Anima Perduta

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Fantasy Story Magrathea


 
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-=Capitolo 1=-

 

 

Primo interludio

 

L'esercito è schierato e fronteggia il nemico.

I soldati attendono solo il segnale dei propri generali per poi scagliarsi contro gli avversari: si scontreranno per la conquista del territorio e per la propria libertà, per la vita e per la morte, per il presente e per il proprio futuro.

L'esercito nemico appare minaccioso e superiore in numero.

Forse vinceremo, forse periremo…chi può dirlo?

Al mio fianco, osservo Galor, amico e compagno d'arme. E' teso e preoccupato. Come tutti d'altronde, me compreso nonostante la maggior esperienza su questi campi di battaglia. Cerco di distrarlo un poco e di scacciare via dal suo cuore la paura che inevitabilmente prova per la battaglia.

Lo proteggerò, questo è certo.

 

 

 

Capitolo 1

 

Eccomi, mentre l'oscurità del sonno si fa nebbia e si dirada lasciandomi a percorrere l'ampio cortile della casa in cui sono cresciuto, un casolare in aperta campagna con i muri in legno e mattone.

Il cielo sereno di una giornata primaverile mentre l'edificio appare malinconicamente vuoto e privo di vita, con alcune finestre aperte al pian terreno. Al piano superiore tutto sembra chiuso e inutilizzato da tempo.

Il colore rosato e bianco delle pareti esterne e le scuri verdi sono esattamente come le ricordo anche se tutto è ancora così confuso e poco nitido ai miei occhi.

E in lontananza una figura di persona china su di un catino nei pressi della fontana zampillante in cui, da piccolo, sono addirittura caduto.

Riconosco mia madre.

I capelli raccolti sulla nuca, la maniche della veste tirate su fino ai gomiti, sempre indaffarata nelle quotidiane faccende domestiche che le riempiono le giornate. Veste abiti semplici adatti ai lavori che svolge fuori casa. L'ho sempre vista eternamente impegnata, sempre al lavoro o ad accudire me o i miei fratelli fino a che non abbiamo raggiunto l'età per andarcene di casa. Ma nessuno di noi l'ha mai dimenticata e nel corso del tempo abbiamo sempre cercato, chi più chi meno, di ripagarla di tutto quanto ha fatto per noi.

Devo riconoscerlo: in tutti gli anni della mia infanzia si è sacrificata molto lavorando anche nei campi assieme ai miei zii.

Non abbiamo mai patito la fame ma nemmeno abbiamo avuto la fortuna di vivere una vita agiata e priva di preoccupazioni. E lei non si è mai lamentata, anzi, ci ha sempre spronato con il suo esempio.

Talvolta piangeva, in disparte, sommessamente.

Ed ora eccola mentre ancora indaffarata nelle faccende a cui sempre l'ho vista dedicarsi. Con una mano regge dei calzoni sul bordo della tavola appoggiata al catino e con l'altra strofina con forza usando un pezzo di sapone biancastro con striature giallognole.

Mi avvicino lentamente, quasi senza far rumore per non disturbarla nella sua quiete mattutina.

Ed è solo quando, portandosi una mano al viso, scosta una ciocca dei suoi capelli neri dalla fronte che mi accorgo di quanto sia invecchiata e soprattutto delle lacrime che le scendono a rigarle il viso.

Mi rendo conto che sta piangendo e singhiozzando mentre lava quei calzoni che riconoscono essere miei.

“Cos'hai madre?”

Le chiedo allora preoccupato mentre mi avvicino e le appoggio delicatamente una mano sulla spalla, dolcemente per non spaventarla e trasmetterle la mia presenza rassicurante.

“Sono qui” rivelo in un sussurro.

Allora lei solleva il volto di scatto e guarda verso di me, gli occhi sbarrati e la bocca aperta e senza fiato. Poi, abbandonando di colpo ogni cosa, lasciando cadere sapone e calzoni, si porta le mani al viso. Indietreggiando prende a piangere e urlare sempre più forte.

Qualcuno allora accorre dai campi mentre, sconcertato, rimango ad osservare senza comprendere la sua reazione.

Perché appare così sconvolta?

Perché è così atterrita?

Non mi ha riconosciuto…no, non capisco…

La osservo, impotente e immobile al mio posto, mentre cade in ginocchio e piange ancora più intensamente. Una donna, abbandonata la sua mansione nell'orto poco distante, è giunta fino a lei per consolarla e sorreggerla.

Interdetto, rimango immobile e osservo mia madre disperarsi e guardare verso di me.

Ma non appena avanzo, preoccupato ed infelice per la reazione che davvero non mi aspettavo avesse, nuovamente il buio dei sogni torna a rapirmi e ad avvolgermi con il suo manto d'oblio.

Mi abbandono ad esso, mi sento leggero, incapace di reagire chiudo gli occhi.

 

 

Leonardo Colombi

 

 

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