Alberto Bolognesi
Via col tempo
Sull'agonia della Fisica Teorica
Presentazione di Nereo Villa
Affermando che l'esperimento di Michelson-Morley diede risultato nullo e che i tempi di andata e ritorno di un segnale ottico sono uguali per definizione, Albert Einstein disse due bugie. Infatti - come evidenziò il fisico Roberto Monti - l'esperimento di Michelson-Morley NON HA MAI DATO RISULTATO NULLO, e i tempi di andata e ritorno di un segnale ottico NON SONO UGUALI PER DEFINIZIONE: la loro differenza è dimostrata dall'esistenza dei Giroscopi Ottici. È pertanto ora di gettare alle ortiche l'intera Teoria Einsteiniana e già che ci siamo anche il cervello del suo ideatore, attualmente conservato in formalina come la reliquia di un Dottor Balanzone fatto santo dalla nuova comunità di credenti, sedicente scientifica. Così come Monti mostrò in Fisica che il capo dell'einsteinismo era bacato, allo stesso modo il chimico Alberto Bolognesi - traduttore in italiano di "Seeing red. L'universo non si espande", opera scientifica dell'astrofisico Halton Arp - mostrò in "Via col tempo" che in Astrofisica la coda dell'einsteinismo, detta Big Bang, era altrettanto bacata. La posizione di Arp è infatti empirica e priva di equivoci: o ha torto oppure ha ragione. Non é possibile alcun compromesso all'interno della teoria odierna: se la si accoglie crolla tutto, se la si respinge bisogna confutare dati, osservazioni, lastre fotografiche. Non opinioni... Oggi la kultura di Stato spiega ancora quella Fisica e quell'Astrofisica senza avvedersi che queste non hanno capo, né coda. L'olografia, secondo la quale tutto sarebbe contenuto in un unico punto e in un unico istante, e che da questo sarebbero "proiettate" percezioni (cioè astrazioni) nelle coscienze, è la più grande illusione della fisica teorica. Perciò in questo tipo di Fisica non è possibile alcun cambiamento. Che la fisica teorica sia oggi astrattamente adattata agli esperimenti sulla materia oscura o sull'energia oscura è solo il risultato di una fede in un dio della menzogna. In base alla contraddittorietà dei fisici teorici e di tutti gli scienziati odierni, non potrà esserci cambiamento se non attraverso una catastrofe: in quanto essi ne preparano le condizioni in tutti i campi (culturale, giuridico ed economico). Il cambiamento della scienza presume che si riparta da Goethe. Altri cambiamenti non possono esservi, se non in peggio, proprio perché la fisica teorica è incorreggibile. Se per suonare un difficile passaggio al pianoforte continuo ad eseguirlo pur constatando ogni volta di sbagliare, è assurdo sperare di riuscirci senza cambiare me stesso. Invece non è assurdo tornare indietro fino alla diteggiatura di quel passaggio fino ad avvertire l'errore da correggere. Solo così allora è sperabile che il brano possa essere eseguito. Non vedo altra soluzione. Giocare con le parole potrà ancora favorire l'einsteinismo ma ciò è appunto quello che sta già avvenendo. Quindi, ripeto, per il cambiamento non vi sono altre vie che cambiare.
Nereo Villa, Castell'Arquato, 29 gennaio 2018
ĞA Beatrice Hill Tinsleyğ
ĞSulle tracce del tempo
Dagli effetti spettacolari di una carambola di boccette sul tappeto di un
biliardo possiamo intuitivamente
comprendere che la FRECCIA DEL TEMPO coincide col principio di causalità. Ma a
una precisa descrizione delle
traiettorie e degli scontri che avvengono durante una partita si può pervenire
soltanto dopo aver
fissato un sistema invariabile di misurazione del movimento, un'origine e un
verso positivo.
Ogni sistema di misurazione del tempo trova una soddisfacente schematizzazione
geometrica in
un sistema di ascisse su una retta, cosicché ad ogni avvenimento viene a
corrispondere un punto della
retta. E viceversa. L'ascissa del punto corrispondente ad un evento viene
chiamata ASCISSA TEMPORALE
dell'evento considerato e si indica con
t; con
t si definisce anche l'istante,
il TEMPO ATTUALE e il tempo
dell'evento. All'origine delle ascisse corrisponde l'origine dei tempi, o
ISTANTE INIZIALE. Viene assegnata
ascissa temporale positiva agli eventi posteriori all'istante iniziale e ascissa
negativa a quelli anteriori,
sebbene in cosmologia ciò non accada mai, perché NULLA PUÒ PRECEDERE L'INIZIO
DEGLI INIZI NELLA TEORIA DEL BIG BANG (: la frase alla moda é che non si può chiedere il logaritmo
di un numero negativo).
La differenza fra due valori del tempo, cioè fra due istanti non necessariamente
collegati con due
eventi, si definisce come intervallo di tempo, ed é in grado di rappresentare la
durata di un fenomeno allo
stesso modo che un metro o un raggio laser possono definire le dimensioni
spaziali. Ma quanto é
lungo un metro, e quanto dura un secondo?
Come già aveva fatto con la metrica, "vero e proprio sensorium di Dio, sempre
uguale a se
stesso e immobile", il grande Isacco Newton eleva il tempo a ente fisico
assoluto, che
"conformemente alla sua natura fluisce uniforme senza rapporto alcuno con
oggetti esteriori".
Possiamo andare un attimo a una partita di scacchi in cui il verso del tempo è
manifestamente
definito dalla successione delle mosse dei due contendenti. La freccia degli
eventi é fissata dal
movimento dei pezzi sulla scacchiera e rigidamente connessa con le conseguenze
che ne scaturiscono. La
temporalità dell'avvenimento coincide proprio con le mosse, vale a dire con le
decisioni dei due
giocatori. Ma c'è un piccolo orologio a un lato della scacchiera che pare
disinteressarsi
completamente della questione e perfino - sembra incredibile! - della stessa
freccia del tempo. Per i
relativisti il ticchettio dell'orologio di gara é una mera convenzione. Per
l'organizzatore del Torneo
è invece una provvidenziale limitazione del tempo di riflessione, mentre per
Newton (e per i due
giocatori di scacchi!) una realtà ineluttabile assoluta.
Un buon modo di prendere confidenza con la freccia del tempo é quello di seguire
le orme impresse
da QUALCUNO sulla sabbia di una spiaggia: possiamo fissarne la successione
temporale e perfino
riconoscere l'impronta particolare e decisiva che ha impartito una direzione
invece di un'altra, ma
per quanti sforzi siamo disposti a fare, anche avvalendoci di cronometri o di
cellule fotoelettriche, non
riusciremo mai a dimostrare che tra un passo e l'altro c'è una invariabile
quantità spaziale o
temporale. Le analisi più accurate dimostreranno sempre che l'intervallo
temporale e spaziale tra un
passo e l'altro non é mai rigorosamente lo stesso e che la freccia degli eventi
ha tutt'al più una direzione
privilegiata. Nulla osta che il viandante sarebbe potuto tornare sui suoi passi
camminando
all'indietro, facendo combaciare perfettamente le impronte e traendoci in
inganno sulla successione
temporale delle stesse. Se poi non sapessimo nulla nemmeno della morfologia
dell'essere che le ha
formate, potremmo perfino dubitare della loro distribuzione sulla sabbia e
ipotizzare una creatura
favolosa in cui l'impronta nr. 22 precede per esempio la nr. 7, mentre la 5 é
simultanea della 125 e posteriore alla 6... Naturalmente qualcuno può obiettare
che c'è sempre il modo di dimostrare LO SCORRERE DEL TEMPO e quindi l'orientamento effettivo delle orme, perché la
brezza marina spira in
continuazione trasportando granelli di sabbia che si fissano ai contorni delle
impronte e che faranno
scomparire più rapidamente quelle che ne sono rimaste esposte più a lungo. E non
serve eccepire che la
"bava" spira più forte in riva al mare e che magari sono proprio le impronte più
recenti a subire
l'insabbiamento: la corretta interpretazione delle circostanze atmosferiche
dovrebbe sempre consentirci
di dare alle tracce un orientamento secondo l'immortale coordinata del prima e
del poi.
Un punticino a favore della variabile immaginaria? Beh, possiamo scommettere che
se
facciamo bollire due uova per cinque minuti avremo proprio un paio di uova
bollite per cinque minuti e che
se mettiamo a stagionare un formaggio un vino o un prosciutto otterremo uno
"stravecchio", un
"marsala" o un "San Daniele". La domanda giusta é però: il vino é diventato
marsala, cognac o
semplicemente é svaporato perché é "passato del tempo" o perché invece é
successo qualcosa al
vino? E ancora: la polvere della clessidra é finita nel vaso sottostante a causa
del fluire del tempo o
soltanto perché c'era un piccolo foro nel vaso comunicante superiore?
