Drin.
Drin drin. Il
telefono squilla insistente. All'improvviso lei è come paralizzata,
vorrebbe sollevare la cornetta, urlare "pronto?!" con tutto
il fiato che ha in gola. La fronte si imperla di sudore, è un
attimo. I battiti cardiaci aumentano. Si sente
come una mongolfiera in pieno cielo. Una mongolfiera
in cui viene soffiata sempre più aria calda. Drin drin. Si sente
scoppiare di gioia. Drin. Driiiiiiiiiiin. Chiude gli occhi, sorride.
E' lui. Sì. Lei lo sa che è lui. Che attaccato alla cornetta,
dall'altra parte, c'è lui. Lei trabocca di gioia a tal punto che si
blocca. Congelata, nonostante una s empre nuova aria
calda venga pompata nel leggero pallone aerostatico
che è lei in quel momento. Non alza la
cornetta. Vede se stessa proietta rsi in avanti,
afferrarla al volo, unirsi a lei. In una perfetta, meravigliosa
fusione. Driin. E' ancora bloccata, comincia
ad avere paura. Il telefono squilla, ma
non lo farà ancora per molto. Drin
drin drin. Driiin.
Là dietro c'è lui. C'è lui, ti prego non smettere
di squillare. Ancora di spalle, ferma. Il suono del telefono le scorre
dentro, ma non c'è niente da fare. Lei è immobile,
davanti a quello stupido armadio. Continua a
rovistare, in quel vuoto marrone e nero buio. Perchè?
Continua a frugare in quel maledetto
contenitore vuoto che sa di muffa, quell'odore che le
ricorda tanto la sua casa al mare quando va a riaprirla
dopo un'intera stagione. Mette le mani in
un mobile vuoto, spolpato come la carcassa di
un animale morto. Abbassa il viso. Driiiin. Chiude gli occhi e stringe
le labbra. Drin
drin drin drin. Drin!
Lui - perchè lo sa che è lui, sì - all'altro capo del filo tiene
duro. Lei è felice, stringe ancora di più le labbra. Driiiin. E
resta immobile. Come una statua di sale. Driiiin. Lei
serra ancora di più le labbra, fin quasi a cucirsele insieme. Non si
muove. Come fosse un appendice, inutile e morta, di
quel pavimento nemico. Quel pavimento che la
trattiene, geloso. Perchè non vuole farla
andare da l ui. Lui che è lì, oh sì, lo sa che è lì.
Nascosto da un ammasso di microchip e fili
arricciati. Drin. Adesso. Le succede proprio come
quando si fa la doccia e la signora del piano di su sceglie
proprio quel momento per lavare i milioni di
piatti della sua tribù: lei è lì, sotto il getto
d'acqua calda che le scorre sulla pelle, carezza
vellutata. Finché il caldo comincia
ad affievolirsi, il getto diventa minaccioso e
l'acqua fredda - gelata, infine - la colpisce in pieno viso, sul seno,
sul cuore. Esattamente come quando avverte che il caldo sta per essere
sostituito dal freddo, mentre ancora il telefono
squilla, lei riesce a sentire quel "drin
drin" indebolirsi sempre più. Il panico, che aveva
cominciato a scavarle dentro quando aveva scoperto che non
riusciva a muoversi, impenna. Ed esplode in isteria. Drin drin. Sono
gli ultimi due squilli, lo sente. Tra due secondi o poco meno il
telefono tacerà. Il viso rosso, il sudore le zampilla dalla fronte.
Ha le tempie e il viso bagnati. I lineamenti contratti.Lo sforzo di
ribellarsi a quell'immobilità inspiegabile che le
altera e deforma labbra e occhi. Meno uno. Sta
arrivando. L'ultimo. Squillo. Drin. Secco e
tagliente, quell'ultimo "drin" la ferisce.
Come l'orlo di un foglio di carta che affonda nella pelle di un dito.
Niente più "drin", lui non c'è più. L'ha perso.
Con il viso stravolto, lei si sveglia di soprassalto, urlando.
Le tempie le pulsano, gli occhi le dolgono. Una
combattente dopo il match, sconfitta. La
sua stanza è buia, tranquilla, assopita
in un sonno onirico. Tutto è
macchiato dal calamaio notturno,
qua e là punteggiato di giallo
paglierino. La luna. Che filtra, gelida, il suo
bagliore dai vetri della finestra. Quella luna che
lei e lui guardavano sempre, insieme. Ma che ora le fa soltanto
agitare dentro la consapevolezza che lui non c'è più,
serpe velenosa che la uccide giorno dopo giorno. Si
siede sul letto, raccogliendo le gambe e
circondandole con le braccia, tuffandoci dentro il viso. E' buio,
ancora più buio che fuori, in quel nido improvvisato che ha
costruito con i suoi stessi arti. Ma qualcosa
là in mezzo luccica. Sulla sua pelle. Una "M", vergata
come se stesse correndo via dal
suo avambraccio. Quella "M" che le ricorda
un'altra notte, proprio come quella.
Calma, dall'aria frizzante. Quella notte in cui tutto morì.
La macchina rovesciata fuori strada, dopo lo schianto tremendo contro
il guardrail. E lui morto, lì, per terra. E morendo, aveva ucciso
anche lei, quella notte. Gli occhi annegati nelle lacrime, lei
alza il viso. E lo rivolge verso il telefono, gettato sul comodino, la
cornetta quasi sradicata. Dall'armadio, un'anta chiusa e
una aperta, sta impiccata sulla gruccia la camicia di lui, di
M., mentre il "tut-tut" ossessivo del telefono morto,
scandisce quegli attimi freddi come cristallo.
22 Maggio 2010
|