SFEJI: LA TERRA DELLE TENEBRE
di

Davide De Marco

 

Capitolo I – IL SOGNO

Mark era lì.
Quella non era la sua patria. La sua terra.
Il cielo grigio, coperto di nuvole scure e ombrose. Intorno a sé nient’ altro che deserto e montagne.
Poi la luce, il sole lo abbagliò del tutto e lui seppur con gli occhi chiusi, riuscì a distinguere la sagoma di un uccello che scendeva verso di lui.
Un’ aquila. Nera. Tutto quanto si fece buio e l’aquila cambiò forma, Mark non si spiegò come, ma gli occhi, solo gli occhi dell’ uccello, rimasero gli stessi.
L’aquila si era trasformava in uomo. Un uomo anziano, con lunghi capelli brizzolati e baffi cadenti e una lunga tunica scura coperta da un mantello nero.
- Aiutami – lo supplicava la creatura - Presto - Faceva pena, incuteva paura, ma faceva pena. Aveva un’ aria stanca. Stanca della vita. Ma non faceva caso a lui, fissava i suoi occhi, quei grandi occhi vitrei. Una luce accecante lo investì abbagliandolo.

Mark si svegliò. Aveva freddo. Ma era diverso da tutte le altre volte. Era un freddo siderale, come una minaccia incombente. Si alzò dal letto per poi ricadere pesantemente sulla sedia. Era stanco. Gli sembrava di aver combattuto una guerra da solo. Eppure era rimasto tutta la notte nel letto a dormire. Al contrario delle altre notti, nelle quali si muoveva e contorceva cercando di prendere sonno. Ma stavolta …..stavolta era stato diverso. Di solito si svegliava sudato e accaldato. Aveva avuto un brivido di freddo che poco a poco era diventato un formicolio lungo tutto il tutto il corpo come una scossa elettrica. Mark si sentiva strano, correndo andò in bagno e vomitò. Si sentiva male, probabilmente non sarebbe andato a scuola oggi. Si sbagliava
- Ma come, Mark, non vuoi andarci? Su sarà un male da interrogazione!
- Ho studiato, mamma – rispose lui, seccato che nessuno lo capisse.
- Dai, muoviti, tuo padre deve fare una consegna, bisogna che ce ne andiamo prima.

Se la scuola fosse stata vicina, Mark sarebbe andato da solo senza noiose incitazioni…..
Velocemente salì in auto. – Buongiorno – disse suo padre. – Buongiorno – rispose laconicamente lui.
L’auto partì con uno stridìo, dopo che sua madre fu salita. Mark si sentiva triste. Guardava il suo riflesso nel finestrino. I suoi occhi. E nel buio dei suoi occhi si riflettevano quelli della creatura.

Capitolo II – JENNIFER WEST

L’auto si fermò.
– Mark! Sveglia! Siamo arrivati!
Si riprese, aprì lo sportello e uscì.
– Ciao!- disse malinconicamente
– Buona giornata! – gli risposero in coro i genitori.

Si incamminò verso il cancello. Era ancora in anticipo. Detestava arrivare a scuola in anticipo. C’era un sacco di gente, di ragazzi. E ragazze. Si sentiva imbarazzato in presenza di ragazze, cercava di tirare avanti, provando a non staccare lo sguardo dall’orizzonte. E c’era Bob. – Ehi, Chester ancora qui? – Mark odiava Bob Fakes. Era la persona più repellente al mondo.
– Non hai ancora capito che il tuo posto è alle elementari?- Scoppiò a ridere insieme ai suoi compari.
Si lo odiava.
– Senti, non è aria…
– Già, quella che sputi dalla bocca, non sai nemmeno parlare, sta’ zitto.
Lo odiava a morte.
– Fai schifo anche a me come aspetto, sei assolutamente impresentabile, secchione…..
– Tu….
Mark alzò una mano verso il suo viso. Aperta. Voleva dare un pugno ma la sua mano si era aperta. Da sola.
– Ma … cosa?
Mark lo guardava con aria di sfida. Dal basso verso l’alto, Bob lo guardava dall’alto verso il basso con aria di sufficienza. Lo spinse e Mark volò via, letteralmente. Bob era un bestione di quasi due metri, con i capelli ossigenati tagliati a spina e ciò che ormai era parte di lui, un ghigno sdentato da far inorridire Dracula. Mark cadde a terra con un tonfo sordo. Un’altra figura del cavolo da aggiungere alla sua collezione. Tutti quanti ridevano di lui. Si sentiva oppresso da questa situazione, era sul punto di andarsene via col passo pesante che caratterizzava il suo temperamento impulsivo, quando….. la vide….Jennifer West. Per lui la ragazza più bella della scuola. Aveva la sua stessa età ed era la persona a cui tenesse più di tutto. Era bellissima. Aveva i capelli lisci, fluenti, setosi, sospinti dal vento sarebbero stati una favola e gli occhi scuri con striature verdi e delle labbra che solo a guardarle era un piacere; ogni volta Mark aspettava il singolo movimento di un muscolo delle labbra e andava in visibilio.
– Ciao!- disse lei allegramente. Lui aprì la bocca. Era l’unica cosa che potesse rispondere alle meravigliose parole che lei aveva appena pronunciato.
– Ehi, bambola!- Fakes si distingueva sempre.
– Ciao Bob – disse lei nascondendo l’aria di disappunto e se ne andò in classe. Cominciarono le lezioni.
Finirono le lezioni.

Mark aveva avuto un’ interrogazione. Era andato bene, cosa che quasi gli dispiaceva pensando agli imminenti insulti di Bob, se lo avesse incontrato. Per fortuna non fu così. Bob aveva 18 anni, lui 16 e Jennifer anche, era meraviglioso.

Capitolo III – IL PORTALE

Dopo aver aspettato per una buona mezz’ora, arrivò l’auto di suo padre.
Ma lui temeva la notte.

