Il denaro di donazione

 

Oggi la gente crede di avere in banca i soldi che risparmia, senza avere la minima consapevolezza che tale categoria di denaro si chiama, in senso scientifico-spirituale "denaro di prestito", categoria diversa da quella del "denaro d'acquisto" e dall'altra denominata "denaro di donazione". Proprio per questa credenza, che dai tempi dei tempi (e soprattutto oggi) imperversa per assenza di giudizio critico (pensiero debole) nelle persone, le persone sono turlupinate.

 

L'utilizzo del denaro di donazione è poco conosciuto. Coloro che parlano di utilizzo del denaro per il welfare, parlano di denaro di donazione. Chi però non distingue il denaro di donazione dal denaro di acquisto, e da quello di prestito, si comporta come chi pretendesse ottenere da forza democratica (o dall'unione che fa la forza) il bel tempo...

 

Senza distinguere non si può scegliere. Si può solo scegliere un attivismo fine a se stesso che non porta ad alcunché (1).

 

La caratteristica della donazione di denaro è diversa dalla donazione di altri beni, ed è data dal fatto che chi la riceve ne può disporre come meglio crede, ottenendone notevole libertà di azione.

 

Il denaro dovrebbe essenzialmente essere lo strumento per evitare la violenza (2).

 

Ma la determinazione a donare che senso ha?

 

Innanzitutto tale determinazione implica il chiedersi: cosa significa per me donatore rinunciare a questo denaro che intendo donare?

 

Come donatore ho tre possibilità:

1) regalare denaro in eccesso, generando nel mio capitale una diminuzione di cui a malapena mi accorgo;

2) oppure regalare denaro in eccesso nei limiti in cui ne posso fare ragionevolmente a meno;

3) oppure ancora regalare denaro forzosamente attraverso imposizioni fiscali (tasse).

In effetti nell'odierno nostro organismo sociale è inconsciamente donata una quantità ingente di denaro. Si consideri, per es., il denaro speso per l'educazione dei figli. Tale denaro è regalato.

 

La donazione forzosa è costituita dalle considerevoli somme derivanti dalle imposizioni fiscali, spese dallo Stato per il welfare. Queste donazioni sono però forzate (sono "imposte", appunto). Inoltre non è per nulla chiaro chi o cosa effettivamente determini i criteri secondo i quali questo denaro (di donazione) è speso. Dunque se si vuole che tale donazione forzata sia anche equa e sensata, occorrerebbe almeno fare chiarezza su questo punto.

 

Attualmente ogni individuo italiano è numerato come una cosa o come uno uno schiavo, mediante un codice (fiscale) anch'esso imposto, come del resto è imposta la moneta euro. E nessuno se ne accorge.

 

Altro esempio di mancanza di chiarezza a proposito dell'uso del denaro di donazione (contributi, fisco sul reddito, sull'acquisto di un'auto, bollo, sull'acquisto di una casa, tassa sul diritto di proprietà, ecc.) riguarda il sistema scolastico finanziato dallo Stato.

 

Domanda: uno Stato che finanzi il sistema scolastico può generare libera cultura o genera invece cultura di Stato, cioè cultura dell'obbligo? È ovvio che un'educazione "libera" sancita dalla legge è impossibile in quanto poggiante su antilogica.

 

Lo Stato quindi si sostituisce all'individuo mettendo in un unico calderone i tre tipi di denaro.

 

Nella logica di realtà, senza una mia individuale decisione, il denaro che uso per fare la spesa (denaro d'acquisto) non può trasformarsi in un altro tipo di denaro, poniamo il denaro di prestito. Se infatti ti presto del denaro che ho risparmiato occorre la mia decisione a rinunciare per un certo periodo di tempo a tale risparmio o alla soddisfazione di una parte dei miei bisogni, affinché possa esservi per te che invece ne usufruisci un temporaneo surplus di liquidità monetaria. Lo stesso dicasi per il denaro di donazione. Anch'esso parte da me: devo decidere di rinunciare a spendere il mio denaro, non per un periodo di tempo limitato, ma indefinitamente, allo scopo di permettere ad altri, ad esempio alla mia prole, di utilizzarlo liberamente.

