A tanti anni di distanza dalla sua invenzione registriamo oggi, in tutto il mondo, il successo continuo, crescente di un alimento non nuovo qual è la pasta. In un grande paese avanzato come gli Stati Uniti la pasta è diventata popolare come la pizza. In tutti i paesi europei i consumi sono in crescita, ma lo sono anche in Giappone e nei paesi dell’Est, recentemente liberati da vincoli autarchici. Perché oggi, nell’era delle tecnologie più avanzate, un cibo "povero"- o meglio semplice- come la pasta ha successo? La semplicità della pasta è la stessa di quella della pizza, del pane. Si tratta di prodotti che l’abilità dell’uomo nei secoli, se non nei millenni, ha saputo trarre dai cereali, particolarmente dal grano, usando come condimento i legumi, le verdure, l’olio d’oliva ,le carni, i formaggi, secondo le risorse agricole del luogo. Si parla di civiltà del grano, ma pur rinunciando ad analisi da storici, si può dire che questi prodotti sono espressione della cultura di popoli e quindi non effimeri. La dimostrazione di ciò è che le tante forme di pasta - almeno 300 in Italia – e le tante ricette si scoprono scavando nella gastronomia regionale del nostro paese. E’ la ricchezza della nostra cucina, che ha consistenza vera su base regionale. Ma il fatto straordinario è che a partire dalla fine degli anni ’70 quella semplicità di piatto povero tradizionale ha ricevuto dalla scienza nuova dignità con la scoperta della "dieta mediterranea". La pasta non più piatto per "sfamare", ma perno di un modello di alimentazione sana da imitare. E’ sintomatico che questo viatico sia venuto dalla scienza medica di un paese come gli Stati Uniti, all’avanguardia nelle tecnologie innovative degli alimenti. Se la scienza ha restituito autorevolezza a un piatto che poteva soccombere alle mode, la scienza non basta a spiegarne il successo crescente, può al più rallentarne il declino: ma la pasta è un prodotto moderno, e questa è la radice del suo affermarsi anche là dove la tradizione non l’aiuta. Il requisito della bontà gastronomica però resterà sempre basilare per un prodotto alimentare. Nel caso poi della pasta non esiste il rischio della noia, della ripetizione. La combinazione delle tante forme con gli innumerevoli condimenti assicura una varietà estrema di risultati. Questo è anche festoso e divertente per chi ha curiosità, creatività e gusto per cimentarsi in nuovi piatti. Moderno vuol dire anche pratico: per portare in tavola un piatto di pasta con sugo semplice bastano 15 minuti. Sul fronte della praticità bisogna ricordare un altro fatto: il primo piatto di pasta, condito con legumi, con formaggio o con carni, con verdure, può diventare un ottimo piatto unico, nutrizionalmente equilibrato, il che in futuro acquisterà sempre più rilevanza. Infine, un altro elemento che gioca a favore della pasta è la sua economicità. Non v’è dubbio che oggi è questa la forma meno costosa di utilizzazione alimentare del grano. Il merito è dell’industria che ha saputo combinare la tecnologia e la produzione di serie con le ragioni della qualità. Le paste secche Fra i tipi di pasta la parte del leone la fa certamente la pasta secca. Un tempo il nome generico era "maccaroni". Ancora oggi, in molte regioni del sud, questo termine viene usato per indicare qualsiasi formato di pasta secca .In altre zone è riferito solo a un tipo di pasta corta e grossa di produzione industriale. Comunque sia, questo prodotto, considerato un po’ il simbolo del nostro paese è ormai diffuso in tutto il mondo, una volta veniva impastato a mano, con speciali torchi che servivano per dare al prodotto la forma voluta. Dopo la lavorazione i "maccaroni" venivano fatti asciugare all’aria aperta ed essiccati su corde tese nei cortili o sui balconi. Si trattava, ovviamente, di una lavorazione esclusivamente artigianale o addirittura casalinga. Solo agli inizi dell’Ottocento vennero inventate le prime macchine semiautomatiche per la lavorazione della pasta. E fu Napoli la città che, per prima, diede l’avvio a una produzione semindustriale. Nei decenni successivi, con il perfezionarsi dei macchinari e con l’avvento di impianti per l’essiccazione artificiale, sorsero in Italia molti pastifici, ognuno dei quali specializzato in prodotti tipici. Infine, nel 1933, cominciò l’era rivoluzionaria. La nascita di una macchina a ciclo