IL DIAMANTE

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Diamanti del conflitto

I diamanti del conflitto

Blood Diamond

Da sempre i diamanti per la loro trasparenza e per la loro inalterabilità nel tempo sono stati, e sono tutt’oggi, simbolo di unione e fedeltà matrimoniale (si ricorderà il famoso slogan pubblicitario: un diamante è per sempre!) ma non sempre l’opinione pubblica, o per meglio dire i consumatori, sa, o è stata messa al corrente, del percorso che i diamanti fanno, dalle miniere alle gioiellerie più esclusive del mondo e dei risvolti politico-economici che stanno dietro al sasso più bello e più prezioso della terra. Chi ci assicura che l’estrazione venga effettuata rispettando i diritti dei lavoratori e dell’uomo in generale? Non di certo i governi di paesi africani, come la sierra Leone, in cui l’instabilità politica non è neanche paragonabile a quella alternanza di potere che è tipica del nostro paese degli ultimi 15 anni. In quei paesi, la stessa classe politica è invischiata nei loschi affari che stanno dietro al commercio dei diamanti, come tale, non ha alcun interesse ad arrestare questa sorta di clandestinità. E se poi si aspetta che l’ONU si muovi per fermare il sangue versato dai poveri, quanto innocenti, popoli africani, che vengono considerati molto meno di un diamante, allora si può affermare che il comunismo ha vinto! Ma da scherzare c’è veramente poco se si considerano che milioni di Sierraleonesi, tanto per citare un esempio, giocano ogni giorno la loro esistenza tra lo sfruttamento(e fino a qui possono considerarsi fortunati!) e la morte. A chi vuoi che interessi della sorte di qualche africano quando in gioco c’è un mercato(monopolizzato dalla De Beers) che fa muovere 6 miliardi di dollari statunitensi all’anno? «La Sierra Leone è definita “paese” soltanto per consuetudine geografica:»scrive il giornalista statunitense Greg Campbell nel suo libro “Diamanti di Sangue, lo sporco affare delle pietre più preziose del mondo” edito da Carocci traduzione di Floriana Pagano,2005«di fatto è un bubo nero di violenza, povertà, signori della guerra e miseria, un minuscolo angolino dell’Africa occidentale i cui ingranaggi sono definitivamente saltati e dove il potere non è più nelle mani di nessuno fatta eccezione per chi in un dato momento si trova ad essere più armato degli altri.». La sierra Leone è l’ultimo paese della lista stilata dall’ONU per lo sviluppo umano, dove la speranza di vita non supera i 50 anni e il tasso di mortalità infantile è uno dei peggiori e su una popolazione di 5milioni di abitanti l’80% sono profughi e il governo ha subito così tanti colpi di nel giro di un decennio o poco più. «Prima del 1999» continua Greg Campbell«il paese era stato ignorato quasi del tutto dalle grandi potenze mondiali, che pure erano tanto pronte ad acquistare i diamanti responsabili di un decennio di morte e tortura.». In Sierra Leone è scoppiata agli inizi degli anni novanta una vera e propria guerra civile per il predominio delle miniere diamantifere presenti in mezzo alla foresta che vedeva contrapposti 4 schieramenti: il RUF(Revolutionary United Front), che aveva il terrore dalla sua, composto quasi interamente da adolescenti analfabeti, drogati armati fino ai denti con Ak-47 e lanciarazzi:«Lo stupro di massa, la tortura, le esecuzioni nel mucchio, i saccheggi e il cannibalismo erano solo alcune delle loro risorse strategiche.Ma il crimine di guerra che li contraddistingue era l’amputazione.». Tale pratica veniva usata per terrorizzare la popolazione e per avvertire che dove passava il Ruf non cresceva più nulla: nel ’96 in risposta all’appello fatto dal presidente sierraleonese Tejan Kabbah, affinché tutti i cittadini “si stringessero le mani” in segno di pace, il Ruf incominciò a scaricare tutti gli arti amputati sulle scale del palazzo presidenziale. Oltre al Ruf c’erano i soldati della Sierra Leone e i peace-keeper dell’Africa occidentale, noti come ECOMOG, che avevano il difficile compito di ristabilire l’ordine, e i Kamajor, una milizia tribale di guerrieri che contribuivano a un ulteriore spargimento