Ritardo mentale e paura

 

"Abbiamo bisogno di un nuovo modo di pensare per risolvere i problemi causati dal vecchio modo di pensare". Chi l'ha detto? Ovviamente Einstein, in quanto è una affermazione ambigua, simile a quella di chi affermasse che l'uomo non è libero in quanto non può dire che 2 più 2 fa 5 o che 2 meno 1 fa 3. Non crediate che persone portatrici di questo tipo di idee sulla libertà siano inesistenti o frutto di una mia fantasia. Recentemente questa affermazione di intonazione squisitamente einsteiniana è stata fatta da un traduttore di testi ebraici (1).

 

Così come in questa affermazione vi è stupidità o logica priva di realtà (dato che se ho due mele e ne mangio una resto con una sola mela) allo stesso modo vi è stupidità nel dire che "abbiamo bisogno di un nuovo modo di pensare".

 

Il pensare è vita che vive, rinnovandosi continuamente. Ci si può educare a pensare secondo realtà ma non si può sostituire un modo di pensare con un altro modo di pensare, dato che il pensare non è una moda, né un parafango o un bullone o un qualsiasi altro pezzo di meccanismo da sostituire. Il pensare può essere sostituito solo da un PENSATO, cioè da un pensiero pensato da altri. Perciò Galileo era solito dire: "Non puoi insegnare qualche cosa a un uomo. Puoi solo aiutarlo a scoprirla dentro di sé".

 

Non esistono "modi" di essere vivi. Sopravvivere sembra un modo di essere vivi ma è come essere morti dentro, soprattutto se per sopravvivere devi rapinare o uccidere i tuoi simili. E sopravvivere è vivere sopra... Chi vive sopra è il sovrano, e oggi il sovrano dovrebbe essere il popolo tutto. Invece continuiamo a illuderci di votare per eleggere un "sovrano" meno rapinatore del precedente. Illudersi è un gioco che non diverte. Lo giochiamo perché siamo abituali a pensare per PENSATI. Ma il pensare non è illudersi.

 

Il pensare È. È come la luce. O si è coscienti della sua universalità oppure non lo si è. La malattia dell'uomo non è il suo modo-di-pensare-da-cambiare ma la rinuncia al pensare, cioè la rimozione del nostro giudizio critico in nome di pensieri PENSATI altrui.

 

La fede nei PENSATI non è pensare ma sottomissione, indottrinamento, livellamento, parificazione, assoldamento, reclutamento, ecc.

 

Pensare è l'unico vero potere dell'io: è il movimento interiore dell'uomo, che muove e commuove, animando continuamente la vita e che sempre la migliora in quanto mai è esaustivo. Si pensa sempre, anche quando si è convinti di avere pensato abbastanza. Non si può mai pensare una volta per tutte, perché quello pensato una volta per tutte è un PENSATO, una formula, un dogma, qualcosa che si può avere in memoria. Pensare non è avere. Pensare è essere. Non si può avere l'essere. Si può solo essere pensanti, cioè umani.

Einstein è considerato il più grande scienziato di tutti i tempi, invece a mio parere era una persona con problemi di crescita mentale.

In base alla sua infanzia, c'è chi lo definisce con certezza un dislessico, chi affetto da una forma di autismo, chi invece dice che ciò ha contribuito a creare un'aura di romanticismo intorno alla sua figura. Questo non contribuisce a farsi un'opinione di lui come minorato mentale, dato che il ritardo mentale dell'infante può essere superato durante l'adolescenza o l'età adulta, soprattutto se la lentezza nel riflettere o nell'intuire genera concreti contenuti di logica di realtà. Quindi il dramma del parlare con ritardo, o le difficoltà a legare coi coetanei, ecc., non è per nulla un dramma se si parla poi di cose connesse alla vita reale. Anch'io quando ero bambino mi incantavo alla finestra ad osservare la neve che scendeva dal cielo e se mi concentravo sui fiocchi mi sembrava di volare. Cioè ero io a volare su e non era la neve a venire giù. Però se un adulto arriva a convincersi della relatività del moto della neve, ciò significa che non vuole accettare di essere coi piedi per terra, sulla quale cade la neve. Si vuole essere bambini, permanere infantilmente sognanti. Si pretende prendere in mano la luna perché è lì nel cielo, senza accorgersi ogni volta che la logica del cielo non è quella della terra.


