Caro diario
ieri, ventisei giugno duemiladieci, è stato il mio ventunesimo
compleanno.
Auguri, tanti auguri, cento di questi giorni (chi me ne ha dati altri
cinque, massimo dieci per essere buono, ma poi basta che ci hai già
fracassato i maroni) e tanto tanto eppi birdei.
Solitamente il b-day è il momento ideale per tirare le somme, fare
conti, punti, punti e virgola, fioretti che sfioriranno e promesse che
non si manterranno.
Tant’è vero che i miei propositi ogni anno li riciclo.
Sono sempre gli stessi.
A volte li uso pure a Natale e Capodanno, avessi visto mai.
Ultimamente però sono un po’ diminuiti.
Sono riuscita a farne fuori un paio, magari non è un granchè, ma
adesso gli altri fioretti stanno più larghi:
- smettila con l’alcohol che non è roba per te: al secondo
cicchetto vedi già le giraffe giallo evidenziatore galoppare per la
stanza;
- rinuncia alla calma ferrea pre-esame: non è proprio cosa per te, ça
va sans dire;
- rallenta i ritmi: perfino i computer, quando vanno su di giri,
finiscono per rompersi;
- impara a capire e ad accettare che non tutte le ciambelle riescono
col buco. E che tu sei una cuoca perfettibile;
- cerca di ridurre all’osso le tragedie: ce ne sono fin troppe in
giro, di vere e di false, e tu sai bene che il troppo stroppia sempre;
- continua a seguire i sorrisi, per quanto veloci possano essere e per
quanto lontano possano scappare. E la stessa cosa vale per le persone
che sono in grado di regarli, i sorrisi. Perchè come diceva qualcuno
per te molto importante, “amo la gente che sappia farmi ridere.
Onestamente, penso che sia la cosa che mi piaccia di più, ridere.
E’ qualcosa in grado di curare tante malattie. Probabilmente è la
cosa più importante in una persona.”;
- non sprecare più tempo a chiederti se puoi farcela o meno in
qualcosa: agisci e basta, se è davvero ciò che vuoi. Anche se il
tarlo del dubbio ha piantato radici fin troppo salde dentro di te;
- impara a convivere con gente che preferiresti vedere nelle gabbie di
un circo itinerante al posto di quei poveri animali. E prendi da loro
solo il meglio che possono offrirti;
E per ora credo proprio che mi fermerò qua, con i miei consueti buoni
propositi.
Li so a memoria ormai.
Non c’è bisogno di ripassarli trenta volte, ogni volta, come quando
preparo un esame.
Anche perchè quest’anno, per essere felice, non mi è servito
ripassare i miei fioretti.
Mi è bastato un locale piccolo, fuori dal centro, con una luce
pessima, una torta al cioccolato grande quanto una ruota da camion e
tutti voi che avete cantato “tanti auguri a te” a un volume da
migliaia di decibel, facendo fermare tutto il locale per qualche
secondo.
Mi è bastato spegnere quelle ventuno fiammelle,
concedermi senza difese alla sambuca bruciata di A.,
ballare, da sobria ma anche brilla, il rock’n'roll con F.,
abbracciare contemporaneamente G. e M. chiudendoci come un riccio
prezioso,
avere la mano di D. nella mia,
essere sfottuta senza pietà da P. e M. sul fatto che 21 anni è il
primo traguardo della decadenza fisica,
svernare fuori dal locale con R. e S. perchè hanno caldo anche -70°C
all’ombra,
guardare G. e S. farsi fotografare come due sorelle siamesi separate
alla nascita,
ricevere in regalo da S. delle fotografie così inguardabili da essere
meravigliose,
assistere ai deliri post-gay pride senza fine e unici al mondo di S.,
vedere V. in azione nel suo ruolo di uomo ragno,
mi è bastato tutto questo per essere felice, quest’anno.
Cosicchè, tornando a casa barcollante alle 3 di notte, ho desiderato
fortemente che fosse di nuovo il ventisei giugno duemiladieci. Per
continuare con la sambuca bruciata, il rock’n'roll, le risate e il
post-gay pride.
Tanti auguri a me,
felici ventuno anni, I.
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