Si girava e rigirava nelle coperte. Una goccia di sudore gli ricadde sulla fronte. L’aquila scese dal cielo. Quegli occhi abbaglianti.
– Aiutami…-
– Ahh!-
– Mark cosa è successo?- chiese sua madre appena arrivata in camera sua.
– Niente, niente - disse lui strofinandosi gli occhi. Un’altra giornata di routine come tutte le altre.
– Ciao, Bob - disse lui, sfidandolo, appena arrivato a scuola, ma Bob era occupato, pensava a farsi bello davanti ad un gruppo di quattordicenni, che andavano matte per lui. Per il suo potere sugli altri ragazzi, o per i suoi soldi.
– Ciao, Mark - Mark si voltò con l’aria più cattiva che gli riuscisse, aveva toppato.
– Jennifer….sei splendida oggi, come sempre –
– Grazie- disse lei arrossendo un po’.
– Senti, hai da fare stasera?- Mark era sconvolto.
– Perché altrimenti, potremmo vederci….-
Jennifer l’aveva invitato a vedersi con lei!
Fakes arrivò con una spallata a Mark, che cadde pesantemente sul terreno. L’ennesima volta.
– Ciao Jenny, hai impegni stasera?-
– Ecco…- Mark era sicuro, ormai che il suo appuntamento sarebbe andato a monte.
– Io non posso! Mi spiace!- Jennifer scappò via. Mark era ancora più stupefatto di prima, Jennifer l’aveva
invitato ad un appuntamento e aveva anche rifiutato di vedersi con Bob, a cui la maggior parte delle ragazze andavano dietro. Lentamente Mark si alzò, scotendosi la polvere dalla giacca.
– Bè, succede a tutti…- disse, appoggiando una mano sulla spalla di Bob che era rimasto immobile come
una statua, al rifiuto della ragazza. Bob si girò, aveva un’aria che non prometteva niente di buono, ma Mark era già sparito dritto filato in classe. Ormai aveva deciso: doveva parlare con lei. A tutti i costi.

Alla fine delle lezioni c’era così tanta confusione che non riuscì a trovarla, poi la intravide.
– Jennifer! Jennifer!- Ma lei era ben lontana, non lo sentiva – Accidenti! - imprecò lui. Cercò di farsi strada
attraverso la folla. Jennifer svoltava a sinistra del cancello d’ingresso della scuola, lui a destra. A tutti i costi la seguì. Camminarono a distanza per un po’, poi lei svoltò in un vicolo.
– Jennifer, ascoltami!- Svoltò anche lui. –Jenn….eh?- La ragazza era scomparsa.
– Dove sei?- Era un vicolo cieco. La ragazza non sarebbe potuta andare da nessuna parte.
– Dove può essere finita?- Mark si avvicinò ai bidoni della spazzatura, alle mattonelle rotte, ispezionò il
vicolo da cima a fondo. Di Jennifer non c’era traccia.
– Proprio ora che….accidenti!- Mark uscì dal vicolo e si guardò intorno….No! Jennifer aveva svoltato nel vicolo!. Mark si rigirò e vide una sagoma
.
– Jennifer, ma dov’eri?- disse ad alta voce. Poi riuscì a distinguere l’ombra. Non era assolutamente Jennifer, non era nemmeno una ragazza. Era una strana creatura. Aveva due fessure al posto del naso che arrivavano alla bocca, che più che altro era un enorme buco dotato di affilate zanne. Aveva la fisionomia simile ad un umano ma era privo di peli e capelli, vestito di stracci con artigli al posto di mani e piedi e con un aspetto smunto e poco raccomandabile. Mark, repentinamente si nascose dietro il muro del vicolo. Era sbalordito, aveva sempre saputo che i mostri non esistevano. Bè, aveva appena avuto la conferma del contrario. Il mostro passò oltre il muro andando verso la strada. Non c’era nessuno nei paraggi, Mark aspettò, poi si infilò nel vicolo. Nei suoi occhi si rifletté un’abbagliante luce azzurra. Un vortice azzurro si estendeva come una porta, dove prima c’era il bidone delle spazzature. Mark era perplesso, combattuto, confuso, ma una cosa la sapeva: Jennifer era sparita e improvvisamente era apparso un mostro nello stesso posto. Avevano entrambi attraversato il varco azzurro. Lui doveva aiutarla a tornare indietro. Non sapeva cosa avrebbe trovato dall’altra parte, poteva anche essere disintegrato, per Jennifer sarebbe stata la fine ormai. Non c’era più tempo, Mark si fece forza, incrociò le dita e saltò con le mani a proteggersi. Una forza invisibile e sovraumana lo spingeva avanti e un vento fortissimo ostacolava la sua avanzata. Mark chiuse gli occhi, non riusciva comunque a vedere niente. Era tutto così confuso, solo luci azzurre e bianche, che si mescolavano in un vortice enorme e indecifrabile. 

Capitolo IV – LA TORMENTA

Quando Mark riaprì gli occhi era tutto finito ma avrebbe preferito averli ancora chiusi. Se si girava intorno, vedeva solo montagne, caverne lontane, scavate nella roccia e sabbia, polvere, tutto deserto. Mark si voltò. Il passaggio era chiuso. Tentò di trovarlo ma non c’era più. Jennifer non c’era e lui era solo, spaesato in un deserto ventoso. Sconsolato si sedette. Ciò che aveva visto era troppo irreale, Jennifer sparita, il mostro, il portale….gli veniva da piangere. Stette lì seduto per molto tempo. Poi, capì che non c’era speranza di tornare indietro, per ora. E poi, quel luogo gli ricordava il suo sogno. E voleva scoprire qualcosa a proposito.

Cominciò ad avanzare nel deserto, ma gli sembrava che più avanzasse più fosse difficile andare avanti. Era difficile perché i piedi affondavano nella sabbia, lui si ricopriva sempre più di polvere e granelli ed il vento lo spingeva indietro. Ma cercando di ripararsi con le mani, per quanto potesse continuava ad andare avanti. Non sapeva dove stava andando, quanto avesse dovuto ancora camminare, se sarebbe sopravvissuto, ma la volontà lo faceva andare avanti infondendogli coraggio e determinazione. Voleva sapere dove fosse finita Jennifer, cosa significava il suo sogno cosa stesse succedendo. Avrebbe trovato risposta a queste domande?

Ad un tratto sentì un ululato che si faceva sempre più forte fino a divenire fortissimo e, da lontano vide la sagoma di un turbine. Un tornado. Fantastico. Ci mancava solo quello. Mark non era mai stato il tipo che si faceva tanti problemi, anzi era sempre stato piuttosto superficiale, non faceva domande sul perché dovesse fare qualcosa, la faceva e basta..

Il tornado si avvicinava sempre di più. Mark non si preoccupava molto, di solito. Ora invece, si. –Non può finire così –pensò- ho fatto tutta questa strada ora…- Il tornado lo investì.
– AAAHHHHHH!- Mark cercò di resistere ma i suoi piedi lasciavano il terreno e lui si alzò in volo.
– Ormai è finita, non posso fare più niente. Morirò- . Si rassegnò, salutò mentalmente i suoi cari e Jennifer, la
ragazza dei suoi sogni e lentamente, sforzandosi riuscì a chiudere gli occhi.

