Un lavoro come un altro

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Data di creazione : 03 marzo 2006

Ultima modifica: 04 novembre 2006

 

 

-=Un lavoro come un altro=-

 

 

“Non è uno show televisivo

Né un evento adatto ad una piazza.

E' come sfornare il pane,

Pulire le strade

O costruire un edificio:

E' semplicemente il mio lavoro,

un lavoro come un altro ”

 

 

Di fronte allo specchio si lava la faccia con acqua gelida: forse, si farà schifo più tardi.

Non ama il suo lavoro, questo è ovvio.

Lo porta ad essere un altro, qualcuno che non vorrebbe essere.

Ma non ha scelta.

Gocce d'acqua scendono dal suo volto mentre lui rimane immobile a fissare la propria immagine riflessa, indagando se stesso, scrutando al di là della maschera che porta.

Lentamente metto a tacere tutti i suoi pensieri: sua moglie, sua figlia, la sua vita…

Deserto.

Lava via ogni pensiero, ogni dubbio.

Non ne ha bisogno, ora.

Adesso deve solo concentrarsi: ha del lavoro che lo attende.

 

Quella mattina però davvero non aveva voglia di stare lì a prepararsi. E' stanco e assonnato…a dirla tutta, se ne sarebbe rimasto volentieri a poltrire fino tardi. Ma poi chi l'avrebbe sentito il suo responsabile…quel testa di cazzo…

Di certo non avrebbe tollerato alcun ritardo da parte sua. Nessun errore!

O almeno, non dopo lo spiacevole incidente di due settimane prima.

Per colpa sua un lavoro era andato a monte e avevano praticamente perso un cliente irritato per l'inadempienza del servizio.

Ovviamente la direzione aziendale si era alquanto irritata e quindi avevano - diciamo così - “esercitato pressioni” nonostante Edgar fosse operativo ormai da un bel pezzo e non si fossero mai verificati problemi.

Tutta colpa della crisi economica: anche l'azienda ne risentiva e quindi, questa volta, tutto doveva filare liscio pena spiacevoli conseguenze.

Non c'era spazio per fallimenti e pesi inutili.

Un altro errore e non ci sarebbe stato più posto per lui, soprattutto.

Certo, come se fosse stata solo ed esclusivamente colpa sua… Dannazione! Cosa ci poteva fare se l'autobus su cui viaggiava aveva investito un ragazzino in moto! Ma ovviamente per il suo illuminato responsabile, Mical, il fallimento con quel cliente era unicamente dovuto a quel suo ritardo e alla conseguente mancata esecuzione del lavoro.

Dell'incidente e della successiva congestione del traffico ne avevano parlato anche sul giornale; ma per lui non era sufficiente.

L'azienda aveva perso quel cliente ed era solo e soltanto colpa sua: impossibile far cambiare idea a Mical!

Impossibile fargli notare che in realtà era lui che avrebbe dovuto occuparsi di gestire la faccenda e non agitarsi e andare in escandescenza. Un comportamento inopportuno e così poco professionale che aveva scatenato la rabbia del cliente, già di per sé irritato per il mancato adempimento dei servizi da lui richiesti. E ben pagati.

Naturalmente, anche il suo responsabile aveva le sue colpe e l'azienda pure l'aveva redarguito. Ma tutto ciò non riusciva a confutare la sua teoria in merito a come erano realmente andate le cose.

E da quel giorno se l'era legata al dito divenendo, se possibile, ancora più antipatico nei confronti di Edgar.

Arrivare in ritardo al lavoro quindi, era un lusso che non poteva più permettersi.

Anzi, nemmeno poteva osare pensarci pena un possibile licenziamento!

Scrollando la testa l'uomo si convinse ad abbandonare simili, inutili grattacapi: non ha senso perdersi con questi pensieri prima di un lavoro tanto delicato.

Quindi si asciuga la faccia e poi, ancora a torso nudo, come da consueta abitudine lavorativa, si dirigo verso la panca dello spogliatoio messagli a disposizione.

