Liberazione e Purificazione

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Data di creazione : 07 marzo 2004

Ultima versione : 04 novembre 2004

 

Questo racconto credo sia nato dalla fusione di elementi e immagini presi da fonti differenti: libri, fumetti, film e videogiochi.

L'immagine dei monaci, così come sono descritti, è quella dei monaci Abellicani della Trilogia del Demone di R.A. Salvatore: uomini di fede, profondi conoscitori della teologia, ma al contempo abili combattenti sia nel corpo a corpo sia nell'uso della magia. Dalla stessa fonte ho preso anche altri elementi, come il nome e i poteri delle varie pietre magiche, per esempio.

Il demone è invece ispirato al nemico finale del videogioco Diablo, della Blizzard: un demone infernale, semplicemente devastante, forza bruta e crudeltà.

L'ambientazione, in una foresta di montagna, con la neve, è invece presa dal finale di un film con Denzel Washington e John Goodman : mi pare fosse intitolato L'ombra del diavolo, ma non ne sono sicuro. Nel film, l'edificio era una casa, non una chiesetta, comunque.

A parte queste precisazioni, la vicenda che segue è la semplice rappresentazione della lotta tra il bene e il male. Un villaggio devastato da questo fantomatico demone (un virus? L'isolazionismo? Una multinazionale? Nulla di tutto questo?) in cui dei monaci cercano di riportare ordine. Ma gli eventi precipitano e il demone uccide coloro che erano venuti per fermarlo. Tutti eccetto uno che, in preda al panico,fugge e si rifugia in una chiesetta, semplice e umile, in mezzo ai boschi. E qui si conclude la vicenda.

Sinceramente non so da cosa io abbia iniziato a pensare al racconto, tuttavia mi piaceva l'idea: uno scontro impossibile tra creature non comparabili. Uno scontro dall'esito inevitabile, da un punto di vista razionale e fisico. Ma la vicenda termina diversamente, grazie a quella forza che è la fede. Certo, il mio non vuole essere un racconto sulla fede e sulla spiritualità ma, di fronte alle tante brutture del mondo, credo che la fede aiuti ad affrontare il presente. Io credo, e di questo non me ne vergogno. E credo che il mondo sarebbe migliore se la gente si rendesse conto che non siamo fatti di sola materia. Va precisato però che il racconto è stato riveduto, corretto e ampliato molto rispetto alla versione iniziale: non so dire quindi se, modificandolo, soprattutto nel finale, ne abbia cambiato pure il senso.    

 

 

 

-=Liberazione e Purificazione=-

 

Epilogo

 

Il respiro affannoso e interrotto dai singhiozzi.

La paura pervade ogni fibra del suo essere.

In ginocchio, tremante prega e piange.

Le lacrime scendono dagli occhi e cadono sulla pietra fredda.

Le mani, giunte, implorano aiuto.

Tremano.

Le parole escono interrotte, inframmezzate al pianto disperato.

Sull'altare il crocifisso tace, mentre il monaco prega e si dispera in preda al terrore.

E' scalzo e sulla sua tonaca lacerazioni e tracce di sangue.

I suoi sandali giacciono abbandonati nella neve.

Li ha persi cercando di sfuggirgli.

E poi il rifugio nella chiesa: silenziosa e fredda, umile, abbandonata in mezzo ai boschi.

Sull'altare il crocifisso tace, mentre la luce di una candela illumina il volto del giovane monaco.

Avanzando a grandi balzi, sciogliendo la neve al proprio passaggio, la belva si avvicina famelica alla chiesetta.

I muscoli possenti e la pelle di cuoio non risentono del freddo.

Avanza eccitato verso quel piccolo tempietto.

Una tenebra nera simile a fiamme lo avvolge.

Con una spallata, senza arrestare la sua corsa, ruggendo, abbatte la porta che rumorosamente crolla a terra assieme a brandelli di muro.

Il giovane monaco implora pietà, indietreggiando mentre una risata malefica riecheggia tra le mura di pietra. Dall'alto dei suoi tre metri il demone ride, con voce terribile e tagliente..