di sangue. Il Ruf invase per la prima volta il paese nel 1991 dalla vicina Liberia, la quale sostenne questo gruppo di rivoluzionari donando armi in cambio di diamanti, si pensava fosse una ribellione di contadini contro la classe dominante di Freetown(capitale sierraleonese), ma così non fu perché il fronte rivoluzionario, comandato da Foday Sankoh che fu addestrato in Libia, presero gusto per i diamanti fino a diventare una lotta per il dominio dei giacimenti diamantiferi. La Sierra leone «dovrebbe essere l’Arabia Saudita dell’Africa, ma non lo è» perché da quando i colonizzatori europei hanno lasciato il paese, esso è sprofondato in una confusione tale che il governo non ha mai potuto controllare le risorse minerarie del paese, il quale «non è ricco solo di diamanti preziosi, ma è anche una miniera di petrolio, rubini, oro, rutilo e bauxite»: fin dagli anni trenta, anni in cui vennero scoperti i primi giacimenti, la commercializzazione di tale pietre non è mai stata gestita dallo stato, né si è molto impegnato per tale scopo. I depositi sono stati sfruttati prima dalle grandi imprese, poi da ladri comuni e in seguito dai «delinquenti armati» del Ruf. Si stima che nel giro di un decennio il Ruf abbia ricavato tra i 25 e i 125 milioni di dollari l’anno!! Scrive sempre Campbell «… a partire dal ’99 avevano cominciato a circolare dei rapporti secondo cui certi diamanti non erano puri come la loro reputazione proclamava. Il termine “ diamanti del conflitto” cominciò a diffondersi e via via si scoprì che alcune pietre erano macchiate del sangue di vittime innocenti, uccise o mutilate da gruppi ribelli africani». Le condizioni dei “fortunati” lavoratori, fortunati perché poteva andare loro molto peggio, sono alla stregua della schiavitù: « La giornata lavorativa inizia all’alba e finisce al tramonto. Non ci sono pause o giorni liberi. In cambio degli sforzi immani necessari per estrarre necessari per estrarre i diamanti dal suolo, ciascuno scavatore riceveva 2 tazze di riso e l’equivalente di 0,50$ 0al giono.[…]In queste miniere non industrializzate, il processo della ricerca dei diamanti è restato pressoché identico a quello di mezzo secolo fa, tranne per il fatto che le pompe dell’acqua a benzina hanno rimpiazzato gli operai addetti a trasportare i secchi.» Il contrabbando di diamanti in Sierra Leone è sempre esistito, anche quando questo paese faceva parte della corona inglese, per il fatto che le impervie condizione in cui i giacimenti si trovano, si pensi che la foresta sierraleonese è una delle più fitte e priva di vie di comunicazione dell’Africa occidentale, si prestano bene per il contrabbando; inoltre lo stato semi-primitivo in cui versano i popoli della foresta ha prodotto uno scarso controllo statale o privato di quelle zone. Agli inizi degli anni cinquanta la produzione era sotto il controllo di una sola società la SLST(Sierra Leone Selection Trust), di proprietà della De Beers Consolidated Mines Ltd., fondata nel 1934 da un’avanguardia della De Beers che aveva estratto a mano 32.000 carati in mezzo alla giungla. «La società convinse il governo, ancora amministrato dall’Inghilterra, a concederle una concessione esclusiva» per l’estrazione del grezzo garantendo che tutti i diamanti finissero nella mani di una sola società in modo da poter meglio controllare il traffico. Inizialmente i lavori estrattivi procedettero tranquillamente e la gente del posto ne beneficiava in quanto sia la richiesta sia la manodopera erano abbondanti. Le cose cambiarono quando i Sierraleonesi, tornati dalla 2° guerra mondiale consapevoli del valore delle innocue pietre luccicanti che venivano estratte ai piedi dei propri villaggi, iniziarono a licenziarsi per trasformarsi in lavoratori autonomi, che però erano illegali in quanto solo SLST aveva diritto a estrarre diamanti. Il boom economico degli anni 50 aveva mandato in rovina il paese perché non veniva coltivato più niente dal momento che i contadini abbandonarono i campi, in cerca di fortuna, per lavare la ghiaia dalla sera alla mattina(così non potevano essere scorti dagli organi di controllo). Le