Se la scuola fosse stata vicina,
Mark sarebbe andato da solo senza noiose incitazioni…..
Velocemente salì in auto. –
Buongiorno – disse suo padre. – Buongiorno – rispose laconicamente
lui.
L’auto partì con uno stridìo,
dopo che sua madre fu salita. Mark si sentiva triste. Guardava il suo
riflesso nel finestrino. I suoi occhi. E nel buio dei suoi occhi si
riflettevano quelli della creatura.
Capitolo II – JENNIFER WEST
L’auto si fermò.
– Mark! Sveglia! Siamo
arrivati!
Si riprese, aprì lo sportello e uscì.
– Ciao!- disse malinconicamente
– Buona giornata! – gli
risposero in coro i genitori.
Si incamminò verso il cancello.
Era ancora in anticipo. Detestava arrivare a scuola in anticipo. C’era un
sacco di gente, di ragazzi. E ragazze. Si sentiva imbarazzato in presenza di
ragazze, cercava di tirare avanti, provando a non staccare lo sguardo dall’orizzonte.
E c’era Bob. – Ehi, Chester ancora qui? – Mark odiava Bob Fakes. Era
la persona più repellente al mondo.
– Non hai ancora capito che il
tuo posto è alle elementari?- Scoppiò a ridere insieme ai suoi compari.
Si lo odiava.
– Senti, non è aria…
– Già, quella che sputi dalla
bocca, non sai nemmeno parlare, sta’ zitto.
Lo odiava a morte.
– Fai schifo anche a me come
aspetto, sei assolutamente impresentabile, secchione…..
– Tu….
Mark alzò una mano verso il suo
viso. Aperta. Voleva dare un pugno ma la sua mano si era aperta. Da sola.
– Ma … cosa?
Mark lo guardava con aria di sfida.
Dal basso verso l’alto, Bob lo guardava dall’alto verso il basso con
aria di sufficienza. Lo spinse e Mark volò via, letteralmente. Bob era un
bestione di quasi due metri, con i capelli ossigenati tagliati a spina e
ciò che ormai era parte di lui, un ghigno sdentato da far inorridire
Dracula. Mark cadde a terra con un tonfo sordo. Un’altra figura del cavolo
da aggiungere alla sua collezione. Tutti quanti ridevano di lui. Si sentiva
oppresso da questa situazione, era sul punto di andarsene via col passo
pesante che caratterizzava il suo temperamento impulsivo, quando….. la
vide….Jennifer West. Per lui la ragazza più bella della scuola. Aveva la
sua stessa età ed era la persona a cui tenesse più di tutto. Era
bellissima. Aveva i capelli lisci, fluenti, setosi, sospinti dal vento
sarebbero stati una favola e gli occhi scuri con striature verdi e delle
labbra che solo a guardarle era un piacere; ogni volta Mark aspettava il
singolo movimento di un muscolo delle labbra e andava in visibilio.
– Ciao!- disse lei
allegramente. Lui aprì la bocca. Era l’unica cosa che potesse
rispondere alle meravigliose parole che lei aveva appena pronunciato.
– Ehi, bambola!- Fakes si
distingueva sempre.
– Ciao Bob – disse lei
nascondendo l’aria di disappunto e se ne andò in classe. Cominciarono
le lezioni.
Finirono le lezioni.
Mark aveva avuto un’
interrogazione. Era andato bene, cosa che quasi gli dispiaceva pensando agli
imminenti insulti di Bob, se lo avesse incontrato. Per fortuna non fu così.
Bob aveva 18 anni, lui 16 e Jennifer anche, era meraviglioso.
Capitolo III – IL PORTALE
Dopo aver aspettato per una buona
mezz’ora, arrivò l’auto di suo padre.
Ma lui temeva la notte.
Si girava e rigirava nelle coperte.
Una goccia di sudore gli ricadde sulla fronte. L’aquila scese dal cielo.
Quegli occhi abbaglianti.
– Aiutami…-
– Ahh!-
– Mark cosa è successo?-
chiese sua madre appena arrivata in camera sua.
– Niente, niente - disse lui
strofinandosi gli occhi. Un’altra giornata di routine come tutte le
altre.
– Ciao, Bob - disse lui,
sfidandolo, appena arrivato a scuola, ma Bob era occupato, pensava a farsi
bello davanti ad un gruppo di quattordicenni, che andavano matte per lui.
Per il suo potere sugli altri ragazzi, o per i suoi soldi.
– Ciao, Mark - Mark si voltò
con l’aria più cattiva che gli riuscisse, aveva toppato.
– Jennifer….sei splendida
oggi, come sempre –
– Grazie- disse lei arrossendo
un po’.
– Senti, hai da fare stasera?-
Mark era sconvolto.
– Perché altrimenti, potremmo
vederci….-
Jennifer l’aveva invitato a
vedersi con lei!
Fakes arrivò con una spallata a
Mark, che cadde pesantemente sul terreno. L’ennesima volta.
– Ciao Jenny, hai impegni
stasera?-
– Ecco…- Mark era sicuro,
ormai che il suo appuntamento sarebbe andato a monte.
– Io non posso! Mi spiace!-
Jennifer scappò via. Mark era ancora più stupefatto di prima, Jennifer l’aveva
invitato ad un appuntamento e aveva
anche rifiutato di vedersi con Bob, a cui la maggior parte delle ragazze
andavano dietro. Lentamente Mark si alzò, scotendosi la polvere dalla
giacca.
– Bè, succede a tutti…-
disse, appoggiando una mano sulla spalla di Bob che era rimasto immobile
come una statua, al rifiuto della
ragazza. Bob si girò, aveva un’aria che non prometteva niente di buono,
ma Mark era già sparito dritto filato in classe. Ormai aveva deciso:
doveva parlare con lei. A tutti i costi.
Alla fine delle lezioni c’era
così tanta confusione che non riuscì a trovarla, poi la intravide.
– Jennifer! Jennifer!- Ma lei
era ben lontana, non lo sentiva – Accidenti! - imprecò lui. Cercò di
farsi strada attraverso la folla. Jennifer
svoltava a sinistra del cancello d’ingresso della scuola, lui a destra. A
tutti i costi la seguì. Camminarono a distanza per un po’, poi lei
svoltò in un vicolo.
– Jennifer, ascoltami!-
Svoltò anche lui. –Jenn….eh?- La ragazza era scomparsa.
– Dove sei?- Era un vicolo
cieco. La ragazza non sarebbe potuta andare da nessuna parte.