Lentamente, avanza possente verso la sua ultima vittima: ondeggia la coda nell'aria gustandosi il terrore di quel misero mortale che, strisciando in preda al terrore, cerca riparo all'ombra del crocifisso.

La tenebra si sprigiona dal demone e invade quel luogo sacro.

Solo la disperazione e l'infernale risata della belva.

 

 

Liberazione e purificazione

 

Erano partiti dal monastero di Saint Mere Abelle.

Erano in nove, scelti tra i migliori monaci dell'abbazia.

Perfetta la loro conoscenza e la loro preparazione.

Impeccabile il loro addestramento nelle tecniche di combattimento e nell'impiego della magia.

Erano partiti in gran segreto: il padre abate era stato molto chiaro in merito alla questione.

Il silenzio e il più assoluto segreto dovevano circondare l'intera faccenda.

Erano partiti con l'equipaggiamento necessario ad affrontare il viaggio e in pochi giorni, merito anche dell'impiego della magia, tesa a tonificare i muscoli e a rendere più veloci i loro movimenti, erano giunti in quel villaggio del nord, situato tra le montagne dell'Alpinador.

Nessuno avrebbe dovuto notare la loro presenza.

Il loro principale obiettivo era la verifica.

Da qualche settimana infatti, non giungevano notizie dal villaggio.

Da quando, parecchi anni prima, era stato confinata in quella remota regione del nord, il padre abate dell'abbazia di Saint Mere Abelle aveva preteso continui aggiornamenti in merito alla bestia e alla condizione dei sigilli: se i sigilli del piccolo tempietto fossero stati infranti, il demone sarebbe tornato libero.

E il fatto di non aver ricevuto alcun aggiornamento nelle ultime settimane, di certo, non era un buon segno.

Forse, semplicemente, era accaduto qualcosa ai monaci guardiani. Magari, a causa di qualche sfortunato incidente, un furto probabilmente, erano stati privati delle pietre magiche con le quali era possibile la comunicazione a distanza.

Che la bestia avesse trovato il modo per scardinare la sua prigione magica dall'interno, era assolutamente impossibile: per quanto fosse dannatamente potente, contro la magia del sigillo non avrebbe potuto nulla.

Altrettanto impossibile che l'incantesimo si fosse già sciolto: mancavano ancora due anni, stando alle profezie e alle parole di chi l'aveva lanciato. Per allora i monaci abellicani avrebbero preparato nuovamente l'incantesimo ricorrendo al potere della Grande Ametista.

Oppure qualcuno poteva averli sciolti. E chiunque avesse liberato la bestia, doveva aver avuto una notevole esperienza nell'uso della magia e, soprattutto, un potere non comune.

Inoltre, per quale motivo avrebbe dovuto liberarla? Liberare un simile abominio, una belva feroce e incontrollabile? Si stava avvicinando il giorno della rinascita del demone dactyl come annunciato dalle antiche profezie? Il nuovo avvento del male era ormai prossimo?

Le profezie in merito erano vaghe e confuse e, per evitare di correre qualsiasi rischio, era meglio verificare lo stato dei sigilli, infondendo in essi ulteriore forza magica se necessario.

I monaci arrivarono alla prigione della bestia in una tiepida mattinata di primavera.

La temperatura era mite, il cielo chiaro.

Il piccolo tempietto era stato distrutto.

Ancora era possibile avvertire nell'aria la presenza della magia. Un grande potere era stato mosso contro la magia dei sigilli, contro la magia divina che il Santo Padre Alexander avevo utilizzato per imprigionare il demone immortale quasi trent'anni prima. Sul terreno solchi e bruciature: uno strano simbolo era stato prima disegnato sul terreno e successivamente cancellato con la magia.

Attorno alla prigione del demone, nessuna traccia di esseri viventi: solo una nera marcescenza stava divorando il terreno, corrodendo e consumando.   

La prima parte del compito dei monaci era quindi terminata: i sigilli erano stati infranti, dall'esterno: lo dimostrava lo strano simbolo sul terreno.