Capitolo V – KATREMAAK

Katremaak si avvicinò alla creatura. Lentamente, molto lentamente. Sperava di sapere chi fosse, ma ormai non ne era più tanto sicuro. Voltò il viso della creatura, aveva perso i sensi, il suo viso era simile al suo, pur presentando delle differenze. La creatura era più giovane e al posto delle narici aveva una strana protuberanza, aveva i capelli corti e scuri e un’aria buona. Piano, piano aprì gli occhi
– AAAHHHH!- gridò alla vista di Katremaak
– Tu, tu sei….. - Katremaak annuì.
– Tu eri nei miei sogni!- Mark si alzò – sono ancora vivo?-
– Secondo te? – chiese l’altro.
– Beh si, ma come ho fatto a sopravvivere…..?-
– Non ti porre ora questa domanda, risponderai tu stesso a tempo debito.
– Ma tu chi sei?
– Mi chiamo Katremaak, nella nostra lingua significa "Figlio o creatura della luce".
Mark continuava a fissare i suoi occhi.
– Non fissarmi per troppo tempo – disse lui- o rimarrai ucciso dalla luce.
– Si, si, certo, senti come faccio a tornare indietro?
– Non puoi – disse Katremaak – non ora – perché sei venuto?-
– Per, per…Jennifer.
– Già, ho fatto io, in modo che attraversasse il Portale, ma … è andata male-.
– Cosa?
– Il tiranno l’ha presa con sé. Devi aiutarci. Devi aiutare anche lei –
– Ma che stai dicendo? Io non posso devo tornare dai miei, saranno preoccupati, Jennifer sarà al sicuro a casa sua di certo.
– Ne sei convinto?
Katremaak aprì una mano e al suo interno Mark vide una goccia. Acqua, forse. Si allargava sempre di più fino a diventare grande quanto uno specchio
Al suo interno Mark poté vedere una camera buia e una ragazza: Jennifer. Era prigioniera.
– Non può essere, questo è un altro incubo, vero? VERO?
– No, mi spiace, Mark, non è così.
– Ma, perchè, io? Perché? Io non sono niente. Non potevate chiamare, che so, Shwarzenegger? E, poi, qui dove siamo?
– Calma, calma. Posso dirti solo che siamo in una landa desolata chiamata Sfeji. Al resto troverai risposta da solo, col tempo. Se vuoi, posso lasciarti da solo a meditare…
– No. A che servirebbe? Il solo modo per tornare indietro è salvare Jennifer. Chi è questo tiranno?
– Noi lo chiamiamo Dakma-Khain. Significa "prigioniero delle tenebre", lui si fa chiamare Kram.
– Nome originale – disse Mark seccato.
– E’ terribile, è assolutamente malvagio, chiunque sia contro di lui, muore nell’istante in cui lo guarda negli occhi. Non si sa come, ha il potere di assorbire l’anima o le emozioni. Ha preso il posto dl governatore molti anni fa. E ora siamo tutti sotto il suo giogo, vuole il potere. Il potere su tutto e presto riuscirà ad averlo. Ha tolto la libertà a tutti, ha tolto la speranza di vivere e la luce dal cielo. Tu. Tu solo puoi aiutarci. Così è scritto.
– Certo, certo e come? Lui ha tutti quei poteri e io non ho nemmeno un misero coltello da cucina come arma e poi ho solo 16 anni, cavolo, solo 16!
– Una ragione c’è. E’ giunto il momento – disse Katremaak, fra sé e sé.
– Vieni, è il momento di prendere Orilder.
– Ori..che? – chiese Mark stranito.
– La vedrai subito – disse Katremaak, sorridendo sotto i baffi.

Capitolo VI - ORILDER

Si incamminarono nel deserto fino a quando arrivarono ai piedi di una montagna.
– Non mi dirai che devo salirla?
– No, assolutamente. Devi solo entrare in questa grotta e… prendere ciò che troverai alla fine di essa. Quando l’avrai preso, avrai appreso tutti gli insegnamenti necessari al tuo viaggio .- disse Katremaak tranquillamente .
– Okay, niente di più facile. Perfetto - . Si incamminò verso l’antro.
– Fa’ attenzione
– Si, che vuoi che ci sia qui dentro ? – chiese Mark.
– Lo scoprirai presto, mio giovane amico. – disse Katremaak in silenzio.

La caverna era buia. Ci voleva un fiammifero. Ma ne era sprovvisto.
– Accidenti. – disse Mark. – Guarda in che guaio sono andato a cacciarmi, ma come mi è venuto? Potevo starmene a casa mia, al caldo… - Il suo pensiero ad alta voce fu interrotto da un gemito. – Mark si guardò intorno.
– Ehi! Chi è là?- gridò. Nessuna risposta. Tirò un respiro profondo.
– Calma, Mark, calma. – Continuò ad andare avanti. Ogni tanto si sentivano delle gocce che cadevano per
terra. Si sentì un suono gracchiante.
– Chi è là? - EHI ! – disse Mark. Sbatté le palpebre e deglutì. – Continuiamo…- Ora si sentiva solo il rumore
dei suoi passi.
– Visto Mark? Non c’è niente di cui preoccuparsi …- si rassicurò da solo. Si sentì una serie di versi e grida
rauche.
– Oooooh - Mark cominciò a correre. Velocemente. Ormai era troppo lontano dall’ uscita. Doveva
proseguire. I versi continuavano ad inseguirlo. Ad un tratto, Mark vide uno scintillio in fondo al tunnel. Continuò a correre. Doveva arrivarci. Cadde. C’era un burrone. Non troppo largo per fortuna. Le sue mani arrivarono a toccare l’altra estremità. Non riusciva a tirarsi su. – No, no, no! – imprecava. Gli strilli si avvicinavano sempre più. La paura può tutto.

