Sulla manipolazione dell’antroposofia

 

Fantasia morale o gebärde di Fichte?

 

La mancata indagine di Johann Gottlieb Fichte (1762-1814) in merito al chiarimento del concetto di conoscenza che l’io umano ha da realizzare per proseguire la propria azione, e la conseguente dichiarazione fichtiana che tale indagine si troverebbe “al di là dei limiti della teoria” (R. Steiner, “Verità e scienza”, cap. 6° §29) e precisamente “nella parte pratica della dottrina della conoscenza” (ibid. §30), è per Rudolf Steiner (1861-1925) la distruzione del conoscere “perché l’attività pratica dell’io appartiene a tutt’altro campo” (ibid. §31).

Per Steiner non esiste alcuna altra via (ibid., cap. 4°, §73) oltre a quella che riconosce che nell’ambito del dato di percezione c’è qualcosa in cui l’attività dell’io non sta sospesa nel vuoto (ibid., cap. 4°, §70): qualcosa in cui il contenuto stesso del mondo entra nella nostra attività umana.

Da questo punto di vista, Steiner conferma qui il famoso detto di Johann Wolfgang Goethe (1749-1832): non i sensi ci ingannano, ma è il nostro giudizio su di essi che forma l’inganno. La percezione dunque non è un inganno da superare come sostengono i superficiali. Il vero inganno è invece considerare il dato di percezione, o l’oggetto di percezione, o la percezione sensibile stessa, un inganno! (R. Archiati, “La percezione un inganno da superare”). Ed è appunto a questo inganno che conduce il moralismo (cfr. le affermazioni di Friedrich Harms, 1819-1880 in “Verità e scienza”, op. cit., cap. 6°, §37) o il paternalismo di coloro che d’abitudine assolutizzano fichtianamente la libertà come ogni altro concetto per le loro convinzioni… assolute.

Ciò che invece conta di più per il fondamento di tutte le scienze è la caratteristica conoscitiva dell’io, più di quella dell’io libero: “[…] per il fondamento filosofico di tutte le scienze, quello che importa non è la caratteristica dell’io “libero” bensì quella dell’io “conoscente” (ibid., cap. 6°, §35-36).

Se Fichte assolutizza l’io, Steiner riconosce che anche l’io, quando non è inserito dal pensare nella totalità sistematica dell’immagine del mondo, non è altro che un dato non ancora mediato.

 

Inoltre per Steiner il semplice mostrare l’azione dell’io non basta (cfr. ibid. §39).

 

L’opinione di Fichte è invece che per l’io basti la semplice ricerca: “Dobbiamo ricercare il principio fondamentale assolutamente primo e incondizionato di ogni sapere umano. Questo, nella misura in cui dev’essere il principio assolutamente primo, non lo si può dimostrare né determinare” (ibid. §40).

Purtroppo questa errata convinzione di Fichte che assolutizza l’io come “principio fondamentale assolutamente primo e incondizionato di ogni sapere umano” (ibid. §40) condiziona anche oggi la mente dei predicatori di professione che presentano Steiner - fra l’altro non come lo scopritore ma - come l’inventore della triarticolazione sociale, e come se questa fosse espressione del comunismo giuridico-proibizionista di Fichte (Cfr. "Il comunismo giuridico del Fichte" di Giorgio Del Vecchio). Mi riferisco a Pietro Archiati, le cui affermazioni assolutizzanti di stampo fichtiano non lasciano dubbi: “L’io è un’identità che ha un carattere così assoluto che non si può mai minimamente mettere in discussione” (P. Archiati, “Cristianesimo e reincarnazione”, p. 23); “tramite la forza dell’io l’essere umano diventa capace di assoluta universalità (ibid. p. 34); “[…] si tratta, in fondo, di costruire questa fiducia assoluta nell’Io umano, con la convinzione che ogni essere umano è un Io: lo è, non è che lo deve diventare” (P. Archiati, “I dodici sensi” parte 1ª, p. 19); “Riscatto [morale dell’essere umano] può essere solo una redenzione del pensiero dalla passività alla attività, dalla non sostanzialità alla riconquista della realtà assoluta di ciò che è spirituale” (P. Archiati, “Libertà e cristianesimo. Fondamenti cristologici dell’esperienza della libertà”, p. 25).