Inizia a trafficare con i pantaloni scuri e gli anfibi da lavoro; poi indossa i pantaloni neri. Con un po' di difficoltà a dire il vero: ed in effetti è come assistere ad una lotta disperata tra i suoi chili di troppo e la cintura che non ne vuole sapere di richiudersi.

Ebbene sì, lo ammette amaramente, negli ultimi mesi è un po' ingrassato…ma non se ne preoccupa più di tanto. Anzi, l'azienda trova che così la sua figura professionale risulti ancora più adatta, più conforme all'immagine tradizionale che da sempre essa ha cercato di conservare. E di vendere ai propri clienti.

Dopotutto quasi tutti i suoi colleghi, quelli operativi intendiamoci, esibiscono una sana “panza” da buongustai!

Uno smilzo o mingherlino, d'altra parte risulterebbe assai ridicoli a fare quel mestiere.

Sua moglie invece, si lamenta un po' : dovresti metterti a dieta, praticare dello sport, andare in palestra…insomma! muoviti un po' di più!!

Lei parla…parla…parla…

Lei!

Lei che addirittura fa meno vincerebbe le olimpiadi del “non-movimento”!

Però un po' di ragione ce l'ha, non lo nega…dopotutto, alla sua età, sarebbe bene prestare un po' d'attenzione alla forma fisica. Esiste sempre il terroristico rischio di infarti che medici e tv pensano bene di continuare a rammentare. Uomini atletici e ariani, loro, che preannunciano malanni e sciagure per i comuni mortali di mezza età.

Ma lui non ce la fa, non ha proprio la forza, alla sera, terminato il lavoro, di andarsene in palestra e faticare ancora. Al weekend poi, che c'è di male nel rilassarsi e nel dedicarsi un poco ai propri hobby e alle proprie passioni? Perché dovrei andare a fare footing, pensa, o chissà ché dopo una settimana massacrante e di duro lavoro?

Lo chiede soprattutto a se stesso.

Nuovamente di fronte allo specchio, si toglie il crocifisso che porta al collo prima di indossare la protezione per la testa, un nero copricapo scuro che lo nasconde completamente fino al collo.

Infine richiude il suo borsone scuro e lo ripone a lato degli armadietti di metallo.

Ora è finalmente pronto: si può cominciare!

 

Esce dallo spogliatoio che il cliente ha messo a disposizione, oltrepassa la portineria in cui un addetto alla sorveglianza tenta di passare il tempo come meglio gli riesce osservando ora il giornale ora i monitor che mostrano l'esterno.

Poco più avanti lo attende Mical. Appare sollevato quando finalmente lo vede in uniforme da lavoro. E' nervoso. Nell'aria, attorno a lui soprattutto, si avverte ancora puzzo di fumo.

“Mi raccomando: voglio un lavoro pulito. Fa in modo che il cliente rimanga soddisfatto. Lo sai che questa è un'occasione importante per te…Non vorrai mica deludere l'azienda? Lo sappiamo entrambi che sei un ottimo elemento, no?!”

Una breve pausa.

“Su, seguimi che si comincia.”

L'altro annuisce e si incammina, seguendolo, lungo il corridoio poco illuminato.

Fortunatamente il copricapo che indossa gli nasconde per intero la faccia.

Il suo cervello nel frattempo elabora e traduce il senso di quello che il suo esimio responsabile aveva cercato di fargli capire.

Se questo lavoro, per un qualsiasi motivo, si fosse risolto in un fallimento avrebbero licenziato entrambi ma ovviamente sarebbe stata tutta colpa sua. Mettiamocelo bene in testa, ripeté tra sé e sé Edgar.

Poi la litania delle sue motivazioni, dei motivi che lo sostengono nel fare ancora quel lavoro odioso.

Tu non vuoi che questo accada, che ti licenzino, giusto?

Non ora che tua figlia ha messo l'apparecchio per i denti e che ti ci vorrà una bella somma per concludere il pagamento: no.

Non ora che tua moglie è nuovamente incinta e che sarà necessario affrontare nuove spese per la casa e per il nuovo bimbo in arrivo: no di certo.