Mark si fece forza e si issò su. Risalì sul pavimento della grotta e continuò a correre, facendo più attenzione. Lo scintillio si avvicinava. Sempre di più. Dopo quella che gli sembrò un’ eternità, Mark raggiunse il brillìo. Era una ... lama. Una spada. Sembrava rotta. La sua mano si protese verso quella che sembrava l’elsa. Ma fra lui e il manico della spada si frappose una creatura scesa dall’alto. Una creatura oscura. Brutta, nera, simile a quella uscita dal portale. Era armata. La sciabola della creatura fendette l’aria. Mark si abbassò schivando il colpo e spinse in avanti la creatura che inciampò nel piedistallo dove giaceva la lucente spada e cadde in un baratro. Dietro di lui, Mark vide altre creature. Era terrorizzato. Ma euforico. Si buttò verso di loro e sferrò un pugno in faccia a una creatura. – Aah ! – gemette Mark, massaggiandosi le nocche mentre la creatura si inginocchiava leggermente. Innervosito, spinse un calcio nella pancia del mostro che colpito nel profondo dei sentimenti e dello stomaco, cadde giù. Ne rimanevano altri due. Mark vi si avvicinò diffidente. Entrambi i mostri sferrarono un colpo orizzontale. Mark li schivò e i due si colpirono a vicenda, cadendo pesantemente. Mark tirò un sospiro di sollievo. – Ce l’ho fatta! Incredibile! Non ho mai battuto Bob, ma ce l’ho fatta contro quattro… quattro… COSI ! Yaooh ! – Ancora incredulo, e scotendo la testa, si avvicinò sorridendo alla spada. La prese in mano. Il suo corpo fu invaso da una scarica elettrica fortissima che lo spinse verso l’alto. Mark era bloccato e si trovava sospeso in aria, con un dolore lancinante dappertutto. Non riusciva a gridare, era successo tutto così improvvisamente.

Lo scintillio della spada si trasformò in un faro la cui luce lo investì completamente. Tutto si illuminò e Mark cadde a terra. Il dolore era sparito. In un attimo.
Aveva compreso. Capiva di aver sempre saputo come combattere o come usare una spada. Prima era sempre stato malinconico da quando erano cominciati i sogni. Non li capiva. Era triste, freddo con tutti, tranne che con Jennifer. Ma ora … Ora amava tutto, tutti, voleva bene ai suoi genitori, ora li amava, era in pace col mondo e con sé stesso finalmente. Era stato chiamato ad assolvere un compito. E l’ avrebbe eseguito.

CAPITOLO VII : LA FORESTA OSCURA

– Quindi, questa spada ha un nome, si chiama Orilder. Se la chiamo mi risponde ?
– No. Ma se si trova lontana da te, se pronunci il suo nome ritorna al proprietario. Tu, sei il suo unico e solo possessore, Mark – spiegò Katremaak. – Ma questa spada è strana - . La lama, all’ inizio presentava una cavità curva che si estendeva verso l’ interno per poi andare a formare una lama normale. Come una specie di falce.
– Dov’ è la sede di Kram ? – chiese il ragazzo.
– Nessuno lo sa. Solo i suoi seguaci lo sanno. Noi li chiamiamo Dakma-ak, " creature delle tenebre " - . Disse Katremaak.
– Ah, e dove li trovo ?- chiese Mark, incuriosito.
– Di solito si riuniscono tutti alla Taverna delle Ombre. Un posto poco raccomandabile. C’è solo feccia, lì – disse Katremaak.
– Bé, allora penso sia ora di fare un po’ di pulizia.
– Pazienta, mio giovane amico, pazienta. Devi attraversare la foresta oscura per arrivare alla Taverna.
– Che c’è nella foresta ? – chiese Mark.
– Forze oscure. A cui dovrai opporti a tutti i costi, o diventerai un’ anima sperduta e dannata per sempre.
– Allegro… - commentò Mark.
– Già, devi resistere. Io posso solo indicarti la via, sei tu che la devi seguire.
I due se ne stettero in silenzio per un po’.
– E allora grazie, Katrem. Mi raccomando eh?! – Katremaak strinse la mano al ragazzo.
– Mi raccomando a te. Sempre all’erta. Sempre. Non voglio perdere l’ultima speranza che abbiamo di salvarci.
Poi incrociò le braccia e scomparve in una nube di fumo trasparente. Al suo posto, ora, c’era un’aquila dagli occhi paralizzanti, che prese il volo e planò verso il sole.

Mark la seguì. Dopo un po’ arrivò alla foresta. L’aquila girò un po’ di volte sopra la sua testa e poi volò via. – Bene , ora tocca a me. –
Era incredibile come una foresta sorgesse in pieno deserto. Entrò nella foresta. Il sole ormai stava tramontando. Le ombre degli alberi si allungavano sul terreno per molti metri. Addosso aveva solo una camicia strappata, una giacca e dei jeans. Cominciava a fare freddo. Ma Mark continuava ad avanzare nella notte. Era angosciante aspettare qualcosa di terribile che sembrava non arrivare mai.

Ad un tratto sentì una voce. Una voce rauca, silenziosa, che arrivò al suo orecchio e sparì. – Mark.. – scandiva la voce con tono suadente. – MARK … - il ragazzo cominciò ad innervosirsi. - - Ascoltami..- Mark era pronto a tutto; si sgranchì le ossa e strinse forte la spada rigirandola nella mano sudata.
Una sagoma .. femminile.. – Jennifer? – chiese Mark diffidente. – Sei tu? - La ragazza era appoggiata a un albero e aveva addosso solo pochi stracci.
– Che ti hanno fatto?
Se vuoi salvarmi, se mi vuoi, unisciti a noi
– Cosa? Ma che dici? – chiese Mark incredulo.
Unisciti a noi, unisciti a me. – Le parole non provenivano dalla sua bocca ma sembrava fosse lei a pronunciarle.
Combatti per me, con me e avrai tutto ciò che vuoi. Amore, denaro, POTERE, tutto ciò che vuoi, basta che ti unisci a noi.
– Ma Jenny tu, tu non.. dici.. dici sul serio? Tutto ciò che voglio? Anche.. anche te? Tu ti salverai? -
TUTTO CIO’ CHE VUOI. CHIEDI E VERRAI ESAUDITO. BASTA CHE ACCETTI .
Mark restò immobile a fissare quella figura. Quella figura che aveva sempre amato. L’avrebbe avuta. Lei e tutto quanto avesse chiesto. Bastava che accettasse. In fondo quella non era la sua gente. Se la sarebbero cavata da soli. Cominciò a sudare. Si sentiva male. Jennifer cominciava a succhiargli le energie.
Aiutami… - ripeteva Katremaak in silenzio nel deserto del suo sogno.
Presto… - Mark riaprì gli occhi. Non poteva abbandonare questa gente. Avevano bisogno di lui. E dopo
Orilder… aveva capito: pace, amore, altruismo, amicizia, libertà. Erano valori che non andavano persi. Non si sarebbe fermato ora. – NO! NO! – gridò Mark. La ragazza allungò un braccio e scaglio una carica elettrica contro di lui. Mark la schivò e saltò. Senza accorgersene, piegandosi in avanti, eseguì una serie di capriole in aria. Atterrò accanto alla ragazza e le bloccò le braccia.
– Jennifer, Jenny, sono io, IO, ASCOLTAMI.
La ragazza aveva gli occhi di fuoco. Tra le fiamme, Mark rivide i bellissimi occhi verdi della ragazza di cui era innamorato. Una voce inondò la sua mente.
– Non posso liberarmi di questa presenza maligna. Ho accettato un patto. Quello di salvare TE.
Mark si sentì rinfrancato da quelle parole e stupito, lasciò la presa.
– Ma allora tu.. – Mark non finì la frase. Quel momento bastò all’oscura presenza per colpire Mark
scagliandolo lontano, e sparire con il corpo di Jennifer. Mark atterrò alla fine della foresta. Alzò lo sguardo, felice della rivelazione di Jennifer. Vide la sagoma di un’ aquila dagli occhi luccicanti.
– Ce l’ ho fatta, Katrem, ce l’ ho fatta!

