IL DUELLO |
Quante volte, folle di paura mi ero domandato, senza trovare una risposta, il perché di quella persecuzione a cui lui mi assoggettava da tempo (ore, forse giorni), forse era colpa di qualcosa accaduta in passato che per qualche ragione mi legava, rimorsi assurdi per qualcosa che non ho mai fatto che mi bloccava, mi inibiva, costringendomi a fuggire e a dimenticare l’unica, mortale realtà. Una realtà che ora era lì, davanti ai miei occhi, incorniciata da un rettangolo di plastica, su una superficie speculare. Una realtà che adesso mi appariva finalmente, drammaticamente chiara, nitida e fredda e inesorabile come un coltello dalla lunga lama affilata. Due uomini: uno inseguito, l’altro inseguitore, una lotta di intelligenza, l’uno che cerca di fuggire, l’altro di catturare e annientare. Perché avevo scelto di essere io l’inseguito? Per le mie frustrazioni, per le mie passioni forse? Di certo sapevo che dipendeva da ciò che era stata la mia vita e dal modo in cui l’avevo affrontata e vissuta. Ma al di là di ogni cosa adesso il problema era un altro, pensai. Avevo deciso di cambiare il gioco, dovevo pensare solo a questo. Ma come fare? Del tempo, avevo bisogno di tempo per pensare, per trovare una soluzione. E intanto dovevo concentrarmi e tenere gli occhi aperti per non uscire fuori strada, per non perdere di vista il mio persecutore, quella costante, minacciosa macchia nera e mortale nello specchio retrovisore. E finalmente l’idea: accelerare di scatto, effettuare un testacoda e aspettarlo. Si! Ora! Pensai. Prima che potesse rendersene conto l’assalitore mi trovò di fronte, e non poté far altro che frenare anche lui, sbigottito da quel nuovo corso che avevano preso gli eventi quando già pensava di avermi in pugno. Sentii il suo motore perdere di giri rapidamente con abili scalate di marcia e lo stridio acuto degli pneumatici corazzati che mordevano l’asfalto sollevando nubi di polvere miste a fumo dall’odore acre e bruciaticcio di gomma e catrame. Cercai di indovinare i suoi pensieri. Stupore e dubbio, perché non capiva ancora la mia nuova tattica, ed infatti essa era totalmente diversa dalle precedenti. Già, proprio diversa, pensai con un sorriso maligno. I fari della sua auto erano fissi sulla mia e potevo sentire, attraverso il ronzio sommesso del motore, il respiro potente dell’energia contenuta nei suoi cilindri. Ma per la prima volta il mio rivale era incerto sul da farsi. E la coscienza di questo mi svegliò finalmente da quel torpore vittimistico in cui ero sprofondato e cominciai a sperare. Il muso del mio bolide illuminava con gli abbaglianti il buio. Nelle tenebre solo quei quattro giganteschi occhi artificiali erano visibili. Dietro di essi, eravamo soli con i nostri pensieri. Ora eravamo pari. Avevamo stabilito un equilibrio, il primo, dall’inizio di quella partita. Adesso il problema era: a chi sarebbe toccata la prima mossa? Ruggendo i motori mostravano all’avversario la loro potenza, confrontandosi. Studiando le successive mosse aspettavamo: era cominciata la tattica del logoramento dei nervi prima dello scontro finale, decisivo. Acquattati come belve. Ma fino a quando? I vetri appannati che continuamente venivano asciugati sia dall’esterno che dall’interno mi indicavano quanto era umida e fredda la notte fuori. Era l’unica percezione che mi giungeva dal mondo esterno. Non vedevo né sentivo nient’altro. In quel momento esistevano solo le luci dei fari e il rombo dei motori in sottofondo, che alzavano o calavano di tono in un linguaggio che solo io e lui potevamo comprendere. Passarono così lunghi minuti, forse ore ma non sentivo la stanchezza, non potevo sentirla in quel momento, con tutta quell’adrenalina in circolo nel mio corpo. Mi chiesi cosa stesse aspettando, perché non attaccava. Poi capii: attendeva me, che agissi io per primo. Sentii allora per un orribile attimo di nuovo la paura attanagliarmi lo stomaco ma prima che potesse chiudermi nella sua morsa reagii con rabbiosa determinazione. Non potevo più permettermi di provare dubbi o paura, perché mi avrebbero perso, e lui non aspettava che questo. Sta calmo e pensa, mi dissi. Lui è tornato ad essere sicuro della vittoria, forse perché si aspettava una mia mossa repentina che invece non ho fatto, dunque ha capito che ho cercato di cambiare il mio gioco ma senza sapere esattamente cosa fare. Ora si crede nuovamente padrone