Alberto Bolognesi

 

Via col tempo

 

Sull'agonia della Fisica Teorica

Presentazione di Nereo Villa

Affermando che l'esperimento di Michelson-Morley diede risultato nullo e che i tempi di andata e ritorno di un segnale ottico sono uguali per definizione, Albert Einstein disse due bugie. Infatti - come evidenziò il fisico Roberto Monti - l'esperimento di Michelson-Morley NON HA MAI DATO RISULTATO NULLO, e i tempi di andata e ritorno di un segnale ottico NON SONO UGUALI PER DEFINIZIONE: la loro differenza è dimostrata dall'esistenza dei Giroscopi Ottici. È pertanto ora di gettare alle ortiche l'intera Teoria Einsteiniana e già che ci siamo anche il cervello del suo ideatore, attualmente conservato in formalina come la reliquia di un Dottor Balanzone fatto santo dalla nuova comunità di credenti, sedicente scientifica. Così come Monti mostrò in Fisica che il capo dell'einsteinismo era bacato, allo stesso modo il chimico Alberto Bolognesi - traduttore in italiano di "Seeing red. L'universo non si espande", opera scientifica dell'astrofisico Halton Arp - mostrò in "Via col tempo" che in Astrofisica la coda dell'einsteinismo, detta Big Bang, era altrettanto bacata. La posizione di Arp è infatti empirica e priva di equivoci: o ha torto oppure ha ragione. Non é possibile alcun compromesso all'interno della teoria odierna: se la si accoglie crolla tutto, se la si respinge bisogna confutare dati, osservazioni, lastre fotografiche. Non opinioni... Oggi la kultura di Stato spiega ancora quella Fisica e quell'Astrofisica senza avvedersi che queste non hanno capo, né coda. L'olografia, secondo la quale tutto sarebbe contenuto in un unico punto e in un unico istante, e che da questo sarebbero "proiettate" percezioni (cioè astrazioni) nelle coscienze, è la più grande illusione della fisica teorica. Perciò in questo tipo di Fisica non è possibile alcun cambiamento. Che la fisica teorica sia oggi astrattamente adattata agli esperimenti sulla materia oscura o sull'energia oscura è solo il risultato di una fede in un dio della menzogna. In base alla contraddittorietà dei fisici teorici e di tutti gli scienziati odierni, non potrà esserci cambiamento se non attraverso una catastrofe: in quanto essi ne preparano le condizioni in tutti i campi (culturale, giuridico ed economico). Il cambiamento della scienza presume che si riparta da Goethe. Altri cambiamenti non possono esservi, se non in peggio, proprio perché la fisica teorica è incorreggibile. Se per suonare un difficile passaggio al pianoforte continuo ad eseguirlo pur constatando ogni volta di sbagliare, è assurdo sperare di riuscirci senza cambiare me stesso. Invece non è assurdo tornare indietro fino alla diteggiatura di quel passaggio fino ad avvertire l'errore da correggere. Solo così allora è sperabile che il brano possa essere eseguito. Non vedo altra soluzione. Giocare con le parole potrà ancora favorire l'einsteinismo ma ciò è appunto quello che sta già avvenendo. Quindi, ripeto, per il cambiamento non vi sono altre vie che cambiare.

Nereo Villa, Castell'Arquato, 29 gennaio 2018

 

ĞA Beatrice Hill Tinsleyğ

ĞSulle tracce del tempo
Dagli effetti spettacolari di una carambola di boccette sul tappeto di un biliardo possiamo intuitivamente comprendere che la FRECCIA DEL TEMPO coincide col principio di causalità. Ma a una precisa descrizione delle traiettorie e degli scontri che avvengono durante una partita si può pervenire soltanto dopo aver fissato un sistema invariabile di misurazione del movimento, un'origine e un verso positivo.

Ogni sistema di misurazione del tempo trova una soddisfacente schematizzazione geometrica in un sistema di ascisse su una retta, cosicché ad ogni avvenimento viene a corrispondere un punto della retta. E viceversa. L'ascissa del punto corrispondente ad un evento viene chiamata ASCISSA TEMPORALE dell'evento considerato e si indica con
t; con t si definisce anche l'istante, il TEMPO ATTUALE e il tempo dell'evento. All'origine delle ascisse corrisponde l'origine dei tempi, o ISTANTE INIZIALE. Viene assegnata ascissa temporale positiva agli eventi posteriori all'istante iniziale e ascissa negativa a quelli anteriori, sebbene in cosmologia ciò non accada mai, perché NULLA PUÒ PRECEDERE L'INIZIO DEGLI INIZI NELLA TEORIA DEL BIG BANG (: la frase alla moda é che non si può chiedere il logaritmo di un numero negativo).

La differenza fra due valori del tempo, cioè fra due istanti non necessariamente collegati con due eventi, si definisce come intervallo di tempo, ed é in grado di rappresentare la durata di un fenomeno allo stesso modo che un metro o un raggio laser possono definire le dimensioni spaziali. Ma quanto é lungo un metro, e quanto dura un secondo?

Come già aveva fatto con la metrica, "vero e proprio sensorium di Dio, sempre uguale a se stesso e immobile", il grande Isacco Newton eleva il tempo a ente fisico assoluto, che "conformemente alla sua natura fluisce uniforme senza rapporto alcuno con oggetti esteriori".

Possiamo andare un attimo a una partita di scacchi in cui il verso del tempo è manifestamente definito dalla successione delle mosse dei due contendenti. La freccia degli eventi é fissata dal movimento dei pezzi sulla scacchiera e rigidamente connessa con le conseguenze che ne scaturiscono. La temporalità dell'avvenimento coincide proprio con le mosse, vale a dire con le decisioni dei due giocatori. Ma c'è un piccolo orologio a un lato della scacchiera che pare disinteressarsi completamente della questione e perfino - sembra incredibile! - della stessa freccia del tempo. Per i relativisti il ticchettio dell'orologio di gara é una mera convenzione. Per l'organizzatore del Torneo è invece una provvidenziale limitazione del tempo di riflessione, mentre per Newton (e per i due giocatori di scacchi!) una realtà ineluttabile assoluta.

Un buon modo di prendere confidenza con la freccia del tempo é quello di seguire le orme impresse da QUALCUNO sulla sabbia di una spiaggia: possiamo fissarne la successione temporale e perfino riconoscere l'impronta particolare e decisiva che ha impartito una direzione invece di un'altra, ma per quanti sforzi siamo disposti a fare, anche avvalendoci di cronometri o di cellule fotoelettriche, non riusciremo mai a dimostrare che tra un passo e l'altro c'è una invariabile quantità spaziale o temporale. Le analisi più accurate dimostreranno sempre che l'intervallo temporale e spaziale tra un passo e l'altro non é mai rigorosamente lo stesso e che la freccia degli eventi ha tutt'al più una direzione privilegiata. Nulla osta che il viandante sarebbe potuto tornare sui suoi passi camminando all'indietro, facendo combaciare perfettamente le impronte e traendoci in inganno sulla successione temporale delle stesse. Se poi non sapessimo nulla nemmeno della morfologia dell'essere che le ha formate, potremmo perfino dubitare della loro distribuzione sulla sabbia e ipotizzare una creatura favolosa in cui l'impronta nr. 22 precede per esempio la nr. 7, mentre la 5 é simultanea della 125 e posteriore alla 6... Naturalmente qualcuno può obiettare che c'è sempre il modo di dimostrare LO SCORRERE DEL TEMPO e quindi l'orientamento effettivo delle orme, perché la brezza marina spira in continuazione trasportando granelli di sabbia che si fissano ai contorni delle impronte e che faranno scomparire più rapidamente quelle che ne sono rimaste esposte più a lungo. E non serve eccepire che la "bava" spira più forte in riva al mare e che magari sono proprio le impronte più recenti a subire l'insabbiamento: la corretta interpretazione delle circostanze atmosferiche dovrebbe sempre consentirci di dare alle tracce un orientamento secondo l'immortale coordinata del prima e del poi.

