TORINO - HA TRATTATO DI POLITICA
E IMPEGNO ETICO
Laurea per Monsignore
Il testo della lectio magistralis
di Bettazzi
Devo innanzitutto esprimere la mia profonda
riconoscenza a questa gloriosa Università di Torino ed al suo Magnifico
Rettore, ma in modo particolare alla Facoltà di Scienze Politiche,
al chiarissimo Preside ed al Consiglio di Facoltà per l’onore che
mi viene dato con questa Laurea. Così come saluto e ringrazio quanti
ora mi fanno l’onore di presenziare a questo momento accademico. Dopo quelle
acquisite in Teologia a Roma alla Pontificia Università Gregoriana,
ed in Filosofia nell’Alma Mater Studiorum di Bologna, la Laurea all’Università
di Torino costituisce un onore che conferma il mio legame con il Piemonte,
dove giunsi nel 1967 inviato dal Sommo Pontefice come Vescovo di Ivrea.
A Torino era giunto da
Firenze per insegnarvi mio nonno Rodolfo, che aveva rinunciato alla carriera
universitaria per dedicarsi ad impegni educativi, sociali e civici, tanto
da meritare il titolo di una strada cittadina. Ed a Torino avevano studiato
mio padre e molti miei parenti, alcuni anche giungendo ad occupare cattedre
in questa Università.
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Ringrazio per l’onore che
mi viene conferito; ringrazio soprattutto per il riconoscimento che in
certo senso viene dato al mio ormai lungo servizio alla Chiesa ed al mondo.
Se la Chiesa me l’ha espresso nell’attenzione al mio servizio episcopale
ed al compito richiestomi dalla gerarchia di presiedere un movimento cattolico
per la pace, Pax Christi, forse con perplessità in alcune occasioni
ma sempre riconoscendo la coerenza e la fedeltà, la Vostra Laurea
honoris causa esprime l’attenzione della società civile ad un impegno
che parte da convinzioni religiose ma che si esprime in modalità
autenticamente umane, appunto politiche.
Se infatti la vita concreta
della “polis’’ esige l’organizzarsi dei cittadini per il raggiungimento
di mete concrete, scelte tra le molte possibilità secondo il prevalere
di particolari opzioni (ed è l’ambito dei partiti politici), è
evidente che queste scelte verranno realizzate in base ad analisi del vivere
associato, con approfondimenti ed ipotesi che costituiranno livelli scientifici,
appunto di scienze politiche. Ma risulterà pure non meno evidente
che tutto questo dovrà porsi al servizio degli esseri umani che
costituiscono la polis, di tutti gli esseri umani, di cui ciascuno - come
diceva il filosofo - deve essere visto come fine, mai come mezzo. Ed è
innegabile che una visione religiosa aperta può costituire una fonte
di ispirazione e di conferma.
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La storia dell’umanità
rileva costantemente situazioni di dominio, di oppressione, di sfruttamento
da parte di chi è più forte - fisicamente od intellettualmente
- nei confronti di chi è più debole o meno dotato. Via via
i deboli però si organizzano ed ottengono liberazioni ed autonomie,
facendo convergere la società verso livelli di più consistente
omogeneità ed uguaglianze. Attraverso rivoluzioni ed evoluzioni
questa partecipazione allargata di tutti i cittadini alla gestione della
vita associata - il potere del popolo, la democrazia - diventa una meta
ideale a cui le varie aggregazioni tendono o dovrebbero tendere, come all’espressione
più tipica della consapevolezza della pari dignità di ogni
essere umano.
Ma poiché è
ineliminabile dall’agire umano la ricerca del benessere e della sicurezza
per la propria individualità, e chi gode di maggiori capacità
è portato ad utilizzarle limitando le possibilità degli altri,
occorre che vi siano costantemente nella società germi e forze di
riequilibrio che richiamino i grandi ideali comuni e vengano incontro ai
settori più disagiati od emarginati.
Nella storia si sono sempre
riscontrate iniziative di solidarietà verso le persone o le categorie
più deboli, ma anche per iniziativa di ambiti religiosi, sensibili
ad una fondamentale uguaglianza degli esseri umani nei confronti della
divinità. E nella nostra storia occidentale si sono rivelate determinanti
la presenza e l’azione del cristianesimo, una religione che riconosce Dio
fatto uomo per amore dell’umanità, di tutta l’umanità e di
ciascun essere umano, proprio cominciando dai più piccoli e dai
più deboli.
