IL DUELLO
di

Lorenzo De Marco

 

   
  La vedevo correre veloce, sicura, implacabile alle mie spalle, sempre alla stessa velocità, sempre alla stessa distanza, con una inesorabilità che mi faceva impazzire. Nera, sinistra, massiccia, una massa di metallo che stava cercando di distruggermi, di annientarmi. Lui si sentiva ormai certo che quel momento era finalmente arrivato e silenziosamente, come sapevo era solito fare, stava ridendo, conscio di questo fatto e soddisfatto come un cacciatore che sa di avere preso in trappola la sua preda. Questo pensiero mi colpì con l’intensità di un pugno allo stomaco, e istintivamente aumentai la velocità. Sudavo!

  Sapevo che stava godendo di quel momento di esaltazione e che, per questo, ritardava apposta la mia fine. Voleva prolungare la mia agonia il più a lungo possibile, per assaporare la sua superiorità. Il più a lungo possibile! Già. Ma io accettavo questo stato di cose, perché ogni minuto di vita era strappato alla morte atroce che mi aspettava forse dietro la prossima curva. E’ la logica assurda del cacciatore e della preda. Poi il suo scarto improvviso, un suo balzo in avanti. Accelerai anche io, ristabilendo le distanze con la paura che mi faceva quasi scoppiare il cuore. Era una finta: solo un incentivo al suo gioco. Si stava divertendo a stuzzicarmi. Per quanto ancora avrei resistito a lui, a me? Scappa mi dicevo. Fuggi da lui! Ma quale via di scampo poteva esserci? In un circolo chiuso mi dibattevo inutilmente per cercare di scampare a quella fine che ormai era inevitabile, Oh si, questo lo sapevo, ma che cercavo testardamente, a denti stretti di ritardare a tutti i costi, perché non volevo e non riuscivo a rassegnarmi, no! Dovevo tentare anche l’impossibile, dovevo provare a sfuggire a quella nemesi se non addirittura vincere quella partita. Vincerla? Si, pensai, perché no? Fino a quel momento il mio destino è stato quello di essere la preda ma perché non tentare di ribaltare le parti? Avevo accettato il mio ruolo come uno stupido, senza pensare che potevo cambiare quella situazione volgendola o perlomeno cercando di volgerla a mio favore. Ebbene, per la prima volta nel duello e forse nella mia vita, provai a non fuggire e a sfidare la fatalità.

  Quante volte, folle di paura mi ero domandato, senza trovare una risposta, il perché di quella persecuzione a cui lui mi assoggettava da tempo (ore, forse giorni), forse era colpa di qualcosa accaduta in passato che per qualche ragione mi legava, rimorsi assurdi per qualcosa che non ho mai fatto che mi bloccava, mi inibiva, costringendomi a fuggire e a dimenticare l’unica, mortale realtà. Una realtà che ora era lì, davanti ai miei occhi, incorniciata da un rettangolo di plastica, su una superficie speculare. Una realtà che adesso mi appariva finalmente, drammaticamente chiara, nitida e fredda e inesorabile come un coltello dalla lunga lama affilata.

  Due uomini: uno inseguito, l’altro inseguitore, una lotta di intelligenza, l’uno che cerca di fuggire, l’altro di catturare e annientare. Perché avevo scelto di essere io l’inseguito? Per le mie frustrazioni, per le mie passioni forse? Di certo sapevo che dipendeva da ciò che era stata la mia vita e dal modo in cui l’avevo affrontata e vissuta. Ma al di là di ogni cosa adesso il problema era un altro, pensai. Avevo deciso di cambiare il gioco, dovevo pensare solo a questo. Ma come fare? Del tempo, avevo bisogno di tempo per pensare, per trovare una soluzione. E intanto dovevo concentrarmi e tenere gli occhi aperti per non uscire fuori strada, per non perdere di vista il mio persecutore, quella costante, minacciosa macchia nera e mortale nello specchio retrovisore. E finalmente l’idea: accelerare di scatto, effettuare un testacoda e aspettarlo. Si! Ora! Pensai.

  Prima che potesse rendersene conto l’assalitore mi trovò di fronte, e non poté far altro che frenare anche lui, sbigottito da quel nuovo corso che avevano preso gli eventi quando già pensava di avermi in pugno. Sentii il suo motore perdere di giri rapidamente con abili scalate di marcia e lo stridio acuto degli pneumatici corazzati che mordevano l’asfalto sollevando nubi di polvere miste a fumo dall’odore acre e bruciaticcio di gomma e catrame. Cercai di indovinare i suoi pensieri. Stupore e dubbio, perché non capiva ancora la mia nuova tattica, ed infatti essa era totalmente diversa dalle precedenti. Già, proprio diversa, pensai con un sorriso maligno.