Il demone era infatti una creatura magica, fatta di magia e di male: non aveva bisogno di simili espedienti per usare incantesimi. Forse un negromante o un evocatore, o più d'uno, aveva liberato la creatura infernale prigioniera della magia.

Il demone era nuovamente in libertà.

Utilizzando la pietra del sole cercarono di captare le emanazioni della sua magia, per poterlo rintracciare. Probabilmente aveva utilizzato il teletrasporto per andarsene da quel luogo senza lasciare tracce. E questo era un indizio: chiunque fosse il suo misterioso liberatore, doveva esercitare un notevole potere sulla belva.

La natura del demone è quella del distruttore: dopo anni di prigionia, la prima cosa ovvia che avrebbe potuto fare, sarebbe stata dare sfogo a tutta la sua rabbia, distruggendo e devastando. Anche il suo stesso liberatore. Non era nella sua natura essere riconoscente.

Lo animavano l'istinto e la fame della morte: si nutriva di terrore e di sangue.

Nient'altro aveva valore.

E invece il demone non aveva dato sfogo ai suoi violenti istinti: non vi erano tracce di lotta o di combattimento.

Probabilmente, il suo misterioso liberatore l'aveva obbligato a sottomettersi e a piegarsi al suo volere. E il demone aveva obbedito senza ribellarsi.

La ricerca del demone doveva essere portata avanti con molta prudenza. Già di per sé, il demone era un nemico astuto e formidabile: sarebbe stato davvero molto difficile riuscire a sconfiggerlo o a costringerlo nuovamente in prigionia. Compito che sarebbe divenuto ancora più ostico se avessero trovato la belva assieme al suo misterioso benefattore.

La ricerca del demone mediante la pietra del sole, non aveva dato alcuna indicazione utile. Il demone non era vicino e non si captavano emanazioni magiche nei paraggi. Il demone, avrebbe potuto essere ovunque. Oppure, aveva semplicemente trovato il modo di mascherare la propria presenza.

Per quella notte decisero quindi di accamparsi nei pressi del tempietto. Montarono la guardia ed esplorarono la zona circostante servendosi della pietra dell'anima, tramite la quale era possibile divenire puro spirito e muoversi senza sottostare ai vincoli della materia.

La ricerca del demone, tramite la pietra del sole, per la seconda volta non aveva dato esito positivo, nonostante fosse stata esaminata una zona più ampia rispetto al precedente tentativo.

Il monaco a capo della spedizione, servendosi dell'ematite, si occupò di riferire ogni cosa al padre abate stabilendo una sorta di comunicazione a distanza.

La situazione era complicata: il demone era nuovamente libero e, soprattutto, non era solo. Inoltre, poteva essere ovunque.

Il padre abate rimase turbato dalle notizie riferitegli. Ordinò loro di cercare il demone, senza cercare di attaccarlo, cercando al contempo di capire chi o cosa potesse essere l'entità che l'aveva liberato e assoggettato al suo volere. Se fossero stati costretti a combattere, avrebbero dovuto ricorrere alla Comunione dello Spirito, una tecnica di altissimo livello, che avrebbe dato loro qualche speranza, permettendo loro di unire le loro anime, creando un'entità magica in grado di competere contro una simile creatura infernale. Uno scontro individuale era invece improponibile.

L'indomani, promise loro il padre abate, sarebbero partiti dall'abbazia, altri venti monaci. Si sarebbero affiancati a loro per la caccia al demone.   

La notte trascorse tranquilla.

Ognuno dei monaci si preparò spiritualmente al compito che l'attendeva.

Erano tutti abili combattenti ed esperti conoscitori della magia.

Erano esperti conoscitori dei demoni e delle creature magiche.

Al mattino, si diressero verso il villaggio.

Servendosi nuovamente dell'ematite, la pietra dell'anima, decisero di esplorare il villaggio alla ricerca della Belva.

Del demone nessuna traccia.

Decisero allora di entrare nel villaggio dividendosi in tre gruppi.