Non in questo merdosissimo periodo di crisi in cui le aziende chiudono e la gente mendica lavoro: nossignore!

Per cui non dargli retta e non abbatterti: mostra a tutti di che pasta sei fatto!

Fa vedere loro quello che sai fare!

Lo ricorderanno come un lavoro perfetto, vedrai!

Fallo per l'azienda!

Fallo per te stesso!

Fallo per la tua famiglia!

Fallo per il tuo futuro!

“Eccoci arrivati: mi raccomando!” : le ultime parole di Mical prima di varcare la soglia della sala dei grandi eventi lo distraggono dai suoi personali incitamenti interiori. Lo riportano a ciò che il suo collega e responsabile gli aveva detto prima, nel corridoio. Ripensando a quel suo sano modo di caricare le persone e di ricordare loro chi rischia il culo gli verrebbe da mandarlo a cagare.

Ma in realtà sono entrambi vogatori di una stessa barca aziendale, semplicemente Edgar l'aveva compreso e l'altro no. Reggeva in mano un remo ma non aveva ancora intuito a cosa potesse servire.

Se licenziano me, si diceva Edgar, di lui certamente l'azienda non avrà più bisogno: dopotutto non ci sono operativi privi di un responsabile che coordini i lavori e mantenga i contatti con i clienti.

Cazzi suoi, quindi.

Dopotutto, lui il lavoro lo sapeva fare.

E bene.

Non aveva bisogno di dimostrarlo a nessuno. E soprattutto non aveva bisogno di ulteriori pressioni.

Era tutto già pesante di suo, così poco soddisfacente e desolante. Non ne poteva più, quel lavoro l'aveva stancato.

Continuava solo per inerzia, solo perché aveva bisogno di lavorare.

Ma se avesse potuto avrebbe mollato tutto per aprire un pub, o un ristorante forse…

Sogni…desideri irrealizzati…la vita l'aveva condotto altrove, ad un lavoro che non amava e che non aveva mai amato.

Ma ora basta, non è tempo per simili pensieri. Scuote la testa e si ferma un istante, un singolo momento di concentrazione prima di varcare la soglia della sala gremita di gente.

Rimane in silenzio con se stesso.

Annulla i suoi pensieri.

Il suo non è un lavoro difficile ma ancora, nonostante vent'anni circa di professione, non riesce a viverlo bene.

Forse è ancora troppo poco distaccato.

Per questo quando non lavora ho così spesso bisogno di starsene da solo per dimenticare quegli occhi, quei volti e tutta quella gente che immancabilmente presenzia in simili circostanze.

Entra.

Lo speaker annuncia il suo arrivo.

La folla applaude ed acclama al pensiero di ciò che a breve accadrà sul palco di legno collocato al centro del salone.

Per gli altri è un evento ma lui avanza in silenzio, indifferente a tutto.

Proprio come deve essere.

Proprio come ci si aspetta che lui sia.

Tra le urla e l'eccitazione della gente scorge gli occhi di un bambino: in terza fila c'è una famiglia al completo e il pargolo lo osserva meravigliato.

Da grande, forse, sogna di diventare come me.

Un sogno assai crudele, bimbo, sappilo.

Ma è solo un pensiero fugace che svanisce all'istante. In fondo, nel mondo ci sono anche lavori peggiori.

Sente il suo sguardo e assieme ad esso quello di centinaia di altre persone posarsi su di lui, soffermarsi sul suo cappuccio nero che nasconde ogni fattezza del suo volto umano.

Una maschera per tutelare la sua esistenza.

Una maschera per privarlo del volto e della sua identità.

Quando la indosso lui è nessuno.

E a nessuno sono concessi poteri che un uomo comune non può esercitare.

Senza di essa, in realtà, sarebbe perduto, non riuscirebbe a fare quel che invece fa.

A torso nudo e con i suoi stivali neri, semplici ed essenziali come impone la tradizione dell'azienda per cui lavora, sale le scale di legno: è arrivato ormai.

Raggiunge il centro della pedana, raggiunge il suo obiettivo.