Durante l'infanzia lo sviluppo del linguaggio procede più lentamente nei maschi che nelle femmine. In ogni caso non si dovrebbe mai temere che chi ha difficoltà di linguaggio non impari a parlare. Gli infanti prima o poi parlano. Ciò che conta è che dicano quello che vogliono dire dopo avere pensato secondo logica di realtà. La distinzione tra logica astratta o campata per aria e logica di realtà è importante perché è la distinzione stessa tra ciò che è essenziale e ciò che non lo è. Per un Dio creatore del cielo e della terra sarà anche importante prendere in mano le cose del cielo, ma per l'uomo ciò che più conta non è manipolare il cielo e la terra, ma comprenderli in sé. Se invece si vuole insistere nel maneggiare le cose del cielo, prima o poi ci si scontra col mondo intero fino a isolarsene.

Secondo Ronald W. Clark's, biografo di Einstein, il vero motivo del ritardo mentale in Einstein, cioè del suo lentissimo sviluppo del linguaggio è quello dichiarato da suo figlio Hanz Albert, il quale del proprio padre Albert diceva che si isolava dal mondo fin dalla fanciullezza, che i suoi insegnanti riferivano che era tardivo, asociale e sempre immerso nelle sue assurde fantasie.

Perfino una domestica un giorno diede dello stupido ad Einstein, perché aveva notato la sua abitudine a ripetere tutto due volte. In realtà quando gli veniva rivolta una domanda, elaborava la risposta nella sua mente e faceva una prova sottovoce, poi la ripeteva a voce alta quando era sicuro che fosse giusta (cfr. Rossella Grenci, "Le aquile sono nate per volare", Ed. La meridiana). Einstein, anche quando cominciò a parlare, era dunque un insicuro. Sopperire al bisogno di sicurezza come nella favola della volpe e dell'uva, cioè col dire che non può esservi sicurezza ma solo relatività è però illecito. L'uomo vuole certezze. Sostituire alla certezza l'incertezza della relatività non conduce alla certezza ma solo allo scardinamento della percezione ed all'imbecillità.

Come può essere allora caratterizzata la sicurezza dialettica circa le cose del mondo reale? Se di fronte a me c'è un albero posso o non posso dire che quello è un albero? Se per affermarlo devo premettere che esso potrebbe anche essere un'altra cosa in quanto tutto è relativo-al-mio-rappresentarmi-quell'albero, significa che non mi è chiara la distinzione fra rappresentazione e concetto.

La rappresentazione è un concetto individualizzato. Il concetto è una rappresentazione universalizzata. Se non si accoglie questa differenza è normale essere insicuri. Questa insicurezza è kantiana, dato che proprio in base a questa insicurezza Kant arrivò a preferire il credere al conoscere: "Dovetti dunque togliere la conoscenza per fare posto alla fede" (Kant, prefazione alla 2ª edizione di "Critica della ragion pura"). Ed è risaputo che dopo aver letto la "Critica della ragion pura" di Kant, Einstein adottò Kant come suo filosofo preferito, senza mai rendersi conto che il credere è diverso dal conoscere. Certo, si può anche dire "io credo che quello sia un albero" però non si può dubitare di sapere che il concetto di "albero" (o qualsiasi altro concetto) sia identico in ogni uomo, cioè universale. Se si dubita dei concetti ci si blocca al problema irrisolto del nominalismo medioevale circa gli universali. Perciò ci si sente in diritto di scardinare il linguaggio, le parole, i nomi, fino nelle loro essenze, fino ai concetti, appunto. Anzi, si sente questo come un dovere. Un diritto-dovere.

Oggi infatti la fisica teorica, e con essa tutta la scienza è bloccata nel problema del linguaggio, dato che quell'antico problema irrisolto è degenerato in una ulteriore incapacità, quella di non saper distinguere più le parole dai concetti.

