Sulla cultura dell'odio
Anche se gli asini si credono cavalli restano asini
La "scienza" odierna è confessionale, è una religione, una vera e propria liturgia simile a quella del gatto legato. Ve la dico in poche parole: un prete aveva un gatto. Ogni volta che diceva messa, il gatto entrava in chiesa distraendo i fedeli. Allora ordinò che durante la liturgia e funzioni fosse legato in sacrestia. Poi il prete morì ma i fedeli continuarono a legare il gatto durante ogni funzione. Poi morì anche il gatto. Allora portarono nel santuario un altro gatto, per legarlo debitamente durante le funzioni. Secoli dopo, la consuetudine era ormai consolidata in convenzione assoluta, grazie soprattutto agli scienziati, che, servili al potere teocratico, avevano fin da subito e con scrupolo scritto dotti trattati sul ruolo scientifico del gatto durante la funzione liturgica scientificamente condotta (da una storiella di Antony De Mello). Di fronte a loro nessuno poteva discutere o interpretare diversamente la storia, così che i dissidenti venivano ferocemente detti fanatici o complottisti e a volte perfino bombardati. Nasceva così la cultura dell'odio...
Questa però non è una storiella. Oggi col modo einsteiniano di "pensare" si arriva a credere nel Big Bang ed alla conseguente creazione dal nulla. Questa fede einsteiniana nella creazione dal nulla non è molto diversa da quella dei bigotti medioevali nell'asina parlante della Bibbia (Numeri 22,28). Cioè è pura superstizione, anzi una superstizione ancora più superstiziosa detta "fede nel cavallo pegaseo einsteiniano".
Queste cose andrebbero dette e ripetute se si vuole uscire dalla superstizione, anche se è risaputo che dicendole si è tacciati immediatamente di complottismo: oggi, al minimo ragionamento che fai in campo scientifico, ti danno del "complottista". E allora, se sei uno zelante seguace del tuo professore, ti allinei ai non complottisti. Perché? Perché una volta (facilmente) rilevata l'impostazione "complottista" - scrive Bartocci - lo studioso "pigro" autorizza la propria coscienza a ignorarne completamente qualsiasi argomentazione (U. Bartocci, "Una rotta templare alle origini del mondo moderno", Presentazione). E di fatto oggi i ben pensanti, grazie a tali AUTORIZZAZIONI ALL'IGNORARE sono diventati NON pensanti... È molto più comodo! E quasi sempre si parla di complotti per sostenere che esistono soltanto nella fantasia sbrigliata dei "dietrologi". Pertanto, il termine "dietrologia" è diventato purtroppo sinonimo di giudizio critico. Ecco perché il pensare odierno tende davvero al BI-PENSIERO di Orwell, con conseguenza di NEOLINGUA (o OCOLINGO), sempre di Orwell... (ed a questo proposito faccio notare al fisico teorico odierno, rimasto mentalmente al Concilio di Trento, che la mia attività "complottista" di tipo catechistico, incominciata nel 1992 è terminata il 2 agosto 2018, dato che il punto 2267 della dottrina cattolica è stato finalmente cambiato). Ma siamo ancora nell'odio! Anzi: l'odio è il mio pastore, dice il sedicente scienziato odierno: non manco di nulla! Come mai avvengono queste cose?
L'odio proviene in generale da ignoranza.
L'ignoranza proviene dall'insufficienza o dalla mancanza di libertà nella
ricerca. Questa insufficienza o mancanza esiste non perché lo Stato non finanzi
la cultura ma proprio perché la finanzia. Il finanziamento statale impone però
caratteristiche burocratiche, formali e legali, convenzionali, tipiche dello
Stato e ciò è estremamente negativo in quanto innaturale, dato che in natura non
esistono convenzioni.
Nell'organismo umano il cuore non detta in alcun modo il suo ritmo ai nervi o
alle gambe… Se così fosse, l'uomo sarebbe costretto nel suo movimento, che
somiglierebbe a quello di un soldato durante le parate militari in cui ci si
muove come burattini. L'uomo invece non cammina in modo meccanico proprio perché
non è una macchina! Eppure l’organismo sociale viene fatto muovere come una
macchina, e da qui deriva la sua malattia. La guarigione però è possibile
tramite libera triarticolazione, appunto, dei tre poteri: economico, culturale e
giuridico. In questa ottica, allo Stato competerebbe la gestione del solo potere
giuridico, mentre cultura ed economia dovrebbero essere liberate dal giogo
statale ed avere quindi libertà di espansione.