– Dove può essere finita?-
Mark si avvicinò ai bidoni della spazzatura, alle mattonelle rotte,
ispezionò il vicolo da cima a fondo. Di Jennifer
non c’era traccia.
– Proprio ora che….accidenti!-
Mark uscì dal vicolo e si guardò intorno….No! Jennifer aveva svoltato
nel vicolo!. Mark si rigirò e vide una sagoma.
– Jennifer, ma dov’eri?-
disse ad alta voce. Poi riuscì a distinguere l’ombra. Non era
assolutamente Jennifer, non era nemmeno una ragazza. Era
una strana creatura. Aveva due fessure al posto del naso che arrivavano alla
bocca, che più che altro era un enorme buco dotato di affilate zanne. Aveva
la fisionomia simile ad un umano ma era privo di peli e capelli, vestito di
stracci con artigli al posto di mani e piedi e con un aspetto smunto
e poco raccomandabile. Mark,
repentinamente si nascose dietro il muro del vicolo. Era sbalordito, aveva
sempre saputo che i mostri non esistevano. Bè, aveva appena avuto la
conferma del contrario. Il mostro passò oltre il muro andando verso la
strada. Non c’era nessuno nei paraggi, Mark aspettò, poi si infilò nel
vicolo. Nei suoi occhi si rifletté un’abbagliante luce azzurra. Un
vortice azzurro si estendeva come una porta, dove prima c’era il bidone
delle spazzature. Mark era perplesso, combattuto, confuso, ma una cosa la
sapeva: Jennifer era sparita e improvvisamente era apparso un mostro nello
stesso posto. Avevano entrambi attraversato il varco azzurro. Lui doveva
aiutarla a tornare indietro. Non sapeva cosa avrebbe trovato dall’altra
parte, poteva anche essere disintegrato, per Jennifer sarebbe stata la fine
ormai. Non c’era più tempo, Mark si fece forza, incrociò le dita e
saltò con le mani a proteggersi. Una forza invisibile e sovraumana lo
spingeva avanti e un vento fortissimo ostacolava la sua avanzata. Mark
chiuse gli occhi, non riusciva comunque a vedere niente. Era tutto così
confuso, solo luci azzurre e bianche, che si mescolavano in un vortice
enorme e indecifrabile.
Capitolo IV – LA TORMENTA
Quando Mark riaprì gli occhi era
tutto finito ma avrebbe preferito averli ancora chiusi. Se si girava
intorno, vedeva solo montagne, caverne lontane, scavate nella roccia e
sabbia, polvere, tutto deserto. Mark si voltò. Il passaggio era chiuso.
Tentò di trovarlo ma non c’era più. Jennifer non c’era e lui era solo,
spaesato in un deserto ventoso. Sconsolato si sedette. Ciò che aveva visto
era troppo irreale, Jennifer sparita, il mostro, il portale….gli veniva da
piangere. Stette lì seduto per molto tempo. Poi, capì che non c’era
speranza di tornare indietro, per ora. E poi, quel luogo gli ricordava il
suo sogno. E voleva scoprire qualcosa a proposito.
Cominciò ad avanzare nel deserto,
ma gli sembrava che più avanzasse più fosse difficile andare avanti. Era
difficile perché i piedi affondavano nella sabbia, lui si ricopriva sempre
più di polvere e granelli ed il vento lo spingeva indietro. Ma cercando di
ripararsi con le mani, per quanto potesse continuava ad andare avanti. Non
sapeva dove stava andando, quanto avesse dovuto ancora camminare, se sarebbe
sopravvissuto, ma la volontà lo faceva andare avanti infondendogli coraggio
e determinazione. Voleva sapere dove fosse finita Jennifer, cosa significava
il suo sogno cosa stesse succedendo. Avrebbe trovato risposta a queste
domande?
Ad un tratto sentì un ululato che
si faceva sempre più forte fino a divenire fortissimo e, da lontano vide la
sagoma di un turbine. Un tornado. Fantastico. Ci mancava solo quello. Mark
non era mai stato il tipo che si faceva tanti problemi, anzi era sempre
stato piuttosto superficiale, non faceva domande sul perché dovesse fare
qualcosa, la faceva e basta..
Il tornado si avvicinava sempre di
più. Mark non si preoccupava molto, di solito. Ora invece, si. –Non può
finire così –pensò- ho fatto tutta questa strada ora…- Il tornado lo
investì.
– AAAHHHHHH!- Mark cercò di
resistere ma i suoi piedi lasciavano il terreno e lui si alzò in volo.
– Ormai è finita, non posso
fare più niente. Morirò- . Si rassegnò, salutò mentalmente i suoi cari
e Jennifer, la ragazza dei suoi sogni e
lentamente, sforzandosi riuscì a chiudere gli occhi.
Capitolo V – KATREMAAK
Katremaak si avvicinò alla
creatura. Lentamente, molto lentamente. Sperava di sapere chi fosse, ma
ormai non ne era più tanto sicuro. Voltò il viso della creatura, aveva
perso i sensi, il suo viso era simile al suo, pur presentando delle
differenze. La creatura era più giovane e al posto delle narici aveva una
strana protuberanza, aveva i capelli corti e scuri e un’aria buona. Piano,
piano aprì gli occhi
– AAAHHHH!- gridò alla vista
di Katremaak
– Tu, tu sei….. - Katremaak
annuì.
– Tu eri nei miei sogni!- Mark
si alzò – sono ancora vivo?-
– Secondo te? – chiese l’altro.
– Beh si, ma come ho fatto a
sopravvivere…..?-
– Non ti porre ora questa
domanda, risponderai tu stesso a tempo debito.
– Ma tu chi sei?
– Mi chiamo Katremaak, nella
nostra lingua significa "Figlio o creatura della luce".
Mark continuava a fissare i suoi
occhi.
– Non fissarmi per troppo
tempo – disse lui- o rimarrai ucciso dalla luce.
– Si, si, certo, senti come
faccio a tornare indietro?
– Non puoi – disse
Katremaak – non ora – perché sei venuto?-
– Per, per…Jennifer.
– Già, ho fatto io, in modo
che attraversasse il Portale, ma … è andata male-.
– Cosa?
– Il tiranno l’ha presa con
sé. Devi aiutarci. Devi aiutare anche lei –
– Ma che stai dicendo? Io non
posso devo tornare dai miei, saranno preoccupati, Jennifer sarà al
sicuro a casa sua di certo.
– Ne sei convinto?