pietre venivano contrabbandate prevalentemente all’esterno, nella vicina Liberia giacche la valuta del dollaro liberiano fino al 1997 restò molto forte(1$usa=1$liberia) differentemente dalla moneta sierraleonese che aveva valore solo all’interno dei confini. Alla fine l’accordo tra stato e SLST venne definitivamente sciolto in favore di una politica di concessioni statali ai minatori autoctoni. Subito dopo la De Beers per garantirsi comunque la copertura sulla produzione, e sulla successiva commercializzazione in Europa e nel mondo, di diamanti fondò una società (Diamone Corporation of Sierra Leone, DCSL) che «avrebbe acquistato i diamanti da chi in quel momento li stava “rubando” alla SLST per venderli a Monrovia, la vicina capitale della Liberia. A sua volta, la DCSL avrebbe consegnato i diamanti alla Diamone Trading Company(DTC) di Londra, un’altra azienda della De Beers che faceva parte della Central Selling Organization(CSO).[…] All’epoca la CSO controllava l’80% della vendita mondiale dei diamanti alle rivendite al dettaglio.» il commercio clandestino non venne però mai arrestato ma in quegli anni toccò il minimo storico. I sierraleonesi però non riuscirono a sfruttare quella preziosa risorsa naturale perché lo stato veniva privato di quegli introiti fiscali, a causa del contrabbando, che avrebbero potuto permettere la costruzione di servizi pubblici(strade, scuole, ospedali…). Nel 61 la Sierra Leone ottenne l’indipendenza ma il contrabbando non si arrestò. Per scavare un pezzo di terra il minatori autonomi dovevano procurasi una costosa licenza statale, perciò si rivolgevano a imprenditori libanesi per avere i necessari finanziamenti per poter iniziare a scavare. Il mercante libanese forniva anche gli strumenti per l’estrazione(pale, setacci, pompe idrauliche…) e scorte alimentari, in cambio avevano l’esclusiva di compera sulle pietre estratte. «Quando, nel 1991, è scoppiata la guerra,» scrive sempre nel su libro Campbell «questo sistema era tanto radicato, e i profitti tanto redditizi, che molti libanesi abbandonarono gli affari solo nelle circostanze più pericolose.». A metà degli anni novanta le esportazioni legali di diamanti della Sierra Leone si interruppero del tutto: negli anni sessanta si esportarono 2milioni di carati, nel 1999 “solamente” 9.000 carati, testimoniando un’elevata azione di contrabbando da parte del Ruf. Di certo gli acquirenti non mancavano: «dagli intermediari autorizzati delle società belghe di lavorazione agli agenti dell’organizzazione terroristica libanese degli Hezbollah» per passare per Al Qaeda. Per i terroristi l’acquisto dei diamanti del conflitto rappresenta un ottimo metodo di riciclo di denaro sporco: detenere scorte di diamanti è logisticamente più facile che tenere cartamoneta!! Oltre che in Liberia i diamanti vengono esportati anche nella vicina Conakry,capitale della Guinea, da tempo sede del commercio informale di diamanti del conflitto: sono giunte notizie di commerci clandestini tra il Ruf e gli ufficiali dell’esercito guineano, che così importavano diamanti in cambio di riso, carburante e prevalentemente armi d’assalto. Se le esportazioni di diamanti della Sierra Leone sono diminuite, quelle della Guinea sono aumentate: addirittura la Guinea ha dichiarato che tra il ‘93 e il ’97 ha esportato in Belgio 2,6milioni di carati di diamanti al prezzo di 96 dollari per carato;il Belgio ha dichiarato invece di aver importato dalla Guinea 4,8 milioni di carati al prezzo 167 dollari per carato.« “in altre parole”, ha riferito l’ONU nel dicembre del 2000, “pare che il Belgio importi quasi il doppio del volume esportato dalla Guinea e che dopo l’uscita dalla Guinea il valore per carato aumenti pressoché del 75%”». Una volta arrivati a Conakry, attraverso la fitta boscaglia, i diamanti sierraleonesi vengono registrati da un doganiere corrotto che ne attesta l’origine guineana e subito prendono il volo per l’Europa attraverso gli intermediari europei che, consegnato il denaro a quelli del Ruf o su un conto a Copenaghen, assediano la capitale della Guinea o della Liberia: il processo è lo stesso sia che sia