Tutto però dovrebbe partire dalla libera ricerca culturale. Per esempio se
l'aritmetica fosse compresa per il ritmo naturale che comporta, si scoprirebbe
che le unità di misura sono successive all’aritmetica e che sono convenzioni.
Convenzioni da non confondere, appunto, con la ritmica dell’aritmetica che è
naturalmente dentro l’uomo, e non a lui esterna: solo così si ricomincerebbe a
parlare di verità.
Oggi è invece diventato luogo comune dire che la verità non esiste.
Invece la verità delle cose è la realtà naturale stessa, che c'è, ma va vista,
considerata, e non imposta.
L'uomo non può imporre qualcosa ad un altro uomo, così come un suo organo non
può imporre alcunché ad un altro suo organo. Per esempio il nervo - la cui vera
caratteristica è quella di trasmettere - non può imporre il battito al cuore,
perché il battito è la vera caratteristica del cuore. E viceversa: il cuore non
può far battere il nervo se non in una situazione patologica. Infatti se il
cuore battesse in testa si avrebbe mal di testa, e se il nervo trasmettesse
battiti al cuore si avrebbe aritmia o sincope.
Qualsiasi verità imposta è infatti sempre illusoria. Perfino la verità che non
esiste verità non può essere imposta perché sarebbe un contraddizione, quella di
negare una cosa mediante l'assunzione della sua forma.
L'imposizione della verità, qualunque essa sia, comporta la necessità delle
leggi, che sono altre imposizioni, quindi comporta l'ira, e le guerre. Lo sapeva
già Paolo di Tarso quando diceva che le leggi producono ira e che dove non c'è
legge, non c'è neanche trasgressione (Romani 4,15).
Chi sa pensare concretamente sa, infatti, che delle due l'una: o c'è la logica
oppure c'è la legge. Le leggi, i legalismi, i formalismi, anche i formalismi
logici, non sono altro che legami o recinti in cui gli uomini si imbrigliano da
soli diventando pecore, e le pecore sono coloro che vanno a votare da chi le
tosa o le macella.
Ma le pecore più stordite del pianeta, a mio parere, sono gli scienziati della
fisica delle particelle (o della fisica teorica), scherzosamente detta agli
inizi "Knabenphisik" (fisica dei ragazzini)!
Questi fisici, divisi fra loro in teorie prive di una benché minima connessione
con la vita, sono solo guerrafondai che partono dalla guerra tra loro per
arrivare poi inconsciamente a guerre mondiali…
Ciò che bramano, è il potere, solo il potere, il potere per il potere: vogliono
dominare il mondo esattamente come i politici, i banchieri, i preti, gli
economisti, e così via.
Ma andiamo per ordine.
Gli scienziati della materia sono schierati: da una parte ci sono quelli della "Theory
of Everything", o "Teoria del tutto", che odiano quelli della "Theory of Nothing",
o "Teoria del nulla", e dall'altra ci sono quelli della teoria dell'oggettività
della scienza, che odiano quelli della parzialità e limitatezza della scienza,
vale a dire quelli della relatività. Relatività di ogni conoscenza - ovviamente
- cioè quelli del "facciamo finta che" o del "come se" all'infinito. Infine, ci
sono battaglioni di scienziati che saltellano dialetticamente da una parte
all'altra come quei politici che cambiano partito a seconda delle convenienze.
Ovviamente, la ruggine che scorre tra loro diventa odio esponenziale degli uni
contro gli altri proprio perché sono generalmente mossi dal dio quattrino,
sostituito al dio trino. Per il dio quattrino si teorizza tutto e il contrario
di tutto.
Si prenda il famoso teorema di Gödel (Kurt Gödel, 1906-1978). Questo teorema
dimostra che perfino nella matematica ci sono proposizioni indimostrabili e ciò
è una minaccia per i fisici teorici, dato che tutta la fisica teorica è
matematica, e costruita su proposizioni matematiche indimostrabili.
Il fisico
teorico se la fa sotto appena sente nominare queste cose e non ne vuole sapere.
Quella di Gödel è in sostanza una vera e propria "critica della ragione
formale".