Katremaak aprì una mano e al suo
interno Mark vide una goccia. Acqua, forse. Si allargava sempre di più fino
a diventare grande quanto uno specchio Al suo interno Mark poté vedere
una camera buia e una ragazza: Jennifer. Era prigioniera.
– Non può essere, questo è un
altro incubo, vero? VERO?
– No, mi spiace, Mark, non è
così.
– Ma, perchè, io? Perché? Io
non sono niente. Non potevate chiamare, che so, Shwarzenegger? E, poi, qui
dove siamo?
– Calma, calma. Posso dirti
solo che siamo in una landa desolata chiamata Sfeji. Al resto troverai
risposta da solo, col tempo. Se vuoi, posso lasciarti da solo a meditare…
– No. A che servirebbe? Il solo
modo per tornare indietro è salvare Jennifer. Chi è questo tiranno?
– Noi lo chiamiamo Dakma-Khain.
Significa "prigioniero delle tenebre", lui si fa chiamare Kram.
– Nome originale – disse Mark
seccato.
– E’ terribile, è
assolutamente malvagio, chiunque sia contro di lui, muore nell’istante
in cui lo guarda negli occhi. Non si sa come, ha il potere di assorbire l’anima
o le emozioni. Ha preso il posto dl governatore molti anni fa. E ora siamo
tutti sotto il suo giogo, vuole il potere. Il potere su tutto e presto
riuscirà ad averlo. Ha tolto la libertà a tutti, ha tolto la speranza di
vivere e la luce dal cielo. Tu. Tu solo puoi aiutarci. Così è scritto.
– Certo, certo e come? Lui ha
tutti quei poteri e io non ho nemmeno un misero coltello da cucina come
arma e poi ho solo 16 anni, cavolo, solo 16!
– Una ragione c’è. E’
giunto il momento – disse Katremaak, fra sé e sé.
– Vieni, è il momento di
prendere Orilder.
– Ori..che? – chiese Mark
stranito.
– La vedrai subito – disse
Katremaak, sorridendo sotto i baffi.
Capitolo VI - ORILDER
Si incamminarono nel deserto fino a
quando arrivarono ai piedi di una montagna.
– Non mi dirai che devo
salirla?
– No, assolutamente. Devi solo
entrare in questa grotta e… prendere ciò che troverai alla fine di
essa. Quando l’avrai preso, avrai appreso tutti gli insegnamenti
necessari al tuo viaggio .- disse Katremaak tranquillamente .
– Okay, niente di più facile.
Perfetto - . Si incamminò verso l’antro.
– Fa’ attenzione
– Si, che vuoi che ci sia qui
dentro ? – chiese Mark.
– Lo scoprirai presto, mio
giovane amico. – disse Katremaak in silenzio.
La caverna era buia. Ci voleva un
fiammifero. Ma ne era sprovvisto.
– Accidenti. – disse Mark.
– Guarda in che guaio sono andato a cacciarmi, ma come mi è venuto?
Potevo starmene a casa mia, al caldo… - Il suo pensiero ad alta voce fu
interrotto da un gemito. – Mark si guardò intorno.
– Ehi! Chi è là?- gridò.
Nessuna risposta. Tirò un respiro profondo.
– Calma, Mark, calma. –
Continuò ad andare avanti. Ogni tanto si sentivano delle gocce che
cadevano per terra. Si sentì un suono
gracchiante.
– Chi è là? - EHI ! – disse
Mark. Sbatté le palpebre e deglutì. – Continuiamo…- Ora si sentiva
solo il rumore dei suoi passi.
– Visto Mark? Non c’è niente
di cui preoccuparsi …- si rassicurò da solo. Si sentì una serie di
versi e grida rauche.
– Oooooh - Mark cominciò a
correre. Velocemente. Ormai era troppo lontano dall’ uscita. Doveva
proseguire. I versi continuavano ad
inseguirlo. Ad un tratto, Mark vide uno scintillio in fondo al tunnel.
Continuò a correre. Doveva arrivarci. Cadde. C’era un burrone. Non troppo
largo per fortuna. Le sue mani arrivarono a toccare l’altra estremità.
Non riusciva a tirarsi su. – No, no, no! – imprecava. Gli strilli si
avvicinavano sempre più. La paura può tutto.
Mark si fece forza e si issò su.
Risalì sul pavimento della grotta e continuò a correre, facendo più
attenzione. Lo scintillio si avvicinava. Sempre di più. Dopo quella che gli
sembrò un’ eternità, Mark raggiunse il brillìo. Era una ... lama. Una
spada. Sembrava rotta. La sua mano si protese verso quella che sembrava l’elsa.
Ma fra lui e il manico della spada si frappose una creatura scesa dall’alto.
Una creatura oscura. Brutta, nera, simile a quella uscita dal portale. Era
armata. La sciabola della creatura fendette l’aria. Mark si abbassò
schivando il colpo e spinse in avanti la creatura che inciampò nel
piedistallo dove giaceva la lucente spada e cadde in un baratro. Dietro di
lui, Mark vide altre creature. Era terrorizzato. Ma euforico. Si buttò
verso di loro e sferrò un pugno in faccia a una creatura. – Aah ! –
gemette Mark, massaggiandosi le nocche mentre la creatura si inginocchiava
leggermente. Innervosito, spinse un calcio nella pancia del mostro che
colpito nel profondo dei sentimenti e dello stomaco, cadde giù. Ne
rimanevano altri due. Mark vi si avvicinò diffidente. Entrambi i mostri
sferrarono un colpo orizzontale. Mark li schivò e i due si colpirono a
vicenda, cadendo pesantemente. Mark tirò un sospiro di sollievo. – Ce l’ho
fatta! Incredibile! Non ho mai battuto Bob, ma ce l’ho fatta contro
quattro… quattro… COSI ! Yaooh ! – Ancora incredulo, e scotendo la
testa, si avvicinò sorridendo alla spada. La prese in mano. Il suo corpo fu
invaso da una scarica elettrica fortissima che lo spinse verso l’alto.
Mark era bloccato e si trovava sospeso in aria, con un dolore lancinante
dappertutto. Non riusciva a gridare, era successo tutto così
improvvisamente.
Lo scintillio della spada si
trasformò in un faro la cui luce lo investì completamente. Tutto si
illuminò e Mark cadde a terra. Il dolore era sparito. In un attimo.