a sud sia che sia a nord della Sierra Leone. Quando fu imposto l’embargo sulle esportazione della Sierra Leone(risoluzione ONU 1306), la sua soluzione fu che vennero contrabbandati anche i 9.320 carati registrati regolarmente. «Le Nazioni Unite hanno imposto un embargo sulle armi sia alla Sierra Leone che alla Liberia e l’ECOWAS ha istituito una moratoria sulle armi in tutti e quindici i suoi stati membri. I paesi hanno firmato un accordo per il monitoraggio e il controllo volontario dell’esportazione delle proprie armi in regioni instabili. Ciò nonostante, l’Africa occidentale naviga nelle armi». Quasi tutte le operazioni poco lecite che attanagliano la Sierra Leone non sarebbero state possibili senza la partecipazione del leader liberiano Charles Taylor. Secondo un rapporto dell’Associazione Africa Canada: « “mentre secondo le stime la produzione diamantifera liberiana si aggira tra 100.000 e i 150.000 carati, tra il ’94 e il ’98 ha registrato un importazione di oltre 31 milioni di carati dalla Liberia al Belgio, vale a dire una media di oltre sei milioni di carati all’anno”». «L’Angola è l’inferno gemello della Sierra Leone.» la cifra delle vittime ha superato di gran lunga quella della sua gemella per il semplice fatto che in Angola la popolazione è più numerosa. Essa era un ex colonia portoghese che venne immersa nella guerra civile subito dopo che i colonizzatori se ne andarono nel 1975. Da un lato c’era il governo marxista dell’MPLA(movimento di liberazione popolare dell’Angola) dall’altro c’era l’UNITA(unione per l’indipendenza totale dell’angola, un gruppo ribelle angolano costituito nei primi anni novanta). E’ stato stimato che tra il 1992 e il ’97 l’UNITA ha ricavato 3,7 miliardi di dollari dalle miniere di diamanti. Le guerre civili in Africa non sono mai state un novità, ma con il dilagare delle notizie riguardo le amputazioni in Sierra Leone, l’industria del diamante cerco di cautelarsi cercando di trovare un modo per certificare l’origine pulita dei loro diamanti. Quella procedura fu definita processo di Kimberley che, organizzato dal governo sudafricano, fu inaugurato nel maggio del 2000: i partecipanti dovevano preoccuparsi di trovare una soluzione riguardo la certificazione che i diamanti del conflitto venduti dai ribelli africani sarebbero rimasti al di fuori dei mercati mondiali. Alcuni hanno proposto di marchiare con il laser i diamanti grezzi nel luogo d’origine ma durante l’operazioni di taglio il diamante può perdere la metà del suo peso, quindi anche il marchio praticato dal raggio laser. Molte altre furono le proposte ma la soluzione che sembra ricevere più consensi è la più semplice ma difficile da attuarsi: chiunque voglia immettere diamanti sul mercato deve fornire un certificato uniforme e non falsificabile che descrivi il percorso fatto dalla merce in vendita. Il problema che i diamanti sono piccoli da traspostare e quindi anche molto facile è contrabbandarli. «Uno dei modi migliori di porre termine al commercio di diamanti del conflitto consiste nel porre termine al conflitto nelle zone dove trovano i diamanti. Se non ci sono guerre, non ci sono problemi. Anche se è probabile che il contrabbando non si interrompa mai del tutto, è più facile convivere con la possibilità che i diamanti arricchiscano un comune ladro» che una banda di assassini. «Nel gennaio 2002 l’UNAMSIL(Missione delle Nazioni Unite in Sierra Leone) ha annunciato ufficialmente che la guerra in Sierra Leone era finita e che il Fronte rivoluzionario unito non esisteva più in quanto gruppo ribelle.» La storia della guerra civile in Sierra Leone ha mostrato all’opinione pubblica che le potenze economiche mondiali portano avanti discorsi di pace solamente quando entrano in gioco anche il loro interessi. Questa della Sierra Leone è solo una delle tante guerre che ci sono nel mondo per il controllo dei giacimenti diamantiferi, casi simili come quello dell’Angola, li troviamo anche in Costa d’Avorio, Zaire e in tutti quei paesi africani grandi produttori di diamanti dove regna l’anarchia.


   




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