La stessa teoria cantoriana degli insiemi (Georg Cantor, 1845-1918) applicata al
concetto di infinito o di continuo
(1) nella
successione dei numeri non sta in
piedi, oppure sta in piedi solo per logica formale priva di contenuto e priva di
connessione con la vita reale.
Oppure si prenda Karl Popper (1902-1994) che aveva contestato la possibilità di
acquisire verità scientifiche dal semplice accumulo di testimonianze congruenti,
sostenendo che anche una sola prova contraria sarebbe stata sufficiente a
decretarne la falsità. Idem come sopra! Se si dice questa cosa ad un fisico
teorico, egli la avverte come una coltellata al cuore.
Non parliamo poi della sanguinante odierna cosmologia, o anche solo
dell'astronomia extragalattica, le quali sono ancora del tutto e perennemente -
come per un incanto magico - esposte alla confutazione, impossibilitate come
sono di effettuare una qualsiasi verifica o misurazione diretta dell'infinito o
dell'immenso elemento celeste che indagano.
Solo Thomas Kuhn (1922-1996), filosofo di Cincinnati, era riuscito nel 1962 ad
offrire un brodino di volpe ai fabbricanti di universi, delineando "un cammino
della ragione" attraverso fasi di "scienza normale" e momenti di "rottura
rivoluzionaria" (T. Kuhn, "La Struttura delle Rivoluzioni Scientifiche", 1962).
Ma fu un pasto molto poco sostanzioso: infatti "un cammino della ragione" può
esservi solo se vi è una ragione. Ma la ragione dov'è? Dov'è la ragione tra gli
scienziati addomesticati da Kant che la criticò prediligendo ad essa la fede
("Dovetti dunque togliere la conoscenza per fare posto alla fede": Kant,
Prefazione alla 2ª edizione di "Critica della ragion pura"), o nel kantiano
Einstein, che predicò la comprensione senza intuizione? (cfr. A. Einstein in "Physikalische
Zeitschrift", Vol. 21: "Allgemeine Diskussion ueber Relativitaetstheorie bei
Versammlung deutscher Naturforscher und Aerzte", Bad Nauheim, September 1920).
E cosa fanno oggi i fisici del Gran Sasso? Bombardano il sottosuolo cercando di
capire le reazioni ai bombardamenti senza peraltro intuire la possibile
correlazione tra questi e i terremoti, e, finanziati dallo Stato, procedono
imperterriti. Sono talmente privi di senno che anche nei loro libri scrivono che
intendono continuamente bombardare la materia per vedere se riescono a fare il
grande botto artificiale, il cosiddetto Big Bang caldo, da laboratorio. Vogliono
fare i padri eterni insomma, e dominare il mondo.
Il primo che si accorse di questo "padre-eternismo", di questa stupidità del
potere per il potere - non solo in campo teologico ma anche in campo scientifico
- chi fu? Giordano Bruno. Ma sbagliò anche lui, come lui stesso ammise prima di
essere bruciato vivo nel 1600 a Roma in piazza "Campo de' fiori".
Queste le sue ultime parole: "[Dal film di Carlo Ponti "Giordano Bruno"]. Ho
sbagliato [...]. Che mortificazione chiedere a chi ha i poteri di riformare i
poteri... Che ingenuità!". Un resoconto del processo lo trovate in "Il
processo di Giordano Bruno" di Luigi Firpo (Edizioni Scientifiche Italiane,
1949).
Oggi, lo scienziato che invia alla Comunità Scientifica il risultato delle sue
osservazioni affinché siano riconosciute e prese in considerazione per lo
sviluppo scientifico o per la riforma sperimentale della ricerca è un illuso,
che incorre nella stessa ingenuità storica di Giordano Bruno, che fu quella di
chiedere a chi ha il potere di riformare il potere. Bruno fu assassinato perché
aveva scritto che la relatività dell'uomo rispetto all'immenso, era qualcosa da
intuire mediante buon senso, non da credere attraverso dogmi di fede. Perciò
doveva morire. Intuiva la verità. Intuiva infatti il mondo sovrasensibile
attraverso sensi superiori a quelli ordinari.