Avrebbero cercato tracce del demone, prestato soccorso a eventuali feriti e sarebbero rimasti in costante contatto telepatico tramite l'ematite, questo per un eventuale avvistamento della belva e per poter ricorrere alla Comunione dello Spirito.

Così entrarono nel villaggio.

Lui, non visto, schermato alla magia, li stava osservando. Un malvagio sorriso gli cresceva sul volto deforme mentre già pregustava la possibilità di vendicarsi di quegli odiosi monaci che, qualche tempo prima, l'avevano imprigionato all'interno del limbo dimensionale.

Tutto ciò che i monaci trovarono furono cadaveri orribilmente mutilati, corpi straziati e dilaniati. Sembrava che la belva si fosse divertita e avesse giocato con le proprie vittime prima di annientarle. Nemmeno le case erano state risparmiate: devastazioni e bruciature di un fuoco che non era terreno.

Un particolare che apparve rilevante agli occhi dei monaci fu il fatto che non vi erano cadaveri sulle strade: i corpi dei paesani erano, seppur a pezzi, mutilati e devastati, tutti all'interno delle modeste abitazioni. Al massimo qualche traccia di sangue sui sentieri rivelava quale disastrosa carneficina era stata perpetrata in quello sperduto paesino di montagna.

Nessuno, quindi, era riuscito a fuggire.

O forse nessuno aveva tentato di fuggire.

Impossibile: ad una simile devastazione si accompagnano urla strazianti ed un primordiale terrore. Inevitabile la fuga o la lotta. Allora perché i corpi dei paesani giacevano all'interno degli edifici e non sparpagliati qua e là?

I monaci non trovarono risposta a questo dilemma. Forse tutto era stato pensato per un qualche macabro incantesimo o per qualche rituale di magia nera.

Si ritrovarono nel primo pomeriggio di fronte alla chiesa del villaggio: al suo interno un lago di sangue e ovunque l'odore del male. Nessuno dei paesani era stato risparmiato. E della belva non vi erano tracce. Sembrava che non fosse presente.

Si sbagliavano.

La creatura infernale comparve.

Si materializzò in mezzo a loro, come fosse stata una silente compagna dei monaci inquisitori.

Una creatura alta circa tre metri. La pelle ricoperta di squame, simile alla pelle di un drago, ma dal colore nero. La testa orribile, ornata di corna lunghe e appuntite.

La bocca enorme e occhi rossi e infuocati.

Aveva una muscolatura possente, muscoli d'acciaio, infaticabili. Aculei spuntavano dalle spalle e ricoprivano le lunghe braccia.

Una possente coda ondeggiava nell'aria.

Due monaci caddero a terra, morti: uno decapitato e l'altro trapassato da parte a parte da un pugno poderoso. Rapido come era apparso, il demone aveva colpito.

Rimase in silenzio, compiacendosi della propria abilità, assaporando la morte e la vendetta, mentre i monaci si schieravano per difendersi e attaccarlo.

Utilizzando il potere di una delle pietre magiche, la zampa di tigre, uno dei monaci si scagliò contro il mostro con le braccia ormai mutate in poderose zampe feline, pronto a ferire e a lacerare.

Ma la belva scomparve.

I monaci si guardarono attorno cercando ci capire da dove provenisse l'agghiacciante risata che si diffondeva nell'aria.

Non ebbero il tempo sufficiente per organizzare una difesa, o per ricorrere alla Comunione dello Spirito.

Quando il demone riapparve, la sorte di un altro di loro era ormai segnata: sollevando l'uomo sopra la testa, lacerandone le carni, lo spezzò in due metà che caddero pesantemente al suolo.

All'unisono tre monaci ricorsero al potere della grafite per riversare delle scariche di energia azzurra contro il mostro ancora ricoperto di sangue umano.

La belva sembrò accusare il colpo, indietreggiando di qualche passo sotto la crescente pressione della magia. Poi, ruggendo, puntò le zampe a terra e scatenò il proprio potere contro quei miseri mortali: una feroce fiammata lì incenerì sul posto, una devastante dimostrazione di forza magica.