CAPITOLO VIII : LA TAVERNA DELLE OMBRE

All’uscita della foresta, Mark, trovò dei vestiti nuovi, più adatti al suo ruolo. Una maglia a temperatura costante a maniche corte, bianca, delle fasce da avvolgere intorno agli avambracci, dei pantaloni scuri e una fascia da appendere alla cintura, degli stivali e una fodera adatta a Orilder. Era pronto.
Entrò nella casupola lì vicino. L’insegna diceva. " Taverna delle ombre ". – Che fantasia - commentò Mark.

Aprì la porta. C’era un forte brusio e la locanda era piena di mostri, demoni e mostriciattoli. Mark si avvicinò al bancone, notando con disgusto che il barista era pieno di squame verdastri, gobbo, strabico e pieno di pustole. " E’ quasi più brutto di Bob " pensò Mark. Si sedette su uno sgabello accanto al bancone. Era sicuro di sé.
– Dammi una birra! – disse con voce roca.
– Cosa vuoi? – chiese il barista, stranito.
– Una birra, sai cos’è? – insistètte. Il barista lo guardò minaccioso.
– Va bene – disse Mark, accorgendosi di stare esagerando
– Dammi dell’acqua. Ce l’hai l’acqua almeno?- La creatura si allontanò sospettosa. Mark sospirò di sollievo.

Quando la creatura tornò chiese – Ehi! Dov’è Kram? – Tutto il locale si zittì. Mark si guardò intorno.
– Ehm.. mi ha convocato lui..ecco.. - spiegò subito. Il locale si rifece chiassoso.
– Ti ci posso portare io, bendato e immobilizzato, per non farti vedere dove andiamo…
– DIMMI DOVE SI TROVA !! – D’ un tratto il mostro non fu più strabico.
– Oh, oh..- Mark si allontanò dal bancone, indietreggiando verso l’uscita che era bloccata da due massicci Dakma-ak.
– Fantastico – disse Mark.
– Certo che ti dirò dove si trova Kram, dopo che sarai morto! – disse il barista. Mark tirò fuori Orilder e si mise
in posizione di guardia. Con un fendente orizzontale accoppò tre Dakma-ak salto e atterrò con un calcio al barista, scivolando poi per terra. Lanciò la spada chiamando – ORILDER! - .
La spada roteò su sé stessa per più volte, colpendo numerose creature e poi tornò alla mano di Mark, che superò il bancone con un salto e mentre roteava, continuava a brandire la spada con maestria fino a quando i suoi piedi toccarono terra. Gli girava un po’ la testa, non era ancora abituato a questo genere di cose. Uno strano ronzio si avvicinò improvvisamente al suo orecchio; Mark si voltò e si scostò subito. Un Dakma-ak armato di sega elettrica aveva sferrato un colpo secco, ferendo un altro mostro dietro il ragazzo che l’ aveva schivato.

Mark eseguì un’altra serie di schivate, poi Orilder si andò a schiantare contro la lama della motosega. Le due lame si agganciarono emanando una serie di scintille incandescenti. Orilder erra indistruttibile. Mark spingeva verso il mostro e l’altro spingeva verso di lui con maggiore forza. Mark cercava di resistere, ma il mostro vinse. Repentinamente, Mark colse l’ attimo: ruotò le lame verso il Dakma-ak e le spinse uccidendolo all’istante. Gli altri pochi mostri lo guardavano impaurite. Barista compreso. Puntata la spada alla gola della creatura, disse minaccioso:
– O mi dici dove vive il tiranno… o ti distruggo…- Mark non amava le mezze misure. Il barista neanche.
– Il signore Kram, abita … in un castello .. verso est… nella zona dei terremoti.

CAPITOLO IX: IL CASTELLO DI KRAM

Mark, uscito dalla taverna, si incamminò verso il luogo indicatogli dal Dakma-ak. Arrivato alla zona dei terremoti senza intoppi… rimase sbalordito. Non c’era niente. Assolutamente niente.
– Mi ha mentito. Quella bestia mi ha mentito, accidenti!.
– Non abbatterti… - Mark sguainò subito Orilder e si voltò.
– Katremaak… - disse Mark rinfoderando la spada.
– Spesso le cose ci sono ma non si vedono, concordi?
– Che vuoi dire?- chiese Mark impaziente.
– Avanza, invece di porre domande inutili…- gli suggerì il maestro.
– Okay…- Mark avanzò, diffidente, un passo dopo l’altro, ma non succedeva niente. Mise un piede su una
roccia, l’altro su una zolla di terra, poi su una pietra…– Ho messo un piede in fallo!
La terra cominciò a tremare e i due anche.
– Visto che è successo a furia di avanzare?- gridò Mark, per farsi sentire al di sopra del frastuono.
– Si, ma non guardare me, guarda avanti. – Mark si voltò indispettito.

Davanti a lui si presentava uno spettacolo inimmaginabile: un castello di dimensioni ciclopiche si ergeva imponente dinanzi ai suoi occhi. Guglie, cupole, rosoni e vetrate ornavano la volta del palazzo, mentre più in basso c’ erano grandi statue dall’ aria minacciosa che circondavano l’ unico ingresso. Un portale enorme.
– Bè, suppongo tocchi a me entrare.
– Supponi giusto. E il tuo momento. Quello che io e tutti noi stavamo aspettando. - disse solennemente
Katremaak.
– Già, il mio momento…

Mark avanzò lentamente verso il portale. La terra aveva smesso di tremare. C’erano solo poche fratture nel terreno circostante. Quando si fu avvicinato, un’orda di Dakma-ak scese dal cielo tra urla disumane e grida stridenti. Menando calci a ciascuno di essi prima che toccassero terra, si avvicinò sempre più al portone di legno massiccio. Arrivato, sguainò Orilder e la infilò con forza nel legno. Contemporaneamente, caricava un raggio energetico nelle mani. Quando la luce cominciò a riversarsi fuori, tra le dita, Mark indirizzò tutta l’energia nella spada. La carica attraversò Orilder e scavò un buco profondo nel portone. Il ragazzo vi saltò dentro e cominciò a correre. A correre furiosamente.