Oggi quei sensi superiori li abbiamo e di fronte alla TV o al cinema non ci
divertiremmo se non avessimo quella capacità di percezione sovrasensibile, che è
giustamente entrata nel linguaggio. Se senti che i colori di quel dipinto sono
"caldi", senti un "calore" [= "colore caldo"] sovrasensibile ma di certo non pensi di acquistare quel
dipinto per scaldarti durante l'inverno. Al tempo di Bruno però non si potevano
dire certe cose considerando l'immensità del cosmo, o del cielo stellato o della
infinita luce interiore dell'io che illumina la coscienza. Perciò doveva morire.
Per i tempi di allora dovevano sparire anche tutte le sue opere, molte delle
quali anch'esse bruciate.
Perché dava e dà così fastidio l'intuizione umana? Perché se l'uomo ragionasse
mediante intuizione ed autocoscienza non avrebbe più bisogno di prendere dal
confessionale i motivi delle sue azioni. E allora lo IOR del cattolicismo (lo
IOR è la banca del vaticano), o le banche del sionismo fallirebbero.
"Sebbene risplenda di una più chiara luce - aveva scritto Giordano Bruno -
l'infelice ha imparato a rendere ciechi i suoi occhi e a calpestare la natura e
la sapienza. È da questo genere di uomini che balzano fuori i facili creduloni
[...]. Così hanno avuto origine mille prodigi strabilianti per cui gli stolti
restano stupefatti [...]". Questo lo trovate in "OPERE LATINE di Giordano Bruno,
Il triplice minimo e la misura. La monade, il numero e la figura. L'immenso e
gli innumerevoli", Ed. UTET, Torino, 1980).
Per Bruno, la relatività era logica di realtà: qualcosa da percepire con sensi
superiori, non attraverso leggi dogmatiche formulate attraverso unità di misura
escludenti l’intuizione. La relatività era (ed è) percezione sovrasensibile non
logica astratta priva di intuitiva connessione con la vita. Perciò denunciava
come cosa insana, l'abitudine basata sui pregiudizi astratti del fideismo
scientifico del credere vero il falso. Ed esprimeva ciò - ripeto - secondo una
logica conforme alla realtà, cioè non contraria al buon senso, come è invece
quella degli scienziati odierni meramente teorici. Ecco ancora le sue parole:
"Io rimango del tutto senza parole innanzi alla loro stupidità così poco
opportuna, come davanti a quella di chi afferma che due linee che procedono
all'infinito non si possono mai incontrare, sebbene si avvicinino tra loro
sempre più".
Se due linee procedono all'infinito avvicinandosi sempre più, prima o poi
ovviamente si incontrano, proprio perché il punto di vista di chi sta sulla
Terra è diverso da quello di chi sta oltre la Terra o in cielo o nell’immensità
degli spazi. L'idea bruniana della coincidenza degli opposti ed il concetto di
ombra formano il punto di unione tra tenebra e luce, bene e male, vero e falso.
E non solo. Tutto ciò intesse tutta l’opera di Giordano Bruno, nella quale
Oriente e Occidente si possano dare la mano proprio nell’intuizione
dell’immensità o della grandiosità dello spazio terrestre (che lui chiama
"spaccio"). Ma oltre non va. I concetti di retta, cerchio, sfera, non cambiano
per Giordano Bruno, il quale non si sogna di curvare il nulla o lo spazio vuoto
per "inventarsi" un inesistente poligono di 360 lati. Certo lo si può pensare,
anche se quello non è un poligono ma un cerchio. Però pensandolo poligono si
confondono i "gradi" coi "lati", rispettivamente "angolari" e "rettilinei". Il
pensiero può tutto. Certamente. Io posso pensare che l’angolo sia anche una
retta ma posso pensarlo solo con una rappresentazione non conforme a dati
percepibili bensì, con rappresentazioni congetturate o favoleggiate. Posso anche
affermare quanto voglio il principio di equivalenza fra imponderabilità e
ponderabilità. Però questa affermazione resta quella che è. E va bene per gli
asini parlanti della Bibbia (Numeri 22,28). Occorre saper dire basta agli asini
parlanti. E occorre cavalcarli in segno di protesta (Mt 21,7). Gesù quando
entra… ed è festeggiato cavalca un asino…
Gli asini potranno anche sentirsi cavalli con una loro cabala - e ciò mi viene
da pensare leggendo la "Cabala del Cavallo Pegaseo" di Giordano Bruno (Ed.
Acrobat, a cura di P. Sanasi) - però gli asini restano asini e i cavalli,
cavalli.