I restanti tre monaci fuggirono, in preda ad un panico primigenio e primitivo: non vi era speranza.

Ridendo eccitato, la bestia si mise al loro inseguimento.

Il primo venne raggiunto dopo pochi metri: i suoi confratelli non si fermarono. Le sue urla riecheggiarono per pochi interminabili secondi, testimonianza sonora dell'immensa sofferenza patita mentre veniva ridotto a brandelli, dilaniato dai possenti artigli della creatura.

Di nuovo la belva ripartì all'inseguimento delle sue prede.

Uno di quegli stupidi mortali aveva perso i sandali e si dirigeva ormai verso la foresta, ma l'altro…

Fermandosi, ergendosi in tutta la sua altezza, si mise a fiutare l'aria.

Il giovane monaco si era rifugiato nell'oscurità di una delle case, cercando rifugio tra i cadaveri orribilmente mutilati dei paesani. Restava in silenzio, quasi senza respirare.

A cosa erano valsi tutti quegli anni di addestramento nell'abbazia? Come poteva essere contrastato un simile abominio?

E poi la silenziosa presenza della morte: la belva decise di distruggere l'anima di quel monaco attaccandone direttamente lo spirito.

Inutile il tentativo di resistere. Lo spirito del monaco venne dapprima estratto dal corpo e poi distrutto dall'oscurità, divorato dalla nera forza del demone.

Poi  nuovamente all'inseguimento, a caccia di quell'ultimo stolto umano.

Il giovane monaco correva a perdifiato. Correva scalzo sulla neve.

Negli occhi l'orribile spettacolo della disumana potenza della belva.

Le lacrime ed il terrore: l'orrore primordiale e la paura della morte.

Non vi era scampo. Non vi era scampo. Non vi era scampo.

Il respiro affannoso e interrotto: pensava soltanto a fuggire, a scappare da quell'incubo.

La bestia lo stava seguendo, un animale immondo e terribile, infaticabile e tremendo.

Senza riflettere, senza nemmeno accorgersene, il monaco si diresse verso la piccola chiesa nel cuore della foresta: un antico luogo sacro, fondato dai primi confratelli che con grande sforzo avevano portato la fede in quelle remote regioni del nord.

Il giovane entrò nella chiesetta, incurante del fatto che al suo interno sarebbe stato in trappola.

Un luogo austero e semplice, umile e spoglio.

In ginocchio, davanti all'altare su cui brillava un singolo lumicino, iniziò a pregare, tremando e balbettando. Iniziò a pregare, sentendo un'opprimente consapevolezza crescergli dentro.

Per cosa erano stati addestrati? A cosa erano servite la sua conoscenza della magia e delle arti marziali? Come poteva essere vinta una creatura infernale? Perché un simile abominio camminava e viveva nel mondo? Quale Dio poteva permettere tutto ciò?

In preda al terrore il monaco pregava e prega per la propria salvezza.

Poi la porta viene abbattuta. Ruggendo, l'oscurità entra nella chiesetta.

La tenebra cammina col mostro.

Riecheggia una diabolica risata, mentre il demone avanza verso il giovane monaco.

La coda ondeggia, frustando l'aria. Avanza lentamente e afferra colui che, assieme ai suoi confratelli, era stato mandato a fermarlo. Stolti! Avvicinando il suo volto deforme al suo, lo fissa con quei suoi occhi rossi: un fuoco infernale e antico sembra bruciare in essi. Il fuoco degli Inferi.

In un ultimo disperato tentativo, stringendo la grafite nella destra, il monaco utilizza la magia delle folgori sul volto deforme del suo boia.

Il demone accusa il colpo con un ringhio e con un rapido movimento morde l'uomo con le sue terribili fauci. Il corpo decapitato del monaco giace ora ai piedi dell'altare. Il suo sangue è sparso ovunque.

