La fede nella bomba di Einstein

 

L'attribuzione ad Einstein del "merito scientifico" della costruzione dell'ordigno atomico è controversa per molti. A me pare sia solo una superstizione. 

 

Per esempio, siccome "c" (velocità della luce nel vuoto) è arbitraria (in quanto unità di misura non supportata da prove sperimentali reali e ciononostante assolutizzata come immutabile, incontrovertibile), si può con essa rendere "miracolosa" qualsiasi velocità: «secondo la cabala einsteiniana in fondo niente è "reale" e tutto "fantasmatico" - tutto cambia e magari contraddice se stesso, basta cambiare disinvoltamente il "soggetto osservatore". Quindi se si accetta quella cabala, ci potrebbe essere addirittura una fioritura di effetti termonucleari in ogni insospettata occasione. L'ordigno termonucleare, tragicamente reale, è spesso citato come prova empirica della validità dell'einsteinismo. In realtà, semmai, dovrebbe essere al rovescio. Qualcosa di assolutamente reale qual'è l'ordigno termonucleare ben difficilmente potrebbe basarsi su fatti fantasmatici quali sono i coacervi algebrici einsteniani/relativistici» (S. Lorenzoni, "Come si rende miracolosa qualsiasi velocità" in "Contro l'einsteinismo", Libreria Editrice Primordia, pp. 27-27, Milano 2013) (1).

 

Non occorre certamente basarsi sui libri di Lorenzoni per accorgersi dell'inconsistenza della fisica teorica. Basterebbe osservare che l'idea stessa di fisica teorica è spuria in quanto mescola insieme due elementi essenzialmente contrari. L'elemento fisico riguarda infatti la sfera MATERIALE o sostanza delle cose osservabili della natura, l'elemento teorico invece quella IMMATERIALE del pensare su di esse. Nella lingua greca "theorìa" significa appunto "visione", "contemplazione" delle cose del mondo. La teoria che "vede" o "contempla" non le cose del mondo ma altre teorie non può essere che immagine di un autoritario giusnaturalismo scambiato per scienza naturale. L'antico adagio "Non auctoritas, sed veritas facit legem" insegna invece che la verità è il principio ispiratore della legge, la quale è data dalla natura delle cose, non da un'altra legge, dato che il luogo in cui mostra la propria autentica essenza è la natura delle cose del mondo. Oggi ci siamo invece abituati al principio opposto "Non veritas, sed auctoritas facit legem" enunciato per la prima volta da Hobbes. E questo è il principio stesso di ogni statalismo, che ci ha condotti al tragico, considerato come cosa buona e giusta (nella cultura, nella giustizia e nell'economia) e di cui la fede nell'einsteinismo è solo una delle tante espressioni.

 

L'einsteinismo - va detto - è mero fideismo. Si affermò solo proprio perché era qualcosa di troppo stupido per poggiare su basi scientifiche sperimentali reali. Per accettarlo bastava da un lato la pusillanimità di ritenere se stessi incapaci di pensare simili idiozie e dall'altro la fede nel "genio" Einstein, suprema autorità, appunto, dato che egli stesso le aveva formulate come grande esperto, in base a principi "tutti-suoi-ma-di-altri", predicando che, dopo l'avvento della sua teoria (teoria di teorie altrui) la fisica non avrebbe più dovuto intendersi intuitivamente ma solo comprendersi! Le menti deformi (cioè anti-intuitive e credulone) di questa cialtroneria non furono di fatto mai più in grado di spezzare un benché minimo influsso di tale aberrazione.

 

Ecco come nacque il predicozzo: nel 1920 a Bad Nauheim, in occasione del locale congresso di ricercatori scientifici, ebbe luogo il famoso dibattito fra Philipp Eduard Anton von Lenard ed Einstein. In quel dibattito Einstein aveva umilmente paragonato il proprio paradossale lavoro a quello di Galilei. Lenard allora, appellandosi al sano pensare intuitivo nonché interpretativo della ragione umana, si era indignato un po' di fronte alle panzane proclamate come cose buone e giuste per la fisica. Einstein ebbe allora ad obiettare che "è pericoloso in Fisica usare la sana ragione umana, dato che la Fisica va compresa e non intuita". Questa frase è riportata dal libro di B. Thüring, "Albert Einsteins Umsturzversuch der Physik und seine inneren Möglichkeiten und Ursachen", Hanseatische Verlagsanstalt, Hamburg 1940; in it.: "Einstein e il Talmud. Il tentativo einsteniano di scardinare la fisica", Ed. Ar.