Un punticino a favore della variabile immaginaria? Beh, possiamo scommettere che se facciamo bollire due uova per cinque minuti avremo proprio un paio di uova bollite per cinque minuti e che se mettiamo a stagionare un formaggio un vino o un prosciutto otterremo uno "stravecchio", un "marsala" o un "San Daniele". La domanda giusta é però: il vino é diventato marsala, cognac o semplicemente é svaporato perché é "passato del tempo" o perché invece é successo qualcosa al vino? E ancora: la polvere della clessidra é finita nel vaso sottostante a causa del fluire del tempo o soltanto perché c'era un piccolo foro nel vaso comunicante superiore? Che sciocchezza, eccepirete: é ovvio che il meccanismo che determina il movimento delle lancette di un orologio non funziona certo perché il tempo passa...

 

Figura 1 Diagramma di Minkowski; O: punto - avvenimento - origine arbitraria; Ox, Ot: assi spaziali e temporali di un riferimento galileiano; X'OX, Y'OY: traiettorie dei raggi luminosi che passano per O (considerate e = 1). Queste rette sono le tracce del "cono zero" sul piano (spaziotemporale della figura A, dominio del futuro; P, dominio del passato; E, E' domini "dell'altrove". Queste rette e questi domini sono indipendenti dal riferimento prescelto.

Non siatene troppo certi: un gran numero di fisici non dubita che la vostra sveglia puntata sulle sette non suonerà se stanotte il tempo (e non l'orologio) si ferma. Restiamo ancora un momento sulle impronte lasciate sulla sabbia dall'ignoto viandante. Se la successione delle orme rappresenta una direzione oggettiva nel tempo e nello spazio, viene da pensare che se ripercorriamo l'itinerario in un tempo accelerato rispetto a quello che impiega questo signore, potremmo ridurre la distanza spaziotemporale che ci separa. Così ci mettiamo in marcia, anzi, gambe in spalla, e dopo dieci minuti di footing vorticoso ci ritroviamo proprio a ridosso di un venditore ambulante al quale non par vero che ci possano essere clienti tanto determinati.

Ancorché trafelati, viene spontaneo chiederci se con lo spazio abbiamo risalito anche la china del tempo. Ma il tempo di chi? Il nostro? Quello del venditore? Quello di Newton? Tutti e tre? Le reminiscenze scolastiche ci fanno supporre lì per lì che tutti i tempi siano relativi, e che non abbia senso parlare di tempo assoluto ma solo di spazi e di tempi relativi gli uni agli altri e che la direzione temporale non abbia alcun senso se non corrisponde a una successione causale di accadimenti contigui.

Sembra passabile come riflessione, eppure potete fare il giro delle cattedre di fisica o di filosofia del pianeta che troverete sempre qualcuno disposto a sostenere che il tempo e lo spazio rappresentano "continui misurabili".

Come noto, Leibniz nutriva grandi sospetti sull'oggettività del tempo e dello spazio. Nel celebre carteggio che lo opponeva al pensatore Samuel Clarke, grande sostenitore dei concetti newtoniani, non dimostra di cavarsela benissimo. Clarke gli eccepisce orgogliosamente che "se lo spazio e il tempo non esistessero, Dio avrebbe potuto creare la Terra milioni di anni prima e farla avanzare in linea retta che nulla sarebbe cambiato". E aggiunge: "Inoltre il tempo e lo spazio sono delle quantità, cosa che l'ordine e la situazione non sono". Pur avendo a disposizione la formidabile risposta che il tempo é un semplice contenitore degli avvenimenti, Leibniz non si pronuncia sulla prima eccezione di Clarke. Si limita cautamente ad osservare che "se lo spazio e il tempo sono quantità, o piuttosto cose dotate di quantità, non c'é dubbio che pure l'ordine possiede una quantità: vi é quello che precede e quello che segue, vi é la distanza e l'intervallo". Sembra quasi che "l'ordine" venga qui elevato a monarca del tempo e dello spazio, la qual cosa ha permesso a Clarke di guadagnarsi la celebrità per aver messo nell'angolo, sia pure per un momento, il suo più illustre corrispondente.

Non dobbiamo sorridere di queste schermaglie a colpi di calamaio. Possiamo ribattere a Clarke che Dio non avrebbe anticipato o cambiato alcunché senza cambiare gli avvenimenti, salvo poi inguaiarci in una cosmologia contemporanea che richiede attraverso il tempo cosmico un artefice altrettanto autorevole di quello ipotizzato da Clarke.

Ma intanto non abbiamo ancora completato la storia della passeggiata sulla spiaggia, perché proprio quando ritenevamo di aver risolto ogni apprensione sulla ricomparsa di un tempo e di uno spazio assoluti, ci accorgiamo che le impronte delle scarpe del venditore ambulante sono soltanto molto simili a quelle che avevamo seguito! Per uno strano scherzo del caso era accaduto che queste impronte si erano sovrapposte a quelle del camminatore misterioso, che a uno sguardo attento, infatti, proseguono evidentissime al di là delle scarpe dell'ambulante.

Allora proseguiamo la corsa, risaliamo caracollando l'ultima duna che porta ad un parcheggio d'automobili e lì, inesorabilmente, perdiamo ogni traccia. Ci sediamo per riprendere fiato e puntualmente veniamo raggiunti dal venditore ambulante più che mai deciso a rifilarci un accendino dopo il nostro precedente, incomprensibile atteggiamento. Al prezzo di un meno costoso leccalecca deduciamo che il proprietario delle orme deve essere salito sulla sua auto, ha acceso il motore e ha percorso il sentiero sterrato fino al bivio; probabilmente ha guardato a destra e a sinistra, ha messo la freccia E SE N'È ANDATO...

Il nostro inseguimento lungo l'asse del tempo non sembra averci avvicinato nemmeno di un secondo o di un centimetro all'ignoto viandante: ci assale anzi il dubbio che quelle impronte potrebbero essere anche di ieri... Se é così, concludiamo, la sola speranza é quella di incontrarlo nel futuro, per esempio domani o dopodomani se é affezionato a questa spiaggia.

Come é complicata questa storia. Albert Einstein ne racconta una più convincente che dimostra che tutti i tempi e tutti i moti sono relativi. In omaggio al suo professore Ernst Mach e al vescovo anglicano Berkeley (che già duecento anni prima non esitava a sostenere che "la posizione e il movimento di un corpo si può pensare solo in rapporto ad altri corpi, e che pertanto di uno spazio puro che non contenga corpi non ci si può formare idea alcuna"), Einstein esamina due fulmini che colpiscono le rotaie di una linea ferroviaria, un treno in movimento e un deviatore fermo sulla banchina. E si compromette molto di più.

Dopo aver fatto le bucce del tempo e dello spazio newtoniani per mezzo delle trasformazioni di Lorentz, dopo aver dimostrato l'inadeguatezza del vecchio concetto di etere, delle nozioni classiche di distanza spaziale e di simultaneità, sostituendole con quelle di un tempo e di uno spazio relativi all'osservatore (Relatività Ristretta), Einstein ha poi ritenuto di poter pervenire alla spiegazione del fenomeno della gravitazione (Relatività Generale). Servendosi di una struttura geometrica d'avanguardia che combinava le proprietà del tempo e dello spazio ("cronotopo" o spazio tempo di Minkowski - fig. 1), sostituì seduta stante concetti epistemologici che sembravano essere nati con l'uomo. Si potrebbe malignare che Einstein non si accontentò di passare alla storia come il più grande castigatore del tempo e dello spazio. Egli ha realmente creduto di poter calare tutto l'universo dentro una teoria fisica. Dovremo farne un cenno per alzare un poco il tono della discussione.
 


Spazio, tempo e Einstein
L'idea che la temporalità sia la proprietà primordiale delle cose e preliminare all'esistenza dell'universo é stata completamente riabilitata dalla teoria cosmologica del Big Bang. Newton ritorna al suo posto. Lo spazio e il tempo fluiscono solenni dal magico istante della creazione e la radiazione a 3 K°, relitto dell'esplosione originaria, ci avvolge come un manto straordinariamente omogeneo svolgendo le funzioni di vero e proprio "etere cosmico". Contrariamente ai postulati della Relatività é possibile opporre il tavolo di Michelson al fondo di microonde e così definire una velocità uniforme assoluta rispetto all'universo (un corpo materiale che si muova nello spazio a velocità elevata può rilevare la variazione di energia delle microonde tramite l'effetto Doppler). Ad Einstein resta il dominio delle vicende interne e locali della fisica estrema a cui si deve ricorrere per recepire produzioni di energia favolose (quasars e buchi neri) o per giustificare imbarazzanti distribuzioni di redshift tramite effetti di "lente gravitazionale".