Incapace di resistere alla tentazione, la bestia inizia a giocare con il suo ultimo cadavere, dilaniandolo e spargendone ovunque brandelli e interiora, dissacrando il piccolo tempio.

Solo il rumore di carni lacerate e ossa spezzate si odono nella piccola chiesetta dei boschi.

Solo questo e la sua diabolica risata.

Ora, avrebbe atteso qualche giorno rimanendo appostato nel villaggio.

Come gli era stato ordinato.

Forse altri monaci sarebbero stati mandati ad affrontarlo. Si sarebbe divertito immensamente a combatterli e ad annientarli.

Tre giorni, questo il tempo che ancora avrebbe trascorso nel villaggio. Poi si sarebbe diretto a sud, portando nuovamente terrore e distruzione nel mondo, avrebbe dato libero sfogo alla violenza e agli istinti che lo animavano.

Ma prima…prima avrebbe dovuto tener fede al patto di colui che l'aveva liberato dai sigilli.

Non immaginava che in un uomo potesse esserci un simile potere.

Dopotutto contro quei maledetti sigilli magici non aveva potuto nulla, cercando di abbatterli dall'interno con uno sforzo costante. Certo, era riuscito ad indebolirli, a corroderli: avrebbero ceduto, prima o poi.

Quell'uomo, invece, era stato in grado di liberarlo, annientando l'incantesimo che lo teneva prigioniero.

Quell'uomo l'aveva liberato. Gli aveva nuovamente concesso la libertà, a patto di rimanere nel villaggio fino all'arrivo dei monaci abellicani. Una strana richiesta.

E il demone gli aveva obbedito: avrebbe soddisfatto quel desiderio. Per ora avrebbe tenuto fede al patto. Una volta ricongiuntosi ai suoi fratelli gli avrebbe dato la caccia.

E mentre pensa a queste cose si avvia per uscire da quel luogo ormai sconsacrato.

Ed è allora che accade qualcosa di inaspettato: una forza invisibile gli impedisce di andarsene.

Come se un muro di magia formasse una barriera laddove prima vi era il portone di legno dell'ingresso.

Incredulo, cerca di infrangerla con un pugno e poi ricorrendo alla magia nera.

Tutto è invano: la barriera assorbe i suoi attacchi, senza cedere minimamente.

Decide allora di distruggere le mura dell'edificio, aprendosi un'altra via abbattendo la chiesa intera, causando una potente deflagrazione magica.

Ma nuovamente le sue aspettative vengono frustrate: la pietra sembra essere indistruttibile, insensibile alla sua furia e al suo fuoco infernale.

E' nuovamente prigioniero di un incantesimo.

Nemmeno il teletrasporto e la distorsione dello spazio sembrano funzionare, riportandolo inesorabilmente all'interno di quel luogo maledetto.

Poi comprende.

Il sangue di quel misero mortale ha compiuto il miracolo, divenendo un nuovo sigillo. Deve essere così, visto che il sangue del monaco, sparso ovunque, sembra in qualche modo brillare.

In parte è così: una grande magia è all'opera.

Utilizzando il sangue dell'umano e la forza di quel luogo mistico, la belva viene resa inerme.

Il demone allora impreca e si accanisce furioso per fuggire dalla sua nuova prigione, cercando e pensando un modo per sfuggire all'incantesimo, e mentre la tenebra che lo avvolge pian piano svanisce una luce soffocante si diffonde nella piccola chiesetta.

Lentamente il demone inizia a soffocare: barcolla senza forza.

La magia lo sta abbandonando.

Il male, di cui era manifestazione, viene annientato.

Il demone si contorce mentre si scioglie, annientato da una magia divina, fatta di luce e calore.

La magia che lo animava inizia a evaporare fino a che non rimangono che pochi brandelli di spirito.

Spiriti e anime di neonati e bambini, finalmente libere dall'atroce condanna, liberate dalla prigione all'interno del corpo del demone, l'origine più intima del suo potere, si librano verso il paradiso.

E prima di abbandonare per sempre questa dimensione, il demone guarda attraverso una delle piccole finestre dell'edificio: allora lo vede. E comprende.