completo, perfettamente automatizzata, segnò l’inizio della produzione industriale e da allora la pasta italiana intraprese il suo cammino trionfale in tutto il mondo. Le paste fresche Con il nome "paste fresche" si indicano le paste "fatte in casa " ottenute amalgamando uova e farina di tipo 0 e 00 oppure semplicemente farina e acqua: raramente si impiega la semola, perché il suo utilizzo richiede una manipolazione lunga e faticosa. In alcune ricette, soprattutto regionali, la farina bianca viene sostituita da quella integrale o di altri cereali. Non di rado, poi, nella preparazione di determinati tipi di pasta vengono fatte aggiunte di grassi, verdure, formaggi ecc. La lavorazione della pasta fresca è piuttosto impegnativa, soprattutto fino a che non si acquista la necessaria esperienza: è determinante, infatti, dopo una lunga e accurata lavorazione dell’impasto –che dovrà risultare sodo ed elastico- riuscire a stendere la sfoglia in uno spessore uniforme su tutta la sua superficie. Per tale motivo è consigliabile, per chi è agli inizi, stendere piccole porzioni alla volta piuttosto che un’unica e grande sfoglia. L’attrezzo più usuale è il mattarello, con il quale la pasta viene spianata, tirata e poi distesa in sfoglie sottili. A tale scopo, però esistono anche apposite macchine manuali o elettriche, dotate di rulli a manovella nei quali la pasta viene passata e ripassata fino a ottenere lo spessore voluto. Ci sono poi le moderne impastatrici elettriche che fanno tutto da sole: amalgamano, lavorano e tagliano la pasta nel formato voluto. Con questo sistema, però, la pasta perde la caratteristica rugosità di quella fatta a mano, rugosità importante ai fini della migliore aderenza dei condimenti. Come riconoscere una buona pasta Una pasta di buona qualità dovrebbe possedere le seguenti caratteristiche: Cruda
Cotta
La storia della pasta La storia della pasta ha inizio circa 7000 anni fa. L'uomo iniziò ad abbandonare la vita nomade e diventò agricoltore, imparò a seminare e a raccogliere. E' in quel tempo che la storia dell'uomo si sposa e si incrocia con quella del grano e con il grano ha inizio la storia della pasta. Di raccolto in raccolto, di generazione in generazione, l'uomo ha imparato a lavorare sempre meglio il grano macinandolo, impastandolo con acqua, spianandolo in impasti sottili cuocendolo su pietra rovente. Molti secoli prima della nascita di Gesù, i Greci e gli Etruschi erano già abituati a produrre e a consumare i primi tipi di pasta. La prima indicazione dell'esistenza di qualcosa di simile alla pasta risale al primo millennio a.C., alla civiltà greca. La parola greca laganon era usata per indicare un foglio grande e piatto di pasta tagliato a strisce. Da laganon deriva il laganum latino, che cicerone cita nei suoi scritti. Lagane e sfoglie di pasta conquistarono l'impero e, come spesso accade, ogni popolo adattò le novità alle proprie esperienze.
Le prime due date certe nella storia della pasta in Italia sono: 1154, quando in una sorta di guida turistica ante litteram il geografo arabo Al-Idrin menziona "un cibo di farina in forma di fili", chiamato triyah (dall'arabo itrija, che sopravvive nella lingua moderna e deriva dalla radice tari = umido, fresco), che si confezionava a Palermo e si esportava in botti in tutta la penisola (in Sicilia oggi si trovano ancora la tria bastarda e i vermiceddi di tria; nel Salento la massa e tria e i ciceri e tria; nell'area barese c'è la tridde, diminutivo di tria); e 1279, quando il notaio genovese Ugolino Scarpa redige l'inventario degli oggetti lasciati da un marinaio defunto, tra i quali figura anche una "bariscela plena de macaronis". Sappiamo che Marco Polo tornò dalla Cina nel 1295: viene così sfatata la leggenda che sia stato lui ad introdurre la pasta (quella conosciuta in Cina, peraltro poco aveva a che vedere con quella di grano duro tipica del nostro paese) in Italia. Furono gli Arabi del deserto ad essiccare per primi le paste per destinarle a una lunga conservazione, poiché nelle loro peregrinazioni non avevano sufficiente acqua per confezionare ogni giorno la pasta fresca. Nacquero così dei cilindretti di pasta forati in mezzo per permettere una rapida essiccazione. Quando? Il più antico documento è costituito dal libro di cucina di 'Ibn 'al Mibrad (IX sec), dove appare un piatto comunissimo tra