 

Riporto inoltre anche quest'altra testimonianza da un altro testo, cioè dal 21° volume di "Physikalische Zeitschrift", pp. 666-668 del 1920: "[Con l'avvento della relatività] ciò che l'uomo considera intuitivo o non intuitivo è cambiato! La concezione di ciò che è intuitivo è in certa misura una funzione del tempo. Intendo dire che la Fisica è comprensibile e non intuitiva" ("Physikalische Zeitschrift", Vol. 21: "Allgemeine Diskussion ueber Relativitaetstheorie bei Versammlung deutscher Naturforscher und Aerzte", Bad Nauheim, September 1920). La traduzione dell'integrale estratto di questa "Discussione generale sulla Teoria della Relatività tenuta al Congresso dei Medici e Scienziati tedeschi (Bad Nauheim, Settembre 1920) è accessibile alla pagina http://www.cartesio-episteme.net/ep8/lenard.pdf. Lo studioso ne dovrebbe tenere conto, dato che questa corbelleria di Einstein ebbe una tale progressiva eco nella letteratura di divulgazione scientifica e nei Media, che continua ancora oggi a generare attivisti non pensanti in ogni campo (della cultura, dell'economia e del diritto).

 

Nella dinamica delle parole di Einstein finalizzate a togliere realtà all'intuire vi è solo un gioco di parole, molto facile da comprendere, dato che "ciò che è intuitivo" ha bisogno del "tempo" per intuire, ESATTAMENTE come ogni "comprensione" ha bisogno del "tempo" per comprendere.

 

Insomma Einstein credeva che bastasse battezzare una certa funzione cervellotica col nome di "tempo", così che poi questo tempo (ma lo avrebbe potuto fare con qualsiasi altro concetto o idea da comprendere) potesse avere un'origine e una fine, e quant'altro egli volesse calcolare matematicamente. Einstein però scordava che l'introduzione del concetto di infinito nella sua teoria, anzi, nel suo gioco, mandava tutto all'aria. Infatti fu proprio Einstein (quindici anni prima) a introdurre quel gioco di ruolo da lui attribuito alla luce e che - ripeto - collegando la "velocità della luce" al concetto di infinito: "Nella mia Teoria (della relatività) la velocità della luce gioca fisicamente il ruolo di una velocità infinita" (Theory of Relativity: a critical analysis, op cit.; trad. italiana: Roberto A. Monti, "Teoria della relatività: un'analisi critica") (A. Einstein, Ann. Phys., 17, 891, 1905, op. cit) (i.e.: A. Einstein, "Zur Elektrodynamik Bewegter Korper", "Annalen der Physik", 17, 1905, pp. 891-921, edizione italiana in: "Cinquant'anni di relatività", Ed. Giuntine Sansoni, Firenze, 1955, pp. 479-504).

 

Quando però al finito mondo fisico-minerale delle unità di misura si applica il concetto di infinito si può sempre ricavare la misura di qualcosa e contemporaneamente leggerla come metà o doppio, triplo, ecc., all'infinito. Ciò è facilmente verificabile: confrontando una sequenza di numeri dall'1 all'infinito con un'altra costituita da soli numeri pari pari dal 2 all'infinito, la prima e la seconda sequenza, giocando fisicamente il proprio ruolo all'infinito, non possono avere che il medesimo quantitativo di numeri perché l'infinito è uguale a se stesso e quindi riguarda entrambe le liste. Eppure nella sequenza dei soli numeri pari, mancano i numeri dispari, quindi si può affermare paradossalmente che, pur avendo il medesimo quantitativo di numeri della prima, quest'altra ne ha la metà! Lo stesso ragionamento si può fare non solo con sequenze da 1 o da 2 all'infinito ma con tutte le altre infinitamente possibili: 3, 6, 9, 12, ecc., 4, 8, 12, 16, ecc., 5, 10, 15, 20, e così via. In tal modo si può dire che le varie quantità di numeri delle rispettive sequenze sono tutte uguali ma tutte diverse.

 

Questo ragionamento, degno dei giochetti della "Settimana enigmistica", non poggia sulla realtà ma solo su astrazioni. Qui la logica astratta finalizzata ad un'immaginazione senza freni o sognante si scontra con la logica di realtà, dato che se si hanno due mele e se ne mangia una si resta incontrovertibilmente con una sola mela. E nessuno può dire che ciò è relativo. 