Che sciocchezza, eccepirete: é ovvio che il meccanismo che determina il
movimento delle lancette di un
orologio non funziona certo perché il tempo passa...
Figura 1 Diagramma di Minkowski; O: punto - avvenimento - origine arbitraria; Ox, Ot: assi spaziali e temporali di un riferimento galileiano; X'OX, Y'OY: traiettorie dei raggi luminosi che passano per O (considerate e = 1). Queste rette sono le tracce del "cono zero" sul piano (spaziotemporale della figura A, dominio del futuro; P, dominio del passato; E, E' domini "dell'altrove". Queste rette e questi domini sono indipendenti dal riferimento prescelto.
Non siatene troppo certi: un gran numero di fisici non dubita che la vostra
sveglia puntata sulle sette
non suonerà se stanotte il tempo (e non l'orologio) si ferma. Restiamo ancora un
momento sulle impronte
lasciate sulla sabbia dall'ignoto viandante. Se la successione delle orme
rappresenta una direzione
oggettiva nel tempo e nello spazio, viene da pensare che se ripercorriamo
l'itinerario in un tempo
accelerato rispetto a quello che impiega questo signore, potremmo ridurre la
distanza spaziotemporale che
ci separa. Così ci mettiamo in marcia, anzi, gambe in spalla, e dopo dieci
minuti di footing vorticoso ci
ritroviamo proprio a ridosso di un venditore ambulante al quale non par vero che
ci possano essere clienti
tanto determinati.
Ancorché trafelati, viene spontaneo chiederci se con lo spazio abbiamo risalito
anche la china del
tempo. Ma il tempo di chi? Il nostro? Quello del venditore? Quello di Newton?
Tutti e tre? Le reminiscenze
scolastiche ci fanno supporre lì per lì che tutti i tempi siano relativi, e che
non abbia senso parlare di tempo
assoluto ma solo di spazi e di tempi relativi gli uni agli altri e che la
direzione temporale non
abbia alcun senso se non corrisponde a una successione causale di accadimenti
contigui.
Sembra passabile come riflessione, eppure potete fare il giro delle cattedre di
fisica o di filosofia del
pianeta che troverete sempre qualcuno disposto a sostenere che il tempo e lo
spazio rappresentano "continui
misurabili".
Come noto, Leibniz nutriva grandi sospetti sull'oggettività del tempo e dello
spazio. Nel celebre
carteggio che lo opponeva al pensatore Samuel Clarke, grande sostenitore dei
concetti newtoniani, non
dimostra di cavarsela benissimo. Clarke gli eccepisce orgogliosamente che "se lo
spazio e il tempo non
esistessero, Dio avrebbe potuto creare la Terra milioni di anni prima e farla
avanzare in linea retta che nulla
sarebbe cambiato". E aggiunge: "Inoltre il tempo e lo spazio sono delle
quantità, cosa che l'ordine e la
situazione non sono". Pur avendo a disposizione la formidabile risposta che il
tempo é un semplice
contenitore degli avvenimenti, Leibniz non si pronuncia sulla prima eccezione di
Clarke. Si limita
cautamente ad osservare che "se lo spazio e il tempo sono quantità, o piuttosto
cose dotate di quantità, non
c'é dubbio che pure l'ordine possiede una quantità: vi é quello che precede e
quello che segue, vi é la
distanza e l'intervallo". Sembra quasi che "l'ordine" venga qui elevato a
monarca del tempo e dello
spazio, la qual cosa ha permesso a Clarke di guadagnarsi la celebrità per aver
messo nell'angolo, sia pure per
un momento, il suo più illustre corrispondente.
Non dobbiamo sorridere di queste schermaglie a colpi di calamaio. Possiamo
ribattere a Clarke che Dio
non avrebbe anticipato o cambiato alcunché senza cambiare gli avvenimenti, salvo
poi inguaiarci in
una cosmologia contemporanea che richiede attraverso il tempo cosmico un
artefice altrettanto
autorevole di quello ipotizzato da Clarke.
Ma intanto non abbiamo ancora completato la storia della passeggiata sulla
spiaggia, perché proprio
quando ritenevamo di aver risolto ogni apprensione sulla ricomparsa di un tempo
e di uno spazio assoluti, ci
accorgiamo che le impronte delle scarpe del venditore ambulante sono soltanto
molto simili a quelle che
avevamo seguito! Per uno strano scherzo del caso era accaduto che queste
impronte si erano sovrapposte a
quelle del camminatore misterioso, che a uno sguardo attento, infatti,
proseguono evidentissime al di là delle
scarpe dell'ambulante.
Allora proseguiamo la corsa, risaliamo caracollando l'ultima duna che porta ad
un parcheggio
d'automobili e lì, inesorabilmente, perdiamo ogni traccia. Ci sediamo per
riprendere fiato e
puntualmente veniamo raggiunti dal venditore ambulante più che mai deciso a
rifilarci un accendino
dopo il nostro precedente, incomprensibile atteggiamento. Al prezzo di un meno
costoso leccalecca
deduciamo che il proprietario delle orme deve essere salito sulla sua auto, ha
acceso il motore e ha percorso
il sentiero sterrato fino al bivio; probabilmente ha guardato a destra e a
sinistra, ha messo la freccia E SE N'È ANDATO...
Il nostro inseguimento lungo l'asse del tempo non sembra averci avvicinato
nemmeno di un secondo o di
un centimetro all'ignoto viandante: ci assale anzi il dubbio che quelle impronte
potrebbero essere anche di
ieri... Se é così, concludiamo, la sola speranza é quella di incontrarlo nel
futuro, per esempio domani o
dopodomani se é affezionato a questa spiaggia.
Come é complicata questa storia. Albert Einstein ne racconta una più convincente
che dimostra che tutti
i tempi e tutti i moti sono relativi. In omaggio al suo professore Ernst Mach e
al vescovo anglicano
Berkeley (che già duecento anni prima non esitava a sostenere che "la posizione
e il movimento di un
corpo si può pensare solo in rapporto ad altri corpi, e che pertanto di uno
spazio puro che non contenga corpi
non ci si può formare idea alcuna"), Einstein esamina due fulmini che colpiscono
le rotaie di una linea
ferroviaria, un treno in movimento e un deviatore fermo sulla banchina. E si
compromette molto di più.
Dopo aver fatto le bucce del tempo e dello spazio newtoniani per mezzo delle
trasformazioni di Lorentz,
dopo aver dimostrato l'inadeguatezza del vecchio concetto di etere, delle
nozioni classiche di distanza
spaziale e di simultaneità, sostituendole con quelle di un tempo e di uno spazio
relativi all'osservatore
(Relatività Ristretta), Einstein ha poi ritenuto di poter pervenire alla
spiegazione del fenomeno della
gravitazione (Relatività Generale). Servendosi di una struttura geometrica
d'avanguardia che combinava le
proprietà del tempo e dello spazio ("cronotopo" o spazio tempo di Minkowski -
fig. 1), sostituì seduta
stante concetti epistemologici che sembravano essere nati con l'uomo. Si
potrebbe malignare che Einstein
non si accontentò di passare alla storia come il più grande castigatore del
tempo e dello spazio. Egli ha
realmente creduto di poter calare tutto l'universo dentro una teoria fisica.
Dovremo farne un cenno per
alzare un poco il tono della discussione.
Spazio, tempo e Einstein
L'idea che la temporalità sia la proprietà primordiale delle cose e preliminare
all'esistenza
dell'universo é stata completamente riabilitata dalla teoria cosmologica del Big
Bang. Newton ritorna al
suo posto. Lo spazio e il tempo fluiscono solenni dal magico istante della
creazione e la radiazione a 3 K°,
relitto dell'esplosione originaria, ci avvolge come un manto straordinariamente
omogeneo svolgendo le
funzioni di vero e proprio "etere cosmico". Contrariamente ai postulati della
Relatività é possibile
opporre il tavolo di Michelson al fondo di microonde e così definire una
velocità uniforme assoluta
rispetto all'universo (un corpo materiale che si muova nello spazio a velocità elevata può rilevare
la variazione di energia delle microonde tramite l'effetto Doppler). Ad Einstein resta il dominio delle vicende interne e
locali della fisica estrema a
cui si deve ricorrere per recepire produzioni di energia favolose (quasars e
buchi neri) o per giustificare
imbarazzanti distribuzioni di redshift tramite effetti di "lente
gravitazionale".
