IVREA - ANCHE IL
MONDO PACIFISTA E’ RIMASTO DISORIENTATO DA QUESTA VICENDA
ORA SAPPIAMO
DOVE STA LA CECENIA
INCONTRO INTERESSANTE,
PROMOSSO DA NUMEROSE ASSOCIAZIONI
“Da che parte è la Cecenia?” ci
si è chiesti la sera di mercoledì 16 nella sala S. Marta.
Un incontro promosso da molti, prova dell’interesse che la questione suscita:
Amnesty International, Centro Documentazione Pace, Centro Gandhi, C.G.I.L.,
Comit. Solidarietà con ex-Jugoslavia, Pax Christi, Varieventuali.
Relatore Claudio Canal;
assente, per gravi motivi familiari il prof. Marco Buttino, docente di
storia dell’Europa Orientale.
Da che parte la Cecenia,
non solo sotto l’aspetto geografico: mai sentita nominare dai più,
difficile persino da trovare sulle carte geografiche, là nel Caucaso
del Nord, tra Daghestan e Ossezia. Ma soprattutto da che parte idealmente,
per noi abituati a dividere sempre tutti in buoni e cattivi. Questa incertezza,
secondo Canal, può in parte spiegare la scarsa reazione, non solo
italiana, di fronte ai gravi fatti della Cecenia: l’ONU, il Consiglio d’Europa,
i governi sono rimasti assenti, accettando l’argomento russo, che si trattava
di affari loro interni.
Ma anche il mondo pacifista
ha stentato a prendere delle posizioni, pur con le debite eccezioni (tra
cui Amnesty e Pax Christi) e nulla, che si sappia, è stato organizzato
in favore dei 200 mila profughi che si sono rifugiati nei territori vicini.
Almeno questo si doveva fare!
Molta responsabilità
di questa insensibilità generale è dovuta ai mass media che
della Cecenia hanno parlato pochissimo, cestinando anche appelli o notizie
che venivano loro inviati. Certo, su Internet o sui giornali stranieri
le notizie c’erano e ci sono, ma non sono questi mezzi di divulgazione
accessibili a tutti.
La Cecenia non è
un problema di oggi per la Russia. Tra questa e il Caucaso, di cui la Cecenia
fa parte, esiste una tensione storica da almeno due secoli e mezzo. Ne
troviamo testimonianza nella letteratura russa e qui si è svolta
la parte più originale della serata: la lettura, da parte di due
giovani slave molto sensibili ed efficaci, di brani tolti da opere di Puskin,
Lemotof, Tolstoi, che delineano la figura del Caucasico agli occhi dei
Russi: gran combattente, ma anche imbroglione, selvaggio come la sua terra,
che affascina per la sua bellezza e che il russo vorrebbe colonizzare e
civilizzare. C’è uno scontro dunque che viene da lontano.
Forse questo aiuta a capire
la radicalità di questa guerra, che non è solo per bloccare
le azioni terroristiche di 2.500 ribelli (come sostiene Mosca), ma si è
rivelata per sterminare tutta una popolazione. Oggi che Grosnij è
caduta (ma resta ancora da occupare tutta la Cecenia) i russi compiono
una vera pulizia etnica; “campi di filtraggio” i ceceni vengono arrestati
arbitrariamente, maltrattati, torturati, “rieducati”. Questa liquidazione
dei Ceceni l’aveva già tentata Stalin che nel ‘44 deportò
la popolazione in Siberia e Kasakistan. Metà morirono. Nel ‘57 ebbero
il permesso di ritornare, ma trovarono che i russi avevano occupato le
loro case. Molte altre cause stanno dietro la tragedia cecena: il petrolio,
la posizione geografica, le prossime elezioni in Russia e certamente altre
situazioni che ci sfuggono. Ma non è un affre solo dei russi; l’area
caucasica è troppo importante per tutta l’Europa, che pure non fece
nulla. E in Russia sappiamo dell’esistenza di forme di opposizione: l’organizzazione
delle madri dei soldati (sono tremila quelli morti in questa guerra da
parte russa) e la Fondazione “Memorial”, diretta dalla vedova di Sacharov.
Questa vicenda ci dice
purtroppo che la comunità internazionale crede alla guerra come
risoluzione dei problemi.
C’è anche un’altra
conclusione pessimista: il conflitto religioso nel Caucaso non era finora
pericoloso, l’Islam aveva un profilo “bonario”; ma la guerra crea i fondamentalismi
e adesso davvero questo può diventare un problema generale in tutta
l’area.
liliana curzio
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