L’uomo è pieno di infinito nel suo pensare e può fare grandi cose. Ma questo è
ben diverso dall'imporre dogmaticamente le leggi dell'infinito alla terra o
viceversa, perché la terra non è infinita anche se riposa nell'immenso cosmo
come sua parte.
Non si dovrebbe più procedere con dogmi celesti secondo logica astratta, e
occorrerebbe logica di realtà, scienza umana, scienza reale, da non confondere
con la teologia o con la rivelazione divina o con lo spiritualismo.
Occorre aderire strettamente al
fenomeno osservato, al
fatto sperimentale, cioè
reale, ed essere, sì, materialisti ma concreti
(2), e distinguerci dai materialisti
astratti e speculativi. L'idea stessa di "fisica della materia teorica", è
stonata in quanto la materia è materia e la teoria è teoria (lo spirito è lo
spirito).
Il materialismo concreto di Goethe è l'antidoto per questo incanto magico della
cultura dell'odio.
O fisici teorici conquistatevi questa comprensione. Non siate così poco
intelligenti da ricadere nello spiritualismo o nella new age. Il vostro
materialismo, poggiando sulle concezioni atomistiche dichiara che il contenuto
percettivo del mondo è puramente soggettivo, e che quindi è un'illusione, una
maya.
Sbagliate.
Dopo l'evento dell'io, cioè della crocifissione sul Golgota, il mondo dei sensi,
il mondo fisico-materiale, la Terra insomma, con tutto il suo contenuto, non è
un'illusione ma una realtà, in cui il materialismo stesso è il più alto fatto
spirituale.
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NOTE
(1) Cfr. Giordano Bruno, "Contro coloro che sostengono la divisibilità all'infinito": «Il volgo ritiene che la natura, pur risolvendo incessantemente il tutto nelle parti, non pervenga al minimo e in alcun modo la quantità attraverso l'arte si mostri senza parti. Esso ritiene che tale sia la natura delle cose cosicché non si stanca di aggiungere, dal punto di vista dei propri sensi, numero a numero, studio a studio, ragione a ragione; i suoni si aggiungono ai suoni e le parole alle parole. In realtà, ogni entità corporea finita consta di un numero finito di parti, come è chiaro allorché la ragione e la natura dividono l'uno e distribuiscono i molti, definiti da un ben preciso limite. Continuando invece ad aggiungere massa a massa, numero a numero non si troverà mai alcun termine; a chi poi sottragga numero a numero, massa a massa, si faranno incontro, senza alcun dubbio, la monade e l'atomo. Ma un turpe inganno irretisce una mente meschina quando essa crede di poter scindere le parti intere del continuo, enumerando con un processo senza termine entità ulteriormente divisibili (probabilmente qui G. Bruno si riferisce ad Aristotele, “Fisica”, Z, 1, 231b, 4); essa non sa che può andare all'infinito solo aggiungendo numero a numero, ma che la stessa cosa non vale quando toglie grandezza da grandezza (vale a dire: l'infinito è raggiungibile soltanto nell’ambito della serie ascensiva, ma non in quello della serie discensiva, dove inevitabilmente ci si deve arrestare all'unità; è questo il carattere precipuo della numerazione per il quale, come Bruno scrive più oltre, “il tutto è… sotto il nome del numero”) [l'evidenziazione in grassetto del testo di G. Bruno è mia - nota di Nereo Villa]. Infatti, per quanto lunga e larga la si possa immaginare, ogni grandezza tende ad evidenziare la sua parte ultima; e poiché emerge una parte ultima evidente oltre cui non è possibile procedere, il tutto è quante volte vuoi sotto il nome del numero. Se consideri il momento presente, senza dubbio dopo di esso inizierà una durata senza fine, in cui si è conosciuto che io avrei scritto questi princìpi di eterna sapienza; succederanno infiniti i secoli a cui si riterrà che io abbia insegnato questi principi conformi alla verità; per essi l'inizio è questo stesso istante (Lucrezio, “De rerum natura”, I, vv. 984-1051). Perciò abbiamo che si dà un principio senza fine ed una fine senza principio. Dunque il principio c la fine si rinvengono ovunque (cioè nell'infinito sono relativi, il che vale per il tempo come per lo spazio, purché si sostituisca ai termini di principio e fine quelli di centro e periferia. È questo il presupposto che conduce