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    MEMORIA DEL CONCILIO. E DI DON GIGI REY
       
    Ringrazio il Risveglio Popolare, che ha voluto presentare il mio ultimo scritto sul Concilio (in realtà è il penultimo, perché sta uscendo un libriccino sul Padre Nostro). In esso parlo del Concilio come “Pentecoste del nostro tempo’’ proprio per qualificarlo come un grande dono di Spirito Santo che Gesù Cristo ha voluto offrire alla sua Chiesa in vista del secondo millennio del Suo Natale e della Sua Pasqua; ma ho confidato anche che in un primo tempo lo indicavo come il tempo in cui la Chiesa è diventata “maggiorenne’’.  
       Poi l’ho tolto dal titolo, ma sono rimaste alcune allusioni nel testo. E avendo fatto inviare dall’editore copia a tutti i Vescovi (a prezzo vivo di stampa per queste copie), alcuni confratelli mi hanno scritto accusandomi di aver considerato la Chiesa “minorenne’’ per due millenni! Ora, certo, se consideriamo la Chiesa nella sua parte dirigente, essa era evidentemente maggiorenne, così come lo era - per altri motivi - nei tanti santi.  
       Ma se si considera l’insieme del popolo di Dio, si può affermare che in un certo senso il Concilio abbia aperto ufficialmente la porta della maggiore età, nel senso che presenta una fede matura come assenso personale alla Parola di Dio, una speranza matura nella partecipazione attiva alla Pasqua di Cristo presente nella Liturgia, ed una carità matura nell’assunzione di responsabilità personali e collettive all’interno della Chiesa - sia pure, come ribadisce, “con’’ e “sotto’’ la gerarchia - ed in particolare nella testimonianza evangelica nel mondo. Ed è questa la grande novità del Concilio Vaticano II°, che nulla muta delle grandi verità stabilite da venti Concili Ecumenici precedenti (ventuno se si conta il Concilio di Gerusalemme di cui parlano gli Atti degli Apostoli c. 15), ma appunto perché Concilio pastorale - la mette in costante rapporto con la vita concreta degli uomini e delle donne di oggi.  
       E per questo indicavo il Concilio come il grande manifesto della “nuova evangelizzazione’’, nuova non nel senso di “una in più’’, ma proprio nel senso di “una diversa’’, perché punta più sulle persone concrete che sulle verità dottrinali o sui riti liturgici e le strutture già istituite. Per questo sto dialogando per iscritto con alcuni Vescovi più critici, smussando le frasi forse un po’ drastiche che ho usato per puntualizzare la novità della prospettiva ma ribadendo la convinzione che le quattro grandi Costituzioni (sulla Parola di Dio, la Liturgia, la Chiesa in sé e la Chiesa nel mondo) hanno costituito - e costituiscono ancora - un grande messaggio di rinnovamento e di vitalità per tutta la Chiesa.  
       O forse, potremmo dire che questo è il costante cammino della Chiesa chiamata - come ogni essere vivente - a rinnovarsi continuamente, a divenire sempre più... maggiorenne, rimanendo sostanzialmente la stessa, ma sempre sviluppandosi, come appunto ogni essere vivente può rimanere sempre lo stesso solo se si rinnova costantemente... salvo mummificarsi. E il passato allora serve come punto di partenza perché il rinnovamento ne garantisca la continuità.  
       La “tradizione’’ che da non pochi cristiani viene intesa come qualcosa di sempre uguale, di fisso, vuol invece dire, nella sua stessa etimologia latina, “trasmissione’’ da persone a nuove persone, dall’intera Chiesa d’un tempo a quella dei tempi successivi, sviluppandola appunto perché possa restare sempre la stessa, sempre viva perché cresca sempre.  

    * * *  

       Ci ripensavo domenica scorsa a Torino, partecipando, con un gruppo di amici, ad un incontro dell’ottavo anniversario della morte di Don Gigi Rey, guidati da una cordiale commemorazione di Mons. Miglio e da una concelebrazione presieduta da Mons. Anfossi (era presente anche Mons. Giachetti). Avevo conosciuto Don Gigi per il coinvolgimento comune nella spiritualità di Fratel Charles De Foucauld, una spiritualità che anticipava e preparava il Concilio (Vangelo e Parola di Dio, Eucarestia, condivisione con la gente, soprattutto con i poveri ed i più semplici): mi aveva fatto conoscere a Roma Mons. Mensa, nei giorni del Concilio e, dopo, mi aveva invitato a Bose di Magnano, quando Cesare Massa, allora laico, aveva acquistato quella casa in cui Enzo Bianchi svilupperà poi il suo Monastero, proprio come luogo di incontro dei vari gruppi di Jesus Caritas.  
       Don Gigi era stato uno dei più convinti assertori del rinnovamento conciliare, appoggiando quanto si faceva nella sua Diocesi e portando nel compito in cui era impegnato nei confronti dei Seminari e del Clero, in Italia e nel mondo. Nell’omelia, che mi è stato chiesto di fare, commentavo la seconda lettura, presa da San Paolo, il quale affermava di non essere un “sì’’ e un “no’’, ma sempre un “sì’’, come Gesù che è il “sì’’ (l’Amen) al Padre.  
       E ripensavo ai “sì’’ di Don Gigi, ed a quanti ed a quante l’avevano aiutato a dire i suoi “sì’’, da quello del sacerdozio a quello faticoso e tutto in salita dell’ultima malattia, terminato proprio poche ore prima della morte, quando il Signore gli ha dato di recitare in pienezza, commosso e sereno, la preghiera di Fratel Carlo: “Padre, mi abbandono a Te...’’.  
       
    + luigi bettazzi  
      

            
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