 

L’assolutizzazione fichtiana dei concetti porta poi questo autore ad affermare tesi allucinanti: “le allucinazioni sono realtà” (P. Archiati, “Cammini dell’anima. La realtà dello spirito nel mondo d’oggi”. p. 71) o a rivalutare antichi errori di Kant come se essi non fossero errori: “Chi conosce la Critica della ragion pura di Kant, ricorderà che una delle tante cose esposte in questo tomo sono le «antinomie della ragione». Nelle edizioni tedesche le troviamo pagina a fronte: a sinistra viene dimostrata una cosa in modo apodittico, assoluto (l’eternità del mondo, per esempio) e a destra viene altrettanto assolutamente dimostrato il contrario (la caducità del mondo). Dimostrare una cosa significa mostrare che dal punto di vista che sto facendo mio essa è giustificata. Ma ci sarà mai un punto d’osservazione ingiustificato? No che non c’è! Se io assumo un punto di vista, vuol dire che c’è” (ibid. p. 89); “Se gli umanisti vogliono vedere già l’essere umano completo nell’embrione di otto cellule, allora dovranno parlare di spirito, non solo della sua materia. Ciò comporta però che lo spirito venga riconosciuto e trattato come una realtà assoluta (P. Archiati, “Nati per diventare liberi”, p. 36); “Lo spirito non conosce spaccature, non ammette un dentro e un fuori. È assoluto come la luce” (P. Archiati, “Equilibrio interiore. L’arte di mediare tra gli estremi”, p. 72); “Il concetto di spirito è sempre stato [...] di causazione primigenia, di creatività assoluta (ibid. 81).

Vi è tuttavia un punto in cui questo autore è costretto dal proprio unilaterale assolutismo a stravolgere completamente il senso delle affermazioni contenute nel libro “La filosofia della libertà” di Steiner: in “Libertà senza frontiere”, egli vorrebbe “precisare, o rettificare, il concetto stesso di percezione, chiamando «percezione» ogni altra cosa, fuorché il pensare” (P. Archiati, “Libertà senza frontiere. “p. 102). In tal modo, egli deforma però completamente quanto Steiner scrive. In quel punto della sua esposizione, Steiner intende con la parola “percezione” l’OGGETTO DI PERCEZIONE e scrive: «Chiamerò percezioni gli oggetti immediati di sensazione […] quali sono conosciuti dal soggetto conoscente mediante osservazione. Non il processo dell’osservazione, ma l’oggetto di tale osservazione intendo designare con questo termine […]» (R. Steiner, “La filosofia della libertà”, cap. 4°, §13). Più avanti afferma: «E il modo in cui veniamo a conoscenza del nostro pensare mediante osservazione, è tale che possiamo chiamare percezione anche il pensare nel suo iniziale presentarsi alla nostra coscienza» (ibid. §14).

Il manipolatore (Pietro Archiati) spiega questo passo sostituendo la parola “pensare” con “pensiero pensato”: “Tutto ciò che non sia l’attività stessa del pensare viene offerto ad essa come oggetto di percezione. In questo non fa eccezione il pensiero pensato stesso, e con esso ogni altro oggetto di percezione introspettiva” (P. Archiati, “Libertà senza frontiere. La filosofia della libertà di Rudolf Steiner”, p. 102ss).

Ma in questo passo de “La filosofia della libertà” Steiner   N O N   parla di “pensiero pensato”, bensì del   p e n s a r e.