Aveva compreso. Capiva di aver
sempre saputo come combattere o come usare una spada. Prima era sempre stato
malinconico da quando erano cominciati i sogni. Non li capiva. Era triste,
freddo con tutti, tranne che con Jennifer. Ma ora … Ora amava tutto,
tutti, voleva bene ai suoi genitori, ora li amava, era in pace col mondo e
con sé stesso finalmente. Era stato chiamato ad assolvere un compito. E l’
avrebbe eseguito.
CAPITOLO VII : LA FORESTA OSCURA
– Quindi, questa spada ha un
nome, si chiama Orilder. Se la chiamo mi risponde ?
– No. Ma se si trova lontana da
te, se pronunci il suo nome ritorna al proprietario. Tu, sei il suo unico
e solo possessore, Mark – spiegò Katremaak. – Ma questa spada è
strana - . La lama, all’ inizio presentava una cavità curva che si
estendeva verso l’ interno per poi andare a formare una lama normale.
Come una specie di falce.
– Dov’ è la sede di Kram ?
– chiese il ragazzo.
– Nessuno lo sa. Solo i suoi
seguaci lo sanno. Noi li chiamiamo Dakma-ak, " creature delle tenebre
" - . Disse Katremaak.
– Ah, e dove li trovo ?- chiese
Mark, incuriosito.
– Di solito si riuniscono tutti
alla Taverna delle Ombre. Un posto poco raccomandabile. C’è solo
feccia, lì – disse Katremaak.
– Bé, allora penso sia ora di
fare un po’ di pulizia.
– Pazienta, mio giovane amico,
pazienta. Devi attraversare la foresta oscura per arrivare alla Taverna.
– Che c’è nella foresta ?
– chiese Mark.
– Forze oscure. A cui dovrai
opporti a tutti i costi, o diventerai un’ anima sperduta e dannata per
sempre.
– Allegro… - commentò Mark.
– Già, devi resistere. Io
posso solo indicarti la via, sei tu che la devi seguire.
I due se ne stettero in silenzio per un
po’.
– E allora grazie, Katrem. Mi
raccomando eh?! – Katremaak strinse la mano al ragazzo.
– Mi raccomando a te. Sempre
all’erta. Sempre. Non voglio perdere l’ultima speranza che abbiamo di
salvarci.
Poi incrociò le braccia e
scomparve in una nube di fumo trasparente. Al suo posto, ora, c’era un’aquila
dagli occhi paralizzanti, che prese il volo e planò verso il sole.
Mark la seguì. Dopo un po’
arrivò alla foresta. L’aquila girò un po’ di volte sopra la sua testa
e poi volò via. – Bene , ora tocca a me. –
Era incredibile come una foresta
sorgesse in pieno deserto. Entrò nella foresta. Il sole ormai stava
tramontando. Le ombre degli alberi si allungavano sul terreno per molti
metri. Addosso aveva solo una camicia strappata, una giacca e dei jeans.
Cominciava a fare freddo. Ma Mark continuava ad avanzare nella notte. Era
angosciante aspettare qualcosa di terribile che sembrava non arrivare mai.
Ad un tratto sentì una voce. Una
voce rauca, silenziosa, che arrivò al suo orecchio e sparì. – Mark..
– scandiva la voce con tono suadente. – MARK … - il ragazzo
cominciò ad innervosirsi. - - Ascoltami..- Mark era pronto a tutto;
si sgranchì le ossa e strinse forte la spada rigirandola nella mano sudata.
Una sagoma .. femminile.. –
Jennifer? – chiese Mark diffidente. – Sei tu? - La ragazza era
appoggiata a un albero e aveva addosso solo pochi stracci.
– Che ti hanno fatto?
– Se
vuoi salvarmi, se mi vuoi, unisciti a noi
– Cosa? Ma che dici? – chiese
Mark incredulo.
– Unisciti a noi, unisciti a
me. – Le parole non provenivano dalla sua bocca ma sembrava fosse
lei a pronunciarle.
– Combatti
per me, con me e avrai tutto ciò che vuoi. Amore, denaro, POTERE, tutto
ciò che vuoi, basta che ti unisci a noi.
– Ma Jenny tu, tu non.. dici..
dici sul serio? Tutto ciò che voglio? Anche.. anche te? Tu ti salverai? -
– TUTTO
CIO’ CHE VUOI. CHIEDI E VERRAI ESAUDITO. BASTA CHE ACCETTI .
Mark restò immobile a
fissare quella figura. Quella figura che aveva sempre amato. L’avrebbe
avuta. Lei e tutto quanto avesse chiesto. Bastava che accettasse. In fondo
quella non era la sua gente. Se la sarebbero cavata da soli. Cominciò a
sudare. Si sentiva male. Jennifer cominciava a succhiargli le energie.
– Aiutami… - ripeteva
Katremaak in silenzio nel deserto del suo sogno.
– Presto… - Mark
riaprì gli occhi. Non poteva abbandonare questa gente. Avevano bisogno di
lui. E dopo Orilder… aveva capito: pace,
amore, altruismo, amicizia, libertà. Erano valori che non andavano persi.
Non si sarebbe fermato ora. – NO! NO! – gridò Mark. La ragazza
allungò un braccio e scaglio una carica elettrica contro di lui. Mark la
schivò e saltò. Senza accorgersene, piegandosi in avanti, eseguì una
serie di capriole in aria. Atterrò accanto alla ragazza e le bloccò le
braccia.
– Jennifer, Jenny, sono io, IO,
ASCOLTAMI.
La ragazza aveva gli occhi di
fuoco. Tra le fiamme, Mark rivide i bellissimi occhi verdi della ragazza di
cui era innamorato. Una voce inondò la sua mente.
– Non posso liberarmi di questa
presenza maligna. Ho accettato un patto. Quello di salvare TE.
Mark si sentì rinfrancato da
quelle parole e stupito, lasciò la presa.
– Ma allora tu.. – Mark non finì la frase.
Quel momento bastò all’oscura presenza per colpire Mark scagliandolo lontano, e sparire con il corpo di
Jennifer. Mark atterrò alla fine della foresta. Alzò lo sguardo, felice
della rivelazione di Jennifer. Vide la sagoma di un’ aquila dagli occhi
luccicanti.
– Ce l’ ho fatta, Katrem, ce l’ ho fatta!
CAPITOLO VIII : LA TAVERNA DELLE
OMBRE
All’uscita della foresta, Mark,
trovò dei vestiti nuovi, più adatti al suo ruolo. Una maglia a temperatura
costante a maniche corte, bianca, delle fasce da avvolgere intorno agli
avambracci, dei pantaloni scuri e una fascia da appendere alla cintura,
degli stivali e una fodera adatta a Orilder. Era pronto.