Il cliente, anch'esso sulla pedana, appare ebbro di gioia, sfigurato mentre incita la folla e conclude il suo discorso.

Per loro sarà anche uno spettacolo, un macabro show a cui assistere e per il quale entusiasmarsi.

Ma per Edgar è solo un lavoro, un modo come un altro di guadagnarsi il pane.

Poi un cenno di intesa e quindi il palco si svuota.

Il silenzio della folla mentre una musica risuona nell'aria. E' composta di lunghi suoni melodiosi, lenti e malinconici, accompagnati da percussioni profonde e lontane. Riportano a tempi ormai perduti, cancellano i pensieri e agiscono sulle emozioni umane, rilassando e creando attesa.

Edgar osserva l'uomo che con lui sta sul palco.

L'altro, supino e legato al lettino di legno, pazienterà ancora un istante. Urla, piange, insulta il cliente di Mical e Edgar e la folla al completo.

Come dargli torto.

Ma in fondo è la legge naturale, mors tua vita mea dicevano.

Ed il boia lo sa bene e comprende lo stato d'animo della vittima designata. Ma ciononostante prosegue con i preparativi dell'esecuzione e si dedica alla scelta dello strumento migliore, quello più adatto all'evento.

Sceglie quindi una scure semplice ma ben bilanciata, dal lungo manico in carpino. La lama appare ben levigata e luccicante. E' un'arma anonima, umile ma possente usata dai falegnami e dai contadini di tutte le epoche e di tutte le nazioni.

Talvolta anche come arma di guerra.

Ma soprattutto è l'arma dei suoi predecessori e di coloro che saranno dopo di lui a svolgere quel lavoro.

Senza fatica la solleva poi sopra la testa, la regge con una mano soltanto. Successivamente la porto davanti a se, perpendicolare al corpo. Quindi la muovo verso destra.

Come ogni volta, prima di eseguire il suo compito, Edgar si esibisce in alcune evoluzioni facendo ruotare l'arma su se stessa, spostandola da destra a sinistra, prima con una mano e poi con l'altra, creando cerchi nell'aria e rapide traiettorie.

E' la prassi, la routine prima dell'esecuzione prevede un po' di scena per il pubblico e per il cliente pagante.

Poi si fermo.

Lentamente, le luci si spengono e un fascio di luce va ad illuminare il lettino su cui giace la vittima designata.

Il boia si avvicina all'uomo: uno sguardo rapido e poi osserva altrove.

Non sa chi sia ma crede di averlo incrociato più di una volta in autobus.

Non che questo cambi le cose, certo. In fondo è solo un lavoro, nulla di più.

Solleva in alto la scure e la abbatte con violenza sul suo collo.

Un colpo solo, poderoso.

Schizzi di sangue caldo.

Poi un altro colpo, altrettanto preciso e potente.

La testa rotola a terra in un mare di sangue.

Edgar la recupera e la solleva mentre il pubblico esplode, avvampando, in un applauso di giubilo.

Le luci si riaccendono immediatamente mentre esibisce la testa del condannato. Il volto ancora stravolto dal dolore e dalla paura.

In prima fila scorgo il cliente: sorride soddisfatto e applaude.

Il lavoro è andato bene.

Mical, il responsabile della buona riuscita dell'esecuzione, seduto lì a fianco replica lo stesso comportamento.

“Ottimo lavoro”, gli conferma nello spogliatoio pochi minuti dopo mentre Edgar torna ad indossare i suoi abiti usuali e ripone nel borsone la sua tenuta di boia.

 

 

Leonardo Colombi

 

 

-=Note=-

 

Esattamente non so da dove io abbia attinto per la creazione di questo personaggio…di certo non rappresenta uno dei miei sogni o delle mie aspirazioni di vita! Semplicemente, credo, ho riflettuto sull'ironia della sorte che alle volte porta le persone a vivere grazie a lavori di dubbia moralità.

