Graffi
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Marta
era ancora sotto shock. Guardava tutta quella gente che le aveva invaso
la casa, la sua casa. A dirla tutta erano pochissime persone, ma in quel momento
si sentiva di troppo persino lei. La sua stessa persona le era di
ingombro. Avrebbe voluto trovarsi ancora sotto le coperte, cinque minuti
prima che la sveglia trillasse, pronta ad alzarsi e a preparare la
colazione per la sua bambina. La sua bambina. Perché lo aveva fatto?
Perché l’aveva lasciata da sola? Perché l’aveva sempre
lasciata da sola in casa con lui? Reprimendo un ruggito di rabbia e
dolore, Marta si conficcò le unghie nei palmi delle mani. Aveva
continuato a considerarla una bambina, mentre una bambina non lo era
più da un pezzo. Anche se Beniamina credeva di avere ancora sei anni.
Aveva venticinque anni in realtà, ma la sua malattia aveva ritardato
tutto. Aveva alterato tutto. Quel maledetto tumore o metastasi o come
diavolo avevano chiamato quello schifo di morbo che aveva cominciato a
consumare sua figlia sei mesi prima. Non c’erano cure, lo stato era
troppo avanzato. Non restava che lasciar fare alla malattia il suo
corso. E aspettare. Marta ricacciò indietro una lacrima, guardando
orripilata quella scena. Non riusciva a credere a tutto quel sangue.
Forse era solo ketchup, uno dei crudeli scherzi di Beniamina. Ma non era
colpa sua, povera bambina, non era più lei a governare il suo cervello.
Avrebbe anche finito col credere che fosse tutto uno scherzo. Se non
fosse che il corpo di sua figlia giaceva senza vita davanti a lei, un
coltello conficcato nella parte sinistra del petto, appena sopra il
seno. Sarebbe stata effettuata un’autopsia ma ad una prima occhiata
superficiale, il medico legale aveva assicurato che la ragazza aveva
subito ripetutamente violenze sessuali. Marta era caduta dalle nuvole,
cieca com’era stata fino ad allora. “Ripetutamente”. Chissà per
quanto tempo era andata avanti. E lei non aveva mai capito nulla dagli
atteggiamenti di sua figlia, che aveva sempre imputato alla sua
malattia. E quel figlio di puttana se n’era approfittato. Marta,
completamente svuotata, guardava il viso di Beniamina, una maschera di
cera gelata, paralizzata in un sorriso plastico e spaventoso. Era corsa
immediatamente a casa, non appena la polizia l’aveva chiamata sul
posto di lavoro. Sua figlia era stata uccisa. Presumibilmente
dall’uomo che in quel momento era con lei all’interno
dell’appartamento. Ma i poliziotti avevano trovato morto anche lui. E
se il cadavere di Beniamina era uno spettacolo raccapricciante, quello
dell’uomo era anche peggio. La polizia non era ancora riuscita a
decifrarne l’identità. Era stato sbucciato per metà come una patata,
con l’attrezzo apposito e poi dilaniato da innumerevoli graffi. Lunghi
solchi rossi e profondi si snodavano per tutto il corpo dell’uomo, nei
punti in cui non era stato toccato dall’arnese. Sarebbero state svolte
indagini scientifiche più approfondite ma la polizia era quasi sicura
che fosse la ragazza l’artefice. Evidentemente stanca dei continui
abusi da parte dell’uomo, aveva provato a reagire. In un modo
grottesco e orribile, ma d’altronde non ci stava più con la testa.
Purtroppo però, alla fine le era andata male. Guardando le bellissime
mani di Beniamina, le cui unghie lunghissime e curate erano invase di
sangue, Marta non poté provare pietà per lui. Poté solo sentirsi
dalla parte di sua figlia, pronta a giustificarla e a perdonarla come
tutte le volte che si faceva la pipì addosso o che finiva tutta la
cioccolata nascosta nei mobili del soggiorno. 22 Maggio 2010
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Nome autore Note sull'autore sito |
Ilaria
Lopez Studentessa universitaria, conduttrice di un programma radiofonico, scrive articoli per diverse riviste, Autrice di diversi racconti e poesie. www.ilawiththefreaks.wordpress.com/ jan_89@hotmail.it |