Entrò nella casupola lì vicino. L’insegna
diceva. " Taverna delle ombre ". – Che fantasia - commentò Mark.
Aprì la porta. C’era un forte
brusio e la locanda era piena di mostri, demoni e mostriciattoli. Mark si
avvicinò al bancone, notando con disgusto che il barista era pieno di
squame verdastri, gobbo, strabico e pieno di pustole. " E’ quasi più
brutto di Bob " pensò Mark. Si sedette su uno sgabello accanto al
bancone. Era sicuro di sé.
– Dammi una birra! – disse
con voce roca.
– Cosa vuoi? – chiese il
barista, stranito.
– Una birra, sai cos’è? –
insistètte. Il barista lo guardò minaccioso.
– Va bene – disse Mark,
accorgendosi di stare esagerando
– Dammi dell’acqua. Ce l’hai
l’acqua almeno?- La creatura si allontanò sospettosa. Mark sospirò di
sollievo.
Quando la creatura tornò chiese – Ehi! Dov’è Kram? – Tutto
il locale si zittì. Mark si guardò intorno.
– Ehm.. mi ha convocato
lui..ecco.. - spiegò subito. Il locale si rifece chiassoso.
– Ti ci posso portare io,
bendato e immobilizzato, per non farti vedere dove andiamo…
– DIMMI DOVE SI TROVA !! – D’
un tratto il mostro non fu più strabico.
– Oh, oh..- Mark si allontanò
dal bancone, indietreggiando verso l’uscita che era bloccata da due
massicci Dakma-ak.
– Fantastico – disse Mark.
– Certo che ti dirò dove si
trova Kram, dopo che sarai morto! – disse il barista. Mark tirò fuori
Orilder e si mise in posizione di guardia. Con un
fendente orizzontale accoppò tre Dakma-ak salto e atterrò con un calcio al
barista, scivolando poi per terra. Lanciò la spada chiamando – ORILDER! -
.
La spada roteò su sé stessa per
più volte, colpendo numerose creature e poi tornò alla mano di Mark, che
superò il bancone con un salto e mentre roteava, continuava a brandire la
spada con maestria fino a quando i suoi piedi toccarono terra. Gli girava un
po’ la testa, non era ancora abituato a questo genere di cose. Uno strano
ronzio si avvicinò improvvisamente al suo orecchio; Mark si voltò e si
scostò subito. Un Dakma-ak armato di sega elettrica aveva sferrato un colpo
secco, ferendo un altro mostro dietro il ragazzo che l’ aveva schivato.
Mark eseguì un’altra serie di
schivate, poi Orilder si andò a schiantare contro la lama della motosega.
Le due lame si agganciarono emanando una serie di scintille incandescenti.
Orilder erra indistruttibile. Mark spingeva verso il mostro e l’altro
spingeva verso di lui con maggiore forza. Mark cercava di resistere, ma il
mostro vinse. Repentinamente, Mark colse l’ attimo: ruotò le lame verso
il Dakma-ak e le spinse uccidendolo all’istante. Gli altri pochi mostri lo
guardavano impaurite. Barista compreso. Puntata la spada alla gola della
creatura, disse minaccioso:
– O mi dici dove vive il
tiranno… o ti distruggo…- Mark non amava le mezze misure. Il barista
neanche.
– Il signore Kram, abita … in
un castello .. verso est… nella zona dei terremoti.
CAPITOLO IX: IL CASTELLO DI KRAM
Mark, uscito dalla taverna, si
incamminò verso il luogo indicatogli dal Dakma-ak. Arrivato alla zona dei
terremoti senza intoppi… rimase sbalordito. Non c’era niente.
Assolutamente niente.
– Mi ha mentito. Quella bestia
mi ha mentito, accidenti!.
– Non abbatterti… - Mark
sguainò subito Orilder e si voltò.
– Katremaak… - disse Mark
rinfoderando la spada.
– Spesso le cose ci sono ma non
si vedono, concordi?
– Che vuoi dire?- chiese Mark
impaziente.
– Avanza, invece di porre
domande inutili…- gli suggerì il maestro.
– Okay…- Mark avanzò,
diffidente, un passo dopo l’altro, ma non succedeva niente. Mise un
piede su una roccia, l’altro su una zolla di
terra, poi su una pietra…– Ho messo un piede in fallo!
La terra cominciò a tremare e i
due anche.
– Visto che è successo a furia
di avanzare?- gridò Mark, per farsi sentire al di sopra del frastuono.
– Si, ma non guardare me,
guarda avanti. – Mark si voltò indispettito.
Davanti a lui si presentava uno
spettacolo inimmaginabile: un castello di dimensioni ciclopiche si ergeva
imponente dinanzi ai suoi occhi. Guglie, cupole, rosoni e vetrate ornavano
la volta del palazzo, mentre più in basso c’ erano grandi statue dall’
aria minacciosa che circondavano l’ unico ingresso. Un portale enorme.
– Bè, suppongo tocchi a me
entrare.
– Supponi giusto. E il tuo
momento. Quello che io e tutti noi stavamo aspettando. - disse
solennemente Katremaak.
– Già, il mio momento…
Mark avanzò lentamente verso il
portale. La terra aveva smesso di tremare. C’erano solo poche fratture nel
terreno circostante. Quando si fu avvicinato, un’orda di Dakma-ak scese
dal cielo tra urla disumane e grida stridenti. Menando calci a ciascuno di
essi prima che toccassero terra, si avvicinò sempre più al portone di
legno massiccio. Arrivato, sguainò Orilder e la infilò con forza nel
legno. Contemporaneamente, caricava un raggio energetico nelle mani. Quando
la luce cominciò a riversarsi fuori, tra le dita, Mark indirizzò tutta l’energia
nella spada. La carica attraversò Orilder e scavò un buco profondo nel
portone. Il ragazzo vi saltò dentro e cominciò a correre. A correre
furiosamente.
Non poteva paragonarsi a quel
numero spropositato di orchi e mostri di ogni genere, erano in troppi. Salì
una scalinata con un salto e continuò a correre. Doveva trovare Kram e
ucciderlo. Non ne poteva più. Ormai era diventato un fatto personale. Si
fermò scivolando sul pavimento. Il corridoio era interrotto da un burrone.
Molto largo. Un frastuono fino ad allora lontano iniziava ad avvicinarsi. Il
ragazzo si voltò. Un esercito di mostri lo stava inseguendo. Al centro del
burrone c’era una colonna. Abbastanza ampia da starci sopra. Si voltò di
nuovo. I mostri stavano arrivando. Mark pose il suo sguardo davanti a lui.
