| Il 3 luglio Sonny
e Peter, del cantiere Vosper che ha la rappresentanza Zodiac, ci organizzano un
pranzo d'addio.
Abbiamo perso troppo
tempo, è ora di partire. Tutto il club si raduna per salutarci. Perfino una squadra
di soldati guastatori impegnata in esercitazioni di guado sospende le operazioni
per vederci andare via, Il motore del Selamat non vuole accendersi, Michel pare
di cattivo umore, lo vedo occupato a girare le manopole della radio, smonta il
proiettore. Nel
primo pomeriggio salpiamo le ancore, dietro la poppa due scie bianche e lucenti
ci collegano per un poco alla Seletar Air Base; alla nostra sinistra svaniscono
le ultime terre delle penisola malese. Per
lasciare Singapore occorre ottenere la clearance a Changi, ma dopo aver risalito
per 500 metri il fiumiciattolo ci dicono di proseguire per la dogana situata al
Fingers Peer. Dopo
aver girovagato per mezz'ora nell'immenso porto della città troviamo l'edificio
giusto, consegniamo la crew list e subito volgiamo la prua verso Sud. |
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Un quarto d'ora
di mare rotto e incrociato e siamo nuovamente fermi, questa volta per fotografare
la colossale portaerei americana Costellation, all'ormeggio da alcuni giorni.
Ora il mare è diventato liscio e filiamo a 15 nodi verso l'Indonesia, alcune piccole
isole che si profilano di fronte. E'quasi notte quando riconosciamo Sambu per
i numerosi serbatoi circolari d'olio combustibile. Le pratiche burocratiche per
l'ingresso nel Paese durano parecchie ore e terminano solo il giorno dopo. In
parte occorre svolgerle a Sambu, in parte a BIa- kang Padjang, un'isola di fronte.
A mezzanotte stendiamo i sacchi ii pelo sul marciapiede dell'Ufficio di Polizia,
unico posto non ricoperto da una viscida patina di nafta. Le
poche decine di miglia percorse, sul Selemat hanno già causato il distacco dell'antenna
radio dall'albero e la perdita della parte immersa del log, forse per un urto
contro un legno galleggiante. Cominciamo bene! Alle
cinque di mattina dobbiamo togliere il campo: aprono gli uffici. Un ultimo benvenuto
ci arriva da un furioso temporale tropicale con gocce grandi come uova. Dopo una
lunga attesa dell'ufficiale medico per l'esame dei certificati di vaccinazione
possiamo andarcene. Questo primo contatto con l'Indonesia non ci ha davvero entusiasmato.
La via più diretta per
il Sud passa attraverso lo stretto di Bulan. E'molto difficile orientarsi a vista,
dobbiamo utilizzare la bussola con attenzione per infilare l'imbocco del passaggio.
Intorno a noi si aprono infatti molti canali tra decine d'isole, alcuni dei quali
conducono alla Senimba Bay e altre insenature chiuse, altri costringono a lunghi
giri viziosi. Il mare è un lago appena increspato da raffiche che mi avvertono
che in mare aperto, fuori dalle zone riparate, il monsone di S.E. ha incominciato
a soffiare. | Sono
sorpreso che a poche miglia dalla grande e moderna Singapore vi siano villaggi
su palafitte molto poveri e una miriade di isole ricoperte da una fitta vegetazione
tropicale ove nessun uomo bianco pare mai passato. Talvolta
incrociamo barchette in legno dalle vele incredibilmente stracciate, lì cielo
è cupo, gonfio di nuvole nere che ogni tanto ci regalano un piovasco. |
Usciti dal canale di Bulan,
lasciamo sulla dritta l'isola di Beiakang Sidih, poi quelle di Penyait Layar e
ci dirigiamo sul Pandjang. Il mare diventa brutto, le corte onde sollevate a prua
dal monsone, ci danno una prima misura di quella che sarà la faticosa navigazione
futura. Un ennesimo
scroscio di pioggia e lasciamo alle spalle le isole Abang per raggiungere a sera
Temiang. A Sud-Est dell'isola si trova un canale-fiordo ramificato, con fondali
alquanto bassi. Scandagliando continuamente a velocità minima, arriviamo a una
piattaforma di bambù che collega insieme quattro case di pescatori e siamo attorniati
subito da tutto il micro villaggio. Curiosi ma ospitali, ci offrono del the e
una stanza per dormire; assistono poi ridendo alla nostra cena a lume di candela
a base di un mezzo chilo di pescetti comperati da loro, gustosi e pieni di spine Il
5 luglio inizia con una meravigliosa giornata di sole. Ci sbrighiamo ad arrotolare
i sacchi a pelo, che scopriamo brulicanti di microscopici ragni rossi. Francine
si gratta furiosamente. Navighiamo alla massima velocità in un dedalo di isole
sparse tra le più grandi e angka e Ba- kung: sull'acqua si disegnano solo i gorghi
dei flussi di marea, che fanno lievemente scodinzolare i gommoni in planata. Usciamo
dallo stretto di Dasi e costeggiamo la bella e montuosa Lingga. A mezzogiorno
il sole non potrebbe raggiungere maggiore verticalità: è un momento memorabile,
abbiamo tagliato il maggiore dei paralleli e da adesso le nostre rotte solcheranno
i mari dell'emisfero Sud. Ci arrestiamo per dare uno sguardo a una delle tante
baracche da pesca che incontriamo a qualche miglio dalla costa e che confermano
la bassezza dei fondali. E'bassa marea, ci arrampichiamo come gatti sull'alta
struttura a palafitta. Il capanno è interessantissimo.