 

L'aspetto temporale tende a passare qui in secondo piano. Al suo posto emerge la possibilità di concedere ad altri la libertà di scelta. Quale? Che tipo di libertà concedo a qualcuno dandogli del denaro? Posso, per esempio, dargli l'opportunità di sviluppare se stesso. Questa è forse la situazione in cui si incontra la forma più pura e completamente invisibile attraverso cui il denaro agisce. Ed è anche la ragione per cui risulta difficile descrivere le caratteristiche del denaro di donazione (denaro donato): nel determinare la libertà degli altri, poniamo di una moglie o della prole, ci ritroviamo presto a dover affrontare diverse difficoltà...

 

Un'antica forma di donazione era l'offerta al Tempio che normalmente avveniva in natura. Ancora nel Medioevo, la vita economica della comunità (o della  "qahal", assemblea comunitaria dei credenti) dipendeva dalle offerte provenienti dalle cosiddette decime, con le quali si manteneva il clero e si finanziava la costruzione delle cattedrali. Durante la Riforma si scoprì quanto questo sistema fosse anch'esso causa di abusi, soprattutto nel campo delle indulgenze, perché molti erano convinti che comprando indulgenze fosse possibile fare ammenda dei loro peccati e/o ricevere favori particolari dal Cielo. Si tratta certo di un esempio preso alla lontana. Per Gesù di Nazaret il vero Tempio a cui occorre contribuire tutti, dovrebbe essere il corpo umano (Giovanni 2, 21). Anche nel capitalismo si parte dal concetto di proprietà attribuito al Tempio così inteso, cioè al corpo umano.

 

Ma un sistema equo non sarebbe tale senza decisione individuale, e la donazione forzosa o forzata, cioè il prelievo fiscale imposto dallo Stato, esclude di fatto la libera decisione dell'individuo. Ecco perché quando Gesù di Nazaret parla della menta e del cumino dice essenzialmente: non credetevi giusti mostrando burocraticamente di pagare formalmente la "mashàr", cioè la decima... Perché finché essa non rientrerà nell'ordine della giustizia ("tzedek") o dell'"atto di rendere giustizia" ("tsedakà") eliminando ogni violazione di proprietà privata ("hasagat ghevùl"),

 

 

essa non servirà a nulla: "Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché pagate la decima della menta, dell'aneto e del cumino, e trascurate le cose più importanti della legge: il giudizio, la misericordia, e la fede. Queste sono le cose che bisognava fare, senza tralasciare le altre" (Matteo 23,23; cfr. anche Luca 11, 42).

 

In generale si può dire che tutto il denaro che affluisce allo Stato sotto forma di tasse e che è poi usato per vari scopi all'interno della società, ha caratteristiche di donazione condizionata.

 

Il governo in particolare deve rendere conto al Parlamento dei soldi che distribuisce.

 

Una delle conseguenze più discusse della donazione soggetta a condizioni riguarda i sussidi versati alle scuole: difficilmente si ottengono dei contributi senza condizioni, per cui la libertà di scelta dei programmi didattici diventa in effetti impossibile, e difficilmente gli insegnanti riescono a svolgere il loro compito educativo con la libertà necessaria.

 

Un'altra importante forma di donazione è rappresentata dall'eredità. Un'altra ancora ma di cui si parla raramente è quella relativa al profitto.

