L' ACQUEDOTTO TERESIANO A TRIESTE

—————— Le Wassergalerien ———————







Il principale interesse dell'acquedotto Teresiano non sta nelle soluzioni tecniche d'avanguardia o negli aspetti monumentali delle opere in superfice, bensì nella tecnica di captazione. Le ragioni di questa particolarità sono legate al tipo di roccia che caratterizza la città ed il suo immediato circondario: si tratta del ben noto "crostello", o, più correttamente Flysch. Questa roccia — formata da strati alternati di marna ed arenaria — impedisce all'acqua sotterranea del vicino Carso di defluire verso il mare, rendendo così impossibile l'esistenza di sorgenti perenni di una qualche importanza.
Dal momento che le acque di superficie non erano utilizzabili per alimentare la nuova condotta, i tecnici dell'epoca pensarono bene di rintracciarle sotto terra: una parte dell'acqua piovana riesce infatti ad infiltrarsi nel sottosuolo seguendo la rete delle fratture e dei piani di strato. Si tratta del fenomeno noto come "permeabilità in grande".
Vennero così scavate delle lunghe gallerie drenanti che si spinsero in profondità nei fianchi delle colline: ad una certa distanza dall'imboccatura il cunicolo veniva a trovarsi — se non in una falda freatica propriamente detta — quantomeno in una zona in cui tutti i vuoti della roccia sono interamente riempiti d'acqua. Ad un certo punto dello scavo l'acqua iniziava così a gocciolare nel cunicolo, si raccoglieva sul pavimento e defluiva poi verso l'uscita, dove era raccolta ed incanalata. Il funzionamento di queste vere e proprie "sorgenti artificiali" è dunque pressoché analogo a quello di un pozzo, con l'ovvio vantaggio che l'acqua non deve essere sollevata in superficie, ma defluisce spontaneamente all'esterno a causa dell'inclinazione data allo scavo.




[V.] Struppi, Haupt-Profil, oder Niveau, [...] zu der neuen Wasser-Leitung nach Triest (particolare),
Penna e acquerello su carta pesante, cm 38 x 348. Archivio di Stato di Trieste,
Imperial Regia Direzione delle Fabbriche, Archivio Piani, busta 372.



Sistemi di questo tipo erano impiegati fin dall'antichità, mentre negli ultimi secoli numerose città europee venivano rifornite con sistemi analoghi. Nel caso di Trieste si è però verificato un interessante connubio tra le tecniche minerarie e l'ingegneria idraulica: esistono infatti dei precisi riscontri che indicano proprio nelle maestranze provenienti dal centro minerario di Idria gli artefici delle gallerie dell'acquedotto. Molte delle Wassergalerien tutt'ora percorribili rivelano inoltre un caratteristico profilo ovoidale, tipico delle gallerie più antiche della miniera.




A sinistra: Complesso "Store" dell'acquedotto Teresiano(CA 158 FVG-TS), Longera, Trieste.
A destra: Miniera di Idria (Slovenia), Galleria di s.Antonio (Antonistollen).

In ogni miniera, uno dei problemi più seri è infatti quello di allontanare all'esterno l'acqua che si infiltra naturalmente nei cunicoli: in condizioni favorevoli, venivano di solito scavate delle lunghe gallerie inclinate con la funzione di scaricare all'esterno l'acqua che altrimenti si accumulerebbe nei livelli più bassi. Le similitudini, al di là dei differenti scopi che si prefiggono le due realizzazioni, sono del resto ben più evidenti di quanto non possa sembrare a prima vista: il nocciolo del problema è infatti rappresentato per entrambi i casi dall'acqua d'infiltrazione, la quale, a seconda delle circostanze, deve essere o allontanata in modo efficace o scrupolosamente raccolta.

Questi cunicoli drenanti, indicati talvolta come "gallerie d'acqua" manifestavano un rendimento assai incostante nel corso dell'anno: a mesi in cui la portata era addirittura eccessiva, si alternavano periodi in cui l'acqua raccolta si riduceva drasticamente fino a venir meno del tutto. Questi erano però solo gli inconvenienti più macroscopici: negli anni seguenti cominceranno ad emergere problemi di altra natura, come il prosciugamento dei pozzi in superficie o l'inquinamento delle falde a cui attingevano le gallerie.
Nonostante questi difetti si continuarono a scavare gallerie d'acqua per tutto il XIX secolo: questa tecnica, oltre ad assicurare una minima garanzia di successo, era infatti relativamente economica, specie se messa a confronto con la maggior parte dei progetti elaborati nel corso dell'Ottocento.
In questi cunicoli sono quasi sempre individuabili due zone: nel tratto iniziale la galleria è rivestita in muratura mentre nella zona vicino al fondo il rivestimento si interrompe e lo scavo procede nella roccia viva. Gli aspetti caratteristici di ciscuna zona vengono descritti nella pagina dedicata alle tecniche di costruzione.

Dopo l'avvio del Progetto Theresia, la maggior parte delle Wassergalerien superstiti sono state esplorate dai menbri della Sezione di Speleologia Urbana della Società Adriatica di Speleologia. Le strutture esterne sono in genere scomparse da molto tempo, tanto che nella maggio parte dei casi gli ingressi sono ormai seminascosti da una fitta vegetazione.




La galleria "Stena" superiore (CA 5 FVG-TS).
Ingresso seminascosto dalla vegetazione.



Dove invece l'espansione edilizia degli ultimi anni ha raggiunto le zone di presa, non è invece affatto raro scendere negli antichi pozzi d'accesso per mezzo di tombini sul marciapiede.




La galleria Secker/Tschebul (CA 14 FVG-TS).
Tombino di accesso su via s.Cilino.



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