Eppure la storia non era affatto partita in questo modo. Il punto di partenza
delle due teorie - ristretta e
generale - era quello di sottoporre a critica radicale lo spazio, il tempo, il
moto, l'inerzia, l'energia e la
massa, allo scopo di formulare una descrizione invariante e oggettiva valida per
ogni sistema di
coordinate.
Nella teoria ristretta il giovane Einstein sviluppa le conseguenze di due
assiomi la cui integrazione é
fondamentale per la coerenza delle rappresentazioni della fisica. Questi assiomi
sono:
1 - Invariamza e insuperabilità della velocità della luce nel vuoto: la sua misurazione deve fornire sempre il medesimo risultato quale che sia la velocità relativa della sorgente e dell'osservatore.
2 - Principio di relatività ristretta: chiamando riferimento d'inerzia ogni riferimento in quiete o in moto rettilineo e uniforme rispetto agli assi di Copernico, non c'é esperienza fisica all'interno di tale riferimento che possa evidenziare lo stato di movimento relativo (rettilineo e uniforme) rispetto ad un altro.
Dal contenuto di entrambi gli assiomi deriva che le lunghezze e gli intervalli
di tempo tra gli oggetti e gli
avvenimenti fisici non sono proprietà peculiari e intrinseche, ma che la loro
misura dipende
dall'osservatore. La trasformazione di Lorentz stabilisce infatti la
corrispondenza tra le misure
temporali e quelle di lunghezza. È facilissimo render conto di questo effetto
immaginando due vetture
impegnate in una competizione che procedono ad alta velocità, separate
dall'intervallo temporale
corrispondente ad un secondo: quando il tracciato é tortuoso - e la velocità
diminuisce - le due vetture
appaiono vicinissime; quando percorrono un rettilineo e la velocità aumenta,
appaiono più distanziate.
Naturalmente la contrazione descritta dalla Relatività Ristretta riguarda tutto
lo spazio e i corpi che
vi si muovono: così si può calcolare che due auto di formula uno si riducano IN
LUNGHEZZA di un fattore
che sfiora le dimensioni di un diametro atomico (si parla sempre, ovviamente, di
velocità nel vuoto, dove non entrano in gioco la resistenza dell'aria ed altri
fattori) e un missile che procede a
40.000 chilometri all'ora di un
centesimo di millimetro. Se però prendiamo in esame razzi interstellari che
riescano a muoversi a
velocità pari al 50, o al 99 per cento della velocità della luce, dobbiamo
attenderci una riduzione delle
lunghezze che va dal 14 all'86 per cento di quella che avevano quando si
trovavano in attesa del "go"
sulla rampa di lancio.
È posto un limite fisico oltreché teorico alla possibilità di imprimere velocità
a un oggetto: in particolare
la cosiddetta massa di inerzia che misura la resistenza a ulteriori
accelerazioni aumenta al di là di ogni limite
approssimandosi alla velocità della luce. Ciò ha suggerito ad Einstein che la
massa relativistica di un
oggetto derivi dalla sua massa di quiete e dal contributo che si può attribuire
alla sua energia cinetica con la
conseguenza che ad ogni energia
E
si può pensare associata una massa
m = E/c²
che viene detta massa
dell'energia, e viceversa che a ogni massa
m
si può pensare associata un'energia
E = m* c2².
Ma lo stesso Einstein non poteva accontentarsi di una limitata applicabilità del
principio di relatività del
moto. Su questo punto egli condivideva le vedute di Mach, per il quale le forze
di inerzia di un corpo sono
il risultato dell'interazione complessiva di tutti i corpi.
Queste considerazioni (ed altre ancora) lo indussero a stabilire una equivalenza
tra l'inerzia e la
gravitazione e a ricercare una teoria generale e invariante del fenomeno che si
avvalesse della struttura metrica
del cronotopo o spazio-tempo di Minkowski (Fig. 1).
La grande idea che lo spazio fisico potesse incurvarsi in prossimità di corpi
massicci lo indusse a
scrivere, nel 1915, le equazioni relativistiche della gravitazione. Vennero
formulate in base a tre assiomi che
sono del tutto trascurati dalla cosmologia attuale, e cioè:
1 - Totale determinazione della metrica da parte della materia: le proprietà metriche dello spazio-tempo sono determinate in ogni punto dalla distribuzione delle masse e dell'energia nei dintorni di quel punto.
2 - Equivalenza: le forze d'inerzia sono della stessa natura delle forze di gravitazione.
3 - Covarianza: l'espressione delle leggi fisiche deve essere indipendente dalla scelta delle coordinate che individuano lo spazio-tempo.
Il risultato è una rappresentazione stereografica del fenomeno della
gravitazione: sparisce
completamente il concetto di gravità e di inerzia intesi come una forza
indipendente e intrinseca dei corpi,
mentre il tempo e lo spazio vengono assimilati nella struttura metrica dello
spazio-tempo. La gravità appare,
insomma, come l'effetto della curvatura del mondo quadridimensionale
spazio-temporale.
Applicata all'universo e al mondo delle galassie la Relatività Generale
considererebbe
insoddisfacente la concezione newtoniana per la quale il corpo più massiccio
esercita direttamente una forza
sulle masse minori facendo loro descrivere orbite circolari o ellittiche intorno
ad esso. Nella nuova concezione
einsteniana si dovrebbe dire che la massa della galassia dominante di un ammasso
incurva il mondo
spazio-temporale circostante e che le galassie compagne percorrono linee
geodetiche che seguono la
curvatura prodotta dalla sua ingente massa.
Ritorno al passato
Esamineremo subito i risultati cosmologici a cui Einstein pervenne applicando
gli assiomi delle sue teorie. Dobbiamo però soffermarci sulla questione,
tutt'altro che marginale, della revisione dei significati di tempo e di spazio
che impone la nuova prospettiva: possiamo ancora fare ricorso a queste nozioni
come distinte l'una dall'altra o dobbiamo d'ora in poi ricordare che stiamo
parlando di una varietà
riemanniana
tridimensionale a cui è associata una coordinata temporale (x,
y,
z,
t)? Lo spazio-tempo è insomma ciò che direttamente incarna la realtà fisica o corrisponde
invece a un espediente
matematico altamente sofisticato che unisce due aspetti differenti della Natura?
L'ideatore di questa struttura geometrica,
Hermann Minkowski, le attribuiva un
significato del tutto
realistico. A differenza dello spazio che é costituito di punti spaziali, lo
spazio-tempo consiste infatti di
punti spaziotemporali, ciascuno dei quali é un luogo particolare in un momento
particolare. L'esistenza
di un essere vivente, (ma anche di una particella o di una stella) forma una
sorta di tubo
quadridimensionale LUNGO E CONVOLUTO nello spazio-tempo. Un oggetto osservato in
un punto dato
corrisponde a una sezione tridimensionale di questo tubo quadridimensionale; e
la linea lungo la quale il tubo
si snoda viene chiamata LINEA UNIVERSALE di quell'oggetto. In essa, lungo ogni
punto, si connette il
passato, il presente e il futuro attraverso linee che si diffondono con un
angolo di 45 gradi e che sono
soggette al limite della velocità di propagazione della luce. Le linee
universali corrispondono così a
radiazioni luminose che formano un cono in tutte le direzioni, senza che
l'oggetto possa mai fuoriuscire
da quel cono di luce che si propaga da un qualsiasi punto del suo passato.
Molti fisici contemporanei condividono l'opinione di Minkowski e sono
affascinati dal fatto che le
forme di vita e gli esseri pensanti percorrono ineluttabilmente quelle linee di
universo come se fossero state
tracciate ancora prima di essere percorse. Questo ha ridato slancio a tutta una
serie di congetture che
ripropongono il sogno fantascientifico di viaggiare a ritroso nel tempo.
Era stato subito intuito, del resto, che se velocità prossime a quelle della
luce in un sistema in movimento
rallentano lo SCORRERE del tempo, velocità superiori avrebbero prodotto
addirittura il volgere all'indietro del
tempo. Einstein, sempre riservato a questo proposito, fa riferimento al
principio di causalità e non adotta mai
il termine SCORRERE DEL TEMPO. Tuttavia, a causa del cambiamento del segno
algebrico nella trasformazione di
Lorentz, la coordinata temporale diverrebbe reale indicando una distanza
spaziale, mentre tutte le
lunghezze si ridurrebbero a zero e diverrebbero immaginarie.