Non poteva paragonarsi a quel numero spropositato di orchi e mostri di ogni genere, erano in troppi. Salì una scalinata con un salto e continuò a correre. Doveva trovare Kram e ucciderlo. Non ne poteva più. Ormai era diventato un fatto personale. Si fermò scivolando sul pavimento. Il corridoio era interrotto da un burrone. Molto largo. Un frastuono fino ad allora lontano iniziava ad avvicinarsi. Il ragazzo si voltò. Un esercito di mostri lo stava inseguendo. Al centro del burrone c’era una colonna. Abbastanza ampia da starci sopra. Si voltò di nuovo. I mostri stavano arrivando. Mark pose il suo sguardo davanti a lui. Una goccia di sudore cadde a terra. E si schiantò sul pavimento.

Doveva farcela. Mark si girò verso i mostri. Si piegò,e chiuse gli occhi. Un Dakma-ak lo afferrò per la gola. Mark riaprì gli occhi. Il mostro fu scaraventato all’indietro, prima ancora di accorgersi della luce gialla che era avvampata dalle pupille del ragazzo. I mostri si resero conto che lo straniero era estremamente pericoloso, quasi quanto il loro padrone. Mark si spinse con forza all’indietro, roteò in aria per un paio di volte per poi atterrare sano e salvo sulla colonna.

Ce l’aveva fatta. Si girò, calcolò velocemente la distanza dall’altro lato del burrone e si rimise in posizione per saltare un’altra volta. Spiccò il salto, mentre faceva i suoi progetti su cosa avrebbe fatto dopo il sicuro salvataggio di Jennifer e della gente di quel pianeta e i suoi piedi toccarono il bordo del pavimento, ma scivolarono. Il ragazzo si voltò velocemente mentre cadeva e si aggrappò all’estremità. Si issò potentemente su e tirò un respiro di sollievo. Si girò. Gli orchi stavano saltando. Perfetto. Era finito.

CAPITOLO X: DAKMA-KHAIN

Quando l orco arrivò, Mark lo spedì giù con un pugno.
Atterrarono gli altri e lui cercò disperatamente di eliminarne la maggior parte, ma diventarono in troppi. Affondò la spada in uno di loro e gettò il suo corpo sugli altri. Rinfoderò Orilder. Anche volendo, con la spada, non li avrebbe mai distrutti tutti. E le ferite cominciavano a farsi sentire.

Si concentrò. Aveva un’altra arma. Poteva, DOVEVA usarla. Chiuse gli occhi e respirò profondamente, cercando di schivare i colpi nemici. Portò lentamente il braccio destro indietro, mentre saltava oltre le sciabole dei Dakma-ak. Cominciava a sentire un tremolio nella mano quindi, con uno scatto repentino aprì la mano verso gli avversari e una scarica elettrica li colpì in pieno respingendoli e scagliandoli giù nel burrone. Quando tutti furono accasciati per terra svenuti o morti, Mark sgranchendosi le ossa avanzò pesantemente verso una grande porta incorniciata d’oro e con dei sigilli argentati negli angoli. La spinse con forza.

La stanza era buia, completamente buia. La porta aperta faceva entrare una fioca luce dall’esterno. Era una grande sala. Al centro c’erano dei grandi tappeti rossi che si diramavano in tutte le direzioni fino ad andare sotto ogni finestra. Le finestre non erano che grandi fenditure, nascoste dalle tende, attraverso le quali filtravano pochi raggi di luce, per cui la stanza era totalmente oscurata dall’ombra.

In fondo alla sala c’era un uomo o almeno così sembrava. Ma più che un uomo era un’ombra. L’ombra di qualcosa che un tempo era stato un uomo o aveva avuto qualcosa di umano ma che ora era del tutto privo di qualsiasi forma di umanità. Al di là delle sembianze. La figura si girò. Era scura, nera, aveva un lungo mantello che gli scendeva fino ai piedi e il suo volto era nascosto da un cappuccio, il che rendeva impossibile riconoscerlo.

Mark tentò di trovare un viso umano, oltre la pesante coltre nera. Ma non vide niente, pur scrutandolo attentamente, il ragazzo non vide che una forma nera davanti a lui. Lentamente, la figura si avvicinò in maniera quasi impercettibile. Quando fu vicina al ragazzo, Mark sentì come un richiamo, qualcuno che chiamava il suo nome. Una voce silenziosa e sibilante. Non sembrava provenire dall’ essere che ora sembrava diventare alto ed imponente.la voce era un qualcosa di remoto e di sconcertante. Gli venne voglia di gridare ma la sua voce era bloccata, non poteva dire niente. Sforzandosi, aprì la bocca e emise una serie di versi che per lui suonavano come: – Tu saresti… Kram? – Il cappuccio si mosse lentamente. – Il grande Kram, il terribile Kram. Kram, colui i cui occhi fulminano chiunque sia contro di lui? – Mark scoppiò in una tetra risata.
– Bè… salve sono qui per ucciderti. – Per la prima volta la figura accanto a lui parlò
Non lo farai – A Mark sembrò come se gli scoppiasse il cervello. Era una voce penetrante e fredda. Come
un trapano.
– Tu, chi sei? – riuscì a domandargli il ragazzo mentre si distendeva a terra come se un proiettile l’ avesse colpito.
Tu mi conosci, ragazzo. Molto a fondo.
In effetti, la voce era familiare, aveva un che di mellifluo e crudele ma era una voce da adulto.
– B-Bob? Sei tu?
No ragazzo sono io, MARK – Pronunciò quelle parole con una rabbia assoluta, come se disprezzasse
profondamente ciò che stava dicendo. Si tolse il cappuccio.
– NO! – gridò Mark – Non può essere!
Perché no, ragazzo. E’ possibilissimo invece. Guardami. Io sono… te, in tutto e per tutto. E la cosa più bella ancora è che tu sarai me. – Era vero. L’uomo davanti a lui era lui stesso, Mark solo più adulto, più grande.
Allora, vuoi ancora uccidermi? Anzi, ucciderti? – Scoppiò in una tenebrosa risata.