Questa incapacità non fu e non è solo einsteiniana ma è oggi normalità per la maggior parte delle persone, la quale per essere sicura in se stessa afferma di credere nella relatività del poter dire tutto e il contrario di tutto, magari in una medesima proposizione o addirittura in un solo concetto o idea (intendo per idea un insieme di concetti): "spaziotempo" per esempio, "economia politica", "convergenze parallele", "democrazia cristiana", ecc. Sono tutte idee spurie, dato che il tempo non è lo spazio, l'economia non è il diritto, la democrazia non è cristiana (il Cristo è l'io-sono; per esempio l'epicheia, cioè il disobbedire dell'io alle leggi ritenute ingiuste, non è il noi-siamo-e-quindi-legiferiamo-e-governiamo).

Chi non è certo che quello è un albero, cioè chi è insicuro in merito al percepire le cose del mondo, come può ritenersi un fisico, o professare una scienza che si occupa di cose fisiche? Il concetto di "fisico" riguarda le cose fisiche, pratiche. L'incertezza porta pertanto a considerare le teorie come cose fisiche, perché nella teoria posso avere la certezza di sostituire il percepire col teorizzare. Perciò Einstein evitò di dedicarsi ad "una professione pratica" come egli stesso ebbe a dichiarare, anche se suo padre avrebbe voluto per suo figlio un'occupazione tecnica, cioè pratica. Inoltre è notorio che Einstein ebbe difficoltà a trovare lavoro e che, quando lo trovò, ne cercò subito un altro diverso, una, due, tre volte, ma non a causa del suo disturbo mentale d'apprendimento, nonostante sapesse di avere poca memoria, di non riuscire a scrivere correttamente le proposizioni, di non sapere le tabelline, che non imparò mai, dato che non riuscendo a risolvere i problemi di matematica e di scienza mise nel suo studio una lavagna con su scritte le tabelline. Questo suo modo inusuale di risolvere i problemi matematici gli permise di essere infante anche nell'età adulta, di essere perennemente sognante e completamente distaccato, nel suo psichismo, dalla vita reale. Questo rifiuto del mondo reale fu il suo vero problema di crescita interiore, maggiore del suo problema di apprendimento. Così come Fichte aveva tentato in filosofia di dedurre dall'"io" l'intero edificio del mondo, arrivando però solo ad una grandiosa immagine mentale del mondo senza alcun contenuto sperimentale, allo stesso modo Einstein tentò di indurre i contenuti sperimentali in teorie impossibili da verificare, arrivando ad un'altrettanto grandiosa immagine mentale del mondo priva di "io".

Einstein trasforma infatti l'esperimento in psichismo, ma la trasformazione di ciò che è pratico in ciò che non lo è, risulta per il sano pensare solo un dialettismo manipolatore pieno di logica surreale o sognante. Gli esperimenti mentali di Einstein sono logici ma sognanti, cioè privi di connessione col mondo reale. Egli immagina per esempio se stesso chiuso in una cassa appesa ad una torre, e dice: se cado dalla torre stando nella cassa, il rapporto tra me e le pareti della cassa resta invariato, quindi non mi rendo conto del movimento, dato che le pareti si spostano con me; pertanto non sono in grado di stabilire se qualcuno stia calando la corda alla quale è appesa la cassa in cui mi trovo... non posso essere certo di andare giù o su; qualcuno mi sta facendo scendere da lassù, oppure la cassa si è sganciata e la Terra mi sta attraendo in giù? In base a questa logica dell'incertezza (della cassa appesa ad una corda, oltretutto pazzesca perché già il fatto che la corda sia appesa determina l'esistenza della forza di gravità, ma stendiamo un velo pietoso) egli è convinto della relatività in quanto secondo lui non si può dire se la cassa viene tirata su oppure giù. Il fatto sembra logico.

Ciò che però sembra logico, non è ancora reale. Un sano pensare non può prescindere da DUE qualità che lo contraddistinguono: 1) le cose devono, sì, essere logicamente pensate; ma 2) devono pure corrispondere alla realtà.

Saper vivere nella realtà è necessario se non si vuole permanere nello stato di sogno. Invece immaginarsi una cassa appesa ad una corda che viene tirata su e giù è solo un'idea campata in aria, perché se sono in una cassa appesa a una torre e questa cassa cade giù io sento di stare cadendo, così come sento di salire o di scendere in un ascensore.

Nel ragionamento della cassa di Einstein si tocca con mano il suo non volere essere nella realtà dello stato di veglia, preferendo la fuga nella logica sognante. La fuga è una reazione alla paura, che genera dunque il ritardo nell'accorgersi della differenza fra logica non corrispondente al reale e logica che vi corrisponde. 