G. Bruno da un lato a formulare l'idea dei corsi e dei ricorsi, cioè il negare lo sviluppo storico, e dall'altro a sostenere l'impossibilità di determinare i confini dell’universo, che sarà il tema di fondo del “De immenso”), ugualmente in qualsiasi momento del tempo, sia che ci si riferisca al futuro, sia che si ripercorrano i secoli trascorsi: restano un corso ed un ricorso senza fine. Analogamente, a chi si innalza dalla patria regione della terra si fa incontro uno spazio infinito e nello spazio i corpi (giacché lo spazio vuoto non potrebbe esistere se non ci fossero le cose); tuttavia ciò che per noi è il centro, rispetto allo spazio infinito, è termine; tutto è centro e centro senza periferia. Se ti riferisci poi alla specie e alla massa finita, come è certo il maggiore, così è certo il minimo; anzi lo ritroverai in tutto, sempre, dovunque. Niente può esistere al di fuori e indipendentemente da esso; così senza la monade non si può concepire il numero, finito o infinito che sia, dal momento che la monade per il numero rappresenta tutta quanta la sostanza e la condizione della sua duplice scala. A chi aggiunge specie a specie conviene andare sempre in alto, ma a chi invece le detrae, viene incontro il basso. Se uno divide una massa corporea, un altro distinguerà le parti di un genere nello stesso ordine con cui sempre la ragione sottrae parte a parte. Così accade quando di una cosa si ricerca la terza parte o la centesima di un'altra, della quale puoi ricercare anche la millesima e così via. Forse pensi, o stolto, che la natura e l'arte possano essere divise all'infinito, come se la massa della materia non giungesse mai a toccare la meta estrema? È stato tramandato dal volgo che quando la natura e l'arte procedono nella divisione, non accadrà mai che emergano parti che a loro volta non possano essere divise in altre parti, quasi che in un soggetto reale sia opportuno che la potenza passi da parti ad altre parti ancora percepibili secondo quel processo puramente razionale per cui, determinata la millesima parte di un dito, si potrebbe ancora ricercare la millesima parte di questa, e di una di queste la centesima, e di una di queste cento la decima, e di una di queste dieci la millesima e così via senza alcun limite; se è dunque indifferente, sommando, aggiungere quantità a quantità e, dividendo, sottrarre grandezza da grandezza, sia dunque la stessa cosa dividere il continuo nella fase discensiva, e in quella ascensiva moltiplicare le parti; il medesimo criterio razionale presieda all'un ordine e all'altro, tra loro opposti, e al diverso genere delle une e delle altre parti. Noi, invece, dobbiamo affermare che la materia finita, per quanto grande sia, non consta di parti infinite, ma se ad essa andiamo aggiungendo grandezze, come al numero finito innumerevoli numeri, si può davvero procedere all'infinito. Al contrario, chi sottrae e suddivide le parti di una grandezza finita, necessariamente deve imbattersi prima o poi nel minimo, come del resto chi sottrae un numero da un numero finito deve imbattersi nella monade. La durata in senso assoluto è infinita (non mi riferisco all'eternità o al tempo di questo mondo); per cui, sia che siano sempre stati o no, sia che sussistano in eterno o no gli enti indissolubili, o permanga l'unità, la durata è eterna sia anteriormente che posteriormente a questo momento, sia dopo qualsiasi istante che venga assunto a modo di parametro e, rispetto ad essa, questo istante o tempo in cui io scrivo rappresenta senza dubbio un momento ben determinato. Corrispose al vero che io mi sarei accinto a scrivere oggi, cioè da questo istante rispetto all'eternità trascorsa; al falso invece che io avessi scritto: nondimeno sarà vero che io ho scritto da questo momento rispetto alla durata infinita e sarà falso che io debba ancora scrivere. Quindi in ogni momento della durata è, e ogni momento di essa è, un principio senza termine ed un termine senza principio. Dunque tutta l'eternità è un istante infinito, ugualmente principio e fine. Analogo è, a suo modo, il giudizio riguardo a ogni punto dello spazio e della grandezza dell'universo se, come è stato dimostrato nel libro “De