Una goccia di sudore cadde a terra. E si schiantò sul pavimento.
Doveva farcela.
Mark si girò verso i mostri. Si piegò,e chiuse gli occhi. Un Dakma-ak lo
afferrò per la gola. Mark riaprì gli occhi. Il mostro fu scaraventato all’indietro,
prima ancora di accorgersi della luce gialla che era avvampata dalle pupille
del ragazzo. I mostri si resero conto che lo straniero era estremamente pericoloso,
quasi quanto il loro padrone. Mark si spinse con forza all’indietro,
roteò in aria per un paio di volte per poi atterrare sano e salvo sulla
colonna.
Ce l’aveva fatta. Si
girò, calcolò velocemente la distanza dall’altro lato del burrone e si
rimise in posizione per saltare un’altra volta. Spiccò il salto, mentre
faceva i suoi progetti su cosa avrebbe fatto dopo il sicuro salvataggio di
Jennifer e della gente di quel pianeta e i suoi piedi toccarono il bordo del
pavimento, ma scivolarono. Il ragazzo si voltò velocemente mentre cadeva e
si aggrappò all’estremità. Si issò potentemente su e tirò un respiro
di sollievo. Si girò. Gli orchi stavano saltando. Perfetto. Era finito.
CAPITOLO X: DAKMA-KHAIN
Quando l orco arrivò, Mark lo
spedì giù con un pugno. Atterrarono gli altri e lui cercò
disperatamente di eliminarne la maggior parte, ma diventarono in troppi.
Affondò la spada in uno di loro e gettò il suo corpo sugli altri.
Rinfoderò Orilder. Anche volendo, con la spada, non li avrebbe mai
distrutti tutti. E le ferite cominciavano a farsi sentire.
Si concentrò. Aveva un’altra
arma. Poteva, DOVEVA usarla. Chiuse gli occhi e respirò profondamente,
cercando di schivare i colpi nemici. Portò lentamente il braccio destro
indietro, mentre saltava oltre le sciabole dei Dakma-ak. Cominciava a sentire un
tremolio nella mano quindi, con uno scatto repentino aprì la mano verso gli
avversari e una scarica elettrica li colpì in pieno respingendoli e
scagliandoli giù nel burrone. Quando tutti furono accasciati per terra
svenuti o morti, Mark sgranchendosi le ossa avanzò pesantemente verso una
grande porta incorniciata d’oro e con dei sigilli argentati negli angoli.
La spinse con forza.
La stanza era buia, completamente
buia. La porta aperta faceva entrare una fioca luce dall’esterno. Era una
grande sala. Al centro c’erano dei grandi tappeti rossi che si diramavano
in tutte le direzioni fino ad andare sotto ogni finestra. Le finestre
non erano che grandi fenditure, nascoste dalle tende, attraverso le quali
filtravano pochi raggi di luce, per cui la stanza era totalmente oscurata
dall’ombra.
In fondo alla sala c’era un uomo
o almeno così sembrava. Ma più che un uomo era un’ombra. L’ombra di
qualcosa che un tempo era stato un uomo o aveva avuto qualcosa di umano ma
che ora era del tutto privo di qualsiasi forma di umanità. Al di là delle
sembianze. La figura si girò. Era scura, nera, aveva un lungo mantello che
gli scendeva fino ai piedi e il suo volto era nascosto da un cappuccio, il
che rendeva impossibile riconoscerlo.
Mark tentò di trovare un viso
umano, oltre la pesante coltre nera. Ma non vide niente, pur scrutandolo
attentamente, il ragazzo non vide che una forma nera davanti a lui.
Lentamente, la figura si avvicinò in maniera quasi impercettibile. Quando
fu vicina al ragazzo, Mark sentì come un richiamo, qualcuno che chiamava il
suo nome. Una voce silenziosa e sibilante. Non sembrava provenire dall’
essere che ora sembrava diventare alto ed imponente.la voce era un qualcosa
di remoto e di sconcertante. Gli venne voglia di gridare ma la sua voce era
bloccata, non poteva dire niente. Sforzandosi, aprì la bocca e emise una
serie di versi che per lui suonavano come: – Tu saresti… Kram? – Il
cappuccio si mosse lentamente. – Il grande Kram, il terribile Kram.
Kram, colui i cui occhi fulminano chiunque sia contro di lui? – Mark
scoppiò in una tetra risata.
– Bè… salve sono qui per
ucciderti. – Per la prima volta la figura accanto a lui parlò
– Non lo farai – A
Mark sembrò come se gli scoppiasse il cervello. Era una voce penetrante e
fredda. Come un trapano.
– Tu, chi sei? – riuscì a
domandargli il ragazzo mentre si distendeva a terra come se un proiettile
l’ avesse colpito.
– Tu mi conosci, ragazzo.
Molto a fondo.
In effetti, la voce era familiare,
aveva un che di mellifluo e crudele ma era una voce da adulto.
– B-Bob? Sei tu?
– No ragazzo sono io, MARK
– Pronunciò quelle parole con una rabbia assoluta, come se
disprezzasse profondamente ciò che stava
dicendo. Si tolse il cappuccio.
– NO! – gridò Mark – Non
può essere!
– Perché no, ragazzo. E’
possibilissimo invece. Guardami. Io sono… te, in tutto e per tutto. E la
cosa più bella ancora è che tu sarai me. – Era vero. L’uomo
davanti a lui era lui stesso, Mark solo più adulto, più grande.
– Allora, vuoi ancora
uccidermi? Anzi, ucciderti? – Scoppiò in una tenebrosa risata.
Mark lo guardò bene. Lo scrutò
attentamente. Era possibile? Lui, Mark, sarebbe diventato un uomo così
crudele e spietato? L’uomo era uguale a lui, in ogni dettaglio, ma aveva
qualcosa di diverso. Era come circondato da un’aura di odio e di
sofferenza. E i suoi occhi. Erano scuri, come i suoi ma in loro ardeva la
fiamma dell’odio e della rabbia. La rabbia cieca che non guarda in faccia
a nessuno. A Mark sembrò di sognare, stava danzando su un prato verde
insieme a Jennifer, i suoi genitori lo salutavano da lontano, ma qualcosa
turbava il tutto. Due grandi occhi neri e saturi di crudeltà lo osservavano
avidamente.
– NON… GUARDARE! – una voce
roca sembrò provenire da molto lontano.