le tribù beduine e berbere, ancor oggi conosciuto in Siria e in Libano: si tratta della rista, cioè maccheroni essiccati conditi in vario modo, ma soprattutto con lenticchie. Bartolomeo Sacchi, detto Platina, storiografo e prefetto della Biblioteca Vaticana, scrisse nel 1474 un ricettario noto col titolo abbreviato De Honesta Voluptate, in cui si accenna all'essiccazione per conservare la pasta: "Desicata al sole tale vivanda durara per duo et etiam tre anni. Maxime se dil mese d'agosto sara ipastata. Se cum luna crescente ipastati." In tempi di magro, Platina consiglia di servire i vermicelli "cum zucharo". Il clima secco e ventilato della Liguria, della Sicilia e della Campania (in particolare a Torre Annunziata e a Gragnano) favorirono la produzione della pasta,
che per secoli venne lasciata essiccare tramite semplice esposizione all'aria. Successivamente, il norditalia dove il clima era meno propizio inventò la giostra, cioè un marchingegno di legno formato da un asse centrale verticale per sostenere i telai con le paste corte o in matassa o le canne con la pasta lunga. La giostra si trovava in un locale riscaldato e girava utilizzando forza motrice idrica o animale. Il mitico "sposo" della pasta, il pomodoro, arrivò in Italia dal Perù nel 1554,
ma la coltivazione su larga scala ebbe inizio solo nel XVII secolo. La pasta col pomodoro nasce quindi "appena" quattro secoli fa. Nel '500 i maestri di paste alimentari, trapiantati ormai in tutt'Italia, cominciano a fare quello che i mugnai o fornai avevano già fatto da secoli: si riuniscono in sodalizi di mestiere. Troviamo corporazioni di pastai a Roma, Napoli, Palermo, Milano, Savona. Nelle città dove tale arte era meno fiorente, i pastai si immatricolavano insieme con i fornai. A Roma regna un'atmosfera "protezionista". Per chi vende pasta senza essere un fornaio sono previste forti multe e pene corporali: sino a 25 scudisciate, tratti di corda, prigione e berlina. Nel XVII secolo erano talmente tante le botteghe dei vermicellai, che Urbano VIII, nel tentativo di regolare il commercio della pasta, in una bolla papale del 1641 impose una distanza minima di 24 metri tra un negozio e l'altro. Fino alla seconda metà del XVIII secolo l'impasto della semola con l'acqua veniva effettuato con i piedi. Questo metodo fu felicemente utilizzato fino a quando Ferdinando II, re delle Due Sicilie dal 1830 al 1859, incaricò lo scienziato Cesare Spadaccini di inventare un processo meccanico. I primi torchi idraulici comparvero intorno al 1870. Il processo di meccanizzazione fu graduale. Verso la fine del secolo scorso il processo di fabbricazione della pasta fu più o meno meccanizzato, con macchine mosse dal vapore o dall'energia idraulica. La prima macchina in grado di eseguire tutte le parti del processo produttivo fu brevettata nel 1933. Sebbene il processo di fabbricazione sia enormemente mutato attraverso gli anni, il prodotto è rimasto sempre la stessa semplice miscela di semola di grano duro e acqua. Mentre la pasta fresca viene preparata anche con farina di grano tenero, per la pasta secca in Italia si utilizza esclusivamente semola di grano duro. Grano duro e grano tenero sono due varietà del cereale più diffuso nel mondo: il frumento. In Italia si coltivano entrambi: il primo è più diffuso nelle regioni meridionali ed in particolare in Puglia, il secondo ha una migliore produttività in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. La differenza tra semola di grano duro e farina di grano tenero é importantissima. Anche la legge italiana la rileva, stabilendo che per produrre pasta secca si può usare soltanto semola di grano duro. Questo perché la semola di grano duro contiene quel glutine tenace che permette alla pasta secca di tenere la cottura e di restare al dente. Nei primi anni '30, la follia di rinnovamento futurista fece tremare l'Italia: Marinetti sparò un colpo di rivoltella contro un vassoio di spaghetti, facendone uno scempio, essendo convinto che, per il benessere del paese, fosse necessaria "l'abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana". Salvo poi farsi riprendere alle prese con un piatto di spaghetti in una foto storica del '36, dedicata ai camerati baresi. Stanco di aver ingaggiato un'assurda battaglia contro la pastasciutta, il poeta si riconcilia con essa a Polignano a Mare. |