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    E’ solamente detenzione, o anche opportunità?
     
    TORINO - Non è stato facile resistere alle pressioni dei giornalisti che lunedì 26 giugno assediavano, nell’Aula Magna dell’Università di Torino, Giovanni Conso, Presidente Emerito della Corte Costituzionale e già Ministro della Giustizia, e i giudici costituzionali Gustavo Zagrebelsky e Guido Neppi Modona affinché esprimessero un sì o un no alle proposte di amnistia e di indulto, di cui tanto si discute in questi giorni. Essi erano lì per presentare il volume Carcere e società: il ruolo della cultura universitaria, appena uscito a cura delle Facoltà di Scienze Politiche e di Giurisprudenza, e che contiene gli Atti di un Seminario dallo stesso titolo, svoltosi nel mese di ottobre. Nei loro interventi, come in quello di Pier Cesare Bori dell’Università di Bologna, di don Pier Sandro Spriano cappellano di Rebibbia, della docente responsabile per l’Ateneo di Torino del Polo Universitario per studenti detenuti Dora Marucco di Rinaldo Bertolino Rettore dell’Università di Torino, è emerso chiaramente confermato il ruolo della cultura come asse portante della rieducazione dei detenuti “perché da lì incomincia e passa la prevenzione, non soltanto del crimine, ma anche della recidiva”, come ha autorevolmente sostenuto don Ciotti in un’intervista pubblicata il 23 giugno nella “Stampa”.
       La Facoltà di Scienze Politiche da anni, quella di Giurisprudenza più di recente, operano al fine che il diritto allo studio sia rispettato in carcere, perché qui il detenuto entra - come ha voluto sottolineare Zagrebelsky - depauperato sì della libertà, ma sempre con il suo bagaglio di diritti e di responsabilità. Per questo, in accordo con il Tribunale di sorveglianza e con il Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, l’Università di Torino dal 1998 ha avviato alle Vallette corsi universitari per un massimo di 22 studenti detenuti, in parte italiani, in parte extracomunitari. I docenti hanno accesso agevolato: i detenuti una condizione più adatta allo studio. La permanenza al Polo Universitario - questo è il nome della sezione per studenti detenuti - è soggetta a regole precise per quanto concerne il contributo al pagamento delle tasse, il numero di esami da sostenere ogni anno entro una data prefissata, il codice di comportamento. Nel primo biennio dell’esperienza le condizioni sono state rispettate ampiamente per quanto concerne gli esiti scolastici, mentre è emersa capacità di organizzazione, impegno a superare le difficoltà legate all’età e alla distanza da esperienze di studio e soprattutto spirito di reciproca collaborazione. Ora una parte di loro si accinge a entrare nel secondo biennio, in cui il percorso universitario si specializza. Elaborando per i suoi iscritti detenuti un apposito indirizzo, che ha tenuto conto delle rigidità della detenzione, delle caratteristiche particolari del mercato del lavoro a cui può realisticamente accedere chi ha scontato pene in carcere, la Facoltà di Scienze Politiche ha voluto affermare il loro diritto a un inserimento nel mondo del lavoro che tenga conto e valorizzi il patrimonio di studi e di conoscenze acquisito durante la detenzione.
       Nell’intervento elaborato collegialmente dagli studenti carcerati e letto dal prof. Davide Petrini, veniva espressa una giusta preoccupazione proprio per il passaggio dalla fase dello studio a quella del lavoro: quale grado di compatibilità può sussistere tra le esigenze di una società competitiva e la volontà di un concreto reinserimento dell’ex carcerato nel processo produttivo? Per cui, per porre l’ex carcerato in posizione di reale eguaglianza, sarà sempre necessario predisporre misure speciali che gli facciano superare le difficoltà che incontra nell’ingresso in un mercato molto competitivo. Ciò però non riguarda soltanto i carcerati, ma tutte le fasce marginali della società, o meglio ancora le situazioni anche temporanee di marginalità in cui finirà con il trovarsi in certe fasi della vita la maggior parte di noi. La competitività vuol dire anche questo. Le, per ora, poche esperienze, dopo quella pionieristica dell’Ateneo Torinese, di impegno dell’Università nei confronti degli studenti detenuti - sono stati citati i casi di Bologna, Alessandria e in fase di avvio Firenze - dovranno cimentarsi con questi problemi, che sono parte integrante della scommessa di riconsegnare alla società una persona diversa, grazie anche alla sua crescita culturale.
     
    luisa marucco
     
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