– MARK! NON GUARDARE I SUOI
OCCHI! – Mark sembrò come risvegliarsi da un sonno profondo.
– No, voglio continuare il
sogno…
– Mark, se non torni tra noi,
gli unici sogni che farai saranno tra le fiamme degli Inferi!
Ora la voce sembrava essere più
vicina. Mark aprì gli occhi.
– Katremaak! - disse
pieno di gioia. Si guardò intorno. Jennifer era appesa per i polsi a un
grande lampadario e sotto di lei c’ erano punte e
denti acuminati.
– Devi solo provare ad
avvicinarti, vecchio Katremaak, e la ragazza morrà. – Mark vide il suo
vecchio maestro deglutire con odio. Saltò.
Sfoderò Orider e tagliò le corde che legavano i polsi della ragazza e vi
si aggrappò con una mano, tenendo le braccia di Jennifer con l’altra.
Orilder cadde sul pavimento. Mark saltò ancora con la ragazza fra le
braccia e la posò delicatamente sul tappeto. Era ancora viva. Si voltò.
Kram teneva Katremaak per la gola sopra gli spuntoni mentre lo punzecchiava
con Orilder, che aveva raccolto dal pavimento.
– ORILDER! – chiamò forte il
ragazzo.
CAPITOLO XI: LA VERITA’
La spada venne attirata verso il
suo padrone ma Kram non mollò la presa. Lasciò cadere il vecchio che
teneva per la gola e strinse forte Orilder. Katremaak scomparve nel baratro,
dove lo aspettavano lame, spuntoni, e denti acuminati.
– Nooooooo! – gridò Mark
mentre sferrava un pugno con tutta la forza che aveva in corpo. Kram venne
colpito in faccia mentre lasciava la presa.
Mark prese al volo la sua spada mentre un lacrima gli scendeva sulla
guancia. Strinse la SUA spada quanto più poteva. Guardava fisso Kram, il
suo alter ego, mentre questi si rialzava sprezzante, come se avesse ricevuto
una carezza.
– Dove sono andati a finire gli
umani? – chiese Mark, mentre la rabbia dentro di lui.
– Sono
ancora qui. Solo che sono tutti come il FU Katremaak. Invece chiunque
avesse scelto le tenebre sarebbe diventato ciò che ora chiamano DAKMA-AK,
un essere senza forza di volontà, capace solo di assimilare ma non di
mettere in atto, di ubbidire, di eseguire solo i MIEI ordini. Questa è
stata la mia maledizione. L’ho imposto io.
Perché sono diventato così,
PERCHE’? – Era questo il pensiero che lo assillava. Anche se lo avesse
ucciso, poi lui sarebbe diventato
comunque il Dakma Khain che tutti temevano.
- Pensaci,
tu che faresti con questi poteri? Eh? Li useresti, saresti invincibile.
Poi diventerebbero un ossessione per te, e cercheresti qualunque pretesto
per usarli. Allora la gente comincerà a pensare che sei un mostro, che
sai solo fare del male. E alla fine te ne convinci anche tu. Ecco il
perché della maledizione. Loro mi consideravano un mostro. Ora sono io
che li considero così. Con sommo piacere. Questa non è un’altra
dimensione Mark è sempre la terra. Del futuro. Ma tu già lo sapevi, no?
E ora, ora spiegami… mi dici dove sta l’errore? Eh? Che ho fatto di
male? DIMMELO!
– Io non mi sarei comportato
così, li avrei usati in bene, questi poteri. – Ma non credeva
assolutamente a ciò che diceva. Si mise in posizione di
guardia.
– Tu puoi farcela, Mark, puoi
tenere sotto controllo i tuoi poteri. Ti aiuterò io.
Mark si girò. Jennifer, si era
alzata ed era più bella che mai, anche se era stata torturata fino quasi
alla morte. Si, li avrebbe usati, ma poco. Solo a fin di bene. Per i suoi
poteri e per il BENE del suo fine era sopravvissuto al tornado del deserto. Solo lui
poteva sconfiggere Kram, che, anagrammato, ritorna Mark. Si girò. Kram lo
stava guardando. Con odio. Un odio che va al di là dell’umanità. Poi
guardò Jennifer. Fu un attimo. Una sfera continua di fuoco inondò la
stanza e si diresse verso Jennifer. Ma Mark non poteva sopportare anche
questo. Saltò, con tutto il potere che aveva e si frappose tra il raggio e
la ragazza. Il fuoco lo colpì in pieno. Kram si avvicinò, ridendo:
– Non
eri tu il mio bersaglio ma mi accontenterò. Ormai non sei più me. Sei
solo un avanzo di ciò che resta degli umani. KARGAN!
Una spada lunga e scintillante si
scagliò sulla mano di Kram. Aveva due punte laterali dall’aria non troppo
benevola.
Kram la roteò più volte
assaporando l’uccisione del nemico. Ormai non si rendeva più conto di
quello che faceva. Mark ansimava tremante, Jennifer cercava di rassicurarlo,
quando ebbe un attimo di coraggio smisurato. Prese Orilder e la agitò in
faccia a Kram, che rideva divertito. Con un colpo Orilder cadde a terra.
Jennifer cominciò a piangere disperata. Kram alzò in alto la sua spada,
pronto a colpire a morte il suo alter ego, quando il castello cominciò a
tremare. Tutto sembrò girare vorticosamente intorno a loro tre. Il castello
cominciò a crollare mentre tuoni e fulmini squarciavano il cielo. Una
pioggia scura e persistente cominciò a cadere attraverso il tetto,
crollato. Kram si guardò intorno, perduto, come un bambino che si guarda
intorno per cercare i genitori. Un’aquila nera volteggiò sulle loro
teste.
– Stai cambiando la storia,
MARK, ti stai uccidendo. – Katremaak disse solennemente dall’ alto.
CAPITOLO XII: CONCLUSIONE
Mark si alzò lentamente, tenendosi
la ferita che ancora bruciava. Kram non aspettò oltre cominciò a colpire
ininterrottamente il ragazzo mentre tutto il mondo intorno a loro si
trasformava. Mark cadde a terra. Schivò i pesanti colpi della spada di Kram
che si schiantava per terra quando non toccava il ragazzo. Spostandosi
rotolando, per schivare i colpi, Mark si era avvicinato a Orilder. La prese
in mano e, stringendola, sferrò un fendente orizzontale che ferì Kram.
