Giorgio
Del Vecchio
Il comunismo giuridico
del Fichte
Nota
critica
Estratto dalla "Rivista Italiana di Sociologia",
Anno IX,
Fasc. I, - Gennaio - Febbraio 1905
Roma
presso la "Rivista Italiana di Sociologia"
Via Venti Settembre, 8
Scansano - Tipografia Editrice Degli Olmi
di Carlo Tessitori
1905
- A cura di Nereo Villa -
Prof. Igino Petrone, Lo Stato mercantile chiuso di G. Am. Fichte e la premessa teorica del comunismo giuridico. Memoria letta alla R. Accademia di Scienze Morali e Politiche della Società Reale di Napoli (Napoli, 1904).
Il pensiero
etico-giuridico del Fichte è spesso impropriamente identificato con quello del
maestro di lui Kant; laddove le concezioni dell'uno e dell'altro differiscono
alquanto sin dagli inizi, e più si vengono distinguendo a mano a mano che si
compie l'originale sviluppo della mente del Fichte. Una delle opere di lui più
caratteristiche ed importanti, anche per chi voglia studiare tale sviluppo, è
quella pubblicata nel 1800 col titolo: Der geschlossene Handelsstaat, ossia
Lo Stato economico chiuso. Il primitivo concetto dello Stato giuridico, come
semplice istituto di tutela dei diritti individuali, è qui definitivamente
abbandonato, per far luogo invece all'idea di uno Stato regolatore dell'attività
economica ed organo del benessere, oltreché della sicurezza sociale. Con ciò,
per vero, il Fichte non faceva che proseguire certi argomenti del suo Naturrecht,
specialmente della seconda parte (1797); ove già l'effettiva garanzia della
vita, oltreché del diritto, è segnalata come fine della società politica, e dal
fondamentale patto dì proprietà si deduce - benché non senza sforzo - la
conseguenza che ognuno deve poter vivere col suo lavoro (Jeder musa von
seiner Arbeit leben hónnen); onde l'ardita tesi che chi non può vivere col suo
lavoro non è tenuto a rispettare la proprietà altrui (§ 18) (il grassetto
è mio - ndc). Ivi è preannunziato
il concetto che l'organizzazione del lavoro dev'essere affidata allo Stato.
Ma nel Geschl. Handelsstaat la correlazione tra il vincolo giuridico e quello
economico è maggiormente spiegata, e costruita nel modo più rigido e
sistematico: sin dal principio si stabilisce che la comunanza politica deve
costituire un limite imprescindibile anche in rapporto ai traffici ed alle
industrie: lo Stato deve formare un'unità non solo giuridicamente, ma anche
economicamente chiusa. Da ciò scaturisce il divieto a tutti i cittadini di ogni
commercio coll'esteriore, e, per altro lato, una serie di obblighi e di
ingerenze da parte dello Stato. Esso deve bastare a se stesso, e provvedere alla
soddisfazione di tutti i bisogni dei suoi componenti. Si instaura pertanto un
regime comunista e proibizionista: lo Stato si trasmuta in un'enorme azienda,
della quale il Fichte traccia minutamente il disegno.
Der geschlonene Handelsstaat costituisce perciò un vero trattato di comunismo
giuridico, ossia (in lato senso) di socialismo di Stato; ed è anzi una delle
opere più notevoli e tipiche di questa specie. Per molte parti essa rammenta il
grande modello Platonico, quella sublime Repubblica stata tante volte
fraintesa da Aristotele in poi. Un parallelo tra le due opere sarebbe attraentissimo, ma noi certo non possiamo qui indugiarci a tracciarlo. Basti
accennare che 1'ideale Platonico si distingue da quello del Fichte
essenzialmente per ciò, che secondo Platone lo Stato non ha solo l'ufficio della
tutela giuridica ed economica, bensì anche lo scopo della
coltura (leggi "cultura" - ndc),
comprendendo così tutta quanta la vita individuale in ogni sua manifestazione.
Il Fichte si raccostò più tardi a questo concetto, nelle sue ultime opere: nel
Handelsstaat
(che resta tuttavia la sua opera politica più compiuta, com'egli stesso
riconosceva) egli ha aggiunto al fine giuridico solamente il fine economico, e
non ancora quello della coltura. Nei trapassi dall'uno all' altro di questi
fini, ognuno dei quali non esclude già 1'anteriore, ma lo comprende e lo integra
(almeno nel proposito dell'autore), sta tutta l'evoluzione del pensiero politico
fichtiano. Nemmeno possiamo indugiarci a far cenno dei riscontri, assai più
immediati e diretti, che 1'opera del Fichte ha con certe tendenze dottrinari e
pratiche del suo tempo: sopra tutto colle correnti comuniste che s'erano agitate
poc'anzi in seno alla Convenzione.