della situazione pensai, e vuole divertirsi ancora con me, fino all’ultimo, ha ancora voglia di giocare al gatto col topo. A me la prima mossa…ebbene, forse nella sua sicurezza aveva commesso l’errore che l’avrebbe ucciso e avrebbe dato a me la vittoria. Un tentativo, l’unico, e sicuramente l’ultimo, perché se mi fossi sbagliato non avrei avuto più occasioni. Del resto se andava male non avrei certo cambiato il mio destino, per cui... L’auto partì di scatto dopo che il motore, rombando pazzamente raggiunse in pochi secondi il massimo dei giri. Sfrecciò come una meteora a una velocità incredibile contro la vettura del mio antagonista, ancora ferma a una cinquantina di metri di distanza. Non ebbi tempo di vedere quello che accadde dopo perché mi lanciai fuori dall’auto poco prima dello schianto ma mentre toccai terra e rotolai tra gli arbusti sul ciglio della strada, sentii lo stridore disperato delle gomme che mordevano l’asfalto in retromarcia e poi uno schianto pauroso, assordante che mi fece accapponare la pelle. Sentii il metallo scricchiolare contorcendosi e fondendosi, emettendo acuti, angoscianti stridii simili a lamenti che mi trapanarono le orecchie. Forse tra essi c’era anche l’urlo del mio persecutore ma non riuscii (come potevo?) a distinguerlo dal resto. Poi ci fu un bagliore intenso, accecante. Chiusi gli occhi ma riuscì a filtrare ugualmente attraverso le palpebre serrate. Un secondo dopo fui travolto da un’ondata di calore e lo spostamento d’aria che seguì all’esplosione mi scaraventò più lontano di qualche metro. Raggomitolato su me stesso tra l’erba e gli sterpi, con le ferite e i graffi che mi bruciavano rimasi immobile respirando aria gelida. Quando rimasero solo le fiamme e il crepitio del metallo e della vernice che sfrigolava a riempire la notte, mi resi conto che l’incubo era finito, per sempre. Avevo vinto! Vinto, si. Poi persi i sensi. Sono rinvenuto non so quanto tempo dopo. Mi sento distrutto, annientato, prostrato dalla fatica, dalla tensione. Sento in lontananza qualcuno che sta parlando ma non capisco il senso di quello che sta dicendo. Sono cose che per me non hanno significato. - "Ti dico che è’ stato un drago, Jorrel. Nessuno si aspettava che vincesse e le puntate sul banco delle scommesse sono salite letteralmente alle stelle, soprattutto negli ultimi minuti del duello. Nonostante le proteste….si, c’è qualche stronzo che dice che ha usato un trucco, chiede di sottoporre a un controllo legale le registrazioni. Ma credimi, Jo, conosco quell’uomo. E poi il centro medico lo ha studiato a fondo. Non è proprio il tipo capace di fare trucchi, anzi. Comunque ti garantisco che puoi dormire sonni tranquilli. Anche se controlleranno i nastri, non abbiamo nulla da temere. La sua vittoria è del tutto regolare anche se ha dell’incredibile!" Cosa sta dicendo quell’uomo? Perché sta urlando? Posso capire il suo linguaggio ma non riesco a comprendere. Il dolore è troppo forte, mi sento intontito, ho la testa pesante. Con sforzo riesco a voltare la testa dalla parte in cui sento la voce per cercare di vedere, ma non riesco a mettere a fuoco: vedo solo un’ombra indistinta in una tenue evanescenza di luci e di colori che più che dall’esterno penso che siano causati dal mio malessere. - "Ci puoi giurare amico, la tivù ha
ripreso tutto il duello minuto per minuto con gli impianti lungo le
corsie e gli aeromobili. Si, naturalmente la polizia delle corse
utilizzerà per la sua perizia anche i programmatori di rotta e i
cervelli inseriti nelle due auto. Ti ripeto che non c’è niente di
cui devi preoccuparti. Quei soldi sono definitivamente nostri." Riapro gli occhi. Mi sento un po’ meglio. Avverto dei movimenti accanto a me. Lentamente riesco a muovere la testa. Accanto a me due figure vestite di bianco. Indossano camici. - "Si sta svegliando. Che ore
sono?" Una lunga pausa. - "D’accordo. Adesso sarà meglio
andare. Ormai ha superato l’effetto principale della droga. Si sta
riaddormentando. Lasciamolo in pace. Ah, puoi venire da me stasera,
ragazzo, ti faccio conoscere mia figlia. Forse pensare ad altro ti
aiuterà ad uscire fuori da questa crisi di coscienza. Che ne
dici?" Non riesco a distinguere più niente, a
sentire più niente…..ho sonno……oh Dio…..domani….di nuovo
questa realtà……..Qualcuno mi aiuti. |
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Lorenzo De
Marco. internauti@libero.it |