IL DUBBIO
di

Lorenzo De Marco

 

  Art Cramer non aveva mai avuto un attimo di incertezza nella vita. Questa sua meravigliosa facoltà gli fece superare in poco tempo ogni ostacolo e raggiungere la posizione prestigiosa e invidiata che attualmente occupava. Era il consigliere di fiducia del Presidente degli Stati Uniti d’America e le decisioni che questi, grazie al suo prezioso contributo aveva preso nel corso dei loro frequenti colloqui privati nel gabinetto presidenziale, avevano indubbiamente influito moltissimo sulla vita della nazione. – “Art, non so cosa farei senza di te” – gli aveva detto il Presidente al termine del loro ultimo incontro. La risposta di Art non si fece attendere e come al solito fu crudelmente sincera “Probabilmente adesso non avrebbe tutti i consensi che la sua politica ha guadagnato nel corso del suo mandato.” La sua schietta affermazione tuttavia non urtò la sensibilità del Presidente. Ai suoi occhi, Art era insostituibile proprio per questa sua capacità di razionalizzare e sintetizzare ogni cosa senza minimamente badare ai fronzoli. Inoltre, cosa anche più importante,  Art Cramer era incapace di mentire.

  La cosa che però il Presidente ignorava era che la sua domanda retorica, nella mente logica e analitica di Art generò automaticamente una seconda domanda: “Cosa farei io, senza il Presidente?” Fu in effetti una domanda razionale, frutto di una mente razionale e l’eccezionale elasticità intellettiva di Art cercò di riflesso alla domanda una plausibile e altrettanto logica risposta. Il risultato lo sconvolse. Per una mente come la sua fu un colpo terribile, brutale: per la prima volta nella sua vita non riuscì a trovare una risposta certa o sufficientemente logica.

  - “ Che succede Art, stai poco bene?” – aveva detto il Presidente.
  - “Non perfettamente. Potrei ritirarmi signor Presidente?” – chiese il Consigliere mentre sentiva un senso di oppressione al petto e il colletto della camicia diventare improvvisamente troppo stretto.
  - “Ma certo Art, certo” – Esclamò preoccupato il Presidente. – “Vuoi che chiami il mio medico di fiducia?”.
  - “Oh, no! Signor Presidente. Non si disturbi.” – si affrettò a rispondere Art. – “E’ un malore passeggero, sono certo che passerà con un poco di riposo. Col suo permesso.” – Fece un cenno del capo in segno di saluto e si chiuse la porta alle spalle.

  Guidando la macchina verso casa Art non riusciva a fare a meno di pensare a quella domanda. “Cosa farei io senza il Presidente?” Il suo cervello l’aveva formulata come riflesso condizionato a quella del Presidente ma era pur sempre una domanda e girandola e rigirandola nella sua mente, soppesandone il contenuto si accorse sgomento che la sua risposta, quale che fosse stata avrebbe dato senso a tutta la sua vita passata, presente e futura.

  Lui aveva avuto un dono inconsueto, più unico che raro e questa sua particolare capacità lo aveva aiutato a conquistarsi una posizione, un potere in un certo senso…anzi, sicuramente superiore a quello dello stesso Presidente. Da quanto faceva quel lavoro? Praticamente da sempre. Consigliere di fiducia del Presidente. Quanti ne aveva visti succedersi in quella stanza? Quanti ne aveva visti sedersi su quella poltrona rovente smarriti alcuni, risoluti gli altri ma tutti con la stessa esaltazione nell’occupare una posizione nel mondo riservata a pochi, tutti con la stessa paura più o meno manifesta di non essere all’altezza del compito assegnatogli. Art si era ormai abituato a risolvere quesiti e problemi difficili di economia e di politica, a trovare le soluzioni migliori con un semplice ragionamento. Quella finora era stata la sua vita, che d’altra parte amava. In realtà non ne conosceva una diversa. Ma con quella maledetta domanda era giunto il momento che aveva sempre temuto: “Cosa farei io senza il Presidente?”.
  Il Dubbio, il suo più grande nemico aveva scelto una carta buona, forse la migliore, per batterlo.

