e in quei baci anche un po’ del mio abbraccio e del mio affetto per loro. Ecco i piccoli che cosa sanno fare! Ecco chi, anche senza ricercati miracolismi e senza alcun intervento ecclesiastico a volte ombroso, è direttamente dichiarato dal Signore: “BEATO”.
    severino prete
          N.B. - Alcuni hanno già conosciuta questa storia e si sono offerti come collaboratori per il taxi di Juan Carlos. La strada è ancora lunga, ma so che riuscirò a percorrerla con l’aiuto della Provvidenza. Il  mio telefono: 0125.234156, S. Cuore di Ivrea.
     


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