Ma non solo. E' anche un modo per denunciare il moderno mondo del lavoro che sembra, in certi livelli, portare l'individuo ad annullare la propria umanità o ad “uccidere” gli altri. Anche se questo ovviamente non comporta l'annullamento fisico di clienti, di concorrenti o colleghi. Tra le critiche che ho ricevuto al racconto, infine, molte riguardavano la dimensione aziendale del testo e la non gestione “mediatica” dell'esecuzione. Magari hanno ragione e dovrei cambiare il testo. Ma in realtà non era mia intenzione focalizzare l'attenzione sull'esecuzione, bensì sull'uomo boia. Un uomo come tutti, con i propri pensieri e problemi. Un uomo reso anonimo e che compie un compito ingrato ma che in realtà non vive il suo ruolo come anomalo. Il suo è un lavoro come un altro, come se si trattasse di fare l'imbianchino, l'idraulico, l'infermiere oppure il costruttore di bombe, il produttore di coloranti, il ricercatore per il reparto armi dell'esercito…

 

 

-=Commenti ricevuti=-

 

Commenti ricevuti su Scrivendo:

da Minnie (26 marzo 2006):

Direi che il testo è molto valido e si presta a letture introspettive di vario genere. Credo che siamo tutti boia e spettatori contemporaneamente perchè assistiamo indifferenti a grandi drammi e se non fermiamo il boia, siamo praticamente complici.

da Giovannina (26 marzo 2006):

Secondo me, non vanno tanto bene i termini azienda e cliente: appesantiscono.
forse espressioni più vaghe che lascino più intendere...perchè il racconto è suggestivo e da spazio alla suspense, ma azienda e cliente mi sembra che lo zavorrino un po'.
magari è questo il tuo intento e sono io che non ho capito niente, però il racconto mi piace davvero, mi ha fatto venire in mente "sabbath bloody sabbath" così per associazione di idee.
saluti

 

Commenti ricevuti su OzBlogOz:

Link alla pubblicazione

da Sphinx (28 agosto 2006):

Carina l'idea, anche se per certi versi credo tu ti sia ispirato al film Hostel... non è un male
Per quanto riguarda il modo in cui è scritto, devo dire che scorre bene, anche se ci sono delle imperfezioni qua e là forse dovute al fatto che non hai riletto il racconto con cura prima di postarlo.
inoltre, sarà il fatto che ne ho letti parecchi di racconti del genere, ma a me è sembrato prevedibile, anche se tu hai fatto di tutto per creare una specie di finale ad effetto che proprio ad effetto non è.
Comunque piacevole, a rileggerti.

 

da Giudil (01 settembre 2006):

bravo. Veramente un buon racconto. Non voglio entrare in una polemica personale, ma penso esattamente il contrario di quello che ti ha scritto l'indefesso commentatore che mi ha preceduto. A cui hai risposto anche troppo gentilmente.
Io trovo originalità sia nella storia che nei tempi con cui l'hai sviluppata, sia nel flusso di pensiero che poni nella testa del protagonista. (se anche così non fosse non mi permetterei di insinuare che sia copiato...).
Si legge bene, ha spunti di ironia e di grottesco, e fa riflettere sulla spaventosa normalitá a cui qualsiasi il più terribile abominio viene riportato per essere compiuto.
Un difetto, se proprio devo indicarlo, lo trovo nella parte in cui insisti sull'aziendalità del lavoro, avrei puntato di piú sul suo rapporto personale con il lavoro, e avrei visto più adatta un'organizzazione più tipo impresario-Show buSiness che burocratica quale traspare dal tuo racconto.
E' stata una lettura veramente piacevole.
Un saluto
giu

 

da Lebeg (01 settembre 2006):