 

Essendo l'inventiva e la creatività negli affari un'importante fonte di profitto, queste qualità dovrebbero essere sempre più coltivate anche dalle generazioni future: educazione, arte, e scienza, sviluppano la creatività. In tal senso dovrebbe essere sentito come ovvio che la sfera economica si accolli il compito di garantire a chi si propone con finalità educative, artistiche o scientifiche, la libertà finanziaria necessaria al loro corretto funzionamento, senza limitazioni da parte dello Stato. In questo modo gli utili potrebbero andare a beneficio dell'istruzione, delle arti e della scienza e generare così nuove iniziative. Facendo un esempio con l'articolazione fisiologica fra testa ed il rimanente corpo umano: come il capo umano contiene l'encefalo, che in unione col midollo spinale costituisce l'asse cerebro-spinale completandosi come sistema nervoso, così il capitalismo in unione con la libera inventiva e creatività dovrebbe costituire il proprio asse ortologico, secondo una logica di giustizia in grado di reggersi da sé. Invece non appena si parla di profitto, si scatena una grande competizione assurdamente egoistica, come se tornando all'esempio del corpo umano il capo fosse completamente distaccato dal tronco e dagli arti. In altre parole si procede a gomitate sperimentando continuamente la tentazione di trarre profitto a spese di qualcun altro, inducendo tutto il sistema ad una concorrenza estrema che mina ogni dinamica di solidarietà e, in ultima analisi, ogni vero profitto.

 

Per spiegare meglio cosa intendo per "vero profitto", occorre sottolineare l'importanza dell'universalità del pensare anche in senso linguistico: il termine profitto proviene dal latino "proficere" che significa innanzitutto "avanzarsi, farsi innanzi", "progredire", e secondariamente "profittarsi". Il profitto che non conviene a tutti si rivela come una convenzione antiumana, cioè forzosa. Una leggenda Sufi sulla differenza fra paradiso e inferno illustra il senso universale del profitto, cioè di un profitto conveniente universalmente. La leggenda evoca una tavola imbandita con enormi posate: vi è un ghiotto pasto pronto per essere mangiato; nell'inferno ognuno prende un cucchiaio ma nessuno riesce a mangiare (il cucchiaio è troppo lungo) e tutto il cibo va nervosamente a disperdersi a terra, all'inferno... In paradiso invece tutti profittano di quegli stessi cucchiai ma tutti riescono a mangiare perché tutti imboccano gli altri! Nel sostentamento reciproco il frutto del mio lavoro è la sazietà altrui. Ed io traggo profitto dall'iniziativa altrui. Infatti le iniziative io non le posso comprare, né appropriarmene; posso solo favorirle. E questo è il vero senso dell'imprenditoria. Fuori da questa logica cosa avviene invece? I consumatori chiedono ovviamente prezzi più bassi, i dipendenti reclamano la loro parte sotto forma di aumenti salariali, gli imprenditori, scaricando i propri oneri fiscali sui prezzi dei prodotti, cercano di trattenere dal profitto il massimo possibile, allo scopo di costituire riserve di capitale, che permettano di consolidare l'indipendenza e la continuità dell'impresa. In tal modo, chi paga maggiormente la colpa di questo sistema monetario ed economico - antistorico, in quanto ancora poggiante su forzose signorie emittenti e monopolio legalizzato - sono i meno abbienti: i poveri che, oltre alle proprie tasse, pagano indirettamente anche quelle che sono state scaricate sui prezzi di tutti i prodotti necessari all'esistenza. Infine il governo chiede poi la sua parte, poiché una quota considerevole del profitto viene assorbita dalle tasse che servono a finanziare i partiti, e i progetti statali, come la cosiddetta redistribuzione (sic!) del reddito, la previdenza sociale, e la vita culturale. È la follia. Ed è così che procediamo arretrati dai tempi di Verre! È chiaro che la vita culturale è (dovrebbe essere) una fonte indispensabile di rinnovamento e di stimolo per uno sviluppo libero della vita economica. In realtà, avviene il contrario, dato che la scuola dell'obbligo (scuola di Stato) genera solo stampini ideologici dello statalismo in cui si impara la burocrazia e/o la mera logica formale come massima... divinità.