Sembrerebbe inevitabile che infrangendo la barriera della luce ci ritroveremmo
in un luogo dello spazio-tempo precedente a quello da cui ci siamo allontanati. E se si può eccepire che
risalendo ad una data che era
precedente al momento in cui superammo la velocità della luce noi non possiamo
realmente sostenere di averla
mai superata, non ci sarà facile provare che oggi in realtà sia ieri dal momento
che noi partimmo domani!... I
relativisti della vecchia scuola considerano questa conseguenza come la migliore
conferma
dell'impossibilità di procedere a velocità superiori a quella della luce,
sebbene - come vedremo - l'assioma possa
essere facilmente contraddetto in un universo la cui metrica è considerata in
espansione, ed è anzi in grado di
"stirarsi" a velocità superiori a
c.
L'inversione temporale non viene affatto esclusa dalla fisica corrente. Per
quanto possa apparire
abnorme, sembrerebbe possibile avere l'inverso di un processo irreversibile e
quindi equazioni invertite
rispetto al tempo, buchi bianchi da buchi neri, stelle ghiacciate e, chissà,
forse anche radiazione
luminosa prodotta dal fuoco primario dei telescopi che si propaga nello spazio
per onde sferiche di raggio
decrescente fino a condensarsi in stelle...
E dire che
Kurt Gödel aveva ritenuto, meno di cinquant'anni fa, di vibrare il
colpo finale all'idea
moribonda del "tempo che passa", già così strapazzata dalla critica einsteniana.
Con una celebre
soluzione delle equazioni di Einstein che permetteva di aggirare lo spazio-tempo
"e a qualcuno di far
ritorno nel passato in prossimità dei luoghi in cui aveva vissuto", dimostrò che
in certe condizioni era
possibile identificare linee chiuse in cui se
P si trova nel futuro di
Q su una
linea di universo della materia,
ve ne sono altre di tipo temporale sulle quali
Q si trova nel futuro di
P. "Lì
ritroverebbe una persona che
sarebbe se stesso in un certo periodo precedente della sua stessa vita e
potrebbe far fare a questa persona
qualcosa che lui ricorderebbe non essergli mai capitata" ("A remark about the
relationship between
Relativity theory and idealistic Philosophy in Einstein philosopher" K. Gödel).
La dimostrazione di Gödel è stata esplorata da un gran numero di scrittori di
fantascienza e riproposta
con il termine grossolano di "iperspazio", mentre é istruttivo notare che i
fisici moderni fanno
letteralmente a gara per dimostrarne la correttezza con lo scopo
diametralmente opposto di riaffermare l'esistenza del tempo... Nel 1985
l'astronomo e scrittore di
fantascienza Carl Sagan ha chiesto la consulenza del Politecnico della
California per dare plausibilità ad un suo
romanzo imperniato sui viaggi nel tempo. Ottenne immediato riscontro e la
confortante assicurazione che
due grossi buchi neri gli sarebbero bastati per procurarsi un WORMHOLE (galleria
nello spaziotempo) e andare
col suo libro su e giù per il passato. Nella circostanza si ebbe anche
l'importante conferma che la migliore
fantascienza veniva prodotta al Caltech.
Spazio-tempo: finzione o realtà?
Ma dobbiamo tornare alla struttura geometrica di Minkowski per chiederci se,
malgrado le convinzioni
del suo ideatore, lo spaziotempo sia invece un semplice artificio matematico
come Kurt Gödel era certo di
aver dimostrato. I teorici - e perfino lo stesso Einstein nella sua risposta a
Gödel - sottolineano che la
direzione del tempo può essere definita in senso fisico solo dall'azione causale
e lasciano trasparire che
tale struttura è una proiezione di comodo atta a integrare enti fisici non
equivalenti. Alcuni osservano che
la variabile é immaginaria e che non c'è una reale trasformazione lineare che
proietti una linea temporale
su una linea di tipo spaziale. Il fatto é che nella Relatività Generale lo
spazio-tempo non è piatto: inoltre il cono
della luce separa le direzioni dello spazio-tempo in due insiemi di cui uno solo
contiene le direzioni "reali" degli
oggetti fisici. Se qualsiasi oggetto materiale può essere identificato con un
tubo di spazio-tempo che si incurva
lungo una linea, la Natura si proietta soltanto su una parte della struttura di
Minkowski. È un realismo ben
discutibile per una geometria che pretende di incarnare la realtà stessa! Come
dice Jacques Merleau Ponty
"ciò che è reale é l'insieme geometrico, ma poi all'interno di questo insieme è
necessario inserire una
frontiera tra il reale e l'irreale...".
Non ci sono dunque molti modi per intendere il tempo, lo spazio e lo
spazio-tempo. O si accetta
l'opinione entusiastica di Minkowski, oppure lo si considera un'utile
approssimazione topologica: nel
primo caso abbiamo un ente fisico vero e proprio elevato al rango di monarca
della natura, nel secondo caso
un espediente geometrico più raffinato per collocarvi i fenomeni. Chi propende
per il primo si sbarazza
per sempre della primordiale distinzione fra tempo e spazio, mentre chi propende
per il secondo deve poi
precisare le sue vedute epistemologiche riguardo al tempo e allo spazio.
La formulazione originaria della Relatività legava a tal punto lo spazio alla
materia da farne una
qualità strutturale: restava così solo "il tempo", che per Einstein si riduceva
alla possibilità di trasmettere un
segnale da un punto-avvenimento a un altro (A. Einstein, Reply to Criticism).
Gödel rifiutava la realtà del trascorrere del tempo, mentre la Relatività
intendeva fissare
l'orientamento deterministico dei fenomeni naturali. Vedremo adesso,
rapidamente, come l'introduzione
di una metrica variabile abbia modificato alla radice la coerenza concettuale
della Teoria, i suoi
assiomi e il suo prolungamento cosmologico.
L'universo tondo e l'universo vuoto
Se le proprietà geometriche dello spazio sono intimamente connesse e, anzi,
totalmente determinate
dalla materia, le equazioni relativistiche del campo possono rivelarci la
struttura dell'intero universo.
Con una comunicazione all'Accademia Prussiana delle Scienze, nel 1917, Einstein
discute questa
possibilità esaminando un modello di universo in cui spazio e materia formano un
continuum chiuso
analogo a una sfera o a un ellissoide; qualcosa che, almeno in relazione alle
sue dimensioni
spaziali, può essere pensato come chiuso e finito, incurvato positivamente.
Pur non essendo possibile visualizzare direttamente oggetti quadridimensionali,
si può paragonare
questo universo a un'ipersfera in cui, secondo la definizione di Eddington, il
centro è dappertutto e la
circonferenza in nessun luogo. In questo sistema chiuso non esistono rette: la
luce vi percorre delle
geodetiche analoghe ai cerchi massimi della sfera e queste linee si chiudono in
se stesse. A rigore di ipotesi
un impulso luminoso potrebbe fare un giro completo dell'universo e tornare al
suo punto di origine
pervenendo così a una perfetta simbiosi con il resto della natura da cui dipende
e di cui fa parte.
Sostituiamo infatti a "impulso luminoso" la nozione di punto e avremo un
universo che passa per tutti i punti.
Nella sua riflessione Einstein sottolinea che é la teoria stessa a suggerire il
nesso che collega
l'estensione dello spazio alla densità media della materia. Se le equazioni
della Relatività Generale
interpretano la realtà fisica, il raggio dell'universo deve essere deciso dalla
distribuzione delle masse e
dall'energia che vi è contenuta. Ma la stabilità di un tale "sistema del Mondo"
Einstein é costretto ad
ottenerla con un termine aggiuntivo
Ʌ che svolge le funzioni di una vera e
propria costante cosmologica
di natura repulsiva. Ricordiamo infatti che il celebre tensore di Einstein:
G µ ν - ½ g µ ν G
non è quello più generale in grado di soddisfare tutti gli assiomi della Teoria e di integrarli al principio di conservazione dell'energia; come la modifica dell'equazione di Poisson consente l'integrazione della cosmologia newtoniana, così il termine Ʌ compare nel tensore più generale
G µ ν - ½ g µ ν G +
Ʌ
g µ ν
proprio per controbilanciare la tendenza che l'universo avrebbe di precipitare
in se stesso sotto l'azione
gravitazionale delle sue masse.
È il termine più sofferto e controverso di tutto l'edificio relativistico.
