Graffi
di

Ilaria Lopez

 


Ciao. Mi chiamo Beniamina, ho sei anni e sono malata. Sono malata di una malattia molto grave. Non mi ricordo come si chiama. L’ho chiesto alla mamma un sacco di volte e lei una volta me l’ha detto. Poi ha cominciato a piangere ogni volta e allora non gliel’ho chiesto più. E’ una malattia strana però. Non mi fa mai male niente e non devo mai prendere medicine. Ogni tanto mi vengono dei dolori alla testa. Ma passano quasi subito. Non ho molti amici reali. Ne ho tanti che vedo solo io però. E loro mi piacciono anche di più, perché non sono come gli altri. Sono tutti colorati e strani. E dicono anche tante cose strane. Mi fanno ridere. Ogni tanto mi fanno paura, però poi piango e loro la smettono. Ci piace fare tante cose insieme. Sono quasi sempre sola perché la mamma lavora tanto. Così mi può comprare i giocattoli. Me ne regala un sacco. Anche quando non è Natale o il mio compleanno. E’ tanto buona con me. Ogni tanto si arrabbia, soprattutto se mangio tutta la cioccolata che nasconde nei mobili del soggiorno o se mi faccio la pipì addosso. Non mi capita sempre sempre però quando succede lei si arrabbia. Io non lo so perché succede, succede e basta. E non riesco a trattenerla. Però lei si arrabbia lo stesso. Io mi offendo e allora lei mi fa le coccole e torna tutto come prima della pipì. Voglio tanto bene alla mamma. E’ sempre gentile con me. Non è come il signore cattivo del bagno. Non lo so chi è, non l’ho mai visto prima. La mamma me l’ha fatto conoscere da poco, ma a me sta già antipatico. E’ sempre cattivo con me. Io non gli ho fatto niente ma lui è cattivo lo stesso. E poi è strano. Non è cattivo normale, è cattivo strano. Sorride sempre ma poi fa delle cose strane. Fa delle cose strane che mi fanno male. Non mi piace, glielo dico sempre. Ma lui dice che è un gioco divertente e che è normale che faccia un po’ male ma che però poi passa. E’ vero poi passa, ma io non mi diverto mai. A lui invece piace un sacco e vuole giocare sempre con me. Però io non voglio. Allora mi costringe. E quando mi costringe mi sembra di stare ancora più male e i dolori alla testa aumentano e vengono più spesso. Mi dice sempre di non dire niente alla mamma. Gli chiedo sempre perché. Perché non posso dirglielo? Io alla mia mamma dico tutto perché voglio bene alla mia mamma. E poi lei mi dice sempre di non dire bugie. Perché dice che se poi dico le bugie mi cresce il naso e mi si accorciano le gambe. Io non ci credo però ho paura a non dire qualcosa alla mamma. Non ho paura del naso e delle gambe, ho paura che lei capisce che dico una bugia e ci rimane male. E poi ho anche paura del signore del bagno. Non si chiama davvero signore del bagno, ma io non mi ricordo mai come si chiama per davvero e allora lo chiamo così. Il signore del bagno. Lo chiamo così perché sta sempre in bagno. Ogni volta che mi scappa la pipì e devo andare in bagno ci sta lui. Prima pensavo che forse pure a lui gli scappa sempre la pipì e per questo va sempre in bagno. Però poi un giorno ho aperto la porta del bagno e l’ho trovato dentro. Non faceva la pipì, faceva delle cose strane. Le stesse cose che facciamo quando giochiamo insieme, quelle che non mi piacciono e che voglio raccontare alla mamma. Voglio dire tutto presto alla mamma e l’altro giorno sono andata da lei per dirle tutto. Poi però il signore del bagno si è messo a piangere. Mi è dispiaciuto e allora non ho raccontato più niente alla mamma. Io però non ci voglio giocare più con quel signore cattivo. Ora sono nella mia cameretta e lui sta bussando alla porta per farsi aprire. Ma io non voglio, sono stanca di giocare con lui uffa. Voglio giocare con i miei amichetti che non mi fanno fare cose strane che mi fanno male. Sì vabbè loro mi fanno fare cose strane però non sento mai dolore e sono sempre contenta quando sto con loro. Ora il signore del bagno sta gridando forte e sta dando i calci alla porta. Ho paura, non voglio andare con lui. Mi sono messa le mani sulle orecchie ma riesco ancora a sentirlo bene. Mi sono scocciata, ora lo faccio entrare così la smette di piangere e di gridare come uno scemo. Giochiamo. Però oggi facciamo un gioco che dico io. Un gioco nuovo.