Prima che si scateni la rissa intervengo dicendo la mia
Il tuo racconto mi è sembrato sostanzialmente ben scritto. Attento ad alcune costruzioni sintattiche che si ripetono un po' troppo spesso, come quel "certo virgola" all'inizio di almeno metà frasi (battuta).
A mio modestissimo parere, poi, il flusso di cosceinza è un po' troppo artificioso, nel senso che si vede come il protagonista non segua sempre una linea naturale di pensieri ma si fermi spesso per "raccontare" al lettore cos'è successo. Non stona, ma è una mia fissazione, ci ho tenuto soltanto a segnalarti il neo.
Sul punto dell'originalità, mi dispiace dirlo, ma qui non ce n'è molta. Non c'è un effettivo colpo di scena, dal momento che già dal titolo si capisce che quel lavoro non è tecnicamente come tutti gli altri. "una giornata come tutte le altre", "un amico come tutti gli altri" eccetera sono costruzioni ormai abusate. Io ad esempio pensavo si trattasse di un serial killer fin dall'inizio. Non ci ho azzeccato, ma non ci sono neanche andato troppo lontano.
Bella comunque l'ambientazione assurda tipo serata in discoteca con esecuzione finale. Quella mi è piaciuta molto.

A rileggerti

 

da obeb (02 settembre 2006):

Trovo il tuo racconto piacevole e di facile lettura.

Pochi intoppi, a parte alcuni momenti, in particolare nella prima parte (ad es. “Impossibile fargli notare che in realtà era lui che doveva occuparsi di trattare la faccenda e non agitarsi e andare in escandescenza scatenando la rabbia del cliente già di per sé irritato per il mancato adempimento dei servizi da lui richiesti e ben pagati”). Non me ne volere, ma ho rischiato l'apnea.

Ho apprezzato in particolare il ritmo con cui hai scandito la seconda parte del racconto, quella dell'evento, per intenderci. La prima immagine che mi si è presentata è stata quella di un incontro di wrestling. A tal proposito, come ti è già stato suggerito, collocherei il protagonista nel mondo dello show business, più che in azienda.

Altro appunto che mi sento di farti (sempre costruttivo, o almeno spero) è la scelta di cominciare la narrazione dal mattino: “Stamattina però, davvero non ho propria voglia…”. La descrizione dell'evento lascia pensare ad uno spettacolo serale, creando un'evidente incongruenza. Si potrebbe forse pensare a una registrazione televisiva, ma non vi sono elementi che la suggeriscano. Oppure fare cenno al tragitto che il protagonista deve percorrere per raggiungere la sua destinazione. In definitiva cercare di rendere più plausibile cronologicamente il susseguirsi degli eventi.

In conclusione, non posso che giudicare positivo il tuo racconto e spero che il mio intervento possa essere utile per un'eventuale riscrittura.

ciao

dedo

da Shoen (24 settembre 2006):

Anche se come tema non è nuovissimo e, verso la metà del racconto, si intuisce qualcosa di losco a proposito del protagonista, lascia comunque sufficiente curiosità che invoglia ad arrivare al finale; in questo l'ho trovato piacevole, o comunque con un suo senso.
Riguardo la forma, credo che si potrebbe migliorare l'uso delle virgole e del ritmo generale; se la voce narrante avesse continuato a raccontare anche la seconda parte della storia con la stessa "indolenza", avrebbe avuto secondo me un effetto migliore - aldilà cioè della semplice sorpresa finale sulla reale occupazione dell'uomo - e, soprattutto, più disturbante (visto il tema macabro, comunque la sensazione di turbamento è una marcia in più).

da sciafab1974 (27 settembre 2006):

la lettura e' scorrevole e di facile comprensione usi con disinvoltura le parole.
E' un buon monologo interiore, avrei preferito leggere un Racconto con una mini-trama, un tema tra le righe e magari un bel conflitto a cui appassionarmi.
Perche' un lettore dovrebbe appassionarsi alle elucubrazioni mentali del tuo protagonista?
Noi troviamo sempre interessante la nostra vita tanto da raccontarla ai quattro venti ma gli altri, il piu' delle volte non la trovano interessante.

da manueffe (09 ottobre 2006):