Ne risulta una vera e propria mistificazione: ciò che per Steiner è possibilità di percezione del “pensare” nel suo darsi immediato, per Archiati è possibilità di percezione del “pensato”. Ma riducendo il pensare al pensato cosa si fa? Si confina l’intera attività pensante al mero pensare intellettuale, o cerebrale. Domanda: il pensare umano è davvero riconducibile al solo pensare intellettuale, mentale, cerebrale? Io non credo. Steiner ha più volte spiegato che il pensare umano esiste per il principio di Archimede, cioè per la spinta del cervello verso l’alto grazie al liquido cefalo rachidiano nel nostro cranio. Ciò significa che per osservare il nostro pensare ed averne una percezione organica dobbiamo osservare integralmente noi stessi in quanto corpi fisici, animati da movimenti e dal sempre verde ed immediato pensare prima del suo darsi come concetto! Arriviamo allora per tale via - e solo per essa - al vero accorgerci di noi stessi che Scaligero chiamava “animadversio”, che è - ripeto - l’avvertire integralmente noi stessi nel darsi immediato del pensare prima che esso diventi rappresentazione e poi concetto.

Qui sta pertanto l’elemento predialettico che i manipolatori de “La filosofia della libertà” di Steiner dimostrano di non avere compreso, e che pretendono insegnare ugualmente come se lo avessero compreso.

L’osservazione del pensare, se vuole essere vera osservazione, non è mera osservazione del “cosa”, bensì anche e soprattutto del “come” si pensa.

Quando Steiner per esempio parla del pensare umano iniziando il suo ciclo di conferenze sui capisaldi dell’economia - osservando dunque il pensare in relazione ad un ambito pratico dell’organismo sociale - non fa di certo riferimento al mero pensiero intellettuale: «[…] Il cervello umano, preso per sé, pesa all’incirca 1400 grammi. Se questi 1400 grammi gravassero sulle arterie che stanno alla base cranica, le schiaccerebbero completamente. Non si vivrebbe un istante se il cervello umano fosse fatto in modo da gravare con tutti i suoi 1400 grammi! È davvero una fortuna per gli uomini che esista il principio di Archimede, secondo il quale, nell’acqua, ogni corpo perde tanto del suo peso quanto è il peso del liquido che esso sposta. Il cervello galleggia nel liquido cefalico e perde così 1380 grammi, poiché tale è il peso della massa liquida che corrisponde al volume del cervello umano. Il cervello preme con soli 20 grammi sulla base cranica, e questa pressione è sopportabile. Ma se ci domandiamo: a che serve tutto ciò? dobbiamo rispondere: con un cervello che fosse soltanto massa ponderabile noi non potremmo pensare. Noi non pensiamo con ciò che è sostanza pesante, ma pensiamo con la spinta ascensionale. La sostanza deve prima perdere il proprio peso, e solo allora possiamo pensare. Noi pensiamo con ciò che vola via dalla terra. Siamo però coscienti in tutto il nostro corpo. E da che cosa siamo resi coscienti in tutto il corpo? Nel nostro corpo esistono 25 bilioni di globuli rossi, i quali sono abbastanza piccoli, ma anche pesanti, perché contengono ferro. Ognuno di questi 25 bilioni di globuli rossi galleggia nel siero del sangue, perdendo del suo peso tanto quanto sposta di liquido, così che anche in ogni singolo globulo rosso viene generata una spinta ascensionale; e proprio 25 bilioni di volte. Nel nostro corpo intero siamo dunque coscienti grazie a ciò che spinge verso l’alto. Possiamo così dire che quando ingeriamo alimenti, questi devono anzitutto venire alleggeriti, trasformati, perché possano servirci. Tale è l’esigenza dell’organismo. Ora, questa capacità di pensare a questo modo, e di regolarsi in conformità ad esso, l’essere umano l’ha perduta […]» (R. Steiner, “I capisaldi dell’economia”, cap. 1°, §16).