Mark lo guardò bene. Lo scrutò attentamente. Era possibile? Lui, Mark, sarebbe diventato un uomo così crudele e spietato? L’uomo era uguale a lui, in ogni dettaglio, ma aveva qualcosa di diverso. Era come circondato da un’aura di odio e di sofferenza. E i suoi occhi. Erano scuri, come i suoi ma in loro ardeva la fiamma dell’odio e della rabbia. La rabbia cieca che non guarda in faccia a nessuno. A Mark sembrò di sognare, stava danzando su un prato verde insieme a Jennifer, i suoi genitori lo salutavano da lontano, ma qualcosa turbava il tutto. Due grandi occhi neri e saturi di crudeltà lo osservavano avidamente.
– NON… GUARDARE! – una voce roca sembrò provenire da molto lontano.
– MARK! NON GUARDARE I SUOI OCCHI! – Mark sembrò come risvegliarsi da un sonno profondo.
– No, voglio continuare il sogno…
– Mark, se non torni tra noi, gli unici sogni che farai saranno tra le fiamme degli Inferi!

Ora la voce sembrava essere più vicina. Mark aprì gli occhi.
– Katremaak! - disse pieno di gioia. Si guardò intorno. Jennifer era appesa per i polsi a un grande lampadario
e sotto di lei c’ erano punte e denti acuminati.
– Devi solo provare ad avvicinarti, vecchio Katremaak, e la ragazza morrà. – Mark vide il suo vecchio maestro
deglutire con odio. Saltò. Sfoderò Orider e tagliò le corde che legavano i polsi della ragazza e vi si aggrappò con una mano, tenendo le braccia di Jennifer con l’altra. Orilder cadde sul pavimento. Mark saltò ancora con la ragazza fra le braccia e la posò delicatamente sul tappeto. Era ancora viva. Si voltò. Kram teneva Katremaak per la gola sopra gli spuntoni mentre lo punzecchiava con Orilder, che aveva raccolto dal pavimento.
– ORILDER! – chiamò forte il ragazzo.

CAPITOLO XI: LA VERITA’

La spada venne attirata verso il suo padrone ma Kram non mollò la presa. Lasciò cadere il vecchio che teneva per la gola e strinse forte Orilder. Katremaak scomparve nel baratro, dove lo aspettavano lame, spuntoni, e denti acuminati.
– Nooooooo! – gridò Mark mentre sferrava un pugno con tutta la forza che aveva in corpo. Kram venne colpito in faccia mentre lasciava la presa. Mark prese al volo la sua spada mentre un lacrima gli scendeva sulla guancia. Strinse la SUA spada quanto più poteva. Guardava fisso Kram, il suo alter ego, mentre questi si rialzava sprezzante, come se avesse ricevuto una carezza.
– Dove sono andati a finire gli umani? – chiese Mark, mentre la rabbia dentro di lui.
Sono ancora qui. Solo che sono tutti come il FU Katremaak. Invece chiunque avesse scelto le tenebre sarebbe diventato ciò che ora chiamano DAKMA-AK, un essere senza forza di volontà, capace solo di assimilare ma non di mettere in atto, di ubbidire, di eseguire solo i MIEI ordini. Questa è stata la mia maledizione. L’ho imposto io.

Perché sono diventato così, PERCHE’? – Era questo il pensiero che lo assillava. Anche se lo avesse ucciso, poi lui sarebbe diventato comunque il Dakma Khain che tutti temevano.
- Pensaci, tu che faresti con questi poteri? Eh? Li useresti, saresti invincibile. Poi diventerebbero un ossessione per te, e cercheresti qualunque pretesto per usarli. Allora la gente comincerà a pensare che sei un mostro, che sai solo fare del male. E alla fine te ne convinci anche tu. Ecco il perché della maledizione. Loro mi consideravano un mostro. Ora sono io che li considero così. Con sommo piacere. Questa non è un’altra dimensione Mark è sempre la terra. Del futuro. Ma tu già lo sapevi, no? E ora, ora spiegami… mi dici dove sta l’errore? Eh? Che ho fatto di male? DIMMELO!
– Io non mi sarei comportato così, li avrei usati in bene, questi poteri. – Ma non credeva assolutamente a ciò
che diceva. Si mise in posizione di guardia.
– Tu puoi farcela, Mark, puoi tenere sotto controllo i tuoi poteri. Ti aiuterò io.

Mark si girò. Jennifer, si era alzata ed era più bella che mai, anche se era stata torturata fino quasi alla morte. Si, li avrebbe usati, ma poco. Solo a fin di bene. Per i suoi poteri e per il BENE del suo fine era sopravvissuto al tornado del deserto. Solo lui poteva sconfiggere Kram, che, anagrammato, ritorna Mark. Si girò. Kram lo stava guardando. Con odio. Un odio che va al di là dell’umanità. Poi guardò Jennifer. Fu un attimo. Una sfera continua di fuoco inondò la stanza e si diresse verso Jennifer. Ma Mark non poteva sopportare anche questo. Saltò, con tutto il potere che aveva e si frappose tra il raggio e la ragazza. Il fuoco lo colpì in pieno. Kram si avvicinò, ridendo:
Non eri tu il mio bersaglio ma mi accontenterò. Ormai non sei più me. Sei solo un avanzo di ciò che resta degli umani. KARGAN!

Una spada lunga e scintillante si scagliò sulla mano di Kram. Aveva due punte laterali dall’aria non troppo benevola.
Kram la roteò più volte assaporando l’uccisione del nemico. Ormai non si rendeva più conto di quello che faceva. Mark ansimava tremante, Jennifer cercava di rassicurarlo, quando ebbe un attimo di coraggio smisurato. Prese Orilder e la agitò in faccia a Kram, che rideva divertito. Con un colpo Orilder cadde a terra. Jennifer cominciò a piangere disperata. Kram alzò in alto la sua spada, pronto a colpire a morte il suo alter ego, quando il castello cominciò a tremare. Tutto sembrò girare vorticosamente intorno a loro tre. Il castello cominciò a crollare mentre tuoni e fulmini squarciavano il cielo. Una pioggia scura e persistente cominciò a cadere attraverso il tetto, crollato. Kram si guardò intorno, perduto, come un bambino che si guarda intorno per cercare i genitori. Un’aquila nera volteggiò sulle loro teste.
– Stai cambiando la storia, MARK, ti stai uccidendo. – Katremaak disse solennemente dall’ alto.

