DRIN
di

Ilaria Lopez

 


Drin. Drin drin. Il telefono squilla insistente. All'improvviso lei è come paralizzata, vorrebbe sollevare la cornetta, urlare "pronto?!" con tutto il fiato che ha in gola. La fronte si imperla di sudore, è un attimo.  I battiti cardiaci aumentano.  Si sente  come  una  mongolfiera  in pieno cielo. Una mongolfiera in cui viene soffiata sempre più aria calda. Drin drin. Si sente scoppiare di gioia. Drin. Driiiiiiiiiiin. Chiude gli occhi, sorride. E' lui. Sì. Lei lo sa che è lui. Che attaccato alla  cornetta,  dall'altra parte, c'è lui. Lei trabocca di gioia a tal punto che si blocca. Congelata, nonostante  una s empre nuova  aria  calda venga pompata nel leggero pallone  aerostatico   che è lei in  quel momento.  Non  alza  la  cornetta.  Vede  se  stessa proietta rsi in avanti, afferrarla al volo, unirsi a lei. In una perfetta, meravigliosa fusione. Driin.  E' ancora  bloccata,  comincia  ad  avere  paura.  Il  telefono  squilla, ma non lo farà ancora per molto.  Drin drin drin. Driiin. Là dietro c'è lui.  C'è  lui, ti  prego non smettere di squillare. Ancora di spalle, ferma. Il suono del telefono le scorre dentro, ma non c'è niente da fare.  Lei è  immobile, davanti  a  quello  stupido  armadio. Continua a rovistare, in quel vuoto marrone e nero  buio.  Perchè?  Continua  a  frugare  in quel  maledetto  contenitore vuoto che sa di muffa, quell'odore  che  le  ricorda  tanto  la sua casa al mare quando va a riaprirla  dopo  un'intera  stagione.  Mette  le mani in un  mobile vuoto,  spolpato  come  la carcassa di un animale morto. Abbassa il viso. Driiiin. Chiude gli occhi e stringe le labbra. Drin drin drin drin. Drin! Lui - perchè lo sa che è lui, sì - all'altro capo del filo tiene duro. Lei è felice, stringe ancora di più le labbra. Driiiin. E resta immobile.  Come  una statua di sale. Driiiin. Lei serra ancora di più le labbra, fin quasi a cucirsele insieme. Non si muove. Come fosse un appendice, inutile e  morta,  di  quel  pavimento nemico.  Quel  pavimento  che la trattiene, geloso.  Perchè  non vuole  farla andare  da l ui. Lui che è lì, oh sì, lo sa che è lì. Nascosto da  un ammasso di  microchip e  fili arricciati. Drin. Adesso.  Le  succede  proprio come quando si fa  la doccia e la signora del piano di su sceglie proprio quel momento  per lavare i  milioni  di  piatti  della  sua  tribù: lei è lì, sotto il getto d'acqua calda che le scorre sulla  pelle,  carezza  vellutata.  Finché  il  caldo  comincia  ad  affievolirsi, il  getto  diventa minaccioso e l'acqua fredda - gelata, infine - la colpisce in pieno viso, sul seno, sul cuore. Esattamente come quando avverte che il caldo sta per essere sostituito dal freddo, mentre ancora  il  telefono  squilla,  lei  riesce  a  sentire quel "drin drin" indebolirsi sempre più.  Il panico, che aveva cominciato a scavarle  dentro  quando aveva scoperto che non riusciva a muoversi, impenna. Ed esplode in isteria. Drin drin. Sono gli ultimi due squilli, lo sente. Tra due secondi o poco meno il telefono tacerà. Il viso rosso, il sudore le zampilla dalla fronte. Ha le tempie e il viso bagnati. I lineamenti contratti.Lo sforzo di ribellarsi a quell'immobilità inspiegabile  che  le  altera  e deforma labbra e occhi.  Meno  uno.  Sta arrivando. L'ultimo. Squillo.  Drin.  Secco  e  tagliente,  quell'ultimo  "drin"  la ferisce. Come l'orlo di un foglio di carta che affonda nella pelle di un dito. Niente più "drin", lui non c'è più. L'ha perso.
Con il viso stravolto, lei si sveglia di soprassalto, urlando.  Le tempie le pulsano, gli occhi le dolgono.  Una  combattente  dopo  il  match,  sconfitta.  La  sua  stanza  è  buia, tranquilla, assopita   in  un  sonno  onirico.  Tutto  è  macchiato   dal   calamaio   notturno,  qua  e  là punteggiato  di  giallo  paglierino.  La  luna.  Che filtra, gelida, il suo bagliore dai vetri della finestra.  Quella  luna  che  lei e lui guardavano sempre, insieme. Ma che ora le fa soltanto agitare dentro la consapevolezza  che  lui  non c'è più, serpe velenosa che la uccide giorno dopo  giorno.  Si  siede  sul  letto,  raccogliendo  le  gambe e circondandole con le braccia, tuffandoci dentro il viso. E' buio, ancora più buio che fuori, in quel nido improvvisato che ha costruito  con  i  suoi  stessi arti. Ma qualcosa là in mezzo luccica. Sulla sua pelle. Una "M", vergata  come  se  stesse  correndo  via  dal  suo  avambraccio.  Quella "M" che le ricorda un'altra  notte,  proprio  come  quella.  Calma,  dall'aria  frizzante. Quella notte in cui tutto morì. La macchina rovesciata fuori strada, dopo lo schianto tremendo contro il guardrail. E lui morto, lì, per terra. E morendo, aveva ucciso anche lei, quella  notte. Gli occhi annegati nelle lacrime, lei alza il viso. E lo rivolge verso il telefono, gettato sul comodino, la cornetta quasi sradicata. Dall'armadio,  un'anta chiusa  e  una aperta, sta  impiccata sulla gruccia la camicia di lui, di M., mentre il "tut-tut" ossessivo del telefono morto, scandisce quegli attimi freddi come cristallo.

22 Maggio 2010

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Ilaria Lopez

Studentessa universitaria, conduttrice di un programma radiofonico, scrive articoli per  diverse riviste, Autrice di diversi racconti e poesie.
www.ilawiththefreaks.wordpress.com/
jan_89@hotmail.it

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