 

Come stanno le cose per i manipolatori? Credendo di poter comprendere Steiner col solo sostituire la parola “io” di Fichte con la parola “pensare”, si convincono che: “Ciò che Fichte dice dell’Io va allora detto del pensare” (“Libertà senza frontiere...”, op. cit, p. 74). Con questo superficiale trasformismo dialettico che scambia le parole, cosa si può ottenere? Si ottiene solo di assolutizzare il pensare. Infatti manipolando si arriva, da un lato, alla “natura assoluta del pensare” (ibid., p. 115) che in Fichte era la natura assoluta dell’io e, dall’altro, all’inganno della percezione (P. Archiati, “La percezione un inganno da superare”).

Ma per Steiner la percezione non è per nulla un inganno, dato che compone la realtà ASSIEME al pensare, oltretutto mai assolutizzato!

Invece per chi manipola urge la stampella della kantiana “cosa in sé”, secondo cui “la percezione non può essere qualcosa in sé, ma può essere qualcosa solo fuori e oltre se stessa, cioè appunto per il pensare” (P. Archiati, “Libertà senza frontiere”, p. 117).

Chi giudica così non ha mai compreso chiaramente che cosa sia la percezione senza il concetto. Tale giudizio può pertanto valere solo per il pensare dialettico, cioè intendendo il pensare assolutamente connesso con la volontà di formulare rappresentazioni e concetti.


Chi però sa osservare il pensare ha come contenuto di osservazione che esso non è solo quello assolutamente dialettico, bensì anche quello predialettico, che la filosofia di Steiner insegna a percepire “nel suo iniziale presentarsi alla nostra coscienza” (R. Steiner, “La filosofia della libertà”, cap. 4°, §14), cioè quando non ha ancora iniziato la sua opera di mediatore dell’«aggregato sconnesso di oggetti di sensazione» (ibid., cap. 4°, §11).

Le osservazioni di Steiner non poggiano dunque su mere deduzioni come in Fichte: per Steiner il dimostrare ed il determinare sono, anzi, rispetto ai contenuti della mera astrazione logica, proprio fuori luogo.

La logica di Steiner - e questo ripeteva in varie occasioni - è una logica di realtà, e proprio perché l’io appartiene alla realtà, è necessario determinare le varie categorie di pensiero nel dato di percezione: “Fichte non lo ha fatto; e qui è la causa per la quale egli ha dato alla sua dottrina della scienza una forma così manchevole” (“Verità e scienza”, op. cit., cap. 6°, §41-42).

Ciò che purtroppo sta accadendo oggi nella cosiddetta società antroposofica non è altro che un decadimento del pensiero in questa manchevole forma fichtiana, cioè scema, in quanto da essa è scemata, in nome di un idealismo assoluto che non ha né capo né coda, la percezione, vissuta come inganno, maya, illusione, ecc.

Purtroppo in questo buco nero del pensiero stanno oggi cadendo tutti coloro che imparano la filosofia di Steiner attraverso l’intendimento della percezione come inganno (R. Archiati, “La percezione un inganno da superare”).

Quindi si prospetta un futuro poco rassicurante, in cui essere antroposofi o studiosi di Steiner potrebbe essere equiparato all’essere idioti, oppure un futuro in cui l’antroposofia sarà sinonimo di scemenza, esaltazione di sé, ipertrofia dell’io, imbecillità, ecc.

E ciò avverrà, anzi sta già avvenendo, grazie agli invasati che propagano le scemate di “Libera Conoscenza” (sic!) accogliendo in sé le esaltate “vertigini” di Pietro Archiati, manipolatore di Steiner, e primo indossatore della “gebärde” libresca di Fichte.