Einstein fu costretto a
toglierlo dalla circolazione dopo un aspro confronto con la comunità
scientifica; ma all'epoca della
presentazione della Teoria generale questa "costante" gli sembrava inevitabile,
perché era convinto che il
ricorso a universi instabili (non statici) avrebbe prodotto speculazioni senza
fine, snaturando nel
contempo la teoria stessa. Uno dei risultati più tipici della Relatività fu
proprio quello di smantellare la
nozione convenzionale del tempo come ente fisico assoluto.
Nella formulazione originaria è la materia e non certo il tempo a determinare la
geometria
dell'universo, eppure bastarono meno di due mesi perché l'astronomo olandese
Willem de Sitter
potesse opporgli una differente e inaspettata soluzione delle sue equazioni.
Naturalmente permeato dalle
conoscenze del momento, de Sitter non condivide affatto la grande distribuzione
di materia postulata dal
modello einsteniano: la realtà di uno spazio gremito di galassie era ancora alle
prese con difficoltà
osservative non indifferenti e rimaneva pur sempre aperta la possibilità che
queste "nebulose"
costituissero parte integrante della nostra Galassia. Il sospetto di una Via
Lattea sprofondata nel vuoto si
insinuava ancora nello scenario teorico di eminenti astronomi, e i nuovi
concetti dell'inerzia non avevano
certo vita facile.
Secondo le idee di Mach, riprese interamente da Einstein, se si spopola il campo
di tutta la materia ad
eccezione di una sola particella, questa non possiede più inerzia; ma se per
particella vogliamo intendere
tutto l'universo - rileva de Sitter - allora dovremmo dire piuttosto che è Mach
ad aver torto. Inoltre, non
é possibile concludere che l'universo è sferico o ipersferico "dal momento che
può essere
rappresentato in uno spazio euclideo per mezzo di una trasformazione
stereografica" ("On the relativity
of inertia", W. de Sitter, 1917). Così concepisce un mondo del tutto vuoto nel
quale vi colloca, intatte,
le equazioni di Einstein. Ne esce una specie di ectoplasma, un enigma cosmico
ambiguo e affascinante, finito
per alcuni osservatori ed infinito per altri, nel quale é sufficiente inserire
una sola particella perché questa
prenda a recedere nei confronti di un ipotetico osservatore.
Curvo ed euclideo, statico e variabile, vuoto e dotato di specifiche proprietà
strutturali, questo
modello non poteva sfuggire alle proteste di Einstein. Nella sua risposta a de
Sitter, Einstein ribatte a gran
voce e sottolinea che "il campo delle
gµν deve essere determinato dalla materia
e non deve poter
sussistere senza di essa" perché questo é esattamente l'assioma su cui si regge
la nuova concezione
della gravitazione. La sua intransigenza su questo punto è assoluta: così è
prontissimo a respingere una nuova
soluzione delle sue equazioni che gli viene opposta qualche anno dopo dal russo
Aleksander Friedmann.
Descriveremo questo avvenimento rapidamente, ma separatamente data la sua importanza teorica. Sono i modelli di Friedmann, infatti, e non quello di Einstein a fornire i fondamenti alla cosmologia moderna.
Ritorno al futuro
Mentre l'osservazione astronomica rendeva sempre meno credibile l'universo vuoto
di de Sitter, il
matematico e meteorologo Friedmann stava esaminando le equazioni del campo sotto
una prospettiva del
tutto diversa. Egli fece la sconcertante ipotesi che il tempo fosse ortogonale
allo spazio metrico e che la
somma degli angoli di un triangolo, il numero dei centimetri di un metro e
perfino la distanza spaziale
percorsa dalla luce nell'unità di tempo dipendano dal giorno in cui li si va a
misurare (la velocità dell'espansione metrica può essere superiore alla velocità delle
luce: ricordiamo che in questo caso essa rappresenta la
velocità del sistema di riferimento, non una velocità materiale di una massa
relativamente ad un'altra).
Facendo dipendere la metrica dal tempo, Friedmann trova subito che se la materia
è distribuita
uniformemente come nell'ipotesi einsteiniana, è la curvatura che decide la forma
e l'orientamento
dell'universo.
Se tale curvatura é di segno positivo l'universo in espansione è spazialmente
chiuso, se viceversa è
negativa (come le superfici a sella), allora è infinito. Naturalmente - e
Friedmann non trascura di osservarlo -
occorrono supposizioni complementari per determinare con esattezza questa
scelta.
Figura 2. Fig. 2a): UNIVERSO CICLICO O CHIUSO. Subito dopo l'istante origine del big bang, l'espansione si produce a una velocità quasi coincidente con quella dell'universo aperto; col passare del tempo, però, la decelerazione si rivela più intensa, e condurrà all'arresto dell'espansione. Dopo, l'universo inizierà una fase di contrazione esattamente simmetrica a quella di espansione precedente, e alla fine si troverà nello stato iniziale e, forse, potrà verificarsi un nuovo big bang. Fig. 2b): UNIVERSO APERTO IN ESPANSIONE INDEFINITA. In questo caso, l'espansione è illimitata. Inizialmente il raggio dell'universo è aumentato rapidamente col trascorrere del tempo, ma poi l'aumento è rallentato; il raggio continuerà ad accrescersi in avvenire, via via più lentamente, senza che tuttavia il moto si arresti. Fig. 2c): UNIVERSO STATICO. In questa ipotesi, l'universo della materia è increato ed esiste da sempre. Il suo raggio non subisce variazioni apprezzabili e lo spostamento verso il rosso (red shift) è prodotto da cause differenti dall'espansione dello spazio.
Rimane vero però che se la densità media della materia dell'universo é maggiore
di un certo valore critico, il
campo gravitazionale complessivo richiude l'universo in se stesso: allora
l'espansione rallenterà per volgersi
infine in una contrazione in cui la densità della materia raggiungerà livelli
indefiniti e il raggio dell'universo
si ridurrà a zero. Se invece la densità media é uguale o inferiore rispetto a
questo valore, l'espansione
dovrà durare per sempre, rendendo l'universo sempre più buio, più freddo e più
grande.
L'atteggiamento che Friedmann mostra nei confronti del termine cosmologico
Ʌ
é
puramente
quantitativo: se
Ʌ = 0, l'unico
senso della sua introduzione nei tensori relativistici gli appare quello di
consentire soluzioni cosmologiche statiche e chiuse, e rimarca che non appena si
suppone una variabilità
costante delle dimensioni spaziali, le equazioni di Einstein non presentano
alcun problema di integrazione
a livello cosmologico. È la relazione che oggi domina tutta la cosmologia e che
ha per conseguenza una
recessione generalizzata di tutti gli oggetti; e sebbene Friedmann si lasci
scappare da sotto il naso
questa clamorosa anticipazione, non si può non restare colpiti dal fatto che il
fenomeno più
fondamentale dell'astronomia extragalattica - il redshift - fosse implicito in
tutti i modelli da lui esaminati.
Si esita, tuttavia, nell'accettare senza riserve questa impostazione. Intanto
viene a cadere l'assioma di
Einstein della completa determinazione della metrica da parte della materia, e
poi non é facile accogliere un
effetto fisico che temporalizza lo spazio come fosse già implicito nel
formalismo delle equazioni di
campo. Infine non si può dire più nulla circa il carattere finito o infinito
dell'universo.
Non appena ebbe preso visione delle monografie di Friedmann, Einstein ne restò
scandalizzato. Le
respinse come "assurdità" e ritenne perfino di poter dimostrare che i calcoli di
Friedman erano sbagliati.
Siamo lieti di precisarlo al lettore rigoroso, perché la divulgazione ha
talmente ingarbugliato la
storia che é una consuetudine, ormai, attribuire ad Einstein la scoperta
dell'universo in espansione.
Questa "scoperta", come vedremo, non fu mai annunciata né da Einstein, né da
Friedmann, né tantomeno
da Hubble.
Einstein affermò invece che una soluzione non stazionaria era incompatibile con
le sue equazioni: le
trasformazioni di Lorentz devono dipendere dalle proprietà metriche locali e non
dal tempo stesso! Ribadì
vigorosamente che "fra materia e spazio c'é un'intima solidarietà e che le
gµν
devono essere determinate
esclusivamente dalla materia". Aggiunse che "la densità media dell'universo non
può essere variabile col
tempo" e sbagliò perfino il calcolo per cercare di dimostrarlo.