l'infinito”, è immenso; in esso la Terra non è centro più della Luna, del Sole, della Stella Polare e di tutte le cose. Non poterono giungere a tale verità coloro a cui non fu concesso di individuare il movimento della Terra attorno al proprio centro. Principio e fondamento di tutti gli errori sia in fisica che in matematica è la divisibilità all'infinito del continuo. Noi, invece, abbiamo dimostrato che la scomposizione sia della natura che della vera arte, che non supera i confini della natura, da una grandezza e numero finiti, perviene all'atomo: nella fase ascensiva, invece, non sussiste alcun limite né per la natura né per i procedimenti razionali, se non là dove si tratta della natura di certe specie particolari. Il minimo è dunque presente ovunque e sempre, il massimo in nessun luogo e mai. Il massimo ed il minimo tuttavia possono concettualmente coincidere dal momento che sappiamo che anche il massimo è ovunque, in quanto, per ciò che già è stato eletto, è noto che il massimo sussiste nel minimo e il minimo nel massimo, come nella pluralità la monade e nella monade la pluralità. Va detto comunque che la ragione e la natura più facilmente possono separare il minimo dal massimo che il massimo dal minimo (cfr. “Articuli adv. Math.”, in “Opp. Lat.”, cit. I, 3, pp. 21-27, passim.). L'immenso niente altro è se non centro ovunque; l'eternità niente altro è se non l'istante che dura sempre, che è l’unità permanente dell'eterno; e cosi via secondo una certa successione e vicissitudine proprie degli enti immobili; la corporeità infinita si identifica con l'atomo; il piano infinito con il punto; e lo spazio infinito è ricettacolo del punto e dell'atomo. Infatti là, dove si afferra l'atomo, si afferra ogni altra cosa, non viceversa; per questo l’ente indivisibile si ritiene sia ovunque e, poiché lo spazio è infinito e il centro è in ogni luogo, si dice che l'atomo rappresenta ogni cosa. Parlo dell'atomo altrove distinto secondo generi diversi» ("OPERE LATINE di Giordano Bruno. Il triplice minimo e la misura. La monade, il numero e la figura. L’immenso e gli innumerevoli", a cura di Carlo Monti, UTET, Torino 1980, pp. 108-111).
(2) Esempio di materialismo concreto. Il materialista astratto afferma che il Gesù storico non è mai esistito e che i vangeli non sono attendibili in quanto scritti dopo secoli dagli eventi che raccontano. Il materialista concreto può invece storicamente accettare - fino a prova contraria - che i principali fatti raccontati nei vangeli riguardano il tempo in cui visse Gesù e che quei fatti non furono inventati secoli dopo, quando cioè la chiesa era ormai stabilmente istituita. Questo sostengono oggi molti studiosi o teologi, o scienziati del "facciamo finta che", cattolici e non cattolici, ma ciò non ha fondamento. Eppure questa opinione, insegnata come verità tanto da tradizioni ebraiche, quanto da tradizioni cattolico-romane, o da studiosi laici o atei, o da materialisti astratti e da confessioni di ogni genere, è antiscientifica, dato che poggia, fino a prova contraria, solo su un pregiudizio facile da scoprire. Il materialista astratto e speculativo che voglia davvero fondare scientificamente le proprie opinioni, per esempio, sulla concretezza cartacea, appunto, dei testi, può farlo. Dovrebbe però tener conto anche della letteratura talmudica, la quale contiene documenti circa la conoscenza storica di quei fatti. Considerando tale letteratura è per esempio possibile accertare l'esistenza di frammenti del testo aramaico del vangelo di Matteo originale, risalente all'anno 71, vale a dire ad un momento ancora molto vicino agli eventi svoltisi intorno all'anno zero. In tal caso, e per fare un paragone col tempo odierno, se è vero che Gesù è morto a 33 anni, e se è vero che 71-33=38, sarebbe un po' come ricordare cose di 38 anni fa. Mi riferisco al passo del "Talmud, Sciabbat 116 a", accennato anche nel testo del 1910 di Daniel Chwolson intitolato "Ueber die Frage, ob Jesus gelebt hat" (Ed. Leipzig 1910), nel quale si cita il versetto di Matteo 5,17 in lingua aramaica; si veda anche in inglese: shabbath_116 sia il foglio "a" che il foglio "b" del sito come-and-hear.com. Questo passo