Potrei ricordare come in
questa direzione si siano mosse alcune iniziative della Chiesa che è
in Ivrea: dalla Casa dell’Ospitalità per le persone più emarginate
alla Casa della Solidarietà per tossicodipendenti, alla Casa di
Abramo - in collaborazione con altre confessioni religiose - per Terzomondiali,
fino a collegamenti con popolazioni in difficoltà in Brasile, in
Burundi, in Vietnam.
La storia, che pur riconosce
queste testimonianze di assistenza che sovvengono i settori più
disagiati lasciando intatte le strutture che provocano o tollerano questi
disagi, rileva come una solidarietà effettiva e dinamica debba impegnarsi
a superare queste strutture che provocano ingiustizie ed emarginazioni
(“strutture di peccato’’ le chiamò Giovanni Paolo II nell’enciclica
“Sollicitudo rei socialis’’), in funzione di un rinnovamento che esprima
e sostenga una partecipazione sempre più larga alla gestione della
società. I grandi movimenti ideologici hanno maturato e promosso
questo progresso sociale con periodi alterni di rivoluzione e di assestamento.
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E’ in questo panorama -
politico in senso più vasto ed aperto agli impegni più specifici,
come quelli dei partiti - che mi son trovato ad agire come Vescovo, cioè
responsabile di una comunità che, muovendosi in ambito religioso,
tanto più in ambito territoriale e culturale influenzato dal messaggio
cristiano, doveva tener conto di come l’evolversi della società
imponesse al pensiero cattolico di aprirsi alla socialità, alla
luce del Vangelo ma nelle prospettive offerte dai nuovi riferimenti del
vivere comune.
Penso ad esempio alle dottrine
tradizionali sulla proprietà e sul lavoro, sul ruolo della donna
o sui cosiddetti diritti di civiltà. Nel concreto della mia missione
non potei perciò non preoccuparmi della difesa dell’occupazione
delle persone di fronte alla tendenza a far prevalere l’economia (che spesso
è in concreto la salvaguardia degli interessi della proprietà),
con iniziative di solidarietà, dalla partecipazione all’occupazione
simbolica di un’autostrada o alle marce di sensibilizzazione fino alle
Lettere aperte rivolte ai responsabili della politica o delle industrie.
Ma soprattutto dovevo costantemente sollecitare la comunità cristiana
a non chiudersi nell’ambito esclusivamente cultuale o caritativo, rendendosi
invece conto che fa parte della religiosità educare l’essere umano,
proprio perché aperto a Dio creatore e Padre di tutti, a promuovere
il rispetto e l’impegno per una vita piena di ciascun essere umano, nella
luce della fraternità universale.
Questo ho cercato di fare con interventi
costanti, ad esempio con scritti settimanali sul giornale della Diocesi,
“Il Risveglio Popolare’’, così come con sollecitazioni più
vaste, ad esempio nei Sinodi diocesani, che sono il momento aggregativo
maggiore nella vita di una Chiesa locale.
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L’incarico affidatomi in
Pax Christi mi ha poi portato a prendere coscienza di come, pur sotto l’etichetta
ideale della democrazia, si annidino costantemente ingiustizie ed emarginazioni.
Già un’Enciclica di Paolo VI - la Populorum Progressio del 1967
- accoglieva le sollecitazioni del Concilio Vaticano II (1962-65) e denunciava
gli squilibri di un mondo dove i popoli ricchi diventano sempre più
ricchi ed i poveri sempre più poveri.
Il tema veniva specificamente
sviluppato dal Rapporto Brandt che nel 1980 esponeva le conclusioni di
un’approfondita indagine promossa dall’O.N.U. per individuare le prospettive
future dell’umanità: di fronte alla tensione Est-Ovest, allora in
dimensione di guerra fredda e con l’eventualità di una guerra nucleare
che avrebbe potuto distruggere l’umanità - come allora si calcolava
- ben ventisette volte, il pericolo maggiore, perché già
in atto, era la crescente divaricazione tra la parte più sviluppata
dell’umanità - chiamata il Nord - e quello che veniva drasticamente
designato come il Sud del mondo.