 

Per creare questo spazio di libertà per la vita culturale è indispensabile disporre di denaro regalato reale, non di "donazioni forzate".

 

Se questo spazio di libertà per la vita culturale continua ad essere fornito dallo Stato attraverso il circuito indiretto dell'imposizione fiscale, con il contorno dei condizionamenti che ne consegue, questa importante fonte di rinnovamento e di sviluppo non può che inaridire, impoverendo tutta la società.

 

NOTE

 

(1) Chi non distingue le tre forme essenziali del denaro (acquisto, prestito, e donazione) e si fa attivista promotore di un solo suo aspetto, cercando consensi, voti, aderenti, ecc., divide di fatto gli uomini in buoni e cattivi, obbligandoli psicologicamente e con dispendio di tempo e denaro (volantini, pubblicità, emails, spot pubblicitari, ecc.), ad organizzarsi a loro volta per cercare altri aderenti secondo l'antilogica del pagare (propaganda, campagna pubblicitaria, public relations, ecc.) per avere consensi col risultato di una "catena di sant'antonio" capace di produrre solo dispendio di tempo, energia, e "onorevole" stupidità per le solite stolide "azioni politiche" dei nostri politici.

 

(2) Quando nel racconto biblico Abramo si insedia a Canaan, Dio (יהוה, Yhwh) gli da' due ordini. Il primo è di crescere, moltiplicarsi, valorizzare la terra e di essere ricco per servirlo. In Genesi 13, 2 è misurato con fierezza il progresso di questa ricchezza: "Abramo era carico di greggi, argento e oro", tutti beni che rappresentavano allora le principali monete di scambio. E per ottenerli, quasi tutti i mezzi sono buoni, perfino l'inganno, dato che Abramo arriva a far passare sua moglie Sara per sua sorella, aspettandosi così di ricevere dei doni da coloro che vorrebbero sposarla! Il secondo ordine è un divieto, dato che Dio gli vieta il sacrificio umano, allontanando il coltello dalla gola di Isacco, figlio di Abramo e di Sara, preferito, secondo il testo, a Ismaele, il maggiore, figlio di un'altra delle sue mogli, Agar, nel quale la tradizione vede l'antenato degli arabi del deserto. Sembra dunque che Dio abbia posto così fine, ma solo per il popolo ebraico, a millenarie uccisioni rituali. Insomma Dio non avrebbe bisogno di sacrificare ebrei, pur non rinunciando al sacrificio animale; colloca così l'uomo ebreo in un posto a parte nella Creazione, dirottando la violenza verso la sola distruzione di ricchezze materiali. Questi due primi ordini di Dio al suo popolo non sono astrattamente indipendenti l'uno dall'altro: la ricchezza sotto forma di greggi, d'oro o d'argento è il migliore sostituto della violenza. Questo legame fra sangue e denaro si trova infinite volte nella Bibbia come lancinante monito mandato da Dio agli ebrei e, attraverso essi, anche ai goìm, cioè a tutti gli altri uomini non ebrei: il denaro è dunque anzitutto un mezzo per evitare la violenza. Imponendo a se stesso la sostituzione del sacrificio con l'offerta, il popolo ebraico annuncia per intero il suo destino, ed utilizzerà il denaro come un mezzo per riparare i danni e arrestare il meccanismo delle rappresaglie. Per il popolo ebraico, che nella storia ha strutturato un rapporto successivamente utile come fondamento per il capitalismo, il denaro diveniva così un mezzo per negoziare invece di combattere, cioè per fare la pace, dato che col il denaro, il popolo ebraico dirà il suo odio nei confronti della violenza. Fino a che la violenza del denaro non si rivolse poi contro di lui... (i dati biblici di questa nota sono presi dall'economista e studioso di ebraico Jaques Attali, "Gli ebrei, il mondo, il denaro", Lecce, 2003).