Eppure la storia non era affatto partita in questo modo. Il punto di partenza delle due teorie - ristretta e generale - era quello di sottoporre a critica radicale lo spazio, il tempo, il moto, l'inerzia, l'energia e la massa, allo scopo di formulare una descrizione invariante e oggettiva valida per ogni sistema di coordinate.

Nella teoria ristretta il giovane Einstein sviluppa le conseguenze di due assiomi la cui integrazione é fondamentale per la coerenza delle rappresentazioni della fisica. Questi assiomi sono:

1 - Invariamza e insuperabilità della velocità della luce nel vuoto: la sua misurazione deve fornire sempre il medesimo risultato quale che sia la velocità relativa della sorgente e dell'osservatore.
2 - Principio di relatività ristretta: chiamando riferimento d'inerzia ogni riferimento in quiete o in moto rettilineo e uniforme rispetto agli assi di Copernico, non c'é esperienza fisica all'interno di tale riferimento che possa evidenziare lo stato di movimento relativo (rettilineo e uniforme) rispetto ad un altro.

Dal contenuto di entrambi gli assiomi deriva che le lunghezze e gli intervalli di tempo tra gli oggetti e gli avvenimenti fisici non sono proprietà peculiari e intrinseche, ma che la loro misura dipende dall'osservatore. La trasformazione di Lorentz stabilisce infatti la corrispondenza tra le misure temporali e quelle di lunghezza. È facilissimo render conto di questo effetto immaginando due vetture impegnate in una competizione che procedono ad alta velocità, separate dall'intervallo temporale corrispondente ad un secondo: quando il tracciato é tortuoso - e la velocità diminuisce - le due vetture appaiono vicinissime; quando percorrono un rettilineo e la velocità aumenta, appaiono più distanziate.

Naturalmente la contrazione descritta dalla Relatività Ristretta riguarda tutto lo spazio e i corpi che vi si muovono: così si può calcolare che due auto di formula uno si riducano IN LUNGHEZZA di un fattore che sfiora le dimensioni di un diametro atomico (si parla sempre, ovviamente, di velocità nel vuoto, dove non entrano in gioco la resistenza dell'aria ed altri fattori) e un missile che procede a 40.000 chilometri all'ora di un centesimo di millimetro. Se però prendiamo in esame razzi interstellari che riescano a muoversi a velocità pari al 50, o al 99 per cento della velocità della luce, dobbiamo attenderci una riduzione delle lunghezze che va dal 14 all'86 per cento di quella che avevano quando si trovavano in attesa del "go" sulla rampa di lancio.

È posto un limite fisico oltreché teorico alla possibilità di imprimere velocità a un oggetto: in particolare la cosiddetta massa di inerzia che misura la resistenza a ulteriori accelerazioni aumenta al di là di ogni limite approssimandosi alla velocità della luce. Ciò ha suggerito ad Einstein che la massa relativistica di un oggetto derivi dalla sua massa di quiete e dal contributo che si può attribuire alla sua energia cinetica con la conseguenza che ad ogni energia
E si può pensare associata una massa m = E/c² che viene detta massa dell'energia, e viceversa che a ogni massa m si può pensare associata un'energia E = m* c2².

Ma lo stesso Einstein non poteva accontentarsi di una limitata applicabilità del principio di relatività del moto. Su questo punto egli condivideva le vedute di Mach, per il quale le forze di inerzia di un corpo sono il risultato dell'interazione complessiva di tutti i corpi.

Queste considerazioni (ed altre ancora) lo indussero a stabilire una equivalenza tra l'inerzia e la gravitazione e a ricercare una teoria generale e invariante del fenomeno che si avvalesse della struttura metrica del cronotopo o spazio-tempo di Minkowski (Fig. 1).

La grande idea che lo spazio fisico potesse incurvarsi in prossimità di corpi massicci lo indusse a scrivere, nel 1915, le equazioni relativistiche della gravitazione. Vennero formulate in base a tre assiomi che sono del tutto trascurati dalla cosmologia attuale, e cioè:

1 - Totale determinazione della metrica da parte della materia: le proprietà metriche dello spazio-tempo sono determinate in ogni punto dalla distribuzione delle masse e dell'energia nei dintorni di quel punto.
2 - Equivalenza: le forze d'inerzia sono della stessa natura delle forze di gravitazione.
3 - Covarianza: l'espressione delle leggi fisiche deve essere indipendente dalla scelta delle coordinate che individuano lo spazio-tempo.

Il risultato è una rappresentazione stereografica del fenomeno della gravitazione: sparisce completamente il concetto di gravità e di inerzia intesi come una forza indipendente e intrinseca dei corpi, mentre il tempo e lo spazio vengono assimilati nella struttura metrica dello spazio-tempo. La gravità appare, insomma, come l'effetto della curvatura del mondo quadridimensionale spazio-temporale.

Applicata all'universo e al mondo delle galassie la Relatività Generale considererebbe insoddisfacente la concezione newtoniana per la quale il corpo più massiccio esercita direttamente una forza sulle masse minori facendo loro descrivere orbite circolari o ellittiche intorno ad esso. Nella nuova concezione einsteniana si dovrebbe dire che la massa della galassia dominante di un ammasso incurva il mondo spazio-temporale circostante e che le galassie compagne percorrono linee geodetiche che seguono la curvatura prodotta dalla sua ingente massa.
 


Ritorno al passato
Esamineremo subito i risultati cosmologici a cui Einstein pervenne applicando gli assiomi delle sue teorie. Dobbiamo però soffermarci sulla questione, tutt'altro che marginale, della revisione dei significati di tempo e di spazio che impone la nuova prospettiva: possiamo ancora fare ricorso a queste nozioni come distinte l'una dall'altra o dobbiamo d'ora in poi ricordare che stiamo parlando di una varietà
riemanniana tridimensionale a cui è associata una coordinata temporale (x, y, z, t)? Lo spazio-tempo è insomma ciò che direttamente incarna la realtà fisica o corrisponde invece a un espediente matematico altamente sofisticato che unisce due aspetti differenti della Natura?

L'ideatore di questa struttura geometrica, Hermann Minkowski, le attribuiva un significato del tutto realistico. A differenza dello spazio che é costituito di punti spaziali, lo spazio-tempo consiste infatti di punti spaziotemporali, ciascuno dei quali é un luogo particolare in un momento particolare. L'esistenza di un essere vivente, (ma anche di una particella o di una stella) forma una sorta di tubo quadridimensionale LUNGO E CONVOLUTO nello spazio-tempo. Un oggetto osservato in un punto dato corrisponde a una sezione tridimensionale di questo tubo quadridimensionale; e la linea lungo la quale il tubo si snoda viene chiamata LINEA UNIVERSALE di quell'oggetto. In essa, lungo ogni punto, si connette il passato, il presente e il futuro attraverso linee che si diffondono con un angolo di 45 gradi e che sono soggette al limite della velocità di propagazione della luce. Le linee universali corrispondono così a radiazioni luminose che formano un cono in tutte le direzioni, senza che l'oggetto possa mai fuoriuscire da quel cono di luce che si propaga da un qualsiasi punto del suo passato.

Molti fisici contemporanei condividono l'opinione di Minkowski e sono affascinati dal fatto che le forme di vita e gli esseri pensanti percorrono ineluttabilmente quelle linee di universo come se fossero state tracciate ancora prima di essere percorse. Questo ha ridato slancio a tutta una serie di congetture che ripropongono il sogno fantascientifico di viaggiare a ritroso nel tempo.

Era stato subito intuito, del resto, che se velocità prossime a quelle della luce in un sistema in movimento rallentano lo SCORRERE del tempo, velocità superiori avrebbero prodotto addirittura il volgere all'indietro del tempo. Einstein, sempre riservato a questo proposito, fa riferimento al principio di causalità e non adotta mai il termine SCORRERE DEL TEMPO. Tuttavia, a causa del cambiamento del segno algebrico nella trasformazione di
Lorentz, la coordinata temporale diverrebbe reale indicando una distanza spaziale, mentre tutte le lunghezze si ridurrebbero a zero e diverrebbero immaginarie.