 

Einstein portava insomma ogni cosa, infinito compreso, verso la misurazione, relegando tutto ad regno della quantità o della pura forma in cui la matematica delle unità di misura, cioè delle convenzioni, appariva, ed appare ancora oggi ai più creduloni, come il cappello di un prestigiatore, da cui può uscire fuori tutto e il contrario di tutto!

 

Oggi questo è comunque stato smascherato, anche se non lo si vuole accettare: nello scritto "Symmetries and Asymmetries in Classical and Relativistic", "Foundations of Physics", 21, 7, 1991, di U. Bartocci e M. M. Capria, si dimostra che perfino il fenomeno dell'induzione assunto da Einstein a fondamento paradigmatico per la sua proposta di estensione del principio di relatività all'elettromagnetismo di Maxwell è in realtà soltanto frutto di una mera coincidenza di calcolo. Infatti la pretesa simmetria in tanti altri casi teoricamente prevedibili NON si verifica. In altre parole, l'elettromagnetismo di Maxwell non è "relativistico" come i fisici oggi insegnano, ma lo diventa soltanto quando i suoi parametri essenziali sono definiti in modo relativistico, il che però rimuove allora ogni possibilità di confronto tra DUE teorie che sono invece essenzialmente diverse. La comprensione di questo fatto permette, pertanto, la contestazione - fino a prova contraria - dei supporters di Einstein, credenti ad ogni previsione relativistica in ambito elettromagnetico.

 

Oggi dunque si crede ad Einstein prendendo la bomba atomica a riprova della sua genialità. Questa presunta genialità è invece deficienza logica, cioè logica priva di connessioni col mondo reale.

 

Lo stesso avveniva più di due millenni e mezzo fa col ragionamento eleatico (dialettica di Zenone di Elea). Ecco perché lo spazio-tempo einsteiniano, in cui passato, presente e futuro sono compresenti, inesistenti se in modo "relativo", assomiglia all'essere immutabile parmenideo, senza movimento, origine dei famosi paradossi di Zenone (cfr. http://www.cartesio-episteme.net/st/RELATIV.htm), a cui si ispirò Einstein per i sui giochetti con l'infinito, e secondo il quale Achille non raggiungerebbe mai la tartaruga... Invece nella logica di realtà, chi va più forte raggiunge per primo il traguardo...

 

Oggi si continua a dire che Einstein aveva ragione da una parte e dall'altra ma è solo ideologia in quanto si crede di affermare con ciò i valori politici del sionismo, o dello statalismo, o della sinistra, o del comunismo, o ancora della lotta partigiana. Siamo dunque di fronte al mega pregiudizio di un'umanità disabituata a pensare e sofferente di rimozione del proprio giudizio critico.

 

Ecco perché la scienza di oggi mi appare una vera e propria superstizione. A me pare proprio che Einstein sia stato solo un uomo rimasto allo stadio infantile dell'"erba voglio". Ovviamente sono disposto a cambiare parere se qualcuno mi mostrerà eventuali miei errori di valutazione, dimostrabili scientificamente coi fatti. Non posso però considerare fatto scientifico la credenza del collettivo nella superstizione creduta scientifica. Se mi cade un mattone in testa sento male perché la forza di gravità è reale, e non relativa come risulta dalla relatività einsteiniana.

Nereo Villa, Castell'Arquato 21 Marzo 2018

 

 

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(1) La cultura di Silvano Lorenzoni (alias Silvio Waldner), presidente dell'Associazione Culturale Identità e Tradizione, ed autore del manifesto dell'etnonazionalismo volkisch per una difesa etnica totale dei popoli europei, si situa sull'asse concettuale opposto rispetto al marxismo, alla democrazia, al cosmopolitismo. Il suo errore, simile a quello di Nietzsche, è quello di scambiare il cattolicesimo col cristianesimo, vedendo in quest'ultimo la prima radice di tutti i mali europei. Ciò peraltro non invalida il risultato delle sue ricerche su Albert Einstein, basate su considerazioni scientifiche di molti altri ricercatori e scienziati, quali ad es.: Herbert Dingle, Olinto De Pretto, Nikola Tesla, Umberto Bartocci, Massimo Teodorani, ecc.