Incredibilmente per un uomo del terzo millennio, Archiati si atteggia e si comporta veramente come questo sedicente sacerdote della verità insegna nel suo libro dall’assurdo titolo “Rendiconto chiaro come il sole. Al grande pubblico sull'essenza propria della filosofia più recente. Un tentativo di costringere i lettori a capire”, in cui Fichte insegna per filo e per segno perfino l’uso del suo ideologico intercalare col paternalistico "aufpaßt" (“sta attento”, “stai attento”) per confutare le obiezioni di un ipotetico lettore!

Come Fichte fu paragonabile a qualcuno a cui si offrono le melodie più meravigliose, e che nemmeno le sente perché non ha alcun senso della melodia (cfr. “Verità e scienza”, op. cit., cap. 6°, §107) allo stesso modo gli assolutizzatori di concetti come Archiati ed i suoi sostenitori di “Libera Conoscenza” sono l’esempio esatto dell’uomo dialettico odierno, che non avendo alcun senso della percezione in quanto la credono “un inganno da superare” (R. Archiati, “La percezione un inganno da superare”) parlano e straparlano di individualismo etico in modo meramente libresco, assumendo oltretutto “gebärde” altrui, che è proprio il comportamento opposto a quello che l’individualismo etico dovrebbe liberare in loro per mezzo di immaginativa morale individuale.

 

Una simile aberrazione sarebbe un po’ come se Gesù di Nazaret prima di agire, o di parlare, sbirciasse sui vangeli per trovarvi l’epicheia da predicare!


Insomma si può rigirare la frittata (o la percezione) come si vuole fino a pensarla come un inganno o come un nulla, un’illusione, ecc., ma non potremo mai ottenere dal mero pensare un solo oggetto di percezione se non afferrandolo dalla sfera del dato (cfr. "Verità e scienza, op. cit., cap. 6°, §128), il cui contenuto non è altro che l’oggetto di percezione, prima del suo darsi come concetto (ibid, cap. 4°, §5).

Dunque il vero inganno non è la percezione, bensì l’affermare che essa in quanto contenuto percepibile del dato è un inganno!

Certamente la prima forma che mi si presenta di quell’indeterminato contenuto non è quella vera, dato che quella vera è l’ultima che io ne traggo dopo averla conosciuta; ma non dirò mai che quella prima forma sia un inganno, dato che vale per me come mera base del conoscere: “quella prima forma non ha importanza per il mondo oggettivo, ma solo come base del processo conoscitivo” (ibid, cap. 6°, §133).

Se la dichiarassi un inganno, dichiarerei ingannevole la base stessa di tale processo.

La gnoseologia steineriana fornisce invece la base per un idealismo che comprende se stesso nel vero senso della parola.

L’unilateralità (tanto di Fichte quanto di chi nega realtà alla percezione creduta inganno per conferirla al mero pensare, cioè ad uno solo dei due oggetti del processo conoscitivo) deriva dal fatto che l’indagine, invece di affrontare il processo della conoscenza, si accosta subito ad uno degli oggetti (ibid, cap. 7°, §5) dello stesso.

Dunque chi pretende sapere le cose scavalcando fichtianamente in nome dell’assoluto la dinamica naturale del sapere stesso, cade nell’inganno della “percezione-inganno”, mentre essa NON è un inganno... Essa non è altro che uno dei due aspetti (percezione e concetto) di tale dinamica…

 

La manipolazione (e/o l’assolutizzazione) dell’antroposofia non consentirà MAI di risolvere problemi reali come ad esempio quello dell’usura di Stato, oggi massimamente lacerante l'individuo, perché tali falsità o ipocrisie non potranno che generare e rigenerare sempre a nuovo altre usure di Stato, tutte poggianti sulla medesima contraddizione, poggiante sul DOVERE LEGALIZZATO di essere liberi!

 

Non si può promuovere la liberazione della specie umana attraverso la schiavitù del dover essere liberi... La liberazione della specie non è possibile in quanto non è possibile un individualismo etico della specie. Solo la liberazione dell'individuo è possibile...