Sembrerebbe inevitabile che infrangendo la barriera della luce ci ritroveremmo in un luogo dello spazio-tempo precedente a quello da cui ci siamo allontanati. E se si può eccepire che risalendo ad una data che era precedente al momento in cui superammo la velocità della luce noi non possiamo realmente sostenere di averla mai superata, non ci sarà facile provare che oggi in realtà sia ieri dal momento che noi partimmo domani!... I relativisti della vecchia scuola considerano questa conseguenza come la migliore conferma dell'impossibilità di procedere a velocità superiori a quella della luce, sebbene - come vedremo - l'assioma possa essere facilmente contraddetto in un universo la cui metrica è considerata in espansione, ed è anzi in grado di "stirarsi" a velocità superiori a
c.

L'inversione temporale non viene affatto esclusa dalla fisica corrente. Per quanto possa apparire abnorme, sembrerebbe possibile avere l'inverso di un processo irreversibile e quindi equazioni invertite rispetto al tempo, buchi bianchi da buchi neri, stelle ghiacciate e, chissà, forse anche radiazione luminosa prodotta dal fuoco primario dei telescopi che si propaga nello spazio per onde sferiche di raggio decrescente fino a condensarsi in stelle...

E dire che
Kurt Gödel aveva ritenuto, meno di cinquant'anni fa, di vibrare il colpo finale all'idea moribonda del "tempo che passa", già così strapazzata dalla critica einsteniana. Con una celebre soluzione delle equazioni di Einstein che permetteva di aggirare lo spazio-tempo "e a qualcuno di far ritorno nel passato in prossimità dei luoghi in cui aveva vissuto", dimostrò che in certe condizioni era possibile identificare linee chiuse in cui se P si trova nel futuro di Q su una linea di universo della materia, ve ne sono altre di tipo temporale sulle quali Q si trova nel futuro di P
. "Lì ritroverebbe una persona che sarebbe se stesso in un certo periodo precedente della sua stessa vita e potrebbe far fare a questa persona qualcosa che lui ricorderebbe non essergli mai capitata" ("A remark about the relationship between Relativity theory and idealistic Philosophy in Einstein philosopher" K. Gödel).

La dimostrazione di Gödel è stata esplorata da un gran numero di scrittori di fantascienza e riproposta con il termine grossolano di "iperspazio", mentre é istruttivo notare che i fisici moderni fanno letteralmente a gara per dimostrarne la correttezza con lo scopo diametralmente opposto di riaffermare l'esistenza del tempo... Nel 1985 l'astronomo e scrittore di fantascienza Carl Sagan ha chiesto la consulenza del Politecnico della California per dare plausibilità ad un suo romanzo imperniato sui viaggi nel tempo. Ottenne immediato riscontro e la confortante assicurazione che due grossi buchi neri gli sarebbero bastati per procurarsi un WORMHOLE (galleria nello spaziotempo) e andare col suo libro su e giù per il passato. Nella circostanza si ebbe anche l'importante conferma che la migliore
fantascienza veniva prodotta al Caltech.

Spazio-tempo: finzione o realtà?
Ma dobbiamo tornare alla struttura geometrica di Minkowski per chiederci se, malgrado le convinzioni del suo ideatore, lo spaziotempo sia invece un semplice artificio matematico come Kurt Gödel era certo di aver dimostrato. I teorici - e perfino lo stesso Einstein nella sua risposta a Gödel - sottolineano che la direzione del tempo può essere definita in senso fisico solo dall'azione causale e lasciano trasparire che tale struttura è una proiezione di comodo atta a integrare enti fisici non equivalenti. Alcuni osservano che la variabile é immaginaria e che non c'è una reale trasformazione lineare che proietti una linea temporale su una linea di tipo spaziale. Il fatto é che nella Relatività Generale lo spazio-tempo non è piatto: inoltre il cono della luce separa le direzioni dello spazio-tempo in due insiemi di cui uno solo contiene le direzioni "reali" degli oggetti fisici. Se qualsiasi oggetto materiale può essere identificato con un tubo di spazio-tempo che si incurva lungo una linea, la Natura si proietta soltanto su una parte della struttura di Minkowski. È un realismo ben discutibile per una geometria che pretende di incarnare la realtà stessa! Come dice Jacques Merleau Ponty "ciò che è reale é l'insieme geometrico, ma poi all'interno di questo insieme è necessario inserire una frontiera tra il reale e l'irreale...".

Non ci sono dunque molti modi per intendere il tempo, lo spazio e lo spazio-tempo. O si accetta l'opinione entusiastica di Minkowski, oppure lo si considera un'utile approssimazione topologica: nel primo caso abbiamo un ente fisico vero e proprio elevato al rango di monarca della natura, nel secondo caso un espediente geometrico più raffinato per collocarvi i fenomeni. Chi propende per il primo si sbarazza per sempre della primordiale distinzione fra tempo e spazio, mentre chi propende per il secondo deve poi precisare le sue vedute epistemologiche riguardo al tempo e allo spazio.

La formulazione originaria della Relatività legava a tal punto lo spazio alla materia da farne una qualità strutturale: restava così solo "il tempo", che per Einstein si riduceva alla possibilità di trasmettere un segnale da un punto-avvenimento a un altro (A. Einstein, Reply to Criticism).

Gödel rifiutava la realtà del trascorrere del tempo, mentre la Relatività intendeva fissare l'orientamento deterministico dei fenomeni naturali. Vedremo adesso, rapidamente, come l'introduzione di una metrica variabile abbia modificato alla radice la coerenza concettuale della Teoria, i suoi assiomi e il suo prolungamento cosmologico.



L'universo tondo e l'universo vuoto
Se le proprietà geometriche dello spazio sono intimamente connesse e, anzi, totalmente determinate dalla materia, le equazioni relativistiche del campo possono rivelarci la struttura dell'intero universo.

Con una comunicazione all'Accademia Prussiana delle Scienze, nel 1917, Einstein discute questa possibilità esaminando un modello di universo in cui spazio e materia formano un continuum chiuso analogo a una sfera o a un ellissoide; qualcosa che, almeno in relazione alle sue dimensioni spaziali, può essere pensato come chiuso e finito, incurvato positivamente.

Pur non essendo possibile visualizzare direttamente oggetti quadridimensionali, si può paragonare questo universo a un'ipersfera in cui, secondo la definizione di Eddington, il centro è dappertutto e la circonferenza in nessun luogo. In questo sistema chiuso non esistono rette: la luce vi percorre delle geodetiche analoghe ai cerchi massimi della sfera e queste linee si chiudono in se stesse. A rigore di ipotesi un impulso luminoso potrebbe fare un giro completo dell'universo e tornare al suo punto di origine pervenendo così a una perfetta simbiosi con il resto della natura da cui dipende e di cui fa parte. Sostituiamo infatti a "impulso luminoso" la nozione di punto e avremo un universo che passa per tutti i punti.

Nella sua riflessione Einstein sottolinea che é la teoria stessa a suggerire il nesso che collega l'estensione dello spazio alla densità media della materia. Se le equazioni della Relatività Generale interpretano la realtà fisica, il raggio dell'universo deve essere deciso dalla distribuzione delle masse e dall'energia che vi è contenuta. Ma la stabilità di un tale "sistema del Mondo" Einstein é costretto ad ottenerla con un termine aggiuntivo
Ʌ che svolge le funzioni di una vera e propria costante cosmologica di natura repulsiva. Ricordiamo infatti che il celebre tensore di Einstein:


G µ ν - ½ g µ ν G
 

non è quello più generale in grado di soddisfare tutti gli assiomi della Teoria e di integrarli al principio di conservazione dell'energia; come la modifica dell'equazione di Poisson consente l'integrazione della cosmologia newtoniana, così il termine Ʌ compare nel tensore più generale


G µ ν - ½ g µ ν G  + Ʌ g µ ν


proprio per controbilanciare la tendenza che l'universo avrebbe di precipitare in se stesso sotto l'azione gravitazionale delle sue masse.

