La nostra telecamera immaginaria si accende e mette a fuoco l'obiettivo.
Ci muoviamo fino ad inquadrare il nostro collaboratore con il quale abbiamo siglato un accordo televisivo.
Ora si trova nel bagno di casa sua.
Sono le 7 e come tutte le mattine, Jim, si sta facendo una doccia.
Seguirà la vestizione e un'abbondante colazione prima di partire alla volta di una densa giornata di lavoro.
Sotto la doccia il nostro si rilassa, fischietta un motivetto mentre tiene la testa leggermente piegata in avanti.
Il liquido che fuoriesce dal sistema idraulico, pericoloso e scuro come d'obbligo, lo ricopre completamente.
Scende dal collo fino ai piedi, denso e appiccicaticcio.
Jim, come tutti gli altri, si fa la doccia con il petrolio.
La nostra telecamera si muove, volando, slegata da ogni legge fisica o dal comune senso logico che regola il reale.
Si incunea all'interno del getto, risalendo la pioggia di prezioso liquido nero e penetra nel corpo metallico che ne regola l'intensità.
E' un viaggio di pochi istanti, alla velocità della luce. Attraverso le tubature del mondo, dalla casa di Jim, arriviamo direttamente in Arabia.
Non importa dove di preciso: a nessuno è mai importato della geografia o della cultura del posto per cui non ha senso sollevare questioni ora.
Il tubo che abbiamo percorso, lo stesso che alimenta le case di migliaia di abitanti del Primo Mondo, termina in un apparecchiatura che filtra le impurità a sua volta comunicante all'esterno attraverso un grande imbuto.
Sporco e unto, ovviamente.
Ininterrottamente delle persone arrivano a svuotare dei secchi colmi di prezioso liquido scuro, petrolio che in questa regione zampilla da ogni dove.
Persino dai frutti degli alberi che crescono nella zona sembra si possano ricavare interessanti sostanze combustibili utili all'economia delle multinazionali.
Forse è per questo che è una meta tanto ambita dagli occidentali costantemente a caccia del distributore più a buon mercato…
La nostra telecamera immaginaria torna alle proprie dimensioni originali.
Una panoramica della zona è d'obbligo.
Si tratta di una sorta di piccola vallata sabbiosa.
Un lungo corridoio sufficientemente ampio perché una quindicina di uomini affiancati possa percorrerlo e dune di sabbia sui lati popolate da militari in divisa.
Alcuni sembrano occidentali, altri musulmani: non occorre conoscere null'altro poiché maggior dettagli potrebbero rischiare di diffondere dubbio e, al contempo, inopportune verità.
Basti sapere che di tanto in tanto sparano.
A volte una fazione contro l'altra, altre volte contro gli staffettisti altre volte in aria, giusto per tenere alta e viva la tensione.
Si perché nella vallata corrono degli uomini.
Musulmani ovviamente.
Corrono avanti e indietro, ininterrottamente, riempiendo secchi con il petrolio che zampilla dall'oasi di idrocarburi situata da una parte e svuotandoli nell'imbuto che da sul primo mondo situato dall'altra.
Per un poco il nostro occhio, tramite l'obbiettivo immaginario della nostra telecamera fittizia, si sofferma nell'osservare questo singolare modo di approvvigionare l'occidente con il petrolio dell'oriente.
Rimaniamo a seguire le corse dei lavoratori musulmani mentre eserciti apparentemente nemici si sparano.
Poi, la nostra telecamera nuovamente torna a rimpicciolirsi: riprenderà il viaggio a ritroso verso l'impianto idraulico di una giovane donna del Minnesota.
I nostri telespettatori preferiranno senza ombra di dubbio osservare questo spettacolo piuttosto che indagare se stessi ed il mondo.
Le inquietanti perplessità sul senso di un sistema creato su carburanti destinati ad esaurirsi e ad essere procurati attraverso ingiustizie e disordini verranno spazzate via in men che non si dica.
Leonardo Colombi