La sfida - culturale e
sociale - era ed è quella di annunciare il valore della persona,
della libertà, della democrazia, ma di denunciare contemporaneamente
quanto apertamente o copertamente contrasti questi ideali, tanto più
in un tempo in cui il fallimento dell’esasperazione ideologica del collettivismo
sembra consacrare le esasperazioni contrapposte dell’individualismo personale
o sociale. Si pensi, ad esempio, alla perdita di prestigio e di autorità
dell’O.N.U., dovuta non solo all’antidemocraticità del Veto riservato
alle cinque Nazioni vincitrici della Seconda Guerra Mondiale che blocca
ogni critica rivolta a popoli amici di una delle cinque potenze, bensì
all’emergenza di poteri alternativi, tutti espressione delle Potenze più
sviluppate e più forti, dall’ambito politico-militare (vedi NATO),
a quello economico commerciale (vedi WTO e OCSE) a quello finanziario (vedi
Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale), con le contraddizioni
ed i problemi connessi, dalla situazione del Kosovo alle contestazioni
di Seattle e Bologna, ai debiti che soffocano i Paesi del Terzo Mondo costretti
praticamente a finanziare con le loro striminzite risorse i Paesi più
ricchi e sviluppati, i quali vengono altresì sovvenzionati dal commercio
delle armi che alimentano le guerre dei poveri!
Anche lo sviluppo inarrestabile
della globalizzazione deve costantemente venire verificato nella tutela
della persona umana, di ogni persona e di ogni popolo, perché non
diventi invece un’ulteriore occasione di abbondanza per chi già
ha e di emarginazione per chi ha meno, ma sia - come è stato detto
- una globalizzazione dello scambio e della solidarietà.
Davvero i rilievi e gli
impegni sono di carattere politico, ma non nel senso dello specifico politico
riservato ai partiti ed ai movimenti politici, ma agli orientamenti di
fondo di ogni scelta sociale, che voglia essere orientata al servizio della
società, quindi delle persone che la compongono, di tutte le persone
a cominciare dalle più deboli e dalle più emarginate. Ed
in questo ogni umanesimo, e quindi ogni religione, ha richiami e proposte
da presentare e sollecitare. Le analisi e le sintesi successive saranno
poi compito delle scienze politiche.
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Mi verrebbe da aggiungere
che le scienze - le scienze politiche come tutte le scienze - devono rendersi
conto del compito che hanno di fermarsi a rapporti tra i vari aspetti della
vita umana individuale e sociale senza scendere ai fondamenti della realtà,
impegnandosi a formulare ipotesi e proposte, che però possono presentare
o preparare conseguenze e sviluppi regolari sul piano del ragionamento
ma strumentalizzati negativamente in ordine alla realizzazione piena dell’essere
umano e della società.
Penso appunto ad una scienza
economica che garantisca sviluppi positivi di cui però possano godere
numeri sempre più ristretti di popoli e di persone condannando strati
sempre maggiori di umanità a restrizioni di libertà e di
vita; penso per paradosso a scienze e tecniche biologiche che condannino
vite umane a divenire cavie o vittime (come avvenne in passato) o ad applicazioni
delle scienze fisiche che portino alle distruzioni atomiche o alle contraddizioni
del nucleare.
Non so se questo possa
chiamarsi “pensiero debole’’: certo è pensiero, anzi ragionamento,
ma superficiale, individualista, elitario. Una visione globale ed equa
dell’umanità deve saper subordinare eventi risultati parziali alla
promozione globale dell’umanità, illuminando i ragionamenti con
visioni più alte o più profonde, con un pensiero più
forte, più autenticamente ed universalmente umano, con impegno etico
illuminato e coerente.
E’ quello che gli antichi
chiamavano “sapienza’’, non in contrasto con la scienza, ma condizione
indispensabile perché la scienza sia veramente umana, al servizio
dell’essere umano, del suo sviluppo globale, della sua storia. Proprio
per la sua caratteristica di essere al servizio della polis, della città,
penso che le scienze politiche debbano muoversi sempre nella prospettiva
della sapienza, che debbano anzi includere sempre una dimensione sapienziale.
Ed è in questo senso
che ritengo un onore particolare che una Facoltà di scienze politiche
abbia voluto dare un riconoscimento accademico a chi nella sua vita, per
la sua missione religiosa ed il suo impegno sociale, ha costantemente cercato
di richiamare il valore della persona umana, di ogni persona umana e di
ogni popolo, anche dei più umili e dei più deboli, ritenendo
che solo nella difesa e nella promozione di questa umanità la politica
- e quindi anche la scienza ad essa applicata - attinga pienamente alla
dignità sapienziale di servizio all’umanità, di sostegno
ad un autentico progresso, punto di riferimento per la pace e la speranza.
+ luigi bettazzi