È il termine più sofferto e controverso di tutto l'edificio relativistico. Einstein fu costretto a toglierlo dalla circolazione dopo un aspro confronto con la comunità scientifica; ma all'epoca della presentazione della Teoria generale questa "costante" gli sembrava inevitabile, perché era convinto che il ricorso a universi instabili (non statici) avrebbe prodotto speculazioni senza fine, snaturando nel contempo la teoria stessa. Uno dei risultati più tipici della Relatività fu proprio quello di smantellare la nozione convenzionale del tempo come ente fisico assoluto.

Nella formulazione originaria è la materia e non certo il tempo a determinare la geometria dell'universo, eppure bastarono meno di due mesi perché l'astronomo olandese Willem de Sitter potesse opporgli una differente e inaspettata soluzione delle sue equazioni. Naturalmente permeato dalle conoscenze del momento, de Sitter non condivide affatto la grande distribuzione di materia postulata dal modello einsteniano: la realtà di uno spazio gremito di galassie era ancora alle prese con difficoltà osservative non indifferenti e rimaneva pur sempre aperta la possibilità che queste "nebulose" costituissero parte integrante della nostra Galassia. Il sospetto di una Via Lattea sprofondata nel vuoto si insinuava ancora nello scenario teorico di eminenti astronomi, e i nuovi concetti dell'inerzia non avevano
certo vita facile.

Secondo le idee di Mach, riprese interamente da Einstein, se si spopola il campo di tutta la materia ad eccezione di una sola particella, questa non possiede più inerzia; ma se per particella vogliamo intendere tutto l'universo - rileva de Sitter - allora dovremmo dire piuttosto che è Mach ad aver torto. Inoltre, non é possibile concludere che l'universo è sferico o ipersferico "dal momento che può essere rappresentato in uno spazio euclideo per mezzo di una trasformazione stereografica" ("On the relativity of inertia", W. de Sitter, 1917). Così concepisce un mondo del tutto vuoto nel quale vi colloca, intatte, le equazioni di Einstein. Ne esce una specie di ectoplasma, un enigma cosmico ambiguo e affascinante, finito per alcuni osservatori ed infinito per altri, nel quale é sufficiente inserire una sola particella perché questa prenda a recedere nei confronti di un ipotetico osservatore.

Curvo ed euclideo, statico e variabile, vuoto e dotato di specifiche proprietà strutturali, questo modello non poteva sfuggire alle proteste di Einstein. Nella sua risposta a de Sitter, Einstein ribatte a gran voce e sottolinea che "il campo delle
gµν deve essere determinato dalla materia e non deve poter sussistere senza di essa" perché questo é esattamente l'assioma su cui si regge la nuova concezione della gravitazione. La sua intransigenza su questo punto è assoluta: così è prontissimo a respingere una nuova soluzione delle sue equazioni che gli viene opposta qualche anno dopo dal russo Aleksander Friedmann.

 

Descriveremo questo avvenimento rapidamente, ma separatamente data la sua importanza teorica. Sono i modelli di Friedmann, infatti, e non quello di Einstein a fornire i fondamenti alla cosmologia moderna.



Ritorno al futuro
Mentre l'osservazione astronomica rendeva sempre meno credibile l'universo vuoto di de Sitter, il matematico e meteorologo Friedmann stava esaminando le equazioni del campo sotto una prospettiva del tutto diversa. Egli fece la sconcertante ipotesi che il tempo fosse ortogonale allo spazio metrico e che la somma degli angoli di un triangolo, il numero dei centimetri di un metro e perfino la distanza spaziale percorsa dalla luce nell'unità di tempo dipendano dal giorno in cui li si va a misurare (la velocità dell'espansione metrica può essere superiore alla velocità delle luce: ricordiamo che in questo caso essa rappresenta la velocità del sistema di riferimento, non una velocità materiale di una massa relativamente ad un'altra).

Facendo dipendere la metrica dal tempo, Friedmann trova subito che se la materia è distribuita uniformemente come nell'ipotesi einsteiniana, è la curvatura che decide la forma e l'orientamento dell'universo.

Se tale curvatura é di segno positivo l'universo in espansione è spazialmente chiuso, se viceversa è negativa (come le superfici a sella), allora è infinito. Naturalmente - e Friedmann non trascura di osservarlo - occorrono supposizioni complementari per determinare con esattezza questa scelta.

 

Figura 2. Fig. 2a): UNIVERSO CICLICO O CHIUSO. Subito dopo l'istante origine del big bang, l'espansione si produce a una velocità quasi coincidente con quella dell'universo aperto; col passare del tempo, però, la decelerazione si rivela più intensa, e condurrà all'arresto dell'espansione. Dopo, l'universo inizierà una fase di contrazione esattamente simmetrica a quella di espansione precedente, e alla fine si troverà nello stato iniziale e, forse, potrà verificarsi un nuovo big bang. Fig. 2b): UNIVERSO APERTO IN ESPANSIONE INDEFINITA. In questo caso, l'espansione è illimitata. Inizialmente il raggio dell'universo è aumentato rapidamente col trascorrere del tempo, ma poi l'aumento è rallentato; il raggio continuerà ad accrescersi in avvenire, via via più lentamente, senza che tuttavia il moto si arresti. Fig. 2c): UNIVERSO STATICO. In questa ipotesi, l'universo della materia è increato ed esiste da sempre. Il suo raggio non subisce variazioni apprezzabili e lo spostamento verso il rosso (red shift) è prodotto da cause differenti dall'espansione dello spazio.

Rimane vero però che se la densità media della materia dell'universo é maggiore di un certo valore critico, il campo gravitazionale complessivo richiude l'universo in se stesso: allora l'espansione rallenterà per volgersi infine in una contrazione in cui la densità della materia raggiungerà livelli indefiniti e il raggio dell'universo si ridurrà a zero. Se invece la densità media é uguale o inferiore rispetto a questo valore, l'espansione dovrà durare per sempre, rendendo l'universo sempre più buio, più freddo e più grande.

L'atteggiamento che Friedmann mostra nei confronti del termine cosmologico
Ʌ é puramente quantitativo: se Ʌ = 0, l'unico senso della sua introduzione nei tensori relativistici gli appare quello di consentire soluzioni cosmologiche statiche e chiuse, e rimarca che non appena si suppone una variabilità costante delle dimensioni spaziali, le equazioni di Einstein non presentano alcun problema di integrazione a livello cosmologico. È la relazione che oggi domina tutta la cosmologia e che ha per conseguenza una recessione generalizzata di tutti gli oggetti; e sebbene Friedmann si lasci scappare da sotto il naso questa clamorosa anticipazione, non si può non restare colpiti dal fatto che il fenomeno più fondamentale dell'astronomia extragalattica - il redshift - fosse implicito in tutti i modelli da lui esaminati.

Si esita, tuttavia, nell'accettare senza riserve questa impostazione. Intanto viene a cadere l'assioma di Einstein della completa determinazione della metrica da parte della materia, e poi non é facile accogliere un effetto fisico che temporalizza lo spazio come fosse già implicito nel formalismo delle equazioni di campo. Infine non si può dire più nulla circa il carattere finito o infinito dell'universo.

Non appena ebbe preso visione delle monografie di Friedmann, Einstein ne restò scandalizzato. Le respinse come "assurdità" e ritenne perfino di poter dimostrare che i calcoli di Friedman erano sbagliati.
 

Siamo lieti di precisarlo al lettore rigoroso, perché la divulgazione ha talmente ingarbugliato la storia che é una consuetudine, ormai, attribuire ad Einstein la scoperta dell'universo in espansione. Questa "scoperta", come vedremo, non fu mai annunciata né da Einstein, né da Friedmann, né tantomeno da Hubble.

Einstein affermò invece che una soluzione non stazionaria era incompatibile con le sue equazioni: le trasformazioni di Lorentz devono dipendere dalle proprietà metriche locali e non dal tempo stesso! Ribadì vigorosamente che "fra materia e spazio c'é un'intima solidarietà e che le
gµν devono essere determinate esclusivamente dalla materia". Aggiunse che "la densità media dell'universo non può essere variabile col tempo" e sbagliò perfino il calcolo per cercare di dimostrarlo.