documenta che nell'anno 71, appunto, non solo esisteva già il vangelo di Matteo, ma che questo vangelo era ben noto ai cristiani del tempo. In quel passo vi si menziona un avvenimento che dovrebbe essere considerato da chi dice "scientificamente" che i vangeli sono di secoli dopo. Il fatto significativo del Talmud a cui alludo parla di un certo rabbino e cioè Gamaliele 2°. Ebbene Gamaliele 2° si era trovato coinvolto in una lite con sua sorella a proposito di un'eredità lasciata dal loro padre, morto nell'anno 70 nella guerra contro i romani. Dovettero perciò comparire davanti a un giudice, il quale, secondo quanto risulta dal testo talmudico, era un cosiddetto giudeo-cristiano. In sintesi, la contesa si svolge in questi termini: Gamaliele 2° contesta alla sorella l'eredità paterna, e davanti al giudice, che già conosceva qualcosa del cristianesimo, sostiene che secondo la legge ebraica solo il figlio può ereditare, non la figlia, e che pertanto l'eredità spetta a lui. Cosa dice allora il giudice? Dice che la Torà, cioè l'antica legge, non è più valida nell'ambiente in cui ora lui amministra la giustizia; e siccome Gamaliele 2° si è rivolto a lui per avere un giudizio, fa presente che non intende più giudicare secondo la vecchia legge ebraica, ma in base alla legge che ora si era sostituita alla Torà. Tutto questo avveniva, appunto, nell'anno 71 (il padre, Gamaliele 1°, era morto nel 70, durante la persecuzione degli ebrei). Ebbene, cosa fa allora Gamaliele 2°? Non trova altra via d'uscita che corrompere il giudice. Ed il giorno dopo, il giudice corrotto, emette, sì, la sua sentenza basata sulla citazione di un passo del testo originale aramaico del vangelo di Matteo. E cosa dice in quel suo giudizio? Dice che Cristo "non era venuto per sopprimere la legge di Mosè, ma per portarla a compimento" (Matteo 5,17). In tal modo, credendo di scaricare la sua coscienza affermando di giudicare secondo il pensiero di Cristo, il giudice assegna ugualmente l'eredità a Gamaliele 2°. Pertanto da questa vicenda si ricava che già nell'anno 71 esisteva un testo cristiano, in base al quale si erano potute citare parole presenti oggi nel vangelo di Matteo. E che siccome quel passo è citato in aramaico, non si può negare che questo è il segno che già allora esisteva, almeno parzialmente, il testo originario aramaico del vangelo di Matteo. Dunque, anche dal punto di vista del materialismo storico siamo su un terreno solido nel far risalire il vangelo di Matteo a un'epoca piuttosto antica. E questo dato permette allora di considerare comprovato che tutti coloro che parteciparono alla composizione del vangelo di Matteo vissero in un tempo non molto lontano dagli eventi reali svoltisi in Palestina. Di conseguenza, come non fu possibile mentire spudoratamente alla gente, affermando che Gesù di Nazaret fu inventato solo secoli dopo, così non si dovrebbe ritenere possibile affermare ciò che affermano oggi alcuni preti o laici odierni, sedicenti studiosi o "scienziati". Infatti non era passato neanche mezzo secolo e ci si trovava ancora di fronte a testimoni oculari, ai quali non era possibile raccontare fatti che non si erano mai verificati. Quei fatti, a me almeno, sembrano storicamente importanti. Ovviamente non c'entrano con la cosmicità dell'avvento dell'io umano nell'uomo, il quale dai primordi dell'umanità tende ad apparire all'interno dell'uomo come io, anche se nell'antichità l'uomo si esprimeva nominando se stesso in terza persona: il mio cuore dice al tuo cuore, la mia anima dice alla tua anima, l'anima mia magnifica il Signore, il mio cielo dice al tuo cielo, ecc., esattamente come fanno gli infanti fino al 3° anno di vita, dicendo per esempio: "Mario vuole giocare", anziché "io voglio giocare"... Leggete le conferenze sul vangelo di Matteo tenute da Rudolf Steiner, o scienziati incapaci di intuizione, e farete a meno di questo video... Svegliatevi. E imparate a dire "io" in luogo di "il mio" o "la mia scienza", o "la mia fede", o "la mia chiesa", o "la mia comunità scientifica", con tanto di padrino o di papino... Imparate a dire "io dico" anziché "Einstein dice". Imparate che la pace non può provenire dalle bombe...