LA POLENTA
 

 

Nella civiltà contadina del 1800 la polenta fu un alimento molto importante, il cibo che salvò dalla fame la popolazione. Ancora oggi è un piatto tipico di molte regioni dell’Italia settentrionale.

Un tempo, nella pianura tra Novi e Tortona, il mais era coltivato più del frumento e delle leguminose. A fine estate i contadini andavano a raccogliere le pannocchie. La meliga della Frascheta, qualità Marano, era, secondo molti contadini, "la migliore del mondo".

Il trasporto del granoturco avveniva sui carri matti che facevano la spola dai campi ai cortili delle cascine. A sera i contadini scartocciavano i "canöuni" cantando. Le pannocchie rimanevano esposte al sole per qualche giorno quindi erano pronte per la sgranatura eseguita con una macchina a manovella. I contadini, nel frattempo, avevano preparato l’aia spianando un riquadro di terreno su cui venivano messi ad essiccare i granelli.

I contadini portavano il loro raccolto al mulino di Manuele sullo Scrivia e pretendevano di svuotarlo personalmente nella tramoggia per timore che il frutto del loro lavoro venisse confuso con quello di altri ritenuto meno pregiato.

La farina macinata era a grana non troppo fine. La polenta veniva cotta nella paiuolo appeso alla catena del camino. Quando l’acqua bolliva, veniva versata la farina e mescolata con un lungo mestolo di legno. Per evitare la formazione di grumi, si doveva mescolare lentamente e in senso orario. Dopo circa un’ora la polenta era pronta. Le fette venivano tagliate con un filo robusto. Si accompagnava i ciccioli di maiale, con spezzatino di cotiche e patate, con verdure o salsicce. La polenta avanzata veniva arrostita e consumata a colazione il giorno seguente. Era un cibo rustico, povero e saziava anche se dopo poche ore lo stomaco avvertiva un senso di vuoto. Un detto popolare suonava così:

" Pulentassa, cme c-a tröva a lassa".

Il mondo contadino seppe e dovette per necessità sfruttare completamente il grano turco: gli stocchi freschi si davano come foraggio ai bovini; secchi erano usati per costruire i capanni sui gelsi a guardia delle vigne; erano utilizzati per recintare gli orti e le latrine.

Gli stoppini rimasti nei campi erano usati come fertilizzanti. I ciuffetti erano bolliti in acqua e fornivano decotti depurativi. Le foglie più sane erano essiccate ed usate per riempire i pagliericci, per "liscare" e per rivestire i fiaschi. Con la farina si preparava anche il dolce dei poveri pan d’or.

Purtroppo il consumo giornaliero e quasi esclusivo di polenta da parte dei ceti più poveri provocò gravi danni alla salute. Come attesta il giornale locale "La società" del 1°agosto 1880, parecchi contadini soffrivano di pellagra, malattia che conduce alla morte.

Innocente Salvini, "La spartizione della polenta in famiglia"

 

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