  “Cosa farei io senza il Presidente?”
  Lui viveva per le stesse ragioni degli altri suoi simili o in funzione di qualcuno che formulasse domande a cui rispondere?

  Quella notte non dormì. Continuò a girarsi e rigirarsi nel letto, sudato e gemente.
  “Cosa farei? Cosa farei? COSA FAREI?”

  Il mattino lo trovò distrutto. Si alzò strascicando i piedi e si piazzò davanti allo specchio pregiato della sua camera da letto. Aveva due enormi borse sotto gli occhi arrossati. Era caduto in una crisi che lo avrebbe perduto, se non fosse riuscito subito a risolverla. – “Una risposta, una risposta logica, sufficiente per dare scacco matto al  Dubbio.”

  Si sciacquò la faccia e telefonò alla Casa Bianca. Avvisò la sicurezza che quel giorno non sarebbe andato al lavoro per motivi di salute. Si vestì in fretta e uscì.

  Camminando senza meta per le strade semideserte si accorse che era prestissimo: le cinque e mezza. Cercò un bar e ordinò un caffè. Rimase seduto al bancone fino a quando non vide il locale cominciare ad affollarsi, poi uscì nuovamente. Si fermava ad ogni vetrina guardando le cose esposte e osservava il riflesso delle sue labbra sul vetro che formulavano in continuazione la domanda che lo torturava, quasi a cercarvi un qualcosa che potesse aiutarlo.

  Sostò davanti a una scuola, attirato dal chiasso dei bambini che giocavano e si rincorrevano  nel cortile prima dell’inizio delle lezioni.
  “Una risposta. Ho bisogno di una risposta.”
  Come un fulmine un’idea gli attraversò la mente, ormai seriamente sull’orlo del collasso. Si, una soluzione c’era, e poteva trovarla a portata di mano. Non era una risposta ma sarebbe stata utile per aiutarlo a trovarla. Si aggirò per la città osservando le vetrine ma questa volta sapendo esattamente che cosa cercare. Trovò il negozio che faceva al caso suo ed entrò. Uscì poco dopo con un pacco in mano. Arrivò ad una fermata di taxi poco oltre il negozio. Un paio di minuti più tardi una vettura gli si fermò accanto. Salì a bordo  e  indirizzò il tassista alla Casa Bianca.

  L’uomo alla guida del mezzo cercò inutilmente di intavolare una conversazione con Art che lo ignorò completamente, eccitato ma anche soddisfatto della sua idea. Adesso se non altro, aveva i mezzi per poter rispondere alla sua domanda.
  Arrivò alla Casa Bianca e lasciò distrattamente un biglietto da cento dollari in mano al guidatore che lo chiamò invano per dargli il resto. Art salì le scale e ignorò il saluto del portiere. Si diresse come un razzo nella stanza del Presidente.

  Aprì di scatto la porta: il Presidente alzò la testa e lo vide. Impallidì quando vide che l’uomo che gli stava davanti impugnava una pistola puntata contro di lui.
  - “Art, sei impazzito? Che significa tutto questo?“
  Prima che Art potesse rispondere si trovò disarmato e immobilizzato da due agenti della sicurezza. Aveva dimenticato il rilevatore dei metalli, uno dei suoi suggerimenti per garantire l’incolumità del Presidente.
  - “Perché volevi farlo Art?”– Gli chiese il Presidente, con una punta di dolcezza e commiserazione nella voce.
  - “Un dubbio, signor Presidente” – Rispose lui con la più assoluta calma. – “Dovevo risolvere un dubbio.”

  Lo portarono via. Il Presidente lo osservò attraverso le tendine della finestra salire con gli agenti sull’auto che lo avrebbe riportato alla Fabbrica.
  “Le macchine hanno sempre bisogno di una ricontrollata, sempre. Forse è anche colpa mia. Ho preteso troppo da un androide.”

  Si risedette con un sospiro alla scrivania e guardò con una certa preoccupazione i documenti che aspettavano la sua approvazione. Poi, con una alzata di spalle, sollevò il primo fascicolo e cominciò a lavorare. Per la prima volta, da solo.

 

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