  I fari della sua auto erano fissi sulla mia e potevo sentire, attraverso il ronzio sommesso del motore, il respiro potente dell’energia contenuta nei suoi cilindri. Ma per la prima volta il mio rivale era incerto sul da farsi. E la coscienza di questo mi svegliò finalmente da quel torpore vittimistico in cui ero sprofondato e cominciai a sperare. Il muso del mio bolide illuminava con gli abbaglianti il buio. Nelle tenebre solo quei quattro giganteschi occhi artificiali erano visibili. Dietro di essi, eravamo soli con i nostri pensieri. Ora eravamo pari. Avevamo stabilito un equilibrio, il primo, dall’inizio di quella partita. Adesso il problema era: a chi sarebbe toccata la prima mossa?

  Ruggendo i motori mostravano all’avversario la loro potenza, confrontandosi. Studiando le successive mosse aspettavamo: era cominciata la tattica del logoramento dei nervi prima dello scontro finale, decisivo. Acquattati come belve. Ma fino a quando? I vetri appannati che continuamente venivano asciugati sia dall’esterno che dall’interno mi indicavano quanto era umida e fredda la notte fuori. Era l’unica percezione che mi giungeva dal mondo esterno. Non vedevo né sentivo nient’altro. In quel momento esistevano solo le luci dei fari e il rombo dei motori in sottofondo, che alzavano o calavano di tono in un linguaggio che solo io e lui potevamo comprendere.

  Passarono così lunghi minuti, forse ore ma non sentivo la stanchezza, non potevo sentirla in quel momento, con tutta quell’adrenalina in circolo nel mio corpo. Mi chiesi cosa stesse aspettando, perché non attaccava. Poi capii: attendeva me, che agissi io per primo. Sentii allora per un orribile attimo di nuovo la paura attanagliarmi lo stomaco ma prima che potesse chiudermi nella sua morsa reagii con rabbiosa determinazione. Non potevo più permettermi di provare dubbi o paura, perché mi avrebbero perso, e lui non aspettava che questo. Sta calmo e pensa, mi dissi. Lui è tornato ad essere sicuro della vittoria, forse perché si aspettava una mia mossa repentina che invece non ho fatto, dunque ha capito che ho cercato di cambiare il mio gioco ma senza sapere esattamente cosa fare. Ora si crede nuovamente padrone della situazione pensai, e vuole divertirsi ancora con me, fino all’ultimo, ha ancora voglia di giocare al gatto col topo. A me la prima mossa…ebbene, forse nella sua sicurezza aveva commesso l’errore che l’avrebbe ucciso e avrebbe dato a me la vittoria. Un tentativo, l’unico, e sicuramente l’ultimo, perché se mi fossi sbagliato non avrei avuto più occasioni. Del resto se andava male non avrei certo cambiato il mio destino, per cui...

  L’auto partì di scatto dopo che il motore, rombando pazzamente raggiunse in pochi secondi il massimo dei giri. Sfrecciò come una meteora a una velocità incredibile contro la vettura del mio antagonista, ancora ferma a una cinquantina di metri di distanza. Non ebbi tempo di vedere quello che accadde dopo perché mi lanciai fuori dall’auto poco prima dello schianto ma mentre toccai terra e rotolai tra gli arbusti sul ciglio della strada, sentii lo stridore disperato delle gomme che mordevano l’asfalto in retromarcia e poi uno schianto pauroso, assordante che mi fece accapponare la pelle. Sentii il metallo scricchiolare contorcendosi e fondendosi, emettendo acuti, angoscianti stridii simili a lamenti che mi trapanarono le orecchie. Forse tra essi c’era anche l’urlo del mio persecutore ma non riuscii (come potevo?) a distinguerlo dal resto. Poi ci fu un bagliore intenso, accecante. Chiusi gli occhi ma riuscì a filtrare ugualmente attraverso le palpebre serrate. Un secondo dopo fui travolto da un’ondata di calore e lo spostamento d’aria che seguì all’esplosione mi scaraventò più lontano di qualche metro. Raggomitolato su me stesso tra l’erba e gli sterpi, con le ferite e i graffi che mi bruciavano rimasi immobile respirando aria gelida. Quando rimasero solo le fiamme e il crepitio del metallo e della vernice che sfrigolava a riempire la notte, mi resi conto che l’incubo era finito, per sempre. Avevo vinto! Vinto, si. Poi persi i sensi.

  Sono rinvenuto non so quanto tempo dopo. Mi sento distrutto, annientato, prostrato dalla fatica, dalla tensione. Sento in lontananza qualcuno che sta parlando ma non capisco il senso di quello che sta dicendo. Sono cose che per me non hanno significato.

  - "Ti dico che è’ stato un drago, Jorrel. Nessuno si aspettava che vincesse e le puntate sul banco delle scommesse sono salite letteralmente alle stelle, soprattutto negli ultimi minuti del duello. Nonostante le proteste….si, c’è qualche stronzo che dice che ha usato un trucco, chiede di sottoporre a un controllo legale le registrazioni. Ma credimi, Jo, conosco quell’uomo. E poi il centro medico lo ha studiato a fondo. Non è proprio il tipo capace di fare trucchi, anzi. Comunque ti garantisco che puoi dormire sonni tranquilli. Anche se controlleranno i nastri, non abbiamo nulla da temere. La sua vittoria è del tutto regolare anche se ha dell’incredibile!"