Punto sul vivo, Friedmann inviò ad Einstein una lettera fornendogli spiegazioni
aggiuntive
che davano piena coerenza alla sua ipotesi temporale; giungevano frattanto da
Monte Wilson notizie
che gli spettri delle "nebulose" mostravano un generale spostamento verso il
rosso che faceva pensare a
un effetto Doppler. Era troppo presto per tirare delle conclusioni: fatto sta
che Einstein rese giustizia alle
tesi di Friedmann con un breve comunicato alla "Zeitschrift für Physik".
Il resto della storia é meglio delineato e testimonia il sofferto ripiegamento
di Einstein dalla sua
posizione originaria: otto anni dopo la pubblicazione dei modelli cosmologici di
Friedmann dichiarerà
che é possibile fare a meno della costante
Ʌ
se si è disposti ad accettare che
la struttura dello spazio sia sempre
meno determinata dalla materia e nel 1945 scriverà che "questo termine
Ʌ
é da
respingere".
Tuttavia non si nasconde dietro a un dito e prende atto che "in una tale cornice
teorica" il principio
dell'inerzia così come formulato da Mach non può essere soddisfatto. Riguardo
all'espansione dello
spazio introdotta da Friedmann, ancora pochi anni prima di morire Einstein
scrive testualmente: "Questo
problema non é giunto in alcun modo alla sua conclusione e non posso liberarmi
dalla sensazione
che nel modo attuale di trattarlo non vengano tracciate abbastanza chiaramente
le più fondamentali
alternative" ("On the Cosmological Problem", 1945).
Ritorno al presente
Questa breve digressione ci consente di tornare al tema della discussione con
una domanda più
circostanziata. Se lo spazio-tempo non é reale, si deve tuttavia ammettere
l'esistenza di un flusso
temporale di ordine superiore che regola e forse perpetua creazioni di materia
attraverso le singolarità?
Chi scrive fece questa domanda in circostanze diverse a due celebri astronomi
americani, Allan Sandage
e Halton Arp: il primo mi disse ridendo che ero "un provocatore", il secondo
aprì le braccia e scosse il
capo. È molto probabile che abbia riso anch'io entrambe le volte, ma la mia
domanda é ancora lì.
Naturalmente ho avuto modo di riproporla a molti altri che pur non avendo mai
avuto lo studio a
Pasadena erano perfettamente all'altezza della domanda. Devo dire, però, con
risultati altrettanto deludenti,
perché nessuno dimostrava di prenderla sul serio: chi sospirava, chi alzava gli
occhi al cielo; chi
invocava precisazioni chiedendomi se stavo parlando di Newton, di un "fantasma"
o di una "varietà
riemanniana", se mi riferivo a Lorentz o al secondo principio della
termodinamica, "se usavo questa
nozione in relazione alla densità di carica o alla massa d'inerzia"...
Uniche eccezioni furono un'astronoma francese e uno italiano: la prima mi disse
che non credeva
affatto al tempo in quanto tale, né come ente fisico né come figura mitologica;
ci tenne a "scusarsi con gli
esistenzialisti", aggiunse che le singolarità "le facevano orrore" e tuttavia mi
pregò di essere discreto su
queste sue confidenze. Il secondo invece mi disse subito e senza alcuna
esitazione che era evidente che
fosse così: che "é lampante che il Big Bang ha diviso le quattro forze
fondamentali, il tempo e lo spazio" e
che "non c'é dubbio che il tempo, proprio come Crono, rappresenti una specie di
autocrate della fisica
che si impone ovunque in modo quasi coercitivo". Lo ringraziai e gli dissi che
tanta fede nella
creazione e nelle singolarità meritava una nuova equivalenza della fisica,
quella della materia col tempo,
m=t
o
t=m
a seconda delle circostanze. Mi guardò fisso a lungo, raccolse le sue
singolarità e
varcò l'orizzonte degli eventi sbattendo una porta a vetri.
In breve, credo che il sondaggio d'opinioni da me effettuato sia abbastanza
rappresentativo, se non
della realtà fisica del tempo, perlomeno dei fortissimi indizi che la coordinata
di tutti i giorni faccia parte di un
divenire globale a senso unico, vale a dire dell'universo stesso. Friedmann ha
la maggioranza: la magnifica
eccezione di Gödel, quella di Einstein e altre meno coraggiose coperte da
anonimato, rinforzano
l'atroce dubbio che non si possa fare nessuna cosmologia senza introdurre una
direzione privilegiata del
tempo.
Il pericolo, evidentissimo, é quello di far discendere tutta la fisica teorica,
ma anche l'epistemologia
e la stessa filosofia, da un modello puramente ipotetico di universo.
L'adesione dei fisici delle particelle ad una cosmologia assunta come NOTA ha
prodotto
fantascientifiche cittadelle sotterranee, avveniristici laboratori della ricerca
a prova di confutazioni, dove
generazioni di Frankestein fanno accelerare e collidere protoni e antiprotoni
per ottenere "frammenti di
Big Bang della durata di un bimilionesimo di secondo".
Michael Turner, professore al Fermilab, ritiene di "sapere che cosa é successo
in tutta la storia
dell'universo a partire da un secondo dopo il suo inizio", ed esclude in pratica
che possano esistere leggi
dell'astrofisica che la scienza non conosce ancora. Ho chiesto a un suo amico al
C E R N che cosa
succederebbe se la teoria cosmologica del Big Bang si dimostrasse errata. Ha
fatto una risata che sembrava
non dovesse finire mai e che si é solo leggermente smorzata quando, imbarazzato,
ho provato a ripetergli
la domanda: "Beh, forse saremmo rovinati. Dovremmo staccare la spina e andarcene
a casa. Ma non lo
scriva questo". E ha ricominciato a ridere.
Gauge a go go
I cosmologi sembrano dunque sospingerci verso i misteri della singolarità. Ad
essa guardano anche i
cultori della fisica estrema, i teorizzatori della "supersimmetria" e del "falso
vuoto", tutti alla ricerca della "Teoria
del Tutto", capace di materializzare la Natura e di fondere relatività e
meccanica quantistica in un unico,
armonioso linguaggio.
Le conseguenze della concentrazione di massa ed energia hanno attirato la
meditazione fin dalla più
lontana preistoria: il Fuoco degli antenati, il mattone indivisibile degli
atomisti, ma anche le stelle scure di
Mitchell e di Laplace o i buchi neri di Schwarzschild, Penrose, Wheeler e
Hawking, sono tappe di un pensiero
ininterrotto che associa invariabilmente la materia alla condensazione e
all'esplosione.
Anche la Relatività Generale si imbatte - suo malgrado - nella fisica di
frontiera. Se la presenza di materia
determina localmente una curvatura positiva dello spazio e se questa curvatura é
una funzione diretta della
massa esistente, una grande concentrazione di materia sufficientemente densa può
provocare la cesura di ogni
connessione e interazione con il resto dell'universo, la lacerazione dello
spaziotempo e il conseguente
stravolgimento di ogni concetto della fisica.
Il nostro intento é di non varcare i confini di questa geometria. L'impostazione
dichiarata di questo
articolo, critico anche nei confronti del tempo cosmico, é che lo spazio-tempo
non é reale. Lo stesso
Einstein - ecco un'altra delle mistificazioni che siamo lieti di smascherare -
era contrariato dal fatto che la
sua teoria non escludesse la formazione di regioni singolari dello spazio-tempo.
Nel già citato "On the Cosmological Problem" manifesta molto chiaramente la
possibilità che la Relatività
Generale non sia adeguata nel caso di elevatissime densità: "Può darsi - scrive
testualmente - che in una teoria
unificata non si presenti alcuna singolarità". Che delusione: sarebbe la fine
dei paradossi temporali da buchi neri
autenticati dal Caltech; e quanti lettori perduti a causa dell'impossibilità di
invertire il corso del tempo
imboccando certe linee geometriche...
Panta rei
In uno dei suoi film più felici Federico Fellini rievoca la commozione della
gente comune al
passaggio notturno del Rex, il grande transatlantico che se ne va in America.
Una moltitudine di barchette
dondolanti nella bonaccia, braccia che si agitano e grida festanti. Chissà se un
regista di pari sensibilità ci
riproporrà un giorno le immagini del trasporto ferroviario dello specchio
destinato al più grande telescopio
del mondo, attraverso l'America.