Se il nuovo modo di pensare auspicato da Einstein come bisogno ("abbiamo bisogno di un nuovo modo di pensare per risolvere i problemi causati dal vecchio modo di pensare") è quello della cassa appesa alla torre, vi è in quest'uomo un'esigenza di surrealismo, che può essere utile per la fantascienza non per la scienza. E forse neanche tanto, dato che se una forma di fantasia artistica tende a derealizzare la sfera percettiva delle cose fisiche per farne cose meramente psichiche (come la fisica teorica), per forza di cose tende poi anche alla depersonalizzazione di sé.

 

Ecco perché la derealizzazione e la depersonalizzazione sono oggi studiate come due aspetti dello stesso disturbo psichico. Il primo implica un appannamento del senso della realtà. Il secondo implica un appannamento del senso di sé, cioè dell'io.

In Einstein sono presenti entrambi questi aspetti: da un lato egli teorizza che la percezione è relativa, dato che per esempio la luce delle stelle per giungere ai nostri occhi impiegherebbe un tempo talmente lungo in termini di "spazio-tempo" che la loro luce potrebbe già essersi spenta; dall'altro lato, esprime la depersonalizzazione come omelia sul valore dell'uomo dicendo: "il vero valore di un uomo si determina esaminando in quale misura e in che senso egli è giunto a liberarsi dall'io" (A. Einstein, "Come io vedo il mondo", Newton Compton, Roma 1999, p.28). Sembra però che questa predica egli la rivolga a tutti tranne che a se stesso, dato che scrisse queste parole in un libro che intitolò "Come io vedo il mondo". Sarebbe un po' come dire: io non valgo nulla, dato che ho inserito il mio io perfino nel titolo del libro in cui predico di liberarci dall'io.

Le sensazioni crepuscolari proprie dell'addormentamento o del risveglio caratterizzano i momenti di passaggio tra la veglia e il sonno e viceversa. Le percezioni provenienti dal mondo esterno (esterocettive) e quelle provenienti dall'io (propriocettive), quando stiamo per addormentarci o per risvegliarci sono leggermente alterate e spesso i due mondi, della veglia e del sonno, non sono del tutto distinti e si confondono tra loro.

 

Per avere un'idea di ciò che prova un individuo che sperimenta la depersonalizzazione e/o la derealizzazione basta avvertire come ogni notte diventiamo non presenti a noi stessi nel dormiveglia di quando ci addormentiamo, e come al mattino siamo ancora immersi in quel dormiveglia quando a causa dell'eco onirica fatichiamo qualche istante prima di svegliarci del tutto.

 

Di per sé queste due condizioni di coscienza non sono qualcosa di patologico. Quando però nel nostro risvegliarci al mattino avvertiamo con dubbio la percezione di noi stessi e della realtà esterna come se si trattasse di qualcosa di non precisamente vero e reale, tutto appare psichicamente soggettivo e quindi non scientifico in quanto non oggettivo. Questo esagerato apparire del dubbio diventa allora paura e la conseguente derealizzazione e depersonalizzazione diventano patologiche. Il ritardo mentale della consapevolezza dell'oggetto percepibile e del suo concetto, che INSIEME danno la realtà, è proprio questa patologia. Si potrà uscire da questo serpente "rigorosamente scientifico" che si morde la coda solo in un modo: riconoscendolo come trappola dogmatica. Se infatti si pretende che una scienza "rigorosamente oggettiva" faccia scaturire i suoi contenuti soltanto dall'osservazione, occorre pure pretendere che tale scienza rinunci del tutto al pensare, dato che il pensare per sua natura va sempre al di là dell'osservato (cfr. R. Steiner in "La scienza della libertà", 4° cap. de "La filosofia della libertà": "Il mondo come percezione"). Questa riflessione manca alla fisica per ritornare a svilupparsi dal pantano in cui si è immobilizzata con Einstein, e per portare ancora frutti costruttivi.

 

 

Si veda anche "La fede nella bomba di Einstein"

 

(1) Ecco le sue precise parole (nel video sottostante): "Se tu sai che 2 + 2 fa 4 non sei più libero di dire diversamente, per cui io sono contento di vivere nel dubbio".

 

 

Video originale: https://youtu.be/0bwv4q2tEtw