La magia che l'ha liberato dai sigilli è la stessa, è la stessa che ora lo sta cancellando.

Ringhiando e ruggendo, maledicendolo, il demone scompare.

Di lui, non rimane nulla.

Non un corpo esanime.

Non una traccia magica.

Non rimane che il nulla quando muore una creatura del Vuoto.

All'esterno, un uomo osserva silenzioso la chiesa.

Una spada dalla lama d'oro si intravede sotto il suo mantello.

I lunghi capelli d'argento ricadono sul mantello scuro, mentre osserva la furia della belva che invano tenta di distruggere i sacri sigilli che lo trattengono all'interno di quel luogo santo.

Lo osserva contorcersi e imprecare, ruggire mentre lentamente si spegne e si consuma tra atroci sofferenze magiche.

Ne osserva la purificazione.

Per un istante incontra e sostiene il suo sguardo.

Nessuna espressione sul suo volto mentre osserva la morte del demone. La sua antitesi.

Sua la magia che aveva tolto i sigilli, ormai prossimi alla distruzione, liberandolo.

Il demone si sarebbe liberato prima del tempo: i monaci sarebbero arrivati tardi.

Una volta liberato aveva piegato il demone: la belva aveva ringhiato e cercato di combatterlo, ma era stato inutile. Contro di lui, il demone, non poteva competere. Entrambi lo sapevano.

La liberazione della bestia era una prova, una prova per gli umani.

Ma gli umani avevano fallito.

Sia i monaci, addestrati al combattimento.

Sia gli abitanti del villaggio, orrendamente trucidati dalla furia della belva.

Con disgusto aveva permesso che compisse indicibili atrocità a spese degli umani. Aveva sempre osservato la belva, sperando che gli umani riuscissero ad annientarla. Era rimasto ad osservare, in disparte, la tragica morte di molti innocenti.

Gli umani avevano ceduto: il potere del demone, il potere del male, era la menzogna.

Avrebbero dovuto combatterlo con armi e tattiche da cui non avrebbe potuto difendersi.

Ricorrendo alla verità, al dialogo, all'amore e al sacrificio…invece avevano creduto alla menzogna incarnata dal demone, alla sua falsa superiorità, alla sua forza mentoniera, alla sua ipocrita potenza. Gli avevano ceduto e, ingannati, avevano cercato di combatterlo con la violenza, con la forza, con l'odio. Con le sue stesse armi quindi. Inevitabilmente, erano stati sconfitti dalla potenza delle sue illusioni.  

Ora, ricorrendo alla propria magia, sta rimediando a questo fallimento, annientando il demone. Attraverso la purificazione, viene cancellato da questa dimensione.

Poi, volgendosi altrove, si incammina lungo il sentiero attraverso la foresta, verso la prossima meta indicatagli dalle sue visioni.

La luce, accompagna il suo cammino.

 

 

Leonardo Colombi

 

 

 

-=Commenti ricevuti=-

 

Commenti dal sito Fantasy Story :

da Sammy Bruno (14 apr 05) :

Ciao! Innanzitutto, complimenti! E' un gran bel racconto, davvero! Nonostante la mancanza di dialogo, il continuo andare a capo e le frasi brevi gli danno un ritmo sincopato che fa battere il cuore in sintonia con quello dei poveri monaci: il loro terrore è espresso in modo efficace da questo accorgimento. Un vero tocco! L'idea dei monaci che praticano arti marziali non è originalissima in sé (in Giappone esistevano i Tendai), ma applicata a religiosi di concezione cristiana è rivoluzionaria, come anche il fatto che questi usino la magia: un controsenso azzeccatissimo che fa di loro delle figure molto originali e, nel contesto, molto credibili. Mi sono piaciuti davvero molto. L'unica cosa stonata (secondo me) è la figura misteriosa che alla fine si allontana: dici che la luce accompagna il suo cammino e quindi presumo che sia un personaggio buono, ma a parer mio ha dimostrato molta poca compassione scatenando la bestia in mezzo a dei semplici. Sì certo, si è fatto qualche scrupolo, ma le sue sembrano lacrime di coccodrillo: come poteva pretendere che dei contadini non cedessero al terrore... cosa si aspettava? Che davanti al demone si inginocchiassero e gli dicessero "ti amiamo, fratello"? Ha più senso mettere alla prova i monaci, da questo punto di vista: in fondo, non è inusuale che il Bene richieda il sacrificio dei suoi Eroi. A parte questo, bravo! Leggerò sicuramente altro. Sammy