Correva l'anno 1936 e la gente si accalcava davanti ai binari a salutare il
gigantesco blocco di vetro
che dalle officine Corning di New York procedeva solenne, diretto alle
lontanissime montagne che dominano
San Diego. Si sentivano tutti più buoni, gridavano buon viaggio e si aspettavano
cose meravigliose. Non si
può dire che il telescopio di Monte Palomar abbia tradito le attese. Ma non ha
sciolto gli enigmi. Era già carico
di responsabilità ancor prima di essere inaugurato: doveva dimostrare
innanzitutto che l'universo é in
espansione e che le galassie si allontanano reciprocamente, le une dalle altre,
percorrendo linee di spazio-tempo che si diramano dal punto della Creazione; e poi determinare in quale
degli universi di Friedmann ci
troviamo, sulla base degli spostamenti verso il rosso e delle magnitudini che
era in grado di fissare. Se per
disgrazia avesse provato il contrario, riproponendo all'evidenza un universo
senza tempo, sconfinato e
incomprensibile, quella cupola imbarazzante sarebbe diventata un po' come il
monumento all'illusione,
l'icona sferragliante di un sogno troppo grande. A quasi cinquant'anni dalla sua
inaugurazione, privato del
suo titolo di riflettore più grande del mondo ma non certo della sua autorità e
della sua efficienza, lo
"Hale" di Monte Palomar ha dato ragione a tutti, proprio come se la conoscenza
dell'universo non
dipendesse dalla sua tecnologia raffinata o dalla sua vista straordinaria, ma
dall'umore di chi a turno va a
sedersi nella gabbia del suo fuoco primario.
Nonostante sia accreditato della scoperta dell'universo in espansione, Edwin
Hubble - che fu il
primo a maneggiare lo "Hale" di 5 metri - non ratificò mai questa conclusione.
Era invece colpito
dall'antichità della radiazione luminosa delle galassie: quando sviluppava una
lastra dopo ore e ore di
esposizione soleva ripetere ai suoi collaboratori: "Non è incredibile?
Quest'ombra si nota appena eppure é una nebulosa. Pochi grani di luce che hanno
viaggiato per lo spazio per milioni di anni. Non é incredibile?" (cfr.: "The Realm of Nebulae", E. Hubble, 1936).
Hubble terminò bruscamente (era malato di cuore) ma degnamente la sua attività
di pioniere
dell'astronomia dichiarando che anche la nostra conoscenza diminuisce col
quadrato della distanza
[Nota di Nereo Villa: questa dichiarazione di Hubble in quanto riduttiva della
conoscenza è materialistica. Dal punto di vista scientifico-spirituale egli
avrebbe potuto precisare che ciò che diminuisce con la distanza non è la nostra
"conoscenza" ma solo la sfera sensibile di essa. Infatti non esistono limiti al
conoscere umano]. I
suoi successori più promettenti con accesso al Palomar, Allan Sandage e Halton
Arp, che all'inizio
erano ottimi amici, giunsero invece a conclusioni così antitetiche da togliersi
persino il saluto. Sandage
era stato chiamato a proseguire il lavoro di Hubble, anzi a concretizzarlo: era
un predestinato senza
volerlo, con una carriera formidabile pronta per essere percorsa; Arp era un ex
spadaccino, aveva
inclinazioni artistiche e si faceva guidare solo dal suo talento osservativo.
Così avvenne che dallo stesso
osservatorio uno annunciava la data di nascita dell'universo mentre l'altro la
smentiva regolarmente.
Una situazione insostenibile che andò avanti quasi trent'anni e che un giorno
dovrà essere raccontata da una
penna migliore di questa.
Sandage era alla ricerca del cruciale parametro di recessione delle galassie
attraverso il quale avrebbe
potuto risalire all'origine, alla forma e probabilmente al destino dell'intero
universo; Arp era un empirista
totale che identificava nelle osservazioni le leggi effettive della fisica. E
mentre il primo parlava
apertamente di "velocità proporzionale alla distanza", il secondo accettava solo
una relazione generica tra
la magnitudine e lo spostamento verso il rosso, cercando addirittura prove
contrarie. Due ex amici in rotta di
collisione, senza alcuna possibilità di intendersi, almeno sul piano
professionale.
Per Sandage, Arp voleva distruggere la cosmologia, per Arp, Sandage voleva
affermare a tutti i costi
un origine dell'universo. Così, quando il primo usciva dalla "gabbia"
annunciando conferme della legge
di Hubble tutti si tranquillizzavano, mentre quando era il turno di Arp a
puntare il telescopio, tutti
trattenevano il fiato. E se in trent'anni di osservazioni Arp non avesse trovato
nulla di consistente, questa
querelle sarebbe diventata una cavalleresca tensione fra scienziati da
immortalare sulla copertina
patinata di "Sky and Telescope", con i due astronomi a cavalcioni su un
telescopio, vestiti da cow boys,
che si stringono la mano e che esibiscono un sorriso a 64 denti.
Ciò che é difficile raccontare é che Arp
TROVÒ EFFETTIVAMENTE
QUALCOSA: qualcosa
di così imbarazzante da
minacciare non solo i dati di Hubble o di Sandage, ma tutta la cornice teorica
della Relatività, già così
pesantemente rimaneggiata dalla temporalizzazione di Friedmann. Arp trovò
infatti galassie e catene di
galassie in evidente interazione, ma con spostamenti verso il rosso così diversi
da renderne
impossibile l'interpretazione in termini di velocità. Fotografò coppie, gruppi,
ammassi di galassie in cui
la dispersione del redshift era tanto elevata che non sarebbe mai stato
possibile osservarle nelle
configurazioni in cui si trovavano, applicando i modelli canonici di espansione
cosmica. C'era dunque
un'altra causa che determinava lo spostamento spettrale delle galassie!
Così gli assalti di Arp non erano schermaglie "al primo sangue": andavano tutte
al cuore ed erano tutte
stoccate MORTALI. La sua attenzione si spostò rapidamente sui quasar e sui loro
enormi spostamenti verso il
rosso che già causavano tanti grattacapi al punto di vista convenzionale. Mostrò
un numero rilevantissimo di
quasar troppo vicini a galassie perché fosse un caso, e riuscì perfino a
fotografarne alcuni immersi nei
bracci e fra le polveri di queste ultime.
Gli storiografi del futuro potranno spiegarci più dettagliatamente perché gli
esiti delle sue ricerche
provocavano costernazione invece che consensi, e perché l'affermazione di tali
idee appaia tuttora
così catastrofica per la ricerca astronomica e per la microfisica. Nessuno
tuttavia può negare che l'idea
di una genesi di tutti gli elementi (Big Bang) ha monopolizzato l'attenzione dei
teorici ben al di là degli indizi
che questo modello può invocare. Nella stessa struttura della ricerca e nel
delicato equilibrio che ne
finanzia la tecnologia, devono infatti trovar posto programmazioni di lungo
termine che mal
sopporterebbero cambiamenti così radicali come quelli che impone l'accettazione
dei dati di Arp.
Dove va dunque la cosmologia? È difficilissimo rispondere. Forse il Big Bang
continuerà a suggestionare lo
scenario della conoscenza. Forse ha i giorni contati. Un passaggio cruciale é la
determinazione della costante
H0
di recessione alla quale Sandage ha dedicato un'intera vita: l'Hubble Space
Telescope (HST), il
fantascientifico cannocchiale che ruota in cielo al di sopra dello schermo
atmosferico, riesce infatti a
risolvere in stelle anche le galassie dell'ammasso della Vergine e può tener
d'occhio le fluttuazioni
luminose delle Cefeidi. Poiché la magnitudine assoluta di queste stelle risulta
proporzionale al loro periodo di
pulsazione, lo strumento può ricavare la curva di luce, desumere la distanza
effettiva della galassia e quindi
"tarare" una volta per tutte la supposta espansione dell'universo. Insomma, quel
che Sandage ha cercato
di ottenere in una vita, cavandosi gli occhi, lottando con la concorrenza,
spezzandosi la schiena e
collezionando migliaia di raffreddori, HST lo può fare in un mese o due senza
nemmeno uno starnuto.
Stupefacente, certo, e anche un po' immorale. È come sottoporre la propria
reputazione al vaglio di una
macchina della verità piena di bit e di relais: ci si fa appoggiare un elettrodo
da qualche parte, si incrociano
le dita e si aspetta che il marchingegno gracchi con voce metallica "Right"
oppure "Wrong".