CAPITOLO XII: CONCLUSIONE

Mark si alzò lentamente, tenendosi la ferita che ancora bruciava. Kram non aspettò oltre cominciò a colpire ininterrottamente il ragazzo mentre tutto il mondo intorno a loro si trasformava. Mark cadde a terra. Schivò i pesanti colpi della spada di Kram che si schiantava per terra quando non toccava il ragazzo. Spostandosi rotolando, per schivare i colpi, Mark si era avvicinato a Orilder. La prese in mano e, stringendola, sferrò un fendente orizzontale che ferì Kram. Mark si alzò con una capriola e quando i suoi piedi toccarono il pavimento, diede un calcio al suo nemico, spingendolo lontano. Nell’aria pesante, Kram si spostò quasi volando sulla punta di una delle innumerevoli torri del castello. Mark scaricò un raggio di energia su di lui, poi gli saltò accanto. Le due spade s’ incrociarono. Anche Kargan era indistruttibile. Kram tentò una serie di colpi che si susseguirono velocemente. Senza nemmeno accorgersene, Mark li parò tutti, poi roteò in basso la spada. Kram saltò velocemente, schivando il colpo, ma Mark fu più veloce: dopo il colpo in basso, sferrò un fendente verticale verso l’alto, che colpì lievemente Kram. Cadde in ginocchio.
– E’ inutile, non puoi uccidermi, distruggeresti te stesso. MARK…
No! Odio quel nome, non sono io quello! No!

Mentre gridava eseguì una capriola all’ indietro colpendo Mark con i piedi. Mark perse l’ equilibrio e cadde dalla torre.
Nemmeno tu puoi uccidermi. Perché se lo fai, tutto ciò accadrà a te, quando avrai la mia età. – Guardò in basso. Non c’ era traccia del ragazzo.
Visto, Katremaak? Hai visto quanto valeva il tuo apprendista? Non valeva niente! NIENTE!

Un raggio di luce spezzò l’oscurità e un’aquila nera, ferita precipitò sul pavimento della sala, riprendendo forma umana.
– Jennifer. Lasciami qui. Scappa. Ucciderò io Kram. - Ma la ragazza non lo voleva lasciare solo.
– Mark..- pensò tristemente. Mentre una trista figura ricoperta da un manto nero discendeva dalla torre
maledetta, Jennifer alzò lo sguardo e lo riempì di odio verso quell’essere che aveva ucciso se stesso e l’amato della ragazza.
Non ho cambiato la storia non è successo niente e voi due non uscirete vivi da qui ora che la Terra ha smesso di tremare.

Kram vide la spada concava di Mark. La fissò intensamente, ed ella cominciò a muoversi, a tremare. Si alzò dal pavimento, rimanendo sospesa in aria.
Non pensavo che la mia telecinesi funzionasse anche senza l’uso delle mani. – disse allegro.
– ORILDER! – un grido squarciò la notte.

La spada nominata si alzò in aria e volò verso Kram, attraversandolo da parte a parte, fino ad arrivare al sicuro, tra le dita del suo antico proprietario: Katremaak. Il vecchio la passò a Mark che si era aggrappato ad una vetrata e che ora era sceso sul pavimento. La spada sembrò esplodere al contatto con Kargan. Le due spade si toccarono molte volte, ma senza più toccare gli avversari. Le lame si agganciarono. Mark e Kram spingevano dalle rispettive parti, mentre una pioggerellina fitta ma leggera, si frangeva sui capelli di ognuno dei due e il cielo si schiariva. Le spade si separarono all’improvviso volando in direzioni opposte. I duellanti continuarono a combattere sferrandosi pugni e calci, ma nessuno dei due soccombeva.
E’ inutile, tu sarai me. Non puoi uccidermi. – disse Kram con tono suadente mentre i due si scambiavano gli
stessi sguardi. Di nuovo a Mark parve di sognare, fluttuando libero nel cielo terso…
Sfeji, nella nostra lingua significa Terra: terra maledetta, terra delle tenebre, tutti la evitano. Chiunque provenga da un altro sistema fugge impaurito.
– Ti piace la fama che hai dato al nostro pianeta, eh? A me no!

Si era liberato della maledizione legata allo sguardo di Kram. l’amore per i suoi cari e per la vita l’avevano aiutato. Due sfere di fuoco percorsero il raggio di luce che univa i quattro occhi. Arrivarono a Mark e furono riflessi: il suo odio verso Kram, serviva da specchio per nascondere il suo amore per se stesso e per gli altri. Un grido lacerante nell’alba. Kram cadeva in ginocchio, bruciato dalle sue stesse maledizioni e dalla sete di potere.

I tre amici fuggirono, mentre il castello cadeva a pezzi. Attraversarono con un salto il buco nel portale e caddero sulla sabbia morbida. Jennifer abbracciò Mark. Era il minimo che potessero fare per esprimere la contentezza nel rivedersi.
– Allora, hai avuto le risposte alle tue domande iniziali, Mark? – chiese Katremaak con aria inquisitoria.
– Si, Katrem. Già da piccolo i miei amici notavano una strana luce nei miei occhi. Pensavo fosse normale. Ma non lo era. Erano i miei poteri. Lo sospettavo. Pensavo, effettivamente di essere speciale, ma non riuscivo a capacitarmi come. Ora lo so.

Strinse forte Jennifer e la guardò nei grandi occhi verdi. Katremaak abbassò lo sguardo, poi, come per costringersi a fare qualcosa, lo alzò e salutò il ragazzo a cui ormai si era affezionato.
– Grazie, Mark. Sarai nei nostri cuori, per sempre. – Mark gli tese la mano in segno di amicizia, Katrem non era il tipo da abbracci. Il vecchio si slanciò su di lui a lo abbracciò. Mark rimase stupito ma fu contento. Katremaak abbracciò anche Jennifer e li ringraziò entrambi mentre la storia si rimodellava per tornare quella che sarebbe stata un tempo. Il Portale temporale si riaprì. I tre si salutarono un ultima volta poi Mark prese la ragazza in braccio e saltò nel portale ignari che Orilder li seguisse attraverso lo spazio-tempo.

Usciti dal vortice azzurro si guardarono intorno. Una voce a loro familiare li fece inaspettatamente rallegrare.
– Ehi, Chester, perché non sei venuto a scuola, hai avuto, il morbillo? O ti si è spezzata l’unghia? – scoppiò a ridere. Orilder cadde ai piedi di Mark .
– Mark non fare pazzie. – Mark prese Orilder in mano…
– Mark! - … e la mise nel fodero. Sorrise contento nel sentire che la storia stava cambiando.
– Sta’ tranquilla… - si avvicinò a lei. Lei mosse le labbra e lo baciò. Bob Fakes smise di ridere.
– Caspita.. – riuscì a dire superando lo stupore.

Mark e Jennifer si abbracciarono felici sotto lo sguardo sbalordito e pieno di invidia di Fakes e avanzarono verso casa soddisfatti e rilassati, dopo tante perigliose avventure.
 

 

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Davide De Marco.


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