Marta era ancora sotto shock. Guardava tutta quella gente che le aveva invaso la casa, la sua casa. A dirla tutta erano pochissime persone, ma in quel momento si sentiva di troppo persino lei. La sua stessa persona le era di ingombro. Avrebbe voluto trovarsi ancora sotto le coperte, cinque minuti prima che la sveglia trillasse, pronta ad alzarsi e a preparare la colazione per la sua bambina. La sua bambina. Perché lo aveva fatto? Perché l’aveva lasciata da sola? Perché l’aveva sempre lasciata da sola in casa con lui? Reprimendo un ruggito di rabbia e dolore, Marta si conficcò le unghie nei palmi delle mani. Aveva continuato a considerarla una bambina, mentre una bambina non lo era più da un pezzo. Anche se Beniamina credeva di avere ancora sei anni. Aveva venticinque anni in realtà, ma la sua malattia aveva ritardato tutto. Aveva alterato tutto. Quel maledetto tumore o metastasi o come diavolo avevano chiamato quello schifo di morbo che aveva cominciato a consumare sua figlia sei mesi prima. Non c’erano cure, lo stato era troppo avanzato. Non restava che lasciar fare alla malattia il suo corso. E aspettare. Marta ricacciò indietro una lacrima, guardando orripilata quella scena. Non riusciva a credere a tutto quel sangue. Forse era solo ketchup, uno dei crudeli scherzi di Beniamina. Ma non era colpa sua, povera bambina, non era più lei a governare il suo cervello. Avrebbe anche finito col credere che fosse tutto uno scherzo. Se non fosse che il corpo di sua figlia giaceva senza vita davanti a lei, un coltello conficcato nella parte sinistra del petto, appena sopra il seno. Sarebbe stata effettuata un’autopsia ma ad una prima occhiata superficiale, il medico legale aveva assicurato che la ragazza aveva subito ripetutamente violenze sessuali. Marta era caduta dalle nuvole, cieca com’era stata fino ad allora. “Ripetutamente”. Chissà per quanto tempo era andata avanti. E lei non aveva mai capito nulla dagli atteggiamenti di sua figlia, che aveva sempre imputato alla sua malattia. E quel figlio di puttana se n’era approfittato. Marta, completamente svuotata, guardava il viso di Beniamina, una maschera di cera gelata, paralizzata in un sorriso plastico e spaventoso. Era corsa immediatamente a casa, non appena la polizia l’aveva chiamata sul posto di lavoro. Sua figlia era stata uccisa. Presumibilmente dall’uomo che in quel momento era con lei all’interno dell’appartamento. Ma i poliziotti avevano trovato morto anche lui. E se il cadavere di Beniamina era uno spettacolo raccapricciante, quello dell’uomo era anche peggio. La polizia non era ancora riuscita a decifrarne l’identità. Era stato sbucciato per metà come una patata, con l’attrezzo apposito e poi dilaniato da innumerevoli graffi. Lunghi solchi rossi e profondi si snodavano per tutto il corpo dell’uomo, nei punti in cui non era stato toccato dall’arnese. Sarebbero state svolte indagini scientifiche più approfondite ma la polizia era quasi sicura che fosse la ragazza l’artefice. Evidentemente stanca dei continui abusi da parte dell’uomo, aveva provato a reagire. In un modo grottesco e orribile, ma d’altronde non ci stava più con la testa. Purtroppo però, alla fine le era andata male. Guardando le bellissime mani di Beniamina, le cui unghie lunghissime e curate erano invase di sangue, Marta non poté provare pietà per lui. Poté solo sentirsi dalla parte di sua figlia, pronta a giustificarla e a perdonarla come tutte le volte che si faceva la pipì addosso o che finiva tutta la cioccolata nascosta nei mobili del soggiorno.

22 Maggio 2010

 

 

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Ilaria Lopez

Studentessa universitaria, conduttrice di un programma radiofonico, scrive articoli per  diverse riviste, Autrice di diversi racconti e poesie.
www.ilawiththefreaks.wordpress.com/
jan_89@hotmail.it

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