Che il valore intrinseco e rappresentativo dell'opera del Fichte sia grande,
non occorre ulteriormente spiegare, dopo il poco che ne abbiam detto. Piuttosto
è da stupire che essa sia stata relativamente poco studiata da filosofi e da
giuristi. Il Laveleye, ad esempio, pone il Fichte come primo tra i precursori
del socialismo contemporaneo, ma accenna assai superficialmente alle sue
dottrine; altri ne trascura pur anco il nome, là dove esso dovrebbe avere un
posto eminente. Del Geschl. Handelsstaat in ispecie pochissimi si occuparono,
oltre allo Zeller nel suo bel saggio Fichte als Pliticher (in Histor.
Zeitschr., 4, indi in Vorträge u. Abhandlungen), e al Bluntschli nella sua
Geschichicte
der Neueren Statswissenschaft.
Tanto più opportuna si offre ora al pubblico degli studiosi una eccellente
monografia del Petrone, che, sotto il titolo Lo Stato mercantile chiuso di G.
Am. Fichte e la premessa teorica del comunismo giuridico, contiene una fine
analisi di quello scritto, e del postulato teorico sul quale esso poggia. La
parte espositiva si riferisce sopra tutto al primo libro dell'opera, il quale,
contenendo i principi fondamentali dell'intera dottrina, ha la maggiore
importanza. Ivi, infatti, si disegna sistematicamente 1'idea dello Stato
razionale, cioè di quello che dovrà sostituire per gradi gli Stati realmente
esistenti; l'esame di essi forma poi oggetto del secondo libro, mentre il terzo
ed ultimo insegna i modi onde potrà compiersi il passaggio da questi a quello.
Alla esposizione il Petrone fa seguire immediatamente la critica. Egli vede la
base dell'edificio del Fichte nell'ipotesi di una disponibilità iniziale dei
beni: nell'ipotesi, cioè, di uno stato primitivo della struttura sociale,
indeterminato ed indiviso, in cui intervenga la Giustizia distributrice, con un
atto assolutamente primo ed originario. A questo implicito presupposto il
Petrone risponde opponendo il concetto della continuità del reale. "La storia,
egli dice, non è idealmente divisibile in due zone, nell'una delle quali siavi
stato il vuoto, nell'altra, ex abrupto e per salto mortale, subentri il
pieno. Ogni momento storico ha la sua pienezza ed il suo contenuto. La storia
è serie: ed ogni termine della serie appella al termine che lo precede e questo
a quello che lo precede a sua volta, e così via, in un regresso che si allontana
nelle origini inesplorato ed inesplorabili... La materia sociale non è mai
perfettamente libera ed accessibile al magistero artificiale dello Stato ed alle
costruzioni della ragione, o, almeno, non è, storicamente e praticamente,
discernibile come tale. Il patrimonio così detto sociale non è mai vacante e
scemo di differenziazione e di superiorità preesistenti". "Quando la giustizia
distributiva interviene, già trova un sistema determinato di rapporti, i quali
non sono, quindi, determinabili da essa stessa senza lesione del giusto. I
rapporti sociali sono già differenziati per una data distribuzione o da
direzione: essi sono già disposti e predisposti in una data guisa". Il diritto
dunque non è creativo, ma moderatore ed inibitivo; in altri termini, esso deve
tener conto delle superiorità e delle ineguaglianze preesistenti, e non può
prescindere da quella serie di rapporti di possesso e di dominio, coordinazione
e di soggezione, che trova già precostituiti; e che ad esso appartiene soltanto
di moderare e disciplinare. Ciò non significa imporre alla filosofia giuridica
un atteggiamento di adorazione o di acquiescenza approbativa di fronte alla
realtà storica; ma solo affermare un limite necessario del nostra conoscenza, un
limite che esclude inesorabilmente dalla storia d mondo gl'idoli del sentimento
e della ragione.
Questo, in breve, è il concetto fondamentale della critica del Petroni che
manifestamente è tale da scalzar dalla base la costruzione del Fichte, non
quella soltanto, poiché la radicale confutazione può applicarsi ugualmente a
qualunque altro sistema congenere. Al Geschl. Handelsstaat resterebbe dunque
solo il valore di una grandiosa "esperimentazione" logica, in quanto che la
vastità del concepimento e il rigore con cui è formulato permettono di
assumerlo come tipo di tutta una corrente d'idee. La caducità dell'edificio del
Fichte, nota infatti, concludendo, il Petrone, "è riscattata da codesta
esemplarità luminosa del suo ideale. La disfatta dello Stato
mercantile chiuso s'ingigantisce, così, di valore e di significazione tragica. E si
ritraduce nella universale disfatta dell'ideologia dogmatica, nella crisi
irreparabile della ragione".
