“Su quel foglio bianco
la sua mano era DIO:
ogni mondo, ogni singola creatura
dipendeva dal suo volere.
Nelle sue mani
Il potere della creazione
e il potere della distruzione”
Era una giornata come tante altre.
Noiosa.
Ero uscito a fare due passi visto che a casa non avevo praticamente niente da fare.
Per cui bighellonavo in centro, senza meta, senza fretta.
Osservavo tutto e niente: le giovani coppie che se andavano a zonzo e le vetrine dei negozi che mettevano in mostra le offerte del momento.
Osservavo la gente passare, le auto e il traffico di questa città in continuo fermento.
Una tiepida giornata d'autunno, come tante.
I pochi alberi che sopravvivevano qua e là sui marciapiedi avevano quasi del tutto perso le loro foglie e preannunciavano l'imminente arrivo dell'inverno.
Saranno state le cinque del pomeriggio, credo, era ancora abbastanza chiaro e la temperatura mite.
Mi fermai ad un incrocio, indeciso sulla direzione da prendere. Mi appoggiai al semaforo pedonale, uno di quei semafori che segnala quando si può o meno attraversare la strada – stupida macchina: pensi di stabilire le mie azioni? – e decisi di accendermi una sigaretta.
Con calma la portai alla bocca e poi, pigramente, la accesi.
Aspirai.
Fu allora che, guardando in lontananza, lo vidi per la prima volta.
E non provai nulla: sgomento, curiosità, ansia…
Nulla.
Vidi il grattacielo deformarsi.
Non stava crollando o sprofondando: si sarebbe sollevato un gran polverone e il rumore della sua distruzione avrebbe attirato l'attenzione di tutti.
No, semplicemente stava contorcendosi e scomparendo.
Quello fu solo l'inizio.
Rimasi ad osservare come affascinato mentre intanto fumavo la mia sigaretta, gettando di tanto in tanto lo sguardo agli altri che mi stavano attorno. Scrutavo i loro volti e i loro occhi.
Anche qualcun altro dei miei simili si era reso conto del fenomeno.
Un tizio, il primo della fila al semaforo, addirittura era rimasto imbambolato a fissare il vuoto lasciato dal grattacielo e si era dimenticato di partire: dalla colonna di auto dietro di lui, con ostile sincronismo, iniziò la cacofonia dei clacson.
Per un attimo pensai di essermi sbagliato, di non aver visto nessun grattacielo sparire.
Forse, nemmeno c'era mai stato un edificio lì.
Mi sbagliavo.
Lentamente anche i palazzi adiacenti al vuoto lasciato dal grattacielo scomparso iniziarono a contorcersi, allungandosi verso l'alto per poi divenire eterei e svanire nel nulla.
Ma questa volta il tutto fu molto più rapido.
Mentre continuavo ad osservare iniziai ad indietreggiare: tutto l'isolato stava iniziando a tremolare e a svanire.
Molte persone iniziarono a puntare il dito in direzione del fenomeno. Alcuni non ci fecero caso per nulla, continuando il loro tragitto come se nulla fosse.
Continuando a fumare iniziai a camminare, allontanandomi veloce da quel luogo.
Ben presto fu il caos: tutto iniziava, a sgretolarsi, a svanire.
Le auto iniziarono a cozzare le une contro le altre mentre la gente, in preda al panico, urlava come impazzita cercando di allontanarsi da quella assurda diavoleria.
L'intero isolato stava scomparendo senza lasciare traccia!
Ma non solo.
Il cielo, il cielo era come privo di colore, come se l'azzurro iniziasse a scolorire.
Rimase solo il bianco mentre tutto svaniva: la strada, le case, le auto, i negozi.
E poi fu il turno delle persone, della gente impaurita e terrorizzata.
La folla cercava scampo correndo lontano, nella direzione opposta a quella specie di cancro che si stava portando via tutto.
Anch'io iniziai a correre.
Mi sforzavo di rimanere lucido ma la paura iniziava a prendere il sopravvento.
Tutto ciò che mi stava alle spalle pian piano svaniva, inghiottito dal nulla.
Anche il suono scomparve: il mondo si fece ovattato.
E allora corsi, corsi disperato chiudendo gli occhi, senza curarmi della meta.
Sentivo la presenza di altre persone alle mie spalle.
Furono i colori che successivamente scomparvero, lasciando tutto nell'indefinitezza che precede la creazione.
Un giovane cercò di superarmi, disperato, sulla destra.
Chiusi gli occhi per un istante appena, quando una goccia di sudore mi raggiunse l'occhio. Li riaprii quasi subito, in tempo per vedere il suo braccio venire come inghiottito dal nulla.
Di lui non rimase traccia.
Nemmeno un'ombra, una molecola oppure un urlo.
Nemmeno una goccia di sangue.
Nulla.
Solo il vuoto.
Solo il bianco cancro che tutto divorava.
Dietro di me tutto era ormai bianco: totalmente vuoto.
Io correvo, disperato, col respiro affannoso, incapace di comprendere cosa stesse accadendo.
Pensavo solo a mettermi in salvo.
Nel mio disperato bisogno di dimostrarmi reale correvo e piangevo e disperavo.
Poi mi prese, come una morsa di gelo: mi prese la gamba destra, mentre ancora stavo correndo.
Caddi a terra.
Nemmeno una goccia di sangue dalla ferita.
Poi non ebbi più scampo: quella forza invisibile aveva cominciato a distruggermi.
Anche senza gambe cercai di divincolarmi al mio destino, cercai di trascinarmi verso la vita.
Inutile: anche il mondo che mi stava dinnanzi stava svanendo.
Ovunque il bianco inghiottiva tutto quanto.
In un breve istante di me non rimase traccia alcuna: una repentina sensazione di freddo e di vuoto e poi il nulla assoluto.
Rimase solo il foglio bianco.
La premessa di una nuova creazione mentre la penna, nera, sospesa, attendeva la decisione del padrone dei mondi.
Il padrone del mio mondo aveva deciso di azzerare e di ricominciare, aveva dato i via alla cancellazione del racconto in cui vivevo, la cancellazione del mio mondo, la cancellazione della mia storia.
Il suo potere era ed è totale: la creazione e la distruzione.
Ma questo al tempo lo ignoravo.
Credevo di essere una persona reale.
Mi sbagliavo.
Ero solo frutto di una sua idea.
Ora, conosco la verità.
Ora, che sono tornato alla sorgente.
Ora, sono in attesa di una nuova collocazione, di un mondo nuovo, un racconto a caratteri neri in cui abitare.
Leonardo Colombi
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