Mark si alzò con una capriola e quando i suoi piedi toccarono il pavimento,
diede un calcio al suo nemico, spingendolo lontano. Nell’aria pesante,
Kram si spostò quasi volando sulla punta di una delle innumerevoli torri
del castello. Mark scaricò un raggio di energia su di lui, poi gli saltò
accanto. Le due spade s’ incrociarono. Anche Kargan era indistruttibile.
Kram tentò una serie di colpi che si susseguirono velocemente. Senza
nemmeno accorgersene, Mark li parò tutti, poi roteò in basso la spada.
Kram saltò velocemente, schivando il colpo, ma Mark fu più veloce: dopo il
colpo in basso, sferrò un fendente verticale verso l’alto, che colpì
lievemente Kram. Cadde in ginocchio.
– E’ inutile, non puoi
uccidermi, distruggeresti te stesso. MARK…
– No!
Odio quel nome, non sono io quello! No!
Mentre gridava eseguì una capriola
all’ indietro colpendo Mark con i piedi. Mark perse l’ equilibrio e
cadde dalla torre.
– Nemmeno tu puoi uccidermi.
Perché se lo fai, tutto ciò accadrà a te, quando avrai la mia età. –
Guardò in basso. Non c’ era traccia del ragazzo.
– Visto,
Katremaak? Hai visto quanto valeva il tuo apprendista? Non valeva niente!
NIENTE!
Un raggio di luce spezzò l’oscurità
e un’aquila nera, ferita precipitò sul pavimento della sala, riprendendo
forma umana.
– Jennifer. Lasciami qui.
Scappa. Ucciderò io Kram. - Ma la ragazza non lo voleva lasciare solo.
– Mark..- pensò tristemente.
Mentre una trista figura ricoperta da un manto nero discendeva dalla torre
maledetta, Jennifer alzò lo
sguardo e lo riempì di odio verso quell’essere che aveva ucciso se stesso
e l’amato della ragazza.
– Non
ho cambiato la storia non è successo niente e voi due non uscirete vivi
da qui ora che la Terra ha smesso di tremare.
Kram vide la spada concava di Mark.
La fissò intensamente, ed ella cominciò a muoversi, a tremare. Si alzò
dal pavimento, rimanendo sospesa in aria.
– Non pensavo che la mia
telecinesi funzionasse anche senza l’uso delle mani. – disse
allegro.
– ORILDER! – un grido
squarciò la notte.
La spada nominata si alzò in aria
e volò verso Kram, attraversandolo da parte a parte, fino ad arrivare al
sicuro, tra le dita del suo antico proprietario: Katremaak. Il vecchio la
passò a Mark che si era aggrappato ad una vetrata e che ora era sceso sul
pavimento. La spada sembrò esplodere al contatto con Kargan. Le due spade
si toccarono molte volte, ma senza più toccare gli avversari. Le lame si
agganciarono. Mark e Kram spingevano dalle rispettive parti, mentre una
pioggerellina fitta ma leggera, si frangeva sui capelli di ognuno dei due e
il cielo si schiariva. Le spade si separarono all’improvviso volando in
direzioni opposte. I duellanti continuarono a combattere sferrandosi pugni e
calci, ma nessuno dei due soccombeva.
– E’ inutile, tu sarai me.
Non puoi uccidermi. – disse Kram con tono suadente mentre i due si
scambiavano gli stessi sguardi. Di nuovo a Mark
parve di sognare, fluttuando libero nel cielo terso…
– Sfeji,
nella nostra lingua significa Terra: terra maledetta, terra delle tenebre,
tutti la evitano. Chiunque provenga da un altro sistema fugge impaurito.
– Ti piace la fama che hai dato
al nostro pianeta, eh? A me no!
Si era liberato della maledizione
legata allo sguardo di Kram. l’amore per i suoi cari e per la vita l’avevano
aiutato. Due sfere di fuoco percorsero il raggio di luce che univa i quattro
occhi. Arrivarono a Mark e furono riflessi: il suo odio verso Kram, serviva
da specchio per nascondere il suo amore per se stesso e per gli altri. Un
grido lacerante nell’alba. Kram cadeva in ginocchio, bruciato dalle sue
stesse maledizioni e dalla sete di potere.
I tre amici fuggirono, mentre il
castello cadeva a pezzi. Attraversarono con un salto il buco nel portale e
caddero sulla sabbia morbida. Jennifer abbracciò Mark. Era il minimo che
potessero fare per esprimere la contentezza nel rivedersi.
– Allora, hai avuto le risposte
alle tue domande iniziali, Mark? – chiese Katremaak con aria
inquisitoria.
– Si, Katrem. Già da piccolo i
miei amici notavano una strana luce nei miei occhi. Pensavo fosse normale.
Ma non lo era. Erano i miei poteri. Lo sospettavo. Pensavo, effettivamente
di essere speciale, ma non riuscivo a capacitarmi come. Ora lo so.
Strinse forte Jennifer e la guardò
nei grandi occhi verdi. Katremaak abbassò lo sguardo, poi, come per
costringersi a fare qualcosa, lo alzò e salutò il ragazzo a cui ormai si
era affezionato.
– Grazie, Mark. Sarai nei
nostri cuori, per sempre. – Mark gli tese la mano in segno di amicizia,
Katrem non era il tipo da abbracci. Il vecchio
si slanciò su di lui a lo abbracciò. Mark rimase stupito ma fu contento.
Katremaak abbracciò anche Jennifer e li ringraziò entrambi mentre la
storia si rimodellava per tornare quella che sarebbe stata un tempo. Il
Portale temporale si riaprì. I tre si salutarono un ultima volta poi Mark
prese la ragazza in braccio e saltò nel portale ignari che Orilder li
seguisse attraverso lo spazio-tempo.
Usciti dal vortice azzurro si
guardarono intorno. Una voce a loro familiare li fece inaspettatamente
rallegrare.
– Ehi, Chester, perché non sei
venuto a scuola, hai avuto, il morbillo? O ti si è spezzata l’unghia?
– scoppiò a ridere. Orilder cadde ai piedi di
Mark .
– Mark non fare pazzie. –
Mark prese Orilder in mano…
– Mark! - … e la mise nel
fodero. Sorrise contento nel sentire che la storia stava cambiando.
– Sta’ tranquilla… - si
avvicinò a lei. Lei mosse le labbra e lo baciò. Bob Fakes smise di
ridere.
– Caspita.. – riuscì a dire
superando lo stupore.
Mark e Jennifer si abbracciarono
felici sotto lo sguardo sbalordito e pieno di invidia di Fakes e avanzarono
verso casa soddisfatti e rilassati, dopo tante perigliose avventure.