E'formato da una struttura di bambù, tetto e pareti, ricoperta da foglie impermeabili
di palma; il pavimento è costituito da canne avvicinate e legate. Una zona rialzata
serve per la notte. C'è poi un focolare di pietra, vasellame e arnesi da pesca
molto primitivi. Uscendo dalla porta opposta, si nota una imponente struttura
di tronchi che sorregge una grande rete, che viene abbassata con un ingegnoso
sistema di paranchi e funi vegetali. Un lavoro da equilibristi a sei metri dal
pelo dell'acqua. Una fitta palificazione semisommersa prosegue verso terra. Serve
probabilmente per stendere reti [..]. Incontreremo spesso queste file di di bastoni
pericolose per la navigazio ne, perchè sovente invisibili a pelo di acqua.
Percorriamo
altre venti miglia. Imbocchiamo lo Straat Lima per visitare l'isola di Selajar.
Sbarchiamo su di una
spiaggia deserta color arancio disseminata di conchiglie, un incanto.
Una lussureggiante vegetazione tropicale fa da corona. Si
odono voci di scimmie, canti d'innumerevoli uccelli. |
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Non vorremmo più andarcene
ma il programma deciso è di raggiungere SingKep prima di notte. Troviamo la costa
Est dell'isola di Singkep orlata da una serie di pericolosi reef e di banchi di
sabbia. Dobbiamo navigare al largo. Qui il fetch è maggiore e le onde assumono
proporzioni rispettabili. Con delusione scopriamo che a Dabo. il principale villaggio
dell'isola, il porto è costituito da un pontone in ferro completamente esposto
al monsone di SE. Gli
esigui fondali formano alti frangenti, uno dei quali si rovescia sul Berani, inondando
Michel, Francine e tutto il materiale della loro barca. Nel frattempo Ciccio ed
io, con urla e gesti, tenendoci a rispettosa di- stanza dal pontile contro il
quale la violenta risacca vorrebbe scaraventarci, riusciamo a capire dall'harbour-master
che è meglio trovare riparo mezzo miglio verso Est, alla foce di un fiumiciattolo.
Occorre andare veloci, la marea sta scendendo. Michel, invece, ha attraccato in
fondo al molo, balla e sbatte paurosamente. Non riusciamo subito a convincerlo
e dopo una vivace discussione viriamo alla ricerca dell'ormeggio consigliatoci.
Con difficoltà, anche
a causa della luce che sta rapidamente scemando (i tramonti all'equatore sono
quanto mai rapidi), scopriamo il posto: un'accelerata per infilarci di misura
tra una fila serrata di pali immersi, poi spegniamo il motore e lo solleviamo
per superare in abbrivio un bassofondo. Ora ci dirigiamo verso terra, a duecento
metri, il motore al minimo, ma l'elica tocca il fondo: « In acqua, trasciniamo
il Selamàt a mano ». « Occhio, tieniti aggrappato al gommone, ci sono sabbie mobili
» Il fango, viscido e traditore, non oppone resistenza e ci risucchia in basso
fino all'anca. La marcia diventa oltremodo ridicola, [..... ] ora per gli ultimi
100 metri e filare la cima.
Prua al mare, attacchiamo motore finchè l'ancora fa presa. Arriva intanto anche
Michel, che ha lasciato finalmente il pontone; la marea è un pò scesa ed ora è
in difficoltà a superare la barra. Francine si butta in acqua per trascinare il
Berani, sprofonda nella melma. "Bernhard, Massimò, venez au secour...Les sables
mouvantes! ». Mi rituffo nell'acqua tiepida, nuotando con grandi bracciate. Ormai
è notte fonda. Mezz'ora dopo i due gommoni giacciono affiancati, le ancore di
prua incastrate alla base di due pali; di poppa, lunghe cime a terra. Siamo bagnati,
infreddoliti e stravolti dalla fatica.
Testo e foto by Massimo Maggia - 1977 - |