L' ACQUEDOTTO TERESIANO A TRIESTE

———————— La storia —————————







Il Friuli Venezia Giulia è una regione dalla particolare conformazione geografica, caratterizzata da una vasta pianura alluvionale ricca di risorgive che si estende ai piedi di catene montuose attraversate da numerosi torrenti e corsi d'acqua. Per questi motivi l'approvvigionamento idrico non ha mai rappresentato—in linea di massima—un grave problema. Esiste però un'area dove, per le peculiari caratteristiche del territorio, tali problemi sono stati risolti definitivamente solo in quest'ultimo secolo: la Venezia Giulia.
Questa propaggine orientale della regione, non potendo attingere alle falde carsiche profonde centinaia di metri, è stata attraversata in più epoche da lunghe condutture destinate a rifornire Trieste; fin dagli inizi la storia della città si intreccia quindi con quella del suo approvvigionamento idrico. Erano infatti ben tre gli acquedotti che rifornivano l'antica Tergeste romana, uno scendeva dalla zona di Guardiella e Longera, un altro proveniva dalla valle di Rozzol mentre l'ultimo convogliava nell'abitato l'acqua proveniente dalla zona di Bagnoli della Rosandra. Difficile tuttavia ricostruire con esattezza quando le tre condutture abbiano cessato di funzionare; lo storico ottocentesco Pietro Kandler suppose la metà del VI secolo anche se gli studi più recenti propongono una data anteriore.Trieste dovette ricorrere così per secoli all'acqua fornita da pozzi e cisterne scavati sia all'interno dell'abitato sia nelle immediate prossimità delle mura.

Tale precari mezzi di approvvigionamento mostrarono tuttavia i loro limiti nel XVIII secolo quando la rapidissima espansione della città pose il problema di rifornire convenientemente un centro abitato in continua crescita. La città si stava infatti trasformando da un modesto centro rivierasco legato ad un'economia di piccoli commerci ad un grande emporio capace di attirare traffici da un'area molto vasta.
Già nel febbraio del 1732 Carlo VI aveva ordinato alla città la costruzione di una condotta; nonostante i solleciti giunti alcuni mesi dopo, i lavori non furono tuttavia mai avviati. La situazione si faceva nel frattempo insostenibile. Fu così che nel novembre 1749 l'imperatrice Maria Teresa d'Austria decretava la costruzione dell'acquedotto che porterà il suo nome, finanziandola con i proventi del dazio del pesce.

La presa della nuova opera idraulica fu realizzata nella zona di Guardiella, vicino la chiesetta di S.Giovanni e Pelagio, dove l'acqua veniva raccolta da un ingegnoso sistema di cunicoli emungenti noti con il nome tedesco di "Wassergalerien". La prima filtrazione aveva luogo in un capofonte sotterraneo dotato di bacini riempiti con ghiaia di varie pezzature; qui venivano depositate le impurità grossolane mentre una successiva vasca di decantazione assicurava l'allontanamento di quelle più fini. L'ingresso della costruzione è ancora oggi visibile lungo via della Cave, dove una lapide settecentesca ricorda la costruzione dell'acquedotto.




Via delle Cave, lapide all'ingresso del Capofonte.
Calcare bianco, 1751



Il tracciato della conduttura, che ricalcava in parte quello dell'antica opera romana, correva lungo la vallata di S.Giovanni costeggiando poi le pendici occidentali del colle Farneto. La conduttura fu realizzata con tubi in legno, poi sostituiti da elementi in terracotta. La struttura dell'acquedotto era dunque costituita da un sistema di gallerie di raccolta collegate tra loro per mezzo di una complessa rete di tubazioni e canaletti. Questa correva per la maggior parte dei casi interrata, e solo raramente in una galleria di dimensioni tali da essere percorsa.




Frammento di conduttura lignea,
ontano?, [XVIII sec.] diam. cm 14.
Trieste, collezione privata.



L'ingresso in città avveniva all'altezza degli attuali portici di Chiozza; la tubazione raggiungeva la fontana del Mazzoleni situata in piazza del Ponte Rosso proseguendo poi in direzione di piazza della Borsa. Qui era originariamente collocata la fontana "del Nettuno", ora situata in piazza Venezia.
Il termine dell'acquedotto era posto nell'odierna piazza Unità d'Italia dove l'acqua zampillava dalla fontana "dei Continenti", anch'essa, come le due precedenti, opera dello scultore bergamasco.




G. Rieger, Piazza di Trieste nell'anno 1765 (particolare), litografia, cm 18,5 x 28.
In A. Tribel, Passeggiata storica per Trieste, Trieste 1885, tra le pp. 346-347.



In tutto l'abitato si staccavano inoltre diverse tubazioni sussidiarie che rifornivano sia utenze private (palazzo Carciotti, casa Stratti, casa Sartorio ed altre), sia pubbliche (locanda grande, palazzo della Luogotenenza ecc.).
Bastarono però pochi anni per mettere in evidenza i limiti di un'opera che, progettata per risolvere una volta per tutte il problema idrico di Trieste, non si dimostrò neppure capace di garantire una portata costante nell'arco dell'anno: l'acquedotto venne così progressivamente ampliato con l'aggiunta di nuovi rami destinati, nelle intenzioni dei progettisti, ad integrare la portata delle opere preesistenti. Non mancarono per altro iniziative di un certo respiro, come la costruzione di un nuovo acquedotto lungo la valle del torrente Starebrech: i lavori, interrotta a causa dell'occupazione francese del 1809, non vennero tuttavia mai portati a termine.
Nonostante gli sforzi la resa dell'acquedotto si dimostrò sempre inferiore alle aspettative: nel corso dei periodi siccitosi era infatti necessario imporre restrizioni ai consumi, mentre le autorità cercavano di rimediare con provvedimenti tampone, come il trasporto d'acqua in botti o barconi cisterna. La situazione era inoltre complicata dalla presenza di numerose diramazioni abusive. Molti infatti tentavano di corrompere i tecnici dell'acquedotto per ottenere una diramazione privata e gli illeciti erano all'ordine del giorno. Nei momenti più critici, quando le fontane erano prese d'assalto, si verificavano situazioni ai limiti dell'illegalità: accadeva talvolta che gli sbocchi venissero occupati da persone che accaparravano la poca acqua disponibile per rivenderla, impedendo così agli altri di rifornirsi.
Nei momenti più critici venivano addirittura posate delle tubazioni provvisorie che univano la condotta principale ai vari pozzi situati lungo il tracciato. Un faticosissimo lavoro di pompaggio manuale consentiva di innalzare l'acqua dal fondo dei pozzi fino all'acquedotto, e da qui alle fontane cittadine.
Ultimato nel 1858 l'acquedotto di Aurisina, il Teresiano verrà relegato in una posizione di secondo piano: l'opera, ampliata per l'ultima volta nel periodo 1898-1902, fu abbandonata pochi anni dopo per sopravvenuto inquinamento. Rimesso frettolosamente in efficienza durante il primo conflitto mondiale, cadde in disuso a guerra finita.


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