  Cosa sta dicendo quell’uomo? Perché sta urlando? Posso capire il suo linguaggio ma non riesco a comprendere. Il dolore è troppo forte, mi sento intontito, ho la testa pesante. Con sforzo riesco a voltare la testa dalla parte in cui sento la voce per cercare di vedere, ma non riesco a mettere a fuoco: vedo solo un’ombra indistinta in una tenue evanescenza di luci e di colori che più che dall’esterno penso che siano causati dal mio malessere.

  - "Ci puoi giurare amico, la tivù ha ripreso tutto il duello minuto per minuto con gli impianti lungo le corsie e gli aeromobili. Si, naturalmente la polizia delle corse utilizzerà per la sua perizia anche i programmatori di rotta e i cervelli inseriti nelle due auto. Ti ripeto che non c’è niente di cui devi preoccuparti. Quei soldi sono definitivamente nostri."

  Silenzio. Finalmente. Resto immobile. Mi sento stremato. Non riesco a muovermi. E’ più facile lasciarsi andare, scivolare nell’incoscienza. Si. Ho bisogno di riposare.

  Riapro gli occhi. Mi sento un po’ meglio. Avverto dei movimenti accanto a me. Lentamente riesco a muovere la testa. Accanto a me due figure vestite di bianco. Indossano camici.

  - "Si sta svegliando. Che ore sono?"
  - "Sette e un quarto. Non ci vorrà ancora molto perché riprenda completamente i sensi."
   Pausa
  - "A volte mi lascio prendere da una specie di rimorso quando penso alla fine che fanno questi uomini. Certo non è colpa mia ma esserci dentro, vedere come può ridursi un uomo dopo un trattamento intenso con gli psicofarmaci…..esalta al massimo i loro sensi garantendo una spettacolarità mai vista in queste gare, ma dopo? Il perdente muore, è nelle regole, altrimenti si è fuori gioco e non si possono intascare le scommesse, ma il vincitore? Nessuno è mai sopravvissuto per più di tre, quattro anni. Mi chiedo perché lo facciamo."
  - "Oh andiamo, non dire idiozie, sanno benissimo ciò che li aspetta, in fondo cosa credi di trovarci in ognuno di loro? Ogni volta è la stessa storia. Sono rottami, emarginati, drogati che non hanno il coraggio di suicidarsi, che decidono di morire "eroicamente" ed essere annoverati tra i campioni oppure di sfruttare l’unica possibilità che hanno di uscire da questa merda chiamata società e lo fanno con l’unica cosa con cui possono pagarsi questa popolarità: con la vita! Altri lo fanno per i soldi, per godersi gli ultimi anni vivendo da nababbi con prostitute di lusso negli alberghi più costosi. C’è chi lo fa per lasciare alla propria famiglia una somma di denaro sufficiente a cambiar loro la vita. Sempre le stesse storie, ti dico. Sei nuovo dell’ambiente e devi ancora farci il callo ma vedrai, a certe cose, per luride che possano essere ci si abitua, col tempo. Se vuoi una giustificazione romantica, pensa che oggi come oggi, con lo stress, con la rabbia repressa siamo tutti belve pronte a scattare e a distruggere, l’unico mezzo per salvaguardare questo grottesco modo di "concepire la civiltà" è far scaricare periodicamente questa rabbia attraverso spettacoli di questo genere. La storia insegna. Solo che col tempo, questa droga sociale deve aumentare, perché anch’essa, come tutte le droghe, porta all’assuefazione. Però c’è da dire che tutto questo se non altro incrementa notevolmente l’afflusso di quattrini che entrano nelle nostre tasche e a me questo basta. Come vedi, in questo modo siamo contenti tutti, dalla commissione sportiva alle reti televisive che ci vivono sopra, alle "povere vittime, all’Opera per la Salvaguardia della Sanità Mentale."

  Una lunga pausa.

  - "D’accordo. Adesso sarà meglio andare. Ormai ha superato l’effetto principale della droga. Si sta riaddormentando. Lasciamolo in pace. Ah, puoi venire da me stasera, ragazzo, ti faccio conoscere mia figlia. Forse pensare ad altro ti aiuterà ad uscire fuori da questa crisi di coscienza. Che ne dici?"
  - "Grazie Bob, con molto piacere."

  Non riesco a distinguere più niente, a sentire più niente…..ho sonno……oh Dio…..domani….di nuovo questa realtà……..Qualcuno mi aiuti.

 

Nome autore
Note sull'autore
sito
e-mail
Lorenzo De Marco.


internauti@libero.it

Torna all'inizio