Ottimo effetto sorpresa, i pensieri che affollano la sua mente vengono buttati giù uno dietro l'altro, sono abbastanza coordinati tra di loro e riescono a definire in maniera abbastanza chiara ciò che turba il protagonista , nonostante sia ben descritto lo stato d'animo del protagonista non viene comunque svelato il suo mestiere, ma risulta sul finale molto inverosimile, non si capisce che tipo di boia è, dove si usa un pubblico per le esecuzioni ordinate da un “cliente”, chi è il cliente? Chi è che si può permettere di commissionare un'esecuzione e di farla eseguire con un pubblico? Non dico che in un racconto non possa succedere, ma non è spiegato il contesto e secondo me manca proprio qualcosa, ripeto, mi è piaciuto molto il tuo modo di gestire il testo, abbastanza corretto e soprattutto ben articolato, riesci a tenere alto l'interesse del lettore fino alla fine, ma il finale mi ha lasciata di stucco, il lavoro che risulta svolgere sembra che non c'entri niente con il tipo di descrizione fatta durante tutto il testo.

Commenti ricevuti su Il Club dei Poeti (novembre 2006 - ???):

da Asia68 :

"Non staccava gli occhi da terra.c'era veramente in tutti quei piedi che calpestavano il fango davanti a lui una sicurezza,una fiducia che egli non aveva;guardava,e il disgusto che provava di se stesso aumentava;ecco,,gli era dovunque così,sfaccendato,indifferente;questa strada piovosa era la sua vita stessa,percorsa senza fede e senza entusiasmo,con gli occhi affascinati dagli splendori fallaci delle pubblicità luminose". Gli indifferenti,Alberto Moravia.

ciao e grazie per la compagnia.

da alman:

racconto senza tempo, volutamente per lasciare il lettore nel dubbio: dove? quando? chi? la fai, penso, proprio per evitare che si perda l'attenzione sul punto focale della storia che non è il personaggio del boia che è prodromico all'evento. Il "punto" è il pubblico, la gente, la società.

da Mitla:

Un racconto scritto bene (qualche piccolo errore di battitura).
E' ben strutturato e piacevolmente scorrevole.
Anch'io come Alman, sono rimasta colpita dal pubblico, tant'è che prima di accendere i riflettori sulla vera natura del cappuccio nero, speravo si trattasse di un lottatore di wrestling.. ma così non è.
Iquietante quell'agenzia, ma per un cliente pagante soddisfatto cosa non si è disposti a fare?
Piaciuto.

da maryluke:

non posso giudicare, non sono io che posso farlo ... non ne sarei in grado, ma sicuramente scrivi bene. scorrevole. nella sua semplicità. REALISTA ... nella vita a volte serve fare 2 facce purtroppo ... per quanto odioso possa essere ... ... non ci sono altre parole ... spero di rileggerti presto ... my

da lucciolafraleman:

Un poco in ritardo ma ti lascio un commento. So per esperienza che spesso i racconti vengono un poco trascurati forse per via del tempo che richiede la loro lettura. Scritto bene. Fa pensare ciò che hai scritto. Sarebbe bello che il mondo non avesse più bisogno di simili figure. Sinceramente non so come si recluti un boia ma purtroppo penso che ciò che hai scritto sia abbastanza verosimile. Al giorno d'oggi il motto è "la soddisfazione del cliente arma vincente per vendere" Anche se poi in realtà davanti al Dio budget ci si inchina e si fa di tutto pur di vendere a prescindere da tale soddisfdazione. Se l'Agenzia dei Boia esistesse si potrebbero ipotizzare anche bustarelle ai giudici pur di ottenere condanne a morte. Non trovi? Alla prossima

da mimma:

Sì, scritto bene, efficace ed allucinante. Come si impegna, il boia, per soddisfare il pubblico assetato di sangue. C'è un'anima di folla, che fa muovere "il gruppo" come un solo corpo, lo fa sentire potente, coraggioso, disposto a tutto come un singolo non oserebbe mai. Il dio denaro, questo sì, a lettera minuscola, muove le fila delle marionette: il boia, la gente, la moglie del boia, perfino i bambini che assistono incuriositi e frementi. Mi sono chiesta spesso perchè racconti veramente belli abbiano così pochi commenti. E' assurdo, lo trovo un po' triste. Io, nel club, pubblico sempre i racconti prima delle poesie, ebbene, subito le poesie li superano quasi del doppio nei commenti. --- Mimma

 

 

 

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