Qualche osservazione ci sia concessa su questo punto. La legittimità di un
disegno ideale della giustizia, ossia di una costruzione puramente speculativa
dell'ordine sociale e giuridico, non è certamente pregiudicata dalla legge della
"condizionalità" storica di ogni fatto. Questa legge implica solo la necessità
che nessun mutamento si produca "ex abrupto", senza una previa e adeguata azione
dei coefficienti che debbono determinarlo e precederlo nella serie; implica,
ancora, la solidarietà e la correlazione inscindibile di tutte quante le
formazioni sociali. L'opposizione tra il postulato del razionalismo politico e
quello dell'induzione storica comincia però solo allora che un disegno
d'innovazione si concepisca e si annunzi come attuabile indipendentemente dalle
condizioni date; e prescindendo da esse. Allora il razionalismo degenera in
utopia; ed è giustificato contro di questa il richiamo alla realtà, e alla sua
legge di continuità e di concatenazione. Ma già la tripartizione (che
ovviamente non ha nulla a che fare con la tripartizione sociale di Rudolf
Steiner - ndc) sopra accennata
del Geschl. Handelsstaat dimostra che il Fichte era immune da questo errore,
ed aveva lucida la visione della non immediata "attuabilità" del suo ideale
speculativo. Il Vernunftstaat non è presentato dal Fichte come tale che debba
sostituire senz'altro lo Stato esistente: questo deve piuttosto avvicinarsi ad
esso gradualmente (Er [der wirkliche Staat] kann nicht mehr thun, als sich dem
Vernunftstaate allmählich annähern. Der wirkliche Staat lässt sich sonach
vorstellen, als begriffen in der almählichen Stiftung der Vernunftstaates.
Einl.).
E tutto il terzo libro dell'opera è destinato, come dicemmo, a tracciare le vie
per cui praticamente si potrà compiere cotesto lento e graduale passaggio. Lo
Stato economico chiuso è dunque per il Fichte un ideale, che corrisponde al
termine di un processo evolutivo, cui la ragione ci permette di scorgere e
c'impone di sollecitare; nel che nulla è che ripugni al criterio storico
sanamente inteso. E che un assunto di questa specie non sia scientificamente
illegittimo ha dimostrato meglio di ogni altro il Petrone stesso, p. es. nello
scritto su La storia interna e il problema presente della Filosofia del
diritto. Da questo lato dunque, cioè in rispetto formale e metodologico, il
pensiero del Fichte ci sembra difficilmente attaccabile.
La vera debolezza del Geschl. Handelsstaat non sta nell'impresa di costruire
per astrazione, oltre e sopra la realtà attuale, uno Stato conforme a ragione,
cioè una società giuridica ideale; bensì nel modo onde l'impresa è stata
eseguita. Lo Stato economico chiuso dovrebbe rappresentare la pura e
schematica esplicazione dei principi razionali intorno al diritto: dovrebbe
costituire la fedele e rettilineare prosecuzione di quella idea fondamentale
della giustizia, che aveva già formato oggetto della meditazione del Fichte
nelle opere precedenti. Senonchè il sistema dello Stato economico chiuso è in
profonda contraddizione con quei principi e con quell'idea. Nessuno sforzo
dialettico, per quanto ingegnoso e sapiente, può conciliare la massima
dell'assoluta libertà d'ogni uomo, senz'altro limite che il rispetto dell'altrui
libertà, colla tesi cardinale del Geschl. Handelss., dass der Staat vor allen
Handel des Auslandes sich gänzlich verschliesse (III, 1). Il tentativo
di
giustificare razionalmente l'isolamento assoluto delle diverse unità politiche,
die gänzliche Trennung des Staates von der übrigen Erde, è fallito e doveva
fallire, perché in contrasto colle ragioni intrinseche del diritto; perché tale
isolamento; lungi dal rappresentare un ideale più alto, un Ziel, auf welches
die Staaten hinzustreben haben rappresenterebbe un regresso a forme di vita
inferiori e già superate. L'ideale del diritto suppone una coordinazione sempre
più vasta ed universale dell'umanità, una rete ognora più ricca, feconda e
libera di rapporti: il Fichte pone qui invece come ideale l'innalzamento di
nuove barriere, il divieto degli scambi, la determinazione coercitiva, mercé lo
Stato, delle classi dei lavoratori e dei prezzi dei prodotti. Egli attenta così,
inconsapevolmente, alla parte migliore e più vitale dell'opera da lui già
compiuta nella Filosofia giuridica: perocché àltera e scuote quel concetto
altissimo dell'armonia delle libertà, del quale egli era stato già uno dei
massimi illustratori e propugnatori. Per una singolare e quasi tragica ironia
del pensiero, che il Petrone non ha mancato di rilevare, l'ideologo formidabile
della libertà termina invocando il proibizionismo commerciale e l'assolutismo di
Stato.
Questi difetti del sistema del Fichte non toccano però la legittimità
dell'esigenza filosofica, dalla quale esso è sortito; bensì consigliano a
distinguere nettamente la causa del Geschloss. Handelsstaat da quella del
razionalismo politico in generale.
I limiti di questo cenno non ci consentono di diffonderci maggiormente in tale
proposito, né di segnalare partitamente, come vorremmo, tutto quanto v'ha di
notevole nelle pagine del Petrone, sempre animate da alto spirito filosofico.
Rammentiamo, ad esempio, il sottilissimo paragone tra il concetto aristotelico
della giustizia distributiva e quello che sta a base della dottrina del Fichte.