Punto sul vivo, Friedmann inviò ad Einstein una lettera fornendogli spiegazioni aggiuntive che davano piena coerenza alla sua ipotesi temporale; giungevano frattanto da Monte Wilson notizie che gli spettri delle "nebulose" mostravano un generale spostamento verso il rosso che faceva pensare a un effetto Doppler. Era troppo presto per tirare delle conclusioni: fatto sta che Einstein rese giustizia alle tesi di Friedmann con un breve comunicato alla "Zeitschrift für Physik".

Il resto della storia é meglio delineato e testimonia il sofferto ripiegamento di Einstein dalla sua posizione originaria: otto anni dopo la pubblicazione dei modelli cosmologici di Friedmann dichiarerà che é possibile fare a meno della costante
Ʌ se si è disposti ad accettare che la struttura dello spazio sia sempre meno determinata dalla materia e nel 1945 scriverà che "questo termine Ʌ é da respingere".
 

Tuttavia non si nasconde dietro a un dito e prende atto che "in una tale cornice teorica" il principio dell'inerzia così come formulato da Mach non può essere soddisfatto. Riguardo all'espansione dello spazio introdotta da Friedmann, ancora pochi anni prima di morire Einstein scrive testualmente: "Questo problema non é giunto in alcun modo alla sua conclusione e non posso liberarmi dalla sensazione che nel modo attuale di trattarlo non vengano tracciate abbastanza chiaramente le più fondamentali alternative" ("On the Cosmological Problem", 1945).


Ritorno al presente
Questa breve digressione ci consente di tornare al tema della discussione con una domanda più circostanziata. Se lo spazio-tempo non é reale, si deve tuttavia ammettere l'esistenza di un flusso temporale di ordine superiore che regola e forse perpetua creazioni di materia attraverso le singolarità?

Chi scrive fece questa domanda in circostanze diverse a due celebri astronomi americani, Allan Sandage e Halton Arp: il primo mi disse ridendo che ero "un provocatore", il secondo aprì le braccia e scosse il capo. È molto probabile che abbia riso anch'io entrambe le volte, ma la mia domanda é ancora lì.

Naturalmente ho avuto modo di riproporla a molti altri che pur non avendo mai avuto lo studio a Pasadena erano perfettamente all'altezza della domanda. Devo dire, però, con risultati altrettanto deludenti, perché nessuno dimostrava di prenderla sul serio: chi sospirava, chi alzava gli occhi al cielo; chi invocava precisazioni chiedendomi se stavo parlando di Newton, di un "fantasma" o di una "varietà riemanniana", se mi riferivo a Lorentz o al secondo principio della termodinamica, "se usavo questa nozione in relazione alla densità di carica o alla massa d'inerzia"...

Uniche eccezioni furono un'astronoma francese e uno italiano: la prima mi disse che non credeva affatto al tempo in quanto tale, né come ente fisico né come figura mitologica; ci tenne a "scusarsi con gli esistenzialisti", aggiunse che le singolarità "le facevano orrore" e tuttavia mi pregò di essere discreto su queste sue confidenze. Il secondo invece mi disse subito e senza alcuna esitazione che era evidente che fosse così: che "é lampante che il Big Bang ha diviso le quattro forze fondamentali, il tempo e lo spazio" e che "non c'é dubbio che il tempo, proprio come Crono, rappresenti una specie di autocrate della fisica che si impone ovunque in modo quasi coercitivo". Lo ringraziai e gli dissi che tanta fede nella creazione e nelle singolarità meritava una nuova equivalenza della fisica, quella della materia col tempo,
m=t o t=m a seconda delle circostanze. Mi guardò fisso a lungo, raccolse le sue singolarità e varcò l'orizzonte degli eventi sbattendo una porta a vetri.

In breve, credo che il sondaggio d'opinioni da me effettuato sia abbastanza rappresentativo, se non della realtà fisica del tempo, perlomeno dei fortissimi indizi che la coordinata di tutti i giorni faccia parte di un divenire globale a senso unico, vale a dire dell'universo stesso. Friedmann ha la maggioranza: la magnifica eccezione di Gödel, quella di Einstein e altre meno coraggiose coperte da anonimato, rinforzano l'atroce dubbio che non si possa fare nessuna cosmologia senza introdurre una direzione privilegiata del tempo.

Il pericolo, evidentissimo, é quello di far discendere tutta la fisica teorica, ma anche l'epistemologia e la stessa filosofia, da un modello puramente ipotetico di universo.

L'adesione dei fisici delle particelle ad una cosmologia assunta come NOTA ha prodotto fantascientifiche cittadelle sotterranee, avveniristici laboratori della ricerca a prova di confutazioni, dove generazioni di Frankestein fanno accelerare e collidere protoni e antiprotoni per ottenere "frammenti di Big Bang della durata di un bimilionesimo di secondo".

Michael Turner, professore al Fermilab, ritiene di "sapere che cosa é successo in tutta la storia dell'universo a partire da un secondo dopo il suo inizio", ed esclude in pratica che possano esistere leggi dell'astrofisica che la scienza non conosce ancora. Ho chiesto a un suo amico al   C E R N   che cosa succederebbe se la teoria cosmologica del Big Bang si dimostrasse errata. Ha fatto una risata che sembrava non dovesse finire mai e che si é solo leggermente smorzata quando, imbarazzato, ho provato a ripetergli la domanda: "Beh, forse saremmo rovinati. Dovremmo staccare la spina e andarcene a casa. Ma non lo scriva questo". E ha ricominciato a ridere.


Gauge a go go
I cosmologi sembrano dunque sospingerci verso i misteri della singolarità. Ad essa guardano anche i cultori della fisica estrema, i teorizzatori della "supersimmetria" e del "falso vuoto", tutti alla ricerca della "Teoria del Tutto", capace di materializzare la Natura e di fondere relatività e meccanica quantistica in un unico, armonioso linguaggio.

Le conseguenze della concentrazione di massa ed energia hanno attirato la meditazione fin dalla più lontana preistoria: il Fuoco degli antenati, il mattone indivisibile degli atomisti, ma anche le stelle scure di Mitchell e di Laplace o i buchi neri di Schwarzschild, Penrose, Wheeler e Hawking, sono tappe di un pensiero ininterrotto che associa invariabilmente la materia alla condensazione e all'esplosione.

Anche la Relatività Generale si imbatte - suo malgrado - nella fisica di frontiera. Se la presenza di materia determina localmente una curvatura positiva dello spazio e se questa curvatura é una funzione diretta della massa esistente, una grande concentrazione di materia sufficientemente densa può provocare la cesura di ogni connessione e interazione con il resto dell'universo, la lacerazione dello spaziotempo e il conseguente stravolgimento di ogni concetto della fisica.

Il nostro intento é di non varcare i confini di questa geometria. L'impostazione dichiarata di questo articolo, critico anche nei confronti del tempo cosmico, é che lo spazio-tempo non é reale. Lo stesso Einstein - ecco un'altra delle mistificazioni che siamo lieti di smascherare - era contrariato dal fatto che la sua teoria non escludesse la formazione di regioni singolari dello spazio-tempo.

Nel già citato "On the Cosmological Problem" manifesta molto chiaramente la possibilità che la Relatività Generale non sia adeguata nel caso di elevatissime densità: "Può darsi - scrive testualmente - che in una teoria unificata non si presenti alcuna singolarità". Che delusione: sarebbe la fine dei paradossi temporali da buchi neri autenticati dal Caltech; e quanti lettori perduti a causa dell'impossibilità di invertire il corso del tempo imboccando certe linee geometriche...


Panta rei
In uno dei suoi film più felici Federico Fellini rievoca la commozione della gente comune al passaggio notturno del Rex, il grande transatlantico che se ne va in America. Una moltitudine di barchette dondolanti nella bonaccia, braccia che si agitano e grida festanti. Chissà se un regista di pari sensibilità ci riproporrà un giorno le immagini del trasporto ferroviario dello specchio destinato al più grande telescopio del mondo, attraverso l'America.