Ed é già allarme rosso: in modo del tutto indipendente due gruppi di ricerca
hanno pubblicato stime assai concordanti della costante di recessione. Il gruppo
di Michael Pierce ottiene un valore di 87 ħ 7
chilometri al secondo per Megaparsec dall'osservazione di Cefeidi in NGC 4571,
mentre il gruppo di Wendy
Friedman, che si avvale dell'HST, fissa in 80 chilometri il limite inferiore
della costante
H0,
utilizzando Cefeidi di un'altra galassia - M 100 - appartenente al medesimo
ammasso. Troppi,
"drammaticamente troppi" per render conto dell'età che mostrano gli ammassi
stellari più antichi. Lo stesso
valore di Sandage, stimato intorno ai 50 Km/sec. per Mpc, era già al limite
quando si trattava di adattarlo
alla scala dell'evoluzione stellare (40 km/sec per Mpc é il valore massimo
auspicato dalla maggioranza
dei cosmologi).
Il problema adesso é che a quella velocità di espansione l'universo non può
avere più di 8/9 miliardi di
anni, vale a dire che le galassie sono
MOLTO PIÙ GIOVANI
DELLE STELLE PIÙ VECCHIE CHE LE COMPONGONO.
Una catastrofe in qualche modo annunciata? Beh, Sandage era già allenato a
lottare con chi "voleva
rompere tutto" (Arp) e aveva dovuto rintuzzare anche gli attacchi degli
"alleati" (alludo all'astronomo francese Gerard de Vaucoulers, recentemente scomparso,
che dal 1976 indicava il valore della costante di Hubble
in 100 km/s per Mpc), che pretendevano altre
calibrazioni ed effetti spuri sulla regolarità del flusso dell'espansione. Ma un
conto é lottare con avversari
in carne e ossa e un conto é contestare i dati di chi si trova in migliori
condizioni di osservazione (HST). Il
lato più imbarazzante della confutazione del Big Bang é però la stretta
connessione che questo modello ha
con la teoria della Relatività. Non c'é dubbio che, a meno di un improbabile
ritorno all'ipersfera e
all'enigmatica costante
Ʌ, la rinuncia all'espansione dell'universo espone tutta
la fisica teorica al
rischio del naufragio. Resta tuttavia da domandarsi se la mancata integrazione
del suo assioma
principale - la completa determinazione dello spazio da parte della materia - e
del principio machiano
dell'inerzia, la Relatività Generale non fosse già stata snaturata dalla
temporalizzazione introdotta da
Friedmann (come verrà descritto più avanti, H. Arp e J. Narlikar hanno presentato una
soluzione delle equazioni di Einstein in un modello di
universo statico che è in accordo col Principio di Mach - "Flat Space Time
Cosmology", Astrophysical Journal 405, 1993).
Quale che sia l'esito finale, Crono si gode il suo spettacolare revival al
vertice dell'Olimpo. La
sua clessidra, in bilico fra la costante di Hubble e una nuova spiegazione dello
spostamento verso il
rosso, scandisce il ritmo del destino diluendo il tempo e perpetuando
l'entropia: soppesa le masse,
pondera la curvatura, minaccia di far morire di freddo l'universo stirandolo per
sempre; oppure di farlo
franare sotto il suo stesso peso, alternando Big Crunch a Big Bang, nuove
apocalissi a nuove creazioni.
Stephen Hawking si chiede perché ricordiamo il passato e non il futuro, e trova
ammissibile che una
volta esaurita la fase di espansione noi potremmo essere estratti dalla terra,
liberati dalle bare, trasportati
all'obitorio e quindi inoltrati al reparto rianimazione di qualche ospedale dove
la vita ci verrebbe infusa
con l'olio santo al fine di destinarci a un'abitazione privata, all'interno
della quale ci alimenteremmo per
via anale attraverso il sistema fognario vomitando le scorie dalla bocca che
andremo poi a collocare una
ad una nelle scansie dei supermercati. In questo enigmatico tran-tran
procederemmo dalla vecchiaia alla
giovinezza fino ad essere sospinti a forza di braccia nella vagina di una
ex-mamma (!).
Qualcuno fa osservare che - vitto a parte - é una morte niente male. Ma le
barzellette non fanno ridere se
vengono raccontate al contrario e sono difficilissime da capire se perfino
l'ordine delle vocali e delle
consonanti viene invertito...
Per certa scienza il ritorno a un universo statico sarebbe un po' come la fine
del tempo, come la fine
dell'entropia, come la fine del divenire, come la fine del passare. La fine di
Crono, la fine di Eraclito e
Zaratustra, la fine della scienza, la fine della conoscenza.
Sebbene l'inversione temporale venga sostenuta con tanta decisione, questi
scienziati trovano poi
del tutto naturale che siamo destinati a morire: la nostra piccola vita, questo
pianeta, ma poi anche il Sole e
perfino la Galassia non sono che ombre, fluttuazioni infinitesime dell'universo
in espansione. Per la
meccanica quantistica la Natura potrebbe anche essere sgusciata dal nulla perché
in fondo basta combinare
energia positiva e negativa per inaugurare materia con massa zero. Lo stesso Arp
si sofferma a
considerare le opportunità teoriche che offre questa nuova frontiera ai suoi "redshift
non cosmologici".
Quel che nessuno, scienziato o sciamano, riesce a spiegarci bene,
É PERCHÉ C'É
QUALCOSA AL POSTO DI NULLA,
qualcosa che a dispetto di Crono se ne sta là quando potrebbe benissimo farne a
meno, evitando tutto quel
groviglio di spazio-tempo e tanto incommensurabile spreco di energia. Qualcosa
che poi potrebbe esistere
da sempre, qualcosa che potrebbe prescindere dalla creazione perché non ha alcun
bisogno di essere creato.
Nessuno di noi sa con precisione cosa dirà fra un minuto o fra un'ora. Pare un
buon argomento contro
l'esistenza del tempo, ma poi fra un minuto o fra un'ora lo sarà molto meno e ci
farà ripensare a
quell'enigmatico intervallo di passato che é passato e che erroneamente ci
figuriamo vuoto perché di nuovo
saremo rivolti al futuro. Avvertiamo soltanto, con un certo disagio, che il
tempo trascorso non scorre più e che
forse solo il futuro precipita sul presente come una cascata su un sasso; oppure
che é il presente a scorrere
come una funivia su un cavo di spazio-tempo e che é soltanto la sua direzione a
dare un orientamento agli
eventi. Quale che sia la verità, questo tempo di cui ci pare di poter disporre
per un minuto, per un giorno,
per una vita, questo attimo fuggente nel quale possiamo bagnarci e abbeverarci e
dove succede sempre
qualcosa perché qualcosa deve pur succedere, non sembra dar posto solo
all'ineluttabile, a ciò che per
forza deve compiersi. Fra un minuto o fra un'ora possono capitare tante cose che
forse non sono già scritte INTERAMENTE nel cono di luce o nell'altrove dello spazio-tempo. Certo, tante
cose prevedibili, ma anche tante
che si compiono al di fuori del nostro dominio e che pure finiscono per
interagire: dunque pericoli,
imprevisti e accidenti. Banalità, probabilmente, ma allora anche buona sorte e
vento in poppa lungo il
percorso. Forse la Natura ha un suo margine di improvvisazione, forse la
meccanica quantistica ha
perfino uno stato d'animo...
Nel modello di universo pulsante, però, la materia ricompare assolutamente
ricreata dalla singolarità
dopo essere stata assolutamente distrutta. È una resurrezione ben poco
esaltante, che sembra cancellare ogni
ricordo, ogni vestigia di esperienze precedenti. Sembra solo capace di
replicarsi all'infinito. Come un ebete.
L'astronoma Beatrice Tinsley, scomparsa prematuramente nel 1981 e famosa per non
concedere niente
a nessuno in materia di riduzione dei dati osservativi, non faceva mistero di
sentirsi poi fortemente
attratta verso le soluzioni cosmologiche aperte. Non c'é niente di male
nell'esternare le proprie
preferenze, diceva. Il suo universo senza freni - "an unbound universe" (vedi
Fig. 2b) - precipita verso la
rarefazione e l'oscurità: le stelle e le galassie sono destinate a spegnersi
sprofondando in una notte sempre
più fredda e sempre più buia; e appariranno allora nebbiosi cimiteri di materia
collassata ed enormi buchi neri
che in capo a 10100 anni dovrebbero evaporare. Alla fine non resteranno che
particelle e deboli radiazioni
vaganti come falene smarrite nella notte eterna.
Ci vuole il senso della morte per essere attratti da un simile universo e la Tinsley, evidentemente, ce
l'aveva. Ma é anche eresia rispettabile: può perfino far credere che la morte
sia un'illusione e che il nostro
destino sia quello di attraversare l'eternità per piantare un ramo sempre più
lontano. Che importa se stiamo
morendo? In fondo, domani é un altro giornoğ.