 

Commenti dal sito Club Poeti (30 mar 2006 - 30 maggio 2006) :

da Mitla:

L'ho trovato perfetto. Lo stile avvincente, scritto molto bene. La storia ripropone l'eterno dilemma: come combattere il male? Come combattere la violenza? con altra violenza e altro male?.. I miei sinceri complimenti, per chi apprezza il genere un racconto da non perdere.

da alman:

Sei riuscito a scrivere un racconto lungo ma mai noioso o pesante, tenendo sempre l'attenzione del lettore desta (ed è cosa non da poco). Ci metti anche una morale: il male non si combatte con le sue stesse armi. Tale principio dovrebbe essere tenuto sempre presente nel piccolo e nel grande.

da Plunger:

Il racconto si fa leggere, c'è molta fantasia.
Unica cosa che non mi convince tanto è che figure come: pietre magiche, spade dorate, demoni con le squame e gli occhi infuocati, sangue che luccica, ecc ecc. Sono già stati stra-usati, sono proprio figure tipiche, non ti nascondo che, già dalle prime righe, ho intuito che il demone avredde avuto l'aspetto che hai descritto tu e che i monaci sarebbero stati uccisi tutti. Così come il personaggio (era un angelo o dio in persona?) finale che brilla di luce propria...
Non mi convince del tutto ma son contento di averlo letto.

da grigio:

Racconto di una ingenuità disarmante. Scritto bene, sì, ma quante ripetizioni! La parola magià l'avrai pronunciata almeno un centinaio di volte che quasi mi è sembrato di essere ad una trasmissione dello Zecchino d'oro col Mago Zurlì con tanto di bacchetta magica che esclama continuamente:"Magia! Magia!

da savy:

Premesso che ho dovuto stamparlo per leggerlo bene. Sono d'accordo con Grigio per quel che riguarda le ripetizioni. Davvero tante, troppe e non solo per la parola "Magia"!
Questa la prima impressione. La seconda è che mi è sembrato che tu concentrassi in poche righe, quello che in realtà sarebbe dovuto essere un romanzo vero e proprio. Non mi ha colpito proprio perchè manca di descrizioni che rapiscano il lettore, che lo facciano entrare nella situazione che narri, che facciano sentire la paura e l'orrore. Invece niente. Qualcuno ha detto che il tuo demone e i tuoi monaci sono stati già visti da qualche altra parte. Forse è vero (anzi, lo è) ma credo che un'altra via di scrittura avrebbe dato quella marcia in più che avrebbe fatto sorvolare sulla questione...

da sonietta:

Che dire? Dobbiamo vincere il male col bene, bella la morale di questo tuo lungo racconto, apprezzato anche perchè scritto correttamente, senza sbavature ed errori grammaticali, per le ripetizioni, vabbè si può sempre migliorare. Bravo

Commenti dalla redazione di Progetto Babele :

Racconto fantasy-horror che comincia in medias res (anche se è definito "epilogo”), per poi ricostruire analetticamente la storia: un potente demone maligno viene liberato da uno sconosciuto dalla sua prigione, e nove monaci appositamente addestrati alle arti magiche vengono inviati a indagare sulla vicenda e a combattere la bestia; morale finale dal sapore cristiano, buona se non fosse per un surplus di didascalismo che ne spezza l'intensità. Racconto un po' näive, scritto con un linguaggio spesso scolastico e ricco di ripetizioni, condito con elementi tratti dal fantasy semplice e leggero e con un pizzico di pulp.

 

 

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