Correva l'anno 1936 e la gente si accalcava davanti ai binari a salutare il gigantesco blocco di vetro che dalle officine Corning di New York procedeva solenne, diretto alle lontanissime montagne che dominano San Diego. Si sentivano tutti più buoni, gridavano buon viaggio e si aspettavano cose meravigliose. Non si può dire che il telescopio di Monte Palomar abbia tradito le attese. Ma non ha sciolto gli enigmi. Era già carico di responsabilità ancor prima di essere inaugurato: doveva dimostrare innanzitutto che l'universo é in espansione e che le galassie si allontanano reciprocamente, le une dalle altre, percorrendo linee di spazio-tempo che si diramano dal punto della Creazione; e poi determinare in quale degli universi di Friedmann ci troviamo, sulla base degli spostamenti verso il rosso e delle magnitudini che era in grado di fissare. Se per disgrazia avesse provato il contrario, riproponendo all'evidenza un universo senza tempo, sconfinato e incomprensibile, quella cupola imbarazzante sarebbe diventata un po' come il monumento all'illusione, l'icona sferragliante di un sogno troppo grande. A quasi cinquant'anni dalla sua inaugurazione, privato del suo titolo di riflettore più grande del mondo ma non certo della sua autorità e della sua efficienza, lo "Hale" di Monte Palomar ha dato ragione a tutti, proprio come se la conoscenza dell'universo non dipendesse dalla sua tecnologia raffinata o dalla sua vista straordinaria, ma dall'umore di chi a turno va a sedersi nella gabbia del suo fuoco primario.

Nonostante sia accreditato della scoperta dell'universo in espansione, Edwin Hubble - che fu il primo a maneggiare lo "Hale" di 5 metri - non ratificò mai questa conclusione. Era invece colpito dall'antichità della radiazione luminosa delle galassie: quando sviluppava una lastra dopo ore e ore di esposizione soleva ripetere ai suoi collaboratori: "Non è incredibile? Quest'ombra si nota appena eppure é una nebulosa. Pochi grani di luce che hanno viaggiato per lo spazio per milioni di anni. Non é incredibile?" (cfr.: "The Realm of Nebulae", E. Hubble, 1936).

Hubble terminò bruscamente (era malato di cuore) ma degnamente la sua attività di pioniere dell'astronomia dichiarando che anche la nostra conoscenza diminuisce col quadrato della distanza
[Nota di Nereo Villa: questa dichiarazione di Hubble in quanto riduttiva della conoscenza è materialistica. Dal punto di vista scientifico-spirituale egli avrebbe potuto precisare che ciò che diminuisce con la distanza non è la nostra "conoscenza" ma solo la sfera sensibile di essa. Infatti non esistono limiti al conoscere umano]. I suoi successori più promettenti con accesso al Palomar, Allan Sandage e Halton Arp, che all'inizio erano ottimi amici, giunsero invece a conclusioni così antitetiche da togliersi persino il saluto. Sandage era stato chiamato a proseguire il lavoro di Hubble, anzi a concretizzarlo: era un predestinato senza volerlo, con una carriera formidabile pronta per essere percorsa; Arp era un ex spadaccino, aveva inclinazioni artistiche e si faceva guidare solo dal suo talento osservativo. Così avvenne che dallo stesso osservatorio uno annunciava la data di nascita dell'universo mentre l'altro la smentiva regolarmente. Una situazione insostenibile che andò avanti quasi trent'anni e che un giorno dovrà essere raccontata da una penna migliore di questa.

Sandage era alla ricerca del cruciale parametro di recessione delle galassie attraverso il quale avrebbe potuto risalire all'origine, alla forma e probabilmente al destino dell'intero universo; Arp era un empirista totale che identificava nelle osservazioni le leggi effettive della fisica. E mentre il primo parlava apertamente di "velocità proporzionale alla distanza", il secondo accettava solo una relazione generica tra la magnitudine e lo spostamento verso il rosso, cercando addirittura prove contrarie. Due ex amici in rotta di collisione, senza alcuna possibilità di intendersi, almeno sul piano professionale.

Per Sandage, Arp voleva distruggere la cosmologia, per Arp, Sandage voleva affermare a tutti i costi un origine dell'universo. Così, quando il primo usciva dalla "gabbia" annunciando conferme della legge di Hubble tutti si tranquillizzavano, mentre quando era il turno di Arp a puntare il telescopio, tutti trattenevano il fiato. E se in trent'anni di osservazioni Arp non avesse trovato nulla di consistente, questa querelle sarebbe diventata una cavalleresca tensione fra scienziati da immortalare sulla copertina patinata di "Sky and Telescope", con i due astronomi a cavalcioni su un telescopio, vestiti da cow boys, che si stringono la mano e che esibiscono un sorriso a 64 denti.

Ciò che é difficile raccontare é che Arp
TROVÒ EFFETTIVAMENTE QUALCOSA: qualcosa di così imbarazzante da minacciare non solo i dati di Hubble o di Sandage, ma tutta la cornice teorica della Relatività, già così pesantemente rimaneggiata dalla temporalizzazione di Friedmann. Arp trovò infatti galassie e catene di galassie in evidente interazione, ma con spostamenti verso il rosso così diversi da renderne impossibile l'interpretazione in termini di velocità. Fotografò coppie, gruppi, ammassi di galassie in cui la dispersione del redshift era tanto elevata che non sarebbe mai stato possibile osservarle nelle configurazioni in cui si trovavano, applicando i modelli canonici di espansione cosmica. C'era dunque un'altra causa che determinava lo spostamento spettrale delle galassie!

Così gli assalti di Arp non erano schermaglie "al primo sangue": andavano tutte al cuore ed erano tutte stoccate MORTALI. La sua attenzione si spostò rapidamente sui quasar e sui loro enormi spostamenti verso il rosso che già causavano tanti grattacapi al punto di vista convenzionale. Mostrò un numero rilevantissimo di quasar troppo vicini a galassie perché fosse un caso, e riuscì perfino a fotografarne alcuni immersi nei bracci e fra le polveri di queste ultime.

Gli storiografi del futuro potranno spiegarci più dettagliatamente perché gli esiti delle sue ricerche provocavano costernazione invece che consensi, e perché l'affermazione di tali idee appaia tuttora così catastrofica per la ricerca astronomica e per la microfisica. Nessuno tuttavia può negare che l'idea di una genesi di tutti gli elementi (Big Bang) ha monopolizzato l'attenzione dei teorici ben al di là degli indizi che questo modello può invocare. Nella stessa struttura della ricerca e nel delicato equilibrio che ne finanzia la tecnologia, devono infatti trovar posto programmazioni di lungo termine che mal sopporterebbero cambiamenti così radicali come quelli che impone l'accettazione dei dati di Arp.

Dove va dunque la cosmologia? È difficilissimo rispondere. Forse il Big Bang continuerà a suggestionare lo scenario della conoscenza. Forse ha i giorni contati. Un passaggio cruciale é la determinazione della costante
H0 di recessione alla quale Sandage ha dedicato un'intera vita: l'Hubble Space Telescope (HST), il fantascientifico cannocchiale che ruota in cielo al di sopra dello schermo atmosferico, riesce infatti a risolvere in stelle anche le galassie dell'ammasso della Vergine e può tener d'occhio le fluttuazioni luminose delle Cefeidi. Poiché la magnitudine assoluta di queste stelle risulta proporzionale al loro periodo di pulsazione, lo strumento può ricavare la curva di luce, desumere la distanza effettiva della galassia e quindi "tarare" una volta per tutte la supposta espansione dell'universo. Insomma, quel che Sandage ha cercato di ottenere in una vita, cavandosi gli occhi, lottando con la concorrenza, spezzandosi la schiena e collezionando migliaia di raffreddori, HST lo può fare in un mese o due senza nemmeno uno starnuto.

Stupefacente, certo, e anche un po' immorale. È come sottoporre la propria reputazione al vaglio di una macchina della verità piena di bit e di relais: ci si fa appoggiare un elettrodo da qualche parte, si incrociano le dita e si aspetta che il marchingegno gracchi con voce metallica "Right" oppure "Wrong".

Ed é già allarme rosso: in modo del tutto indipendente due gruppi di ricerca hanno pubblicato stime assai concordanti della costante di recessione. Il gruppo di Michael Pierce ottiene un valore di 87 ħ 7 chilometri al secondo per Megaparsec dall'osservazione di Cefeidi in NGC 4571, mentre il gruppo di Wendy Friedman, che si avvale dell'HST, fissa in 80 chilometri il limite inferiore della costante
H0, utilizzando Cefeidi di un'altra galassia - M 100 - appartenente al medesimo ammasso. Troppi, "drammaticamente troppi" per render conto dell'età che mostrano gli ammassi stellari più antichi. Lo stesso valore di Sandage, stimato intorno ai 50 Km/sec. per Mpc, era già al limite quando si trattava di adattarlo alla scala dell'evoluzione stellare (40 km/sec per Mpc é il valore massimo auspicato dalla maggioranza
dei cosmologi).

Il problema adesso é che a quella velocità di espansione l'universo non può avere più di 8/9 miliardi di anni, vale a dire che le galassie sono
MOLTO PIÙ GIOVANI DELLE STELLE PIÙ VECCHIE CHE LE COMPONGONO.

Una catastrofe in qualche modo annunciata? Beh, Sandage era già allenato a lottare con chi "voleva rompere tutto" (Arp) e aveva dovuto rintuzzare anche gli attacchi degli "alleati" (alludo all'astronomo francese Gerard de Vaucoulers, recentemente scomparso, che dal 1976 indicava il valore della costante di Hubble in 100 km/s per Mpc), che pretendevano altre calibrazioni ed effetti spuri sulla regolarità del flusso dell'espansione. Ma un conto é lottare con avversari in carne e ossa e un conto é contestare i dati di chi si trova in migliori condizioni di osservazione (HST). Il lato più imbarazzante della confutazione del Big Bang é però la stretta connessione che questo modello ha con la teoria della Relatività. Non c'é dubbio che, a meno di un improbabile ritorno all'ipersfera e all'enigmatica costante
Ʌ, la rinuncia all'espansione dell'universo espone tutta la fisica teorica al rischio del naufragio. Resta tuttavia da domandarsi se la mancata integrazione del suo assioma principale - la completa determinazione dello spazio da parte della materia - e del principio machiano dell'inerzia, la Relatività Generale non fosse già stata snaturata dalla temporalizzazione introdotta da Friedmann (come verrà descritto più avanti, H. Arp e J. Narlikar hanno presentato una soluzione delle equazioni di Einstein in un modello di universo statico che è in accordo col Principio di Mach - "Flat Space Time Cosmology", Astrophysical Journal 405, 1993).

Quale che sia l'esito finale, Crono si gode il suo spettacolare revival al vertice dell'Olimpo. La sua clessidra, in bilico fra la costante di Hubble e una nuova spiegazione dello spostamento verso il rosso, scandisce il ritmo del destino diluendo il tempo e perpetuando l'entropia: soppesa le masse, pondera la curvatura, minaccia di far morire di freddo l'universo stirandolo per sempre; oppure di farlo franare sotto il suo stesso peso, alternando Big Crunch a Big Bang, nuove apocalissi a nuove creazioni.

Stephen Hawking si chiede perché ricordiamo il passato e non il futuro, e trova ammissibile che una volta esaurita la fase di espansione noi potremmo essere estratti dalla terra, liberati dalle bare, trasportati all'obitorio e quindi inoltrati al reparto rianimazione di qualche ospedale dove la vita ci verrebbe infusa con l'olio santo al fine di destinarci a un'abitazione privata, all'interno della quale ci alimenteremmo per via anale attraverso il sistema fognario vomitando le scorie dalla bocca che andremo poi a collocare una ad una nelle scansie dei supermercati. In questo enigmatico tran-tran procederemmo dalla vecchiaia alla giovinezza fino ad essere sospinti a forza di braccia nella vagina di una ex-mamma (!).

Qualcuno fa osservare che - vitto a parte - é una morte niente male. Ma le barzellette non fanno ridere se vengono raccontate al contrario e sono difficilissime da capire se perfino l'ordine delle vocali e delle consonanti viene invertito...

Per certa scienza il ritorno a un universo statico sarebbe un po' come la fine del tempo, come la fine dell'entropia, come la fine del divenire, come la fine del passare. La fine di Crono, la fine di Eraclito e Zaratustra, la fine della scienza, la fine della conoscenza.

Sebbene l'inversione temporale venga sostenuta con tanta decisione, questi scienziati trovano poi del tutto naturale che siamo destinati a morire: la nostra piccola vita, questo pianeta, ma poi anche il Sole e perfino la Galassia non sono che ombre, fluttuazioni infinitesime dell'universo in espansione. Per la meccanica quantistica la Natura potrebbe anche essere sgusciata dal nulla perché in fondo basta combinare energia positiva e negativa per inaugurare materia con massa zero. Lo stesso Arp si sofferma a considerare le opportunità teoriche che offre questa nuova frontiera ai suoi "redshift non cosmologici".

Quel che nessuno, scienziato o sciamano, riesce a spiegarci bene,
É PERCHÉ C'É QUALCOSA AL POSTO DI NULLA, qualcosa che a dispetto di Crono se ne sta là quando potrebbe benissimo farne a meno, evitando tutto quel groviglio di spazio-tempo e tanto incommensurabile spreco di energia. Qualcosa che poi potrebbe esistere da sempre, qualcosa che potrebbe prescindere dalla creazione perché non ha alcun bisogno di essere creato. Nessuno di noi sa con precisione cosa dirà fra un minuto o fra un'ora. Pare un buon argomento contro l'esistenza del tempo, ma poi fra un minuto o fra un'ora lo sarà molto meno e ci farà ripensare a quell'enigmatico intervallo di passato che é passato e che erroneamente ci figuriamo vuoto perché di nuovo saremo rivolti al futuro. Avvertiamo soltanto, con un certo disagio, che il tempo trascorso non scorre più e che forse solo il futuro precipita sul presente come una cascata su un sasso; oppure che é il presente a scorrere come una funivia su un cavo di spazio-tempo e che é soltanto la sua direzione a dare un orientamento agli eventi. Quale che sia la verità, questo tempo di cui ci pare di poter disporre per un minuto, per un giorno, per una vita, questo attimo fuggente nel quale possiamo bagnarci e abbeverarci e dove succede sempre qualcosa perché qualcosa deve pur succedere, non sembra dar posto solo all'ineluttabile, a ciò che per forza deve compiersi. Fra un minuto o fra un'ora possono capitare tante cose che forse non sono già scritte INTERAMENTE nel cono di luce o nell'altrove dello spazio-tempo. Certo, tante cose prevedibili, ma anche tante che si compiono al di fuori del nostro dominio e che pure finiscono per interagire: dunque pericoli, imprevisti e accidenti. Banalità, probabilmente, ma allora anche buona sorte e vento in poppa lungo il percorso. Forse la Natura ha un suo margine di improvvisazione, forse la meccanica quantistica ha perfino uno stato d'animo...

Nel modello di universo pulsante, però, la materia ricompare assolutamente ricreata dalla singolarità dopo essere stata assolutamente distrutta. È una resurrezione ben poco esaltante, che sembra cancellare ogni ricordo, ogni vestigia di esperienze precedenti. Sembra solo capace di replicarsi all'infinito. Come un ebete.

L'astronoma Beatrice Tinsley, scomparsa prematuramente nel 1981 e famosa per non concedere niente a nessuno in materia di riduzione dei dati osservativi, non faceva mistero di sentirsi poi fortemente attratta verso le soluzioni cosmologiche aperte. Non c'é niente di male nell'esternare le proprie preferenze, diceva. Il suo universo senza freni - "an unbound universe" (vedi
Fig. 2b) - precipita verso la rarefazione e l'oscurità: le stelle e le galassie sono destinate a spegnersi sprofondando in una notte sempre più fredda e sempre più buia; e appariranno allora nebbiosi cimiteri di materia collassata ed enormi buchi neri che in capo a 10100 anni dovrebbero evaporare. Alla fine non resteranno che particelle e deboli radiazioni vaganti come falene smarrite nella notte eterna.

Ci vuole il senso della morte per essere attratti da un simile universo e la Tinsley, evidentemente, ce l'aveva. Ma é anche eresia rispettabile: può perfino far credere che la morte sia un'illusione e che il nostro destino sia quello di attraversare l'eternità per piantare un ramo sempre più lontano